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Posts Tagged ‘giustizia’

La Marina fa campagna per arruolamento: e c’è chi scrive la verità ;)

13 giugno 2014 1 commento

AMO!

La Marina Militare pensa bene di fare un po’ di pubblicità delle loro “grandi opere”
e la campagna di arruolamento quest’anno è dirompente e invade le nostre strade e città con cartelloni immensi:
VIENI IN MARINA, è scritto a caratteri cubitali sotto due fotografie.
Due volti, uno in divisa da cerimonia col classico berretto bianco e la baionetta ben in vista,
l’altra in versione da “missione”, con il volto mimetico e lo sguardo da marine!
D’altronde devono apparire belli e bravi, per tentar di riportare in “patria” i due Maro’ detenuti in India per l’assassinio gratuito di due pescatori…
devono salvare la faccia e dimostrare al mondo  quanto so’ bbbelli.

Queste mie righe solo per ringraziare chi ha messo nero su bianco il pensiero di molti nel guardare questi enormi invadenti cartelloni
Vieni in Marina è mutato in “VIENI IN INDIA A SPARARE AI PESCATORI”.
Si legge ben visibile nella zona di San Paolo, a Roma… e non potevo non condividere con voi la gioia nel vedere queste immagini!

Leggi anche:
Uh Marò, che risate
Marò: latitanza autorizzata

Uh Maro’, che risate!

22 marzo 2013 3 commenti

Praticamente prelevati con la forza, che poverini non se l’aspettavano.
“Le famiglie passano dall’euforia allo sconcerto”, uh poverini: la latitanza autorizzata direttamente dal Ministro Terzi per i due Marò, unici accusati dell’omicidio di due pescatori indiani, è terminata.
Sono in volo verso l’India, per rientrare in una prigionia che probabilmente non sarà comoda, protetta e ricca di permessi premio come era stata fino alla loro fuga,
su tappeto rosso ministeriale.
una figura di merda colossale, quasi da scompisciarsi dalle risate:
“Hanno ricevuto garanzie dal governo indiano”, come se prima non ce ne fossero state, visti i due permessi premio in Italia (uno per festeggiare il Natale in famiglia (!!) e l’altro per votare),
come se avessero passato il loro periodo di detenzione come dei cittadini indiani,
come se non ci fossero già state tutte le garanzie possibile, quelle che sull’attenti scattano immediatamente quando alla sbarra degli imputati siedono, o rischiano di sedersi, degli uomini in divisa,
anfibi e fucile.

L’ambasciatore italiano in India, colui che di suo pugno aveva firmato la promessa di rientro dopo la licenza premio per permettere il voto (ma non potevano vota’ come tutti gli italiani all’estero????) e che quindi ora si trovava privo della sua immunità e del suo passaporto, è tornato libero.
Loro in volo, verso cella e tribunale.

Terzi non si dimette eh, sia mai:
d’altronde non l’ha votato mai nessuno, è stato messo lì in quanto “tecnico” bravo bravo esperto esperto,
ha fatto una delle più colossali figure di merda della storia della diplomazia internazionale,
ma no, non si dimette. Che siete matti?!
Anzi, nel leggere le sue dichiarazioni sembra sia stato proprio un genio della diplomazia, un gioco delle tre carte che avrebbe permesso di strappare condizioni ottime, ampie assicurazioni. *
I giornali nel frattempo ci raccontano che ci son volute più di 5 ore a convincere i du’ soldatini a salire a bordo,
eh sì, il “torni a bordo, cazzo” continua a esser presente sulle nostre cronache.
Tanto inchiostro ci racconta il dolore e lo strazio di mogli e figli,
senza vergogna alcuna. Furente (!!!) il sindaco di Bari, tengono a dirci

Hanno moglie e figli, mariti e figlie, anche i quasi 70.000 detenuti nelle carceri italiane (senza diritto di voto in buona parte),
quelli per cui nessuno chiede “garanzie”, ammassati disumanamente e di cui una percentuale vomitevole in attesa di giudizio,
o in carcere per qualche furto, o smercio di sostanze stupefacenti.
Chi può provare ad accedere alle misure alternative, alle licenze premio, sono pochi, pochissimi,
un numero praticamente insignificante.
Insomma, non 70.000 persone che hanno scaricato l’intero caricatore dei loro supermegafantastici fucili,
contro due lavoratori in mezzo al mare.

Abbiate almeno il coraggio di vergognarvi un po’.

* ORE 12.30: LEGGO CHE “I militari risiederanno nell’ambasciata italiana a New Delhi. “‘
?????????????????????????????????????????
Hai capito questi, quando parlano di garanzie tocca fidarsi. Niente sbarre, niente cemento,
avranno anche le famiglie accanto quando lo desiderano.
Un paese proprio libertario st’India: mortaccidetutti

Marò: latitanza autorizzata dal Ministro in persona!

11 marzo 2013 25 commenti

Che se non provassi un senso di repellenza totale ne avrei scritto da tempo,
perché sarebbe da sottolineare mille cose sulla storia dei Marò,
sarebbe da archiviare e riportare continuamene tonnellate di dichiarazioni (a partire dal presidente della Repubblica, Napolitano) in difesa di due fucilieri della Marina,
assassini di pescatori indiani, categoria umana che a quanto pare non rientra in quelle prese in considerazione non solo dalle forze armate di questo paese,
ma anche da quelle politiche.

Ora la provocazione totale, che sinceramente non mi lascia di stucco, anzi era più che prevedibile:il ministro Terzi (ministro scelto da non so chi per altro) ha dichiarato poco fa che
NO, i nostri bravi ragazzi dalla mira ineccepibile non tornano in cella.
No no, la licenza di un mese per votare (son lentissimi a votare i Marò, voi ci mettete meno di cinque minuti loro ben quattro settimane) si trasforma in una latitanza legalizzata:
in India non ci tornano, se ne fottono proprio.
Eppure proprio Terzi poche settimane fa aveva detto che la concessione di questa seconda licenza premio (poverini i due traumatizzatissimi assassini avevano anche passato Natale in casa, cosa non concessa a 70.000 detenuti nelle carceri italiane che vivono anche in 12 a cella) era uno “sviluppo molto positivo che consentirà ai nostri due ragazzi di esercitare il loro diritto di voto e di trascorrere quattro settimane con i loro familiari in Italia, ma anche perchè la decisione di oggi conferma il clima di fiducia e collaborazione con le autorità indiane e lascia ben sperare per un positivo esito della vicenda».

