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Quando Israele volò fino a Londra per sparare ad un vignettista…
E’ il quotidiano israeliano Haaretz a comunicarci che domani in piazza, a Parigi, alla mastodontica manifestazione “per la libertà di espressione e la democrazia” sarà presente anche Benyamin Netanyahu.
Sotto il drappo nero e la scritta “Je suis Charlie” abbiamo visto scorrere, in queste giornate, tra le più terrificanti immagini di questi tempi e sicuramente domani, sull’asfalto parigino, assisteremo alla sagra della mostruosità.
Charlie Hebdo era irriverenza e blasfemia, lotta con qualunque arma all’oscurantismo: i caduti di quel giorno son gente nostra, son compagni, sono anarchici, sono blasfemi cazzari che hanno sempre odiato quel che questa gente è. Una rivista nata sull’antimilitarismo, sull’abbattimento del bigottismo e dell’oscurantismo, sulla presa per il culo di qualunque tipo di religione (che ci piaccia o no): chi riempirà le strade domani sarà proprio il nemico di quelle matite spezzate.
E’ morto un assassino: Mike Harari
E’ morto uno dei peggiori assassini della storia di Israele e d’Europa.

Il corpo di Wael Zwaiter, Roma
E’ morto un killer di intellettuali, poeti ed artisti.
E’ morto, purtroppo di vecchiaia, uno dei più grandi assassini, teorizzatore dell’assassinio mirato della classe intellettuale palestinese.
Mike Harari, passaporto israeliano, era alla guida dell’operazione “Ira di Dio”, nata per vendicare l’attacco palestinese durante le olimpiadi di Monaco nel 1972, dove l’intersa squadra di atleti israeliana rimase uccisa durante il maldestro tentativo della polizia tedesca di liberare gli ostaggi.
Da quel momento iniziò l’operazione “Ira di Dio” (מבצע זעם האל, Mivtza Za’am Ha’el) che ebbe inizio proprio a Roma,
con l’assassinio a freddo del poeta Wael Zwaiter, in Piazza Annibaliano, nel palazzo dove viveva e lavorava come traduttore, con 12 colpi di pistola.
L’operazione Ira di Dio, controfirmata direttamente da Golda Meir, aveva scritti tra i 25 e i 35 nomi e non terminò praticamente mai, per due decenni, colpendo in ogni stato europeo e non come se niente fosse e sbagliando anche l’obiettivo, come nel caso di Ahmed Bouchiki, cameriere marocchino ucciso in Norvegia, scambiato dal commando del Mossad per Ali Hassan Salameh, capo di Forza 17. L’obiettico non era il commando che fece e organizzò l’attacco alle Olimpiadi di Monaco, tutt’altro: l’obiettivo era il terrore, il far sentire i palestinesi vulnerabili in ogni luogo, uccidere i loro intellettuali.
Una storia mai completamente raccontata, che ha portato ad un impressionante numero di giustiziati… il solito 1 a 10 minimo che piace tanto allo stato ebraico d’Israele.
Tutto questo per dirvi, che malgrado i nuvoloni e quest’improvviso freddo autunnale,
oggi c’è un buon motivo per sorridere e per brindare stasera:
la morte di un assassino spietato, pluridecorat0, che anche Repubblica oggi tratta come un eroe.
i quasi 40.000 cadaveri abbandonati, a pochi km dalla Palestina
Foto di Mechal Al-adawi…la quotidianità smarrita di Bosra
Un video agghiacciante ha fatto da buongiorno.
Un video dove c’è solo un accumularsi di corpi di bimbi, un accatastarsi di urla di madri private del più grande amore,
strappato via nel sangue e nell’incomprensibilità di un conflitto che ormai è trasceso nella mattanza,
semplice, chiara, palese,
mattanza.
I bimbi di questo video si chiamavano, e per le loro madri continueranno a chiamarsi, Shahd, Muhammed, Adnan Fateba, Zainab, Iman, Ounoud e Mamdouh.
Un paese che era gelsomino e pane caldo, ora è un mattatoio, una tonnara,
un qualcosa di indescrivibile.