E invece pernacchie,
pernacchie italiane ai pescatori morti ammazzati,
alla giustizia indiana, ai rapporti internazionali, alle promesse di Stato:
NOI GARANTIAMO L’IMPUNITA’ A CHIUNQUE INDOSSI UNA DIVISA E IMBRACCI UN ARMA,
è la sola cosa chiara di questa vicenda.
Siamo un paese di assassini, di sbirri soldati marinati piloti ministri ASSASSINI

L’ergastolo e le farfalle

2 marzo 2013 11 commenti

“Una farfalla si posò sul polpastrello del mio dito medio,
vi adagiò l’addome,
e mi portò all’orgasmo.”

“L’ergastolo io lo penso come la maggioranza di quelli che sono come me: non è una pena indefinita.
Prima o poi finirà, devono capire.”

Mio caro,
ho sognato che venivo a Rebibbia per il nostro consueto colloquio,
ma tu non c’eri, non è che eri stato trasferito in un altro carcere, non c’eri proprio più.
Al risveglio mi son chiesta se esisti veamente.
Questo nostro rapporto è difficile e mi sento vecchia anzitempo.
Preferirei lasciar passare un po’ di tempo prima di venire nuovamente a colloquio.

TU PUOI CONTARE I GIORNI, PER ME E’ SEMPRE 1,1,1,1 …

[Tratto da Ergastolo, di Nicola Valentino, edizioni Sensibili alle Foglie]
ADOTTA IL LOGO CONTRO L’ERGASTOLO: Qui il sito Liberidallergastolo;libera i tuoi spazi, reali e virtuali, dall’aberrazione del FINE PENA MAI

Crimine e criminali, visto da Karl Marx

22 giugno 2011 Lascia un commento

Un filosofo produce idee, un poeta poesie, un pastore prediche, un professore manuali ecc. Un delinquente produce delitti. Se si esamina più da vicino la connessione che esiste tra quest’ultima branca di produzione e l’insieme della società, ci si ravvede da tanti pregiudizi. Il delinquente non produce soltanto delitti, ma anche il diritto criminale, e con ciò anche il professore che tiene lezioni sul delitto criminale, e inoltre l’inevitabile manuale, in cui questo stesso professore getta i suoi discorsi in quanto “merce” sul mercato generale. Con ciò si verifica un aumento della ricchezza nazionale, senza contare il piacere personale, come [afferma] un testimonio competente, il professor Roscher, che la composizione del manuale procura al suo stesso autore. Il delinquente produce inoltre tutta la polizia e la giustizia criminale, gli sbirri, i giudici, i boia, i giurati ecc.; e tutte queste differenti branche di attività, che formano altrettante categorie della divisione sociale del lavoro, sviluppano differenti facoltà dello spirito umano, creano nuovi bisogni e nuovi modi di soddisfarli. La sola tortura ha dato occasione alle più ingegnose invenzioni meccaniche e ha impiegato, nella produzione dei suoi strumenti, una massa di onesti artefici.

Il delinquente produce un’impressione, sia morale sia tragica, a seconda dei casi, e rende così un “servizio” al moto dei sentimenti morali ed estetici del pubblico. Egli non produce soltanto manuali di diritto criminale, non produce soltanto codici penali, ma anche arte, bella letteratura, romanzi e perfino tragedia, come dimostrano non solo La colpa del Müllner e I masnadieri dello Schiller, ma anche l’Edipo [di Sofocle] e il Riccardo III [di Shakespeare].

Il delinquente rompe la monotonia e la banale sicurezza della vita borghese. Egli preserva cosi questa vita dalla stagnazione e suscita quell’inquieta tensione e quella mobilità, senza la quale anche lo stimolo della concorrenza si smorzerebbe. Egli sprona così le forze produttive. Mentre il delitto sottrae una parte della popolazione in soprannumero al mercato del lavoro, diminuendo in questo modo la concorrenza tra gli operai e impedendo, in una certa misura, la diminuzione del salario al di sotto del minimo indispensabile, la lotta contro il delitto assorbe un’altra parte della stessa popolazione […].

Le influenze del delinquente sullo sviluppo della forza produttiva possono essere indicate fino nei dettagli. Le serrature sarebbero mai giunte alla loro perfezione attuale se non vi fossero stati ladri? La fabbricazione delle banconote sarebbe mai giunta alla perfezione odierna se non vi fossero stati falsari? Il microscopio avrebbe mai trovato impiego nelle comuni sfere commerciali (vedi il Babbage) senza la frode nel commercio? La chimica pratica non deve forse altrettanto alla falsificazione delle merci e allo sforzo di scoprirla quanto all’onesta sollecitudine per il progresso della produzione?
Il delitto, con i mezzi sempre nuovi con cui dà l’assalto alla proprietà, chiama in vita sempre nuovi modi di difesa e così esercita un’influenza altrettanto produttiva quanto quella degli scioperi (‘strikes’) sull’invenzione delle macchine. E abbandoniamo la sfera del delitto privato: senza delitti nazionali sarebbe mai sorto il mercato mondiale? O anche solo le nazioni? E dal tempo di Adamo l’albero del peccato non è forse in pari tempo l’albero della conoscenza?

Il Mandeville, nella sua Fable of the Bees (1705), aveva già mostrato la produttività di tutte le possibili occupazioni ecc., e soprattutto la tendenza di tutta questa argomentazione: “Ciò che in questo mondo chiamiamo il male, tanto quello morale quanto quello naturale, è il grande principio che fa di noi degli esseri sociali, è la solida base, la vita e il sostegno di tutti i mestieri e di tutte le occupazioni senza eccezione […]; è in esso che dobbiamo cercare la vera origine di tutte le arti e di tutte le scienze; e […] nel momento in cui il male venisse a mancare, la società sarebbe necessariamente devastata se non interamente dissolta”. Sennonché il Mandeville era, naturalmente, infinitamente più audace e più onesto degli apologeti filistei della società borghese.
(K. Marx- Teorie del plusvalore)

Fantastiche queste righe di Marx, suggeritemi dal miglior blog in costruzione degli ultimi tempi!
😉

Giornate della memoria e delle vittime…bha

9 Maggio 2011 1 commento

Sono un bel regalo alla storia e all’intelligenza queste righe di Marco, Marco Clementi, giovane storico di infinita lungimiranza e precisione. Un bel regalo perché ci dimostrano come poche righe bastino per chiarire migliaia di pagine di carta straccia scritte a riguardo.
Perché ci fa capire anche come gli istituti, le fondazioni, i centri di ricerca che appartengono anche alla sinistra storica di questo paese da gettare al cesso, facciano solo demagogia utile al potere per girarsi la frittata, e girarla contro di noi. Com’è difficile, anche tra “noi”, trovare chi non cade nei tranelli del vittimismo, del giustizialismo, della visione delirante di quello che sono stati quegli anni e quindi quei morti, di quello che è stata l’Italia delle stragi e quella della lotta al capitale e allo sfruttamento.
Poche parole queste, serie.

E non serve niente più.

Storia e giornate della memoria

Gramsci e la “tessera della libertà”

4 Maggio 2011 Lascia un commento

Antonio Gramsci  I diritti del cittadino [La tessera della libertà]

La tessera per il pane non basta – sostieneil «Corrie­re della Sera» – è necessario introdurre anche la tessera della libertà. E geniale, non è vero? Tanto geniale che ci rendiamo subito solidali con la proposta, rendendola subito concreta.

Foto di Valentina Perniciaro _Genova, 20 Gennaio 2002_

La tessera potrebbe consi­stere in una legge che affermasse:

  1. Un cittadino italiano che venga arrestato, non può per più di dieci giorni essere tenuto all’oscuro sulle cause del suo arresto, ma deve entro dieci gior­ni essere condotto dinanzi al suo giudice naturale, e riottenere la sua libertà anche se provvisoria.
  2. L’arresto preventivo èmantenuto solo per gli accusati di colpe gravissime – quando gli indizi della colpevolezza siano tali da fare apparire probabilissima la condanna – e non deve mere prolungato per un termine superiore alla misura minima della condanna.
  3. Gli agenti, i giudici, i carcerieri, per colpa dei quali un cittadino viene arbitrariamente privato della libertà, sono tenuti a pagare al malcapitato una indennità in solido ciascuno di lire diecimila, da scontarsi in tanti, giorni di prigione in caso di insolvibilità, con iscrizione nella fedina penale, rimozione dall’impiego e perdita dei diritti civili per cinque anni.

La tessera importa una limitazione, ma deve anche importare una garanzia sicura e concreta del minimo di libertà accordato. La tessera non deve essere solo per i cittadini comuni, deve anche essere per i citta­dini tutori. E rigorosa, per gli uni, ma specialmente per gli altri. Non deve capitare come per lo zuc­chero.

La libertà, come il pane, deve essere garantita: la tessera della libertà, come questa da noi invocata, esiste da quasi tre secoli in Inghilterra, paese allea­to, che combatte anch’essa la guerra per la libertà e la giustizia. La introduca anche il governo italiano, e sia pure per decreto luogotenenziale. Ma l’Italia del «Corriere della Sera», che ammira l’Inghilterra per i suoi miliardi, intende tessera… italiana; per lo zuc­chero, senza zucchero; per il pane, senza pane; per la libertà, con Bava-Beccaris e con gli stati d’assedio.

10 settembre 1917

Il vizietto di giustiziare

2 Maggio 2011 1 commento

Ci risiamo!
Il mondo si sta abituando a questo come fosse normale. È palesato da quel che sento dire sul mio posto di lavoro.
‘Bhè, se è vero quel che ha fatto!”

Metodi di esportazione di democrazia

Oh mamma, allora ormai è proprio un fattore culturale, ormai è passata, ormai è così!
Giustiziano IL nemico con un colpo in testa, come dei sicari mafiosi, e sembra tutto normale. Però leggono la Bibbia, so’ brave cristiane, so’ pure di sinistra, se glielo chiedi probabilmente ti dicono che sono contrari alla pena di morte… Eppure è normale, non c’è niente di strano nello sparare in testa alla gente. E’ normale appoggiare e sostenere eserciti che non solo usano quotidianamente armamenti vietati dalle convenzioni internazionali, non solo intossicano i territori con uranio impoverito, fosforo bianco ed altro…non solo no. Come con Saddam… Si trova il nemico e lo si ammazza.
Pum. Un colpo in testa e il problema è risolto!
Il popolino è contento! Il santo Papa ha portato fortuna, ora siamo tutti più tranquilli… Più di dieci anni di terrore nel mondo quando bastava un proiettilino in un occhio.
Il pianeta ora è esultante! Evviva i giustizieri!
Evviva il far west

ECCO POI QUANT’E’ VERA LA FOTO!

P.S. : ovviamente già è stato seppellito,  meno di otto ore dopo!
Nell’azzurro mare afgano. Un pianeta impazzito, c’è poco da fa.

Conferenza stampa sul caso Papini, “ora la procura deve archiviare”

5 aprile 2011 Lascia un commento

Massimo Papini ha regalato 18 mesi della sua vita alle carceri italiane.
Li ha regalati all’isolamento, alla menzogna, al carcere duro, ma soprattutto li ha regalati alla custodia preventiva.