Ed ora non voglio parlare di quest’abominio,
non voglio dirvi quel che penso dei missili, dei coltelli che sgozzano, dell’areonautica che lavora bombardando senza sosta dell’esercito di Assad,
non voglio dirvi quel che penso delle truppe mercenarie che si son appropriate di una rivolta reale che finalmente muoveva mani piedi e voci contro anni di silenzio forzato, di tortura e carcere.
Ora come ora parlare di Siria vuol dire vomitare un odio e un disprezzo infinito per buona parte delle forze in campo: anche se consapevole di quanta mia Siria è lì a resistere alle truppe di Assad come ai proclami islamici dei ribelli arrivati da chissà dove,
consapevole di quanto popolo siriano ci sia e ci sia stato nelle strade che urlavano IRHAL, via via da qui, al regime del partito Baath.
Insomma nessun articolo di racconti di guerra, nessun articolo di sterile geopolitica incapace di parlare del dramma umano.
Quel che voglio chiedermi in queste righe è PERCHE’,
perché a meno di 400 km dalla Palestina si accumulano nei furgoncini corpi di bimbi come fossero sacchi di farina,
perché le urla di quelle mamme non arrivano alle vostre orecchie,
non vengono pubblicate sulle vostre bacheche facebook che fino a pochi giorni fa erano invase solo da Gaza.
Giuro, non riesco a capirlo,
Sarà che ho giocato con i bimbi di Palestina nelle stradine dei loro campi profughi,
ma che per anni ho diviso giochi e pasti con le famiglie siriane,
nella loro terra fertile e profumata,
ho amato le loro case, i loro vassoi sempre pieni, la loro dolce solidarietà costante ai fratelli palestinesi.
Sarà che per me la Siria rimane casa, ma non riesco a capire questo silenzio,
non riesco a capire come fino a ieri urlavate e vi strappavate i capelli cercando di bloccare la bastarda guerra sionista su Gaza,
e davanti a questo invece,
semplicemente,
vi girate dall’altra parte.
Non riesco a capire, ma credo sia meglio così.
e vi lascio le dolci e dolorose righe di quel che era il mio fratello siriano, e che ora è diventato il mio poeta esule fratello siriano.
Rimango a distanza,
osservando la mia tristezza,
abbracciato alla nebbia
di questa triste mattina,
di quest’esilio forzato,
guardando lacrime di dolore
lavare il volto del mattino
…..
Ogni giorno mi alzo prima del sole
lo guardo
oggi ci porterai della speranza?
Ma il sole rimane nel suo letto,
sbadiglia,
forse si vergogna di sorgere,
se il sole
non sorgerà nella terra che ho dentro di me
sorgerà mai sulla mia terra, laggiù?
………
In esilio il dolore è più pesante,
la tristezza più profonda
l’esilio è un surgelatore,
portiamo con forza
tutta la nostra memoria
vicina e lontana,
alla ricerca di un po’ di calore
ma è tutto futile quel che cerchiamo
…….
Cerchiamo tra le macerie,
rimasugli di una terra natale,
per la speranza, comunque misera,
di attendere un nulla,
che ci dia speranza,
che ci lasci vivere
almeno per una notte,
ma è tutto futile quel che cerchiamo
………..
Rimango a distanza,
assediato dal mio dolore
stringendo forte al petto il mio dolore
è un dolore che annega in ogni direzione,
cerco la mia terra,
ma brucia come una candela,
evapora come acqua
la mia terra è cambiata,
un cimitero di fratelli seppelliti sui fratelli.
………
Nonostante tutti i miei vestiti invernali
mi sembra di camminare nudo
per le strade di Roma,
mi vergogno
della compassione negli sguardi della gente,
un povero vagabondo senza patria,
E così anche l’abbraccio di mia figlia Benedetta,
di mia sorella Valentina,
la calda accoglienza degli amici
Leonardo e Riccardo,
La vispa Claudia,
così come la gentilezza di Giulia e Margherita,
tutti loro mi han donato del calore,
ma è stato come un anestetico locale,
perché il mio gelo è così profondo
e i duri colpi del freddo hanno attraversato il mio corpo
tutti i vestiti del mondo
non daranno calore alla mia anima lacerata.
……..
Le lacrime di dolore
non mi scaldano nel freddo dell’esilio,
non splende sole sulla mia terra,
non brilla la patria che ho dentro di me.