Per poi essere assolto.
L’articolo smerda un po’ questo popolo viola che ieri infestava la piazza davanti alla Camera per manifestare sulla giustizia: dentro, ad ascoltare questo caso folle di giustizia impazzita, quasi il deserto
Conferenza stampa sul caso Papini, “ora la procura deve archiviare”.

Corteo per Stefano Cucchi

5 novembre 2009 Lascia un commento

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La tragica vicenda di Stefano Cucchi sta sconvolgendo la coscienza civile della nostra città e del paese tutto. Un giovane uomo di 31 anni è stato arrestato dai carabinieri per il possesso di una modica quantità di sostanza stupefacente e viene riconsegnato morto alla famiglia dopo un calvario di sei giorni trascorso tra una camera di sicurezza dell’Arma, il carcere di Regina Coeli e il reparto per detenuti dell’ospedale Pertini. Sul suo corpo gli evidenti segni di un brutale pestaggio, reso di pubblico dominio dalla coraggiosa decisione della famiglia di consegnare alla stampa le foto che documentano l’accaduto. Tanti sono ancora i lati oscuri della vicenda, tanta la voglia di verità e giustizia che sta spingendo alla mobilitazione e alla presa di parola molte persone preoccupate della svolta autoritaria che sta prendendo questo paese.

Purtroppo la storia terribile di Stefano Cucchi è solo la punta di un iceberg. Chi vive quotidianamente il disagio sociale di questa città sa bene che non si tratta di un caso isolato. L’uso della violenza contro le persone sottoposte a provvedimenti restrittivi è cosa comune, una “prassi” consolidata perpetrata contro soggetti deboli, lontana dai riflettori dei mass media, ignorata da un opinione pubblica in questi anni incattivita dalla retorica della sicurezza e della legalità. Come è ormai data per scontata l’impunità per coloro che, forti di una divisa e dell’appoggio senza remore del potere costituito, si permettono di tutto.
In questi giorni stanno venendo alla luce un’infinità di episodi tragicamente simili a quello che ha spezzato la vita di Stefano, episodi che richiamano alla memoria i nomi di Federico Aldrovandi, di Aldo Bianzino e dei tanti che sono incappati nella violenza istituzionale ma che non sono assurti agli onori delle cronache perché privi di una famiglia coraggiosa alle spalle, di buoni avvocati, di giornalisti sensibili, di comitati attivi nel perseguire un percorso di verità. E tante sono le storie di persone che sono rimaste in silenzio perché sole, spaventate, minacciate.

E’ ora di dire basta. E’ ora di dire mai più violenza sulle persone detenute; mai più violenza nelle caserme, nei commissariati, nelle carceri, nei CIE.
E’ anche ora di dire basta all’anonimato di cui godono le forze dell’ordine nello svolgimento del loro servizio, una circostanza che garantisce loro l’impunità nella stragrande maggiorana dei casi.
Ma è anche ora di dire con chiarezza che esistono delle leggi in questo paese che costringono alla detenzione persone che hanno l’unica colpa di essere in possesso di modiche quantità di sostanze stupefacenti: la legge Fini-Giovanardi sulle droghe, la legge Bossi-Fini, il pacchetto sicurezza, strumenti normativi che non fanno altro che riempire le carceri. Provvedimenti legislativi che riducono le criticità sociali a mera questione di ordine pubblico Tutto ciò si verifica in un contesto che non esitiamo a definire di deriva autoritaria e che vede il progressivo restringimento degli spazi di libertà.

Questa ennesima vita spezzata deve trovare la coscienza civile di questa città e di questo paese attenta e vigile. E’ per tutti questi motivi che invitiamo tutte e tutti quelli che non rinunciano ad esercitare la loro coscienza critica, a manifestare nelle strade del quartiere di Stefano, Tor Pignattara. Per esprimere la massima solidarietà alla famiglia, per rivendicare verità e giustizia per Stefano Cucchi e per tutte le persone che subiscono quotidianamente la violenza istituzionale.

SABATO 7 NOVEMBRE 2009
ORE 15 CORTEO CITTADINO A TOR PIGNATTARA
CONCENTRAMENTO A VIA DELL’ACQUEDOTTO ALESSANDRINO ANGOLO VIA DI TORPIGNATTARA

“Cosa fosse davvero il carcere non lo capivo”

1 dicembre 2008 4 commenti

Avevo quattro anni_di Martina_
(brano tratto da
Scarceranda, l’agenda di Radio Onda Rossa)