Alla terra più amata
Ode a dolore, alla nostalgia, a Bosra
Un urlo da Bosra: la storia di Abdul Hadi
A Tamer
Sobborghi e campi palestinesi
Le bombe in casa NOSTRA
Normalizzare l’anormale: l’eccezionalità di Israele
Ringrazio le compagne del Freepalestine.noblogs.org per aver pubblicato e avermi segnalato questo articolo, estremamente interessante
Versione in inglese da sito web del PACBI [Palestinian Campaign for the Academic&Cultural Boycott of Israel]. Traduzione a cura di Renato Tretola.
Nella lotta palestinese ed araba contro la colonizzazione, l’occupazione e l’apartheid, la “normalizzazione” di Israele è un concetto che ha generato diverse controversie, poiché spesso viene frainteso, oppure perché ci sono disaccordi su quelli che sono i suoi criteri; e questo nonostante il quasi unanime consenso tra i Palestinesi e tra i popoli del mondo arabo sul rifiuto a trattare Israele come Stato “normale” con cui si possano intrattenere relazioni regolari. In questa sede tratteremo la definizione di normalizzazione che la grande maggioranza della società civile palestinese, quella rappresentata dal movimento Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS), ha adottato a partire da novembre 2007, e analizzeremo le sfumature che tale definizione assume in diversi contesti.
Può essere utile pensare alla normalizzazione come ad una “colonizzazione della mente”, in base alla quale il soggetto oppresso finisce per credere che la realtà dell’oppressore sia la sola realtà “normale” alla quale si debba aderire e che l’oppressione sia un dato di vita con cui bisogna aver a che fare. Chi partecipa alla normalizzazione ignora questa oppressione oppure la accetta come lo status quo con cui bisogna convivere. In uno dei suoi tentativi di autoassolversi per le proprie violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani, Israele prova a crearsi un nuovo marchio, o presentarsi come normale – anzi “illuminato” – attraverso una serie di relazioni e di attività che spaziano dal campo culturale e quello legale, dall’hi-tech alla cultura LGBT e ad altri.
Un principio-chiave che il termine “normalizzazione” sottende è che esso è interamente basato su considerazioni di carattere politico, più che razziale, ed è quindi in perfetta sintonia con il rifiuto da parte del movimento BDS di tutte le forme di razzismo e di discriminazione razziale. Opporsi alla normalizzazione è un mezzo per resistere all’oppressione, ai suoi meccanismi e alle sue strutture. In quanto tale, opporsi è dunque attività assolutamente slegata, o incondizionata, dall’identità dell’oppressore.
Dividiamo la normalizzazione in tre categorie che corrispondono alle differenze inerenti ai vari contesti dell’oppressione coloniale e all’apartheid di Israele. È importante considerare queste definizioni minime come base per azioni operative e di solidarietà.
1) La normalizzazione nel contesto dei Territori Occupati e del mondo arabo
La Campagna palestinese per il boicottaggio accademico e culturale di Israele (PACBI) ha definito espressamente la normalizzazione in un contesto palestinese ed arabo “come la partecipazione ad un qualsiasi progetto, iniziativa o attività, in Palestina o a livello internazionale, che miri (implicitamente o esplicitamente) a riconciliare i Palestinesi (e/o gli Arabi) con gli Israeliani (tanto la popolazione che le istituzioni) senza porsi come meta la resistenza alla, e lo scontro con la, occupazione israeliana e con tutte le forme di discriminazione e di oppressione contro il popolo palestinese”. Questa è la definizione approvata dal comitato nazionale del BDS (BNC).
Per i Palestinesi della Cisgiordania occupata (compresa Gerusalemme Est) e di Gaza, qualunque progetto intrapreso con gli Israeliani che non sia posto all’interno di un contesto di resistenza, serve a normalizzare le relazioni. Definiamo questo “contesto di resistenza” come basato sul riconoscimento dei diritti fondamentali del popolo palestinese e sull’impegno a resistere, in diversi modi, a tutte le forme di oppressione contro i Palestinesi, compresa la (ma non limitata alla) fine dell’occupazione, il riconoscimento di pieni ed eguali diritti per i cittadini palestinesi di Israele, il sostegno e la promozione del diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi; questa può in modo appropriato essere definita una posizione di “co-resistenza”. Fare altrimenti significa consentire che relazioni quotidiane e ordinarie esistano accanto ai continui crimini commessi da Israele contro il popolo palestinese, e indipendentemente da essi. Questo a sua volta alimenta la compiacenza e fornisce una falsa e deleteria impressione di normalità in una situazione palesemente anormale di oppressione coloniale.
I progetti, le iniziative e le attività che non abbiano inizio da una base di principi condivisi di resistenza all’oppressione israeliana, puntualmente consentono un approccio a Israele come se le sue violazioni possano essere messe da parte e rinviate e come se la coesistenza (opposta alla “co-resistenza”) possa precedere o condurre alla fine dell’oppressione. In questo processo i Palestinesi, a prescindere dalle intenzioni, finiscono col servire da foglia di fico per gli Israeliani, che possono trarre beneficio da un ambiente in cui tutto continui come se niente fosse, forse persino consentendo agli Israeliani in questo modo di sentirsi con la coscienza pulita per aver coinvolto i Palestinesi che di solito li si accusa di opprimere e discriminare.
I popoli del mondo arabo, con le loro diverse identità e i loro diversi background nazionali, religiosi e culturali, il cui futuro è più tangibilmente legato al futuro dei Palestinesi rispetto a quanto non lo sia generalmente il resto della comunità internazionale, non ultimo a causa delle continuate minacce politiche, economiche e militari da parte di Israele ai loro Paesi, nonché a causa della vicinanza ancora predominante e forte con i Palestinesi, si trovano di fronte a questioni simili in merito alla normalizzazione. Fintantoché l’oppressione israeliana continua, qualunque approccio con gli Israeliani (singoli o istituzioni che siano) che non avviene all’interno del contesto di resistenza sopra definito serve a ribadire la normalità dell’occupazione israeliana, del suo colonialismo e del suo apartheid nelle vite della gente nel mondo arabo. È quindi indispensabile per tutti nel mondo arabo evitare ogni relazione con gli Israeliani che non sia fondata sulla “co-resistenza”. Non si tratta di un appello ad evitare di comprendere gli Israeliani, la loro società e il loro sistema politico. È piuttosto un appello a condizionare qualsiasi conoscenza e qualsiasi contatto di questo tipo secondo i principi della resistenza, fino a quando arriverà il tempo in cui i diritti dei Palestinesi e degli Arabi saranno pienamente soddisfatti.
Gli attivisti BDS possono sempre andare oltre i nostri requisiti minimi se dovessero identificare delle sottocategorie all’interno di quelle che abbiamo identificato. In Libano o in Egitto, ad esempio, gli attivisti della campagna di boicottaggio possono andare oltre la definizione di normalizzazione data dal PACBI/BNC, considerata la loro posizione nel mondo arabo, mentre quelli che si trovano in Giordania, per dire, possono formulare riflessioni differenti.
2) La normalizzazione nel contesto dei cittadini palestinesi di Israele
I cittadini palestinesi di Israele – quei Palestinesi che sono rimasti tenacemente sulla propria terra dopo la fondazione dello Stato di Israele nel 1948 a dispetto dei ripetuti sforzi di espellerli e di sottoporli alla legge militare, alla discriminazione istituzionalizzata e all’apartheid – si misurano con tutt’altra serie di considerazioni. Essi si trovano ad affrontare due forme di normalizzazione. La prima, che possiamo chiamare relazione coercitiva quotidiana, è quella serie di relazioni che un popolo colonizzato, e coloro che vivono sotto apartheid, sono costretti a intrattenere per sopravvivere, condurre la vita quotidiana e guadagnarsi da vivere all’interno delle strutture oppressive costituite. Per i cittadini palestinesi in Israele, in quanto contribuenti, tali relazioni coercitive quotidiane vanno dall’impiego quotidiano in luoghi di lavoro israeliani all’uso dei servizi pubblici e delle istituzioni, come scuole, università ed ospedali. Tali relazioni coercitive non sono esclusive di Israele ed erano già presenti in altri contesti coloniali e di apartheid quali, rispettivamente, l’India e il Sudafrica. Ai cittadini palestinesi di Israele non si può ragionevolmente chiedere di recidere questi rapporti, o quanto meno non ancora.