Avevo quattro anni, ma anche cinque e anche tre, perché mio papà mica c’è stato un anno solo in carcere. Mia mamma mi aveva insegnato a saperlo, ma anche a non dirlo, reati politici. E lo andavo a trovare con sua la nuova fidanzata, andavamo in macchina, ma io mi ricordo di più di quando andavamo in treno. Cassino. Quella parola mi è ancora odiosa, come guardie, polizia, fascisti.
Vi ricordate com’erano i treni prima? Avevano la gomma nera con i pallini sul pavimento, e dei disegni strani sulle pareti, tipo cerchi dentro rombi, o cose simili. Mi ricordo anche che avevano un odore dolciastro, di sporco, sudore e viaggi. Tutta la campagna correva fuori dal finestrino, lei leggeva il giornale in modo scomposto, nel senso che non riusciva a tenere insieme le pagine man mano che le sfogliava, e il giornale diventava sempre più grande, occupava sempre più spazio. Poi una volta il treno si ferma, e fuori dalla porta c’è un campo arato. Lei si mette a ridere forte, quella risata che fanno i grandi quando non è che si stanno divertendo. Quella risata che uno pensa, meno male che ride, invece di prendersela con me. Perché i grandi quando sono nervosi a volte se la prendono con noi, ma mica perché sono cattivi, è che con qualcuno se la devono prendere.
Come quella volta che stavo sdraiata sul bancone che divideva noi che eravamo andati a fare il colloquio (il colloquio è da aggiungere alla lista delle parole brutte) e sotto questo bancone c’era una grandissima
gomma da masticare tipo big bubble rosa, spiaccicata da qualcuno e lasciata lì. Io lo so che le gomme diventano dure dopo un po’, allora uno ha voglia di buttarle. So pure che non si appiccicano in giro, bisogna metterle dentro un pezzo di carta e buttarle nel cestino. Poi so anche che non bisogna toccare le gomme lasciate in giro dagli altri. Tutte queste cose che so, ve le dico per farvi capire che io sono una
bambina abbastanza brava. Però certi posti ti fanno fare cose che in genere non fai, allora io stavo lì sdraiata, ho visto questa enorme gomma appiccicata e l’ho toccata. E mi è rimasta appiccicata sul dito. Intanto loro parlavano, mio papà e la sua fidanzata, e poi mio papà se n’è accorto di quello che avevo fatto, allora mi ha dato un pizzico sulla guancia che ancora me lo ricordo. Quanto mi sono mortificata! Era la prima volta! Poteva mettersi a ridere, invece se l’è un po’ presa con me, capito che intendo?
Vabbè, quella volta sul treno che abbiamo sbagliato fermata, e invece della stazione di Cassino c’era il campo arato, poi siamo tornate indietro (o siamo andate avanti, non lo so), e tutto è andato bene. 
Mi ricordo che fuori dal carcere c’era una specie di giardinetto, con le panchine. Poi si entrava in questa stanza, ma che stanza, un enorme corridoio. Allora, funziona così: c’è questo bancone che separa in due la stanza. In alto a sinistra una gabbia di vetro gigante, con dentro una guardia enorme! Mi sono sempre chiesta come facesse quella scatola di cristallo a non rompersi con quel cristone dentro! Al di là del bancone, in fondo a destra, c’è una porta di ferro. Avete presente la porta della radio, quella rossa di ferro con i buchini che i grandi ci possono guardare attraverso? Ecco così. Da quei buchini si vedeva mio papà pronto per venire al colloquio con noi. Io volevo sempre fargli lo scherzetto, e stare nascosta fino a quando non usciva, ma non riuscivo mai a resistere, e fissavo quei buchini (o forse era un quadratino di vetro) per vedere la capoccetta riccia di papà.
Allora io gli davo tanti bacetti, perché ero proprio contenta quando veniva fuori, però con la coda dell’occhio controllavo la guardia gigante. A volte leggeva il giornale, allora i bacetti a papà glieli davo più volentieri.

La fidanzata di mio padre non sapeva cucinare neanche un uovo fritto, però sua mamma era bravissima. Allora una volta abbiamo portato la lasagna a papà. Quando siamo entrate per quella porticina dove ti controllavano quello che portavi, ce l’hanno tutta rotta! Che rabbia! Stavano lì che la rivoltavano, ma insomma è la lasagna della mamma della fidanzata di mio padre! Un po’ di rispetto! Ho pensato, povero papà, vabbé, tanto basta il pensiero.
Cosa fosse davvero il carcere non lo capivo. Sapevo solo che per lo stato mio padre era cattivo, ma che lo stato era cattivo per mio padre. Io chiaramente, mi fidavo di più del giudizio di mio padre. Poi ho scoperto che lo stato non era proprio sicuro che mio padre fosse cattivo, ma intanto che si decideva, era meglio che se ne stesse lì, a Cassino. Poi lo stato ha pensato che poteva pure stare a casa, ma non poteva uscire.
Ho imparato che quello si dice “arresti domiciliari”, o semplicemente “domiciliari”.
Solo dopo qualche anno, quando ho scoperto la parola “domicilio”, ho capito cosa volesse dire. Cioè, ho imparato prima la parola “domiciliari” che la parola “domicilio”. Come se uno impara prima a dire “sfratto” e poi “affitto” (cosa che peraltro mi sa che mi è pure capitata! Ma questa è un’altra storia).

Ora che ci penso, tutto mi sembrava enorme. E di fatto lo era. Da bambini, è vero, tutto ti sembra grande, ma Cassino lo era ancora di più. Non riuscivo a comprendere pienamente la situazione, ma la sensazione che fosse qualcosa di enormemente mostruoso, inumano, come una macchina enorme quasi impossibile da combattere, quella era chiara nella mia testa.
Poi mio padre è stato assolto. Al processo mia madre c’è andata, ma me lo ha detto dopo. Uffa, pure io volevo andare al processo! Comunque, io andavo a scuola, e anche se non avrei dovuto parlarne tanto, io dicevo a tutti: mio padre è stato assolto! Mi sembrava una notizia così bella e importante! Ma i miei compagni mica mi capivano tanto…
Non è stata per me un’esperienza terribile, ero piccola e non capivo la gravità della cosa. Io andavo lì, salutavo mio padre, e me ne tornavo a casa con una strana sensazione. Tutto qui. Ma perché poi quando ci ripenso mi vengono le lacrime agli occhi?
Cassino, colloquio, domiciliari. Mia nonna che mi diceva che c’erano le scritte sui muri, dei compagni che dicevano mio papà libero. Evviva, mio padre è famoso.
Cassino, colloquio, domiciliari, libero. Pure “libero” mi dà un po’ i brividi, perché quando è scritto accanto a un nome, vuol dire che c’è una bambina, come io ero più di vent’anni fa, che tra vent’anni ricorderà quando suo padre stava al di là di una porta dove però chi sta fuori non può entrare.

Dentro quel carcere ci stavo un po’ anche io, eppure, come tutti quelli che ci stavano dentro, ero innocente.