La seconda forma di normalizzazione è quella nella quale i cittadini palestinesi di Israele non sono invece costretti a relazionarsi con Israele per necessità di sopravvivenza. Tale normalizzazione può comprendere la partecipazione a forum internazionali come rappresentanti di Israele (come nel concorso canoro Eurovision) o a eventi israeliani destinati a un pubblico internazionale. La chiave per comprendere tale forma di normalizzazione è considerare che quando i Palestinesi intraprendono tali attività senza inserirle all’interno dello stesso “contesto di resistenza” sopra descritto, contribuiscono, anche se involontariamente, a costruire un’ingannevole apparenza di tolleranza, democrazia e vita normale in Israele per un pubblico internazionale che potrebbe non conoscere meglio la questione. Gli Israeliani e le loro istituzioni possono a loro volta usare tutto ciò contro i promotori del BDS internazionale e contro coloro che lottano contro le ingiustizie israeliane, accusandoli di essere “più santi” dei Palestinesi. Negli esempi appena forniti, i Palestinesi promuovono relazioni con le istituzioni ufficiali israeliane al di là di ciò che costituisce il mero bisogno di sopravvivenza. L’assenza di vigilanza in questo campo ha l’effetto di trasmettere all’opinione pubblica palestinese l’idea che può convivere e accettare l’apartheid, che anzi dovrebbe relazionarsi con gli Israeliani sul loro stesso terreno e rinunciare a qualunque atto di resistenza. Quest’ultimo è un tipo di normalizzazione con la quale molti cittadini palestinesi di Israele, insieme alla PACBI, si trovano sempre più spesso ad identificare e combattere.
3) La normalizzazione nel contesto internazionale
In campo internazionale la normalizzazione non funziona poi troppo diversamente e segue la stessa logica. Mentre il movimento BDS prende di mira le istituzioni israeliane complici, nel caso della normalizzazione ci sono altre sfumature da tenere in considerazione.
Generalmente ai sostenitori internazionali del BDS si chiede di astenersi dal partecipare a eventi che a livello morale o a livello politico mettano sullo stesso piano l’oppressore e l’oppresso, e che presentino il rapporto tra Palestinesi e Israeliani come simmetrico. Una tale eventualità è da boicottare poiché normalizza la dominazione coloniale di Israele sui Palestinesi, ignorando le strutture di potere e le relazioni insite nell’oppressione.
Dialogo
In tutti questi contesti, “dialogo” e partecipazione sono spesso presentati come alternativi al boicottaggio. Il dialogo, se avviene al di fuori di quel “contesto di resistenza” che abbiamo delineato, diventa un dialogo fine a se stesso, vale a dire una forma di normalizzazione che intralcia la lotta per porre fine all’ingiustizia. I processi di dialogo, “risanamento”, “riconciliazione” che non siano finalizzati a mettere fine all’oppressione, a prescindere dalle intenzioni che ci sono dietro, servono solo a privilegiare la co-esistenza nell’oppressione ai danni della co-resistenza, in quanto presuppongono la possibilità di una coesistenza prima che si abbia giustizia. L’esempio del Sudafrica chiarisce alla perfezione questo punto; lì la riconciliazione, il dialogo ed anche l’indulgenza sono venuti dopo la fine dell’apartheid, non prima, nonostante i legittimi interrogativi sulle condizioni tuttora esistenti di ciò che qualcuno ha chiamato “apartheid economico”.