Dall’ A.S. di Rebibbia Femminile

26 novembre 2008 Lascia un commento

IL CARCERE NON PUO’ ESSERE LA DISCARICA ABUSIVA DI ESSERI UMANI “INDESIDERATI”

In questi ultimi tempi è solo un susseguirsi di politiche e leggi che rendono il ricorso al carcere come il “rimedio miracolo” per togliere di mezzo dalla società i problemi sociali ai quali non si riesce a dare una risposta. Per ogni problema la risposta è: carcere.logo_scarc
La politica che sembra sempre riscuotere il maggior consenso, soprattutto elettorale, è quella del “buttare la chiave”! (Questa è la traduzione letterale da fare quando dicono “certezza della pena”). Questo quando la Costituzione, in diversi suoi articoli, sancisce invece che la pena (notare bene, scrive “pena” e non “reclusione” visto che la pena può avere varie forme!) deve avere uno scopo rieducativo e non può andare contro il senso di umanità. Noi che abbiamo la sventura di esserci finite in carcere, sia in qualità di condannate che di detenute in attesa di giudizio, ci rendiamo conto ogni giorno di quanto e quante volte quei principi vengono violati.

Noi tutte della sez. A.S. di Rebibbia vogliamo allargare la protesta del 1 dicembre 2008 CONTRO TUTTE QUELLE VIOLAZIONI. Intendiamo partecipare all’iniziativa con un giorno di protesta pacifica con sciopero del sopravvitto, del lavoro, “battitura” ecc… da riprendere il mese di marzo aderendo alla calendarizzazione dei promotori della campagna contro l’ergastolo.

PER L’ABOLIZIONE DELL’ERGASTOLO, il “fine pena mai” che è la violazione evidente del principio della possibilità della “rieducazione”. Senza farsi ingannare dal falso argomento per cui, in Italia, dopo 26 anni è possibile ottenere la libertà condizionale. Innanzitutto questa non è mai concessa automaticamente ed è di fatto esclusa preventivamente, come gli altri “benefici”, per coloro che sono sottoposti all’articolo 4bis nella sua forma più restrittiva.
CONTRO IL 41bis, forma detentiva disumana che si può paragonare a un vero e proprio strumento di tortura.
CONTRO IL DISEGNO DI LEGGE BERSELLI che vorrebbe modificare la Riforma Penitenziaria del 1975 e il Codice di Procedura Penale in materia di permessi premio e di misure alternative alla detenzione, per altro già lasciata alla discrezionalità dei giudici e poco e male applicata. Lo scopo è quello di rendere la detenzione ancora piu oppressiva, facendo credere, erroneamente, che un carcere ancora più afflittivo serva a dissuadere dal commettere e reiterare i reati. Il disegno di legge punta a ridurre i benefici nel suoscarcecomplesso, incluso i giorni di liberazione anticipata e a togliere la possibilità di andare in semilibertà a tutti gli ergastolani, così come oggi succede per quelli sottoposti alla misura ultrapunitiva del 41bis.  La possibilità di ottenere permessi verrebbe ulteriormente allontanata, così come quella di usufruire di altri benefici. Per altro già la legge cosidetta Cirielli ha, di fatto, escluso da questa possibilità tutti i recidivi.
Tutto questo, per altro, quando l’isolamento affettivo viene applicato duramente per tutta la detenzione, in modo particolare tra familiari detenuti, per i quali il diritto al colloquio, previsto dalla O.P. non viene quasi mai rispettato.
CONTRO LA PRESENZA DI BAMBINI IN CARCERE. C’è qualche forma detentiva più disumana di rinchiudere in un carcere con le loro madri –per quanto si possa tentare di “abbellirlo- dei bimbi in età da 0 a 3 anni? In seguito, quando vengono obbligatoriamente separati dalla madre,

Foto di Valerio Bispuri _carcere femminile sudamericano_

Foto di Valerio Bispuri http://valeriobispuri.com

 acquistando la “libertà” vengono ad aggiungersi a tutti gli altri bambini che separati dai loro genitori vedono, per lungo tempo, ridotti il vitale rapporto affettivo familiare a qualche visita mensile di 1 ora in squallidi parlatori.
La Costituzione dice che bisogna rispettare il senso di umanità: che colpa hanno i bambini delle azioni eventualmente commesse dai loro genitori?
Infine i bimbi a cui è capitato di essere figli di persone in regime 41bis, solo un’ora mensile, attraverso un vetro divisorio, visto che compiendo 12 anni si perde il “diritto” ai 10 minuti mensili concessi senza vetro!

CHI DEVE RISPETTARE LE LEGGI E IN PRIMO LUOGO LA COSTITUZIONE?

           Le detenute della sez. A.S. di Rebibbia

 

 

E’ USCITA SCARCERANDA PROPRIO OGGI, L’AGENDA CONTRO IL CARCERE. E IL LIBRO!!!logo_scarc

…PASSATE IN VIA DEI VOLSCI 56, A RADIO ONDA ROSSA.

PER OGNI COPIA VENDUTA NE VERRA’ SPEDITA UNA IN CARCERE GRATUITAMENTE 

Aboliamo il carcere -un testo di V. Guagliardo-

27 ottobre 2008 5 commenti

ABOLIZIONISMO di Vincenzo Guagliardo

 

Per fortuna ormai un pò di gente arriva a dire che è in atto da anni una regressione dallo Stato sociale allo Stato penale, criminalizzando la miseria, ovvero mettendo in galera il diseredato solo perché è tale e neanche più per quello che ha potuto fare. Tendere a imprigionare la gente per quel che è a prescindere da quel che ha fatto, è anche un passaggio, come alcuni ricorderanno, dalla logica penitenziaria a quella del lager, dove si finiva in quanto ebrei, zingari, omosessuali … 

la cella "liscia"

la cella "liscia"

Questa tendenza, auspicata da tanti e denunciata da pochi, vive dagli anni di Reagan, in pratica da un ventennio, e ha invaso tutto l’Occidente. Essa richiede una riflessione che non si limiti a dire che è in atto una svolta repressiva contro i poveri; richiede una riflessione in grado di capire che questa è la conclusione di una lunga storia. Quanto avviene in questi due decenni è l’epilogo grave, l’ultima evoluzione d’una civiltà fondata sul dominio ed è perciò che bisogna cominciare a parlare di abolizionismo: di movimento per l’abolizione di tutto il sistema penale, dal diritto penale alle prigioni; e non nella società del domani in testa a qualcuno, ma in questa. 
    
Almeno in Italia, l’attuale svolta non cominciò considerando ogni emarginato un potenziale colpevole, ma colpendo con meccanismi inquisitoriali. Tizio e Caio vennero puniti più di altri se volevano pensare con la loro testa. Già qui non importava più quel che si era fatto; fu l’epoca dei pentiti e delle dissociazioni, ovvero delle delazioni e abiure a pagamento, in nome dell’emergenza antiterrorista. E’ da quella fase tipo gulag che si è poi arrivati all’inizio di questa nuova, tipo lager. Naturalmente i due principi continuano a coesistere; se il primo storicamente prepara il secondo, il secondo comprende il primo. E se ci si pensa, non è la prima volta che questo processo si verifica nella storia della nostra civiltà. Solo che questa volta, tale processo, unito ad altri fattori degenerativi, rischia di travolgere tutto e tutti con beate incoscienze e diffuse partecipazioni. 
Il rito del capro espiatorio è stato e resta a fondamento della nostra cultura, la base su cui si è costruito ogni potere prima, quindi ogni dominio e infine ogni sistema di sfruttamento. E’ la costante, il fattore K. E’ utile rileggersi cosa fu il massacro degli eretici fino alla definitiva sconfitta dei catari nel Duecento, e poi vedere non già esaurirsi, ma rilanciarsi l’Inquisizione che lì era nata, per darsi al massacro nella cosiddetta “caccia alle streghe” durante i secoli successivi. Vi si scopre che tante novità non sono tali, appunto. Anche allora ci fu un passaggio dal modello tipo gulag verso gli eretici e i mondi sociali che rappresentavano, a quello tipo lager contro le streghe, donne mandate al rogo non più per quello che pensavano (se non nell’immaginario degli inquisitori) ma per ciò che costituivano: l’indipendenza di un mondo fondato sulla sussistenza, fuori dalla logica invadente del mercato. Oggi, nel regno liberista, tutto questo avviene però in un giorno, invece che in qualche secolo. Ecco che chi fa l’abiura delle lotte per la liberazione sociale – riducendola a vicende da KGB e di subordinazione al regime dittatoriale dell’URSS – manda negli stessi giorni il grande messaggio della lotta alla criminalità: in pratica contro i più deboli dei deboli, quei 50 mila in carcere che sono già, comunque, il doppio di alcuni anni fa. 
Ancora una volta, dunque: ancora una volta vediamo che offrire vittime sacrificali serve ad ogni potere a “limitare” la violenza e a controllarla a suo uso e consumo. La si indirizza contro qualcuno per evitare che tutti si scannino contro tutti mossi dall’invidia, dal risentimento, dato che comunque si tratta di salvare un sistema basato sull’ingiustizia e non certo sull’amorevolezza … Questo antichissimo meccanismo permette di cooptare chiunque, anche il ribelle, perché è la via più facile per spiegarsi le cose. E’ infatti più facile vedere la pagliuzza nell’occhio altrui che la trave nel proprio; soprattutto è più comodo. E non è forse vero che anche i rivoluzionari hanno spesso mantenuto questo vizio, “tradendo” così ogni volta ogni rivoluzione? In un breve scritto poco conosciuto, Gramsci si entusiasmò per la nuova profonda autenticità della rivoluzione bolscevica perché il primo atto che la contraddistinse fu la liberazione dei prigionieri a Riga. La rivoluzione francese ha ancora oggi come simbolo la presa della Bastiglia. Ma poi arrivano quelli della rivoluzione diventata potere … e sappiamo che Stalin fece fuori per primi proprio i bolscevichi suoi compagni, e poi instaurò un immenso sistema penale che giunse a incarcerare anche i dodicenni (sì, come Blair). E nella rivoluzione francese quando, pochi anni dopo, furono assalite delle carceri, fu per massacrare i prigionieri! 
Il principio della pena è l’unico valore, il centro della morale di questa società. Essa non ha altro, e praticamente tutti partecipano al suo sistema, da cui discendono modelli educativi, teorie psicologiche, concezioni filosofiche, ecc. Quella della pena è la lingua in cui parliamo tutti, e fin da piccoli. I benpensanti vogliono in galera i poveracci, gli altri i ricchi o i “fascisti”, ma tutti accettano quel centro, i ruoli previsti dalla tragica sceneggiatura, il cui perno è la vittima sacrificale, demone per l’ uno o eroe per l’altro. La pena non è mai servita a reprimere realmente i colpevoli; ogni storico serio lo riconoscerà. Serve a gratificare, a cementare il senso d’appartenenza di quelli che la vogliono applicata ad altri. La pena è dunque “inefficiente” per definizione, per la sua stessa natura; e proprio così unisce tutti, amici e nemici. 
    
Ma ora che, nella vita sempre più atomizzata del mondo attuale, tutte le sue istituzioni implodono, è come se – per reazione – si tornasse sempre più alle origini con l’esplosione del sistema penale. E’ come se, dopo aver distrutto via via tutto, non restasse più altro, come valore morale, che questo atto fondatore di una comunità linciante. Perciò oggi la violenza insita nel rito della vittima sacrificale non incontra più i confini, i “limiti” stabiliti nel sacro da cui è nata e vediamo anzi la logica del sistema penale diventare sempre più invadente: dominando la politica interna (questione sociale = questione criminale), quella internazionale (dalla crisi della diplomazia verso l’esaltazione di un tribunale penale internazionale permanente), fino ad aver pericolosamente rovesciato recentemente lo stesso senso “tradizionale” della guerra. Le guerre non sono mai state definite come delle sentenze. La guerra convenzionale è una sanzione violenta che pretende di raggiungere l’ordine che si è dato, come è in fondo altro tipo di lotta violenta e non, dallo sciopero al boicottaggio. Solo l’incarcerazione e la pena di morte hanno generalmente lo scopo di punire la disobbedienza a un ordine e non di raggiungere l’obbiettivo per cui esso è stato dato. Ma la guerra Nato condotta nei Balcani è stata frutto di un ragionamento penale invece che guerresco vero e proprio. 
 In questo nuovo contesto, parlare di abolizionismo significa anzitutto guardar se stessi prima di mettere in croce un altro (o volere che ci resti come martire e faro di ribellione … futura): perché si vada alla radice della pena come centro della morale comune, onde definire una nuova strategia dei conflitti non più fondata su una loro prevalente riduzione a reati. 
 Tutto ciò apre il campo a molte riflessioni che non si possono affrontare qui per ragioni, se non altro, di spazio. Ma una cosa mi è chiara: non tutti gli abolizionisti saranno necessariamente dei rivoluzionari; ma, di sicuro, chi non è abolizionista, rivoluzionario da oggi in poi non potrà più esserlo.