Due esempi di tentativi di normalizzazione: OneVoice e IPCRI
Mentre molti, se non proprio la maggioranza, dei progetti di normalizzazione sono sponsorizzati e finanziati da organizzazioni internazionali e da governi, molti di questi sono realizzati da partner palestinesi e israeliani, spesso con generosi finanziamenti internazionali. La cornice politica, spesso israelo-centrica, della “partnership”, è uno degli aspetti più problematici di questi progetti e istituzioni congiunti. L’analisi della PACBI su OneVoice, un’organizzazione congiunta israelo-palestinese rivolta ai giovani con sedi in Nord America e propaggini in Europa, ha rivelato che OneVoice è un altro di quei progetti che riuniscono Palestinesi ed Israeliani non per lottare insieme contro le politiche coloniali e di apartheid di Israele, ma per fornire piuttosto un limitato programma di azione sotto lo slogan della fine dell’occupazione e la fondazione di uno Stato palestinese, mentre contemporaneamente si rinsalda l’apartheid israeliano e si ignorano i diritti dei profughi palestinesi, che costituiscono la maggioranza del popolo palestinese. La PACBI ha concluso che, in sostanza, OneVoice e altri programmi simili servono solo a normalizzare l’oppressione e l’ingiustizia. Il fatto che OneVoice consideri i “nazionalismi” e i “patriottismi” delle due “parti” come se fossero alla pari ed ugualmente fondati ne è un indicatore significativo. Vale la pena far notare come praticamente l’intero spettro delle organizzazioni e associazioni giovanili e studentesche palestinesi all’interno dei Territori occupati abbia inequivocabilmente condannato i progetti di normalizzazione come OneVoice [in arabo].
Un’organizzazione simile, anche se con un diverso target di riferimento, è l’Israel/Palestine (IPCRI) (Centro di ricerca e informazione Israelo/Palestinese), che si definisce “l’unico gruppo israelo-palestinese al mondo di esperti di politiche pubbliche dedicato alla soluzione del conflitto israelo-palestinese sulla base del principio ‘due stati per due popoli’”. L’IPCRI “riconosce i diritti del popolo ebraico e del popolo palestinese a soddisfare i propri interessi nazionali in un contesto di soddisfacimento del diritto all’autodeterminazione nazionale all’interno dei rispettivi Stati ed instaurando relazioni pacifiche tra i due Stati democratici che vivranno fianco a fianco.” In questo modo si sostiene uno stato di apartheid in Israele che priva dei diritti civili i cittadini palestinesi e ignora il diritto al ritorno, sancito dall’Onu, dei profughi palestinesi.
Esattamente come OneVoice, l’IPCRI adotta l’onnipresente “paradigma del conflitto” mentre ignora la dominazione e l’oppressione che caratterizza le relazioni dello Stato di Israele con il popolo palestinese. L’IPCRI opportunisticamente non si interessa ad un’analisi delle radici di questo “conflitto”, su che cosa verte, e su quale “parte” ne stia pagando il prezzo. Proprio come OneVoice, l’IPCRI glissa sul dato storico e sulla instaurazione di un regime coloniale in Palestina seguito all’espulsione della maggioranza della popolazione indigena di quel territorio. Il momento maggiormente significativo della storia del “conflitto” non viene dunque riconosciuto. La storia della costante espansione coloniale, dello spossessamento e del trasferimento forzato dei Palestinesi viene anch’essa opportunamente ignorata. Con le proprie omissioni, l’IPCRI nega il contesto di resistenza che abbiamo precedentemente delineato e conduce Palestinesi e Israeliani in un tipo di relazione che privilegia la co-esistenza sulla co-resistenza. Ai Palestinesi si chiede di adottare il punto di vista israeliano su di una soluzione pacifica e non un punto di vista che riconosca i loro pieni diritti, come definiti dall’Onu.
Un ulteriore aspetto preoccupante, ma anch’esso totalmente prevedibile, del lavoro dell’IPCRI è il coinvolgimento attivo nei suoi progetti di personale e personaggi israeliani implicati nelle violazioni dei diritti del popolo palestinese e in gravi infrazioni del diritto internazionale. Lo Strategic Thinking and Analysis Team (STAT – Team di pensiero e analisi strategiche) dell’IPCRI comprende, oltre a funzionari palestinesi, ex diplomatici israeliani, ex generali di brigata dell’esercito israeliano, personale del Mossad e quadri del Consiglio nazionale di sicurezza israeliano, molti dei quali legittimamente sospettati di aver commesso crimini di guerra.[link]
Non sorprende dunque che il desiderio di porre fine al “conflitto” e realizzare “una pace duratura”, entrambi slogan di questi ed altri sforzi simili di normalizzazione, non hanno nulla a che fare con la giustizia per i Palestinesi. Infatti il termine “giustizia” non trova posto nell’agenda della maggior parte di queste organizzazioni, né si trova alcun chiaro riferimento al diritto internazionale come arbitro ultimo, lasciando i Palestinesi alla mercé del ben più potente Stato di Israele.
La descrizione, da parte di uno scrittore israeliano, del cosiddetto Centro per la pace “Peres”, una delle maggiori organizzazioni coloniali e di normalizzazione, può anch’essa ben rappresentare il programma di fondo dell’IPCRI e di quasi tutte le organizzazioni che lavorano per la normalizzazione:
«Nell’attività del Centro per la pace “Peres” non si vede alcuno sforzo evidente di cambiare lo status quo politico e socio-economico nei territori occupati, ma anzi l’esatto contrario: sforzi vengono compiuti per allenare la popolazione palestinese ad accettare la propria inferiorità e prepararsi a sopravvivere sotto le limitazioni arbitrarie imposte da Israele per garantire la superiorità etnica degli Ebrei. Sostenendo il colonialismo, il centro presenta un olivicoltore che scopre i vantaggi del marketing cooperativo, un pediatra che riceve formazione professionale negli ospedali israeliani e un importatore palestinese che apprende i segreti del trasporto delle merci attraverso i porti israeliani, famosi per la loro efficienza e, naturalmente, partite di calcio e orchestre composte di Israeliani e Palestinesi, con una falsa immagine di coesistenza.»
La normalizzazione di Israele – normalizzare l’anormale – è un processo perfido e sovversivo che lavora per occultare le ingiustizie e colonizzare le parti più intime degli oppressi: le loro menti. La collaborazione con queste organizzazioni che servono esattamente a questo scopo è, quindi, uno dei primi bersagli del boicottaggio, nonché un espediente che i sostenitori del BDS devono affrontare insieme.
PACBI
Un post rabbioso, alla terra più amata!
Non riesco a fare una vita normale con i carrarmati che cannoneggiano la terra più amata.
Non riesco, malgrado non posso evitare di provarci, a concentrarmi nè a distrarmi.
Non riesco.
Non riesco ad accettare questo silenzio: e quando parlo di silenzio, io, non parlo di Nazioni Unite, non parlo di organismi internazionali né di bombardatori per diletto e professione.
Parlo di noi, dei compagni, di quelli sangue del sangue … di quelli con cui ho sempre pensato che sarebbe stato facile condividere le gioie e le sconfitte,
condividere la rabbia e l’indignazione, condividere la conoscenza e quindi la solidarietà, l’azione collettiva, la coscienza di essere parte di un qualcosa di grande, di enorme, un qualcosa che non abbia frontiere, barriere, etnie o padroni.
E invece?
Invece io mi sento sola, da quando i carri armati del macellaio Bashar al-Assad e di quel boia di suo fratello stanno calpestando una popolazione che conosco più di tante altre, che amo più di tante altre, che rispetto nella sua complessità e che provo con molta umiltà a capire e conoscere.
E invece?
E invece son circondata dallo stesso “sangue del mio sangue” che mistifica una verità che pensavo chiara da decenni, per tutti.
C’è la continua difesa del regime; un continuo domandarsi ” ma questi chi li muove, a chi fa comodo” e bla bla bla bla.
Un po’ quello che il Partito Comunista Italiano faceva nei confronti di tutte le organizzazioni armate che si son mosse su suolo italiano.
Parlavano di Cia, di infiltrazioni, di mani lunghe e straniere che muovevano le fila del tutto.
55.000 anni di carcere alla generazione che ha vissuto gli anni ’70, eppure a sentire il PCI erano tutti infiltrati, tutti dei servizi, tutti venduti “all’ammmericani”…tanto che molti stanno ancora in galera (si sa che gli agenti CIA scontano 30, 32, 35 anni di carcere)
Qui ci sono stati decine di migliaia di arresti, non c’è famiglia siriana che non ha un caro detenuto, o ferito, o sottoterra.
Eppure noi pensiamo solo a blaterare sul “ma perché scendono in piazza? A chi fa comodo?”
Sono sconcertata.
Sconcertata da chi mi aggredisce urlandomi contro che sono una stupida imbambolata davanti a “tagliagole della fratellanza musulmana mossi dalla CIA” e come prova di questo mi parla di Hassan Nasrallah e degli Hezbollah, che l’altra settimana hanno avuto una rivolta popolare contro in un villaggio libanese perché hanno assaltato e incendiato un negozio di alcolici.