Vincenzo Guagliardo

Carcere di Opera, ottobre 1999

Un anno dall’assassinio di Aldo Bianzino!

14 ottobre 2008 Lascia un commento

 

E si, lo hanno detto in tanti, la memoria e’ un ingranaggio collettivo.
Che va lubrificato, animato, fatto girare.

 

Foto di Valentina Perniciaro _Carcere di Rebibbia_

Foto di Valentina Perniciaro _Carcere di Rebibbia_

Aldo Bianzino è stato arrestato il 12 ottobre 2008 e condotto nel carcere Capanne di Perugia
La mattina del 14 è stato trovato morto nella cella in cui era stato rinchiuso.
E’ passato un anno dalla morte “misteriosa” di Aldo.
Un anno di solidarietà concreta, di appelli, presidi, volantinaggi, iniziative di informazione, dibattiti , concerti di sostegno, a Perugia e nel resto d’Italia.
Ma anche un anno di inchieste, insabbiamenti, reticenze, richieste di archiviazione.
C’e’ chi vuole dimenticare e chi si ostina a reclamare la verità.
Per questo riprendiamo un percoso di mobilitazione, consapevoli che ora più che mai è necessario fare sentire la nostra voce, perchè la morte di Aldo non passi sotto silenzio:  

 

Martedi 14 ottobre 2008 ore 11, presso la sala della Vaccara a Perugia: Conferenza Stampa dei familiari di Bianzino e del Comitato “Verità per Aldo”.

Venerdi 17 ottobre ore 10, via XIV settembre (Palazzina ex enel): presidio e volantinaggio presso il tribunale dove si trova l’aula del gup, in cui si svolgerà la prima udienza di opposizione all’archiviazione.

Sabato 18 ottobre presso il Centro Sociale ExMattatoio: concerto benefit ore 22

Perchè di carcere non si può morire!
Perchè in carcere per qualche pianta d’erba non si deve finire!

Comitato verità per Aldo http://veritaperaldo.noblogs.org

ODIO IL CARCERE!

Aboliamo l’ergastolo!

9 settembre 2008 11 commenti

Quando un Tribunale condanna un recluso ad una pena temporale, anche elevata, gli riconosce comunque il diritto alla libertà. Se invece condanna una persona all’ergastolo gli toglie questo diritto e, per il malcapitato, la libertà diventa una concessione.

Dopo 6 anni l’ergastolo mi è stato tolto e tramutato in trent’anni di carcere.
Mi sono raddrizzato. Da curvo che ero, con quel macigno sul collo.

Il suo compagno di cella insisteva.
-L’ergastolo di fatto non esiste più, al massimo dopo vent’anni si esce.
Quella sera stizzito rispose:
-Ma tu…ti sei mai addormentato con l’ergastolo?

 336 ergastoli, tanti ne sono stati erogati tra il 1969 e il 1989 in processi contro le Brigate Rosse ed altre organizzazioni di sinistra per fatti di lotta armata. 
L’art. 1 della legge antiterrorismo, varata tra il dicembre del 1979 ed il febbraio 1980, introducendo un’aggravante particolare per i reati commessi con finalità eversiva, rendeva certo ed automatico l’ergastolo per tutti quei delitti che lo prevedevano. L’impennata nelle condanne all’ergastolo si ha proprio negli anni successivi all’entrata in vigore di quella legge approvata dal parlamento in un periodo di acutizzazione dello scontro. Basti ricordare che nella primavera del 1978 avvennero il sequestro e l’omicidio dell’onorevole Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse. 
Con le leggi emergenziali per la lotta al terrorismo il Parlamento ha legittimato, per la prima volta in Italia, un uso massivo ed abnorme dell’ergastolo. Delle centinaia di ergastoli una parte sono stati sicuramente erogati per responsabilità materiale diretta al reato, molti però, per semplice concorso morale o per la partecipazione solo marginale alle attività preparatorie di un delitto. 

Terrorista: persona senza inflessioni dialettali. Sradicata da qualunque contesto sociale. Alieno. Manovrato da forze occulte, o paesi stranieri. Infatuato da ideologie deliranti. Senza alcun seguito di massa. Assalta la democrazia. Semina il terrore nella comunità.
Questo, a grandi linee, potrebbe essere lo stereotipo del terrorista che è stato impropriamente applicato alle persone e al fenomeno della lotta armata degli anni ’70.
Terrorista può tradursi anche in ergastolano. Terrorista – ergastolano. Due termini che legano bene. L’ergastolo sembra infatti la sanzione più ovvia e naturale per un terrorista, perché non fa che espellere a vita dal consorzio umano un corpo che gli è stato giudicato estraneo.

-TRATTO DA “ERGASTOLO” di Nicola Valentino- 

 

PER L’ABOLIZIONE DELL’ERGASTOLO.
FUORI I DETENUTI POLITICI, AMNISTIAMO GLI ANNI ’70
CONTRO IL CARCERE, GIORNO DOPO GIORNO 

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