Gente che si definisce contro i preti però se parlano Hamas ed Hezbollah è oro colato, mentre migliaia di uccisi e arrestati so’ tutti “servi degli americani e del Mossad”.
Ancora?? Ma perché non apriamo un po’ gli occhi?
Smettiamola di parlare di Libia e Siria perché son due MONDI diversi, son due fronti internazionali completamenti diversi e gli interessi in gioco non si assomigliano lontanamente: smettiamola di buttare tutto in un calderone e giudicare tutte quelle persone delle stupide marionette in mano degli americani ( ma quindi, fateme capì, anche noi eravamo marionette stupide e asservite nel ’43? bha).
Smettiamola di non mettere in conto la rabbia e la frustrazione di chi vive in quel territorio, di chi c’è nato, di chi vorrebbe tutt’altro tipo di accesso alla libertà, ad ogni tipo di libertà.
meglio che non scrivo, meglio che chiudo questa pagina.
Vorrei solo sapere di avere la mia “famiglia”, la mia gente, il mio sangue, schierato A PRIORI contro i tank di un regime,
schierato a priori contro la galera, la tortura, l’assedio e i soprusi del partito Baath.
Vorrei che la si smettesse di pensare che difendere Assad vuol dire esser antimperialisti: perché è la più grande idiozia immaginabile.
Mai la Siria ha usato nemmeno un decimo della violenza di questi giorni contro Israele: è stata in grado di farlo, nella sua storia, solo contro i palestinesi in Libano e contro i siriani, a casa loro…ma a quanto pare in troppi se lo dimenticano costantemente e preferiscono credere ai sermoni di Stato, alla propaganda di un regime che sta lì da decenni, sul sangue dei palestinesi, dei comunisti, dei dissidenti…. e così via…
amo quella terra come non ho mai amato nessun luogo al mondo.
e amo il suo popolo, che tanto m’ha insegnato e che non sta smettendo di farlo
Israele e le sue scuole di “genocidio”
SCONCERTANTE! NON SI FINISCE MAI DI IMPARARE E RIMANERE SENZA PAROLE!!!
Come penetrare in un territorio arabo, i briefing con Mossad e Shin Bet..una settimana a contatto con l’apartheid, dalla parte dei carnefici. Ecco quello che produce Israele, la cosiddetta democrazia del medioriente.
Qui il programma della settimana, tranquilli: tutto cibo kosher!
Maledetti.
An Israeli Adventure of a Lifetime
The Ultimate Mission to Israel
May 16-23, 2011
“A military, humanitarian, historical, judicial, religious, and political reality check.” Experience a dynamic and intensive week exploration of Israel’s struggle for survival and security in the Middle East today:
![]() Inside Tour of the IAF Unit Who Carries Out Targeted Killings
|
![]() Visit to the Military Court
Watch Hamas Terrorist Trial |
ATVs Tour on the Syrian Border
|
![]() Israel From the Air:
Small Airplanes Flight |
![]() Visit to Erez Crossing
on the Gaza Border |
![]() Visit to Forward Position on the Lebanees Border
|
![]() Shabbat in the Western Wall
|
- Briefings by Mossad officials and commanders of the Shin Bet.
- Briefing by officers in the IDF Intelligence and Operations branches.
- Inside tour of the IAF unit who carries out targeted killings.
- Live exhibition of penetration raids in Arab territory.
- Observe a trial of Hamas terrorists in an IDF military court.
- First hand tours of the Lebanese front-line military positions and the Gaza border check-points.
- Inside tour of the controversial Security Fence and secret intelligence bases.
- Meeting Israel’s Arab agents who infiltrate the terrorist groups and provide real-time intelligence.
- Briefing by Israel’s war heros who saved the country.
- Meetings with senior Cabinet Ministers and other key policymakers.
- Small airplane tour of the Galilee, Jeep rides in the Golan heights, water activities on Lake Kinneret, a cook-out barbecue and a Shabbat enjoying the rich religious and historic wonders of Jerusalem’s Old City.
“I now understand why the Mission is called “The Ultimate Mission”. It is indeed the ultimate mission, the name is not just marketing. The Mission has exceeded ALL my expectations in every possible area. The speakers were amazing and, even though they are very busy people, they actually showed that they found it important to be with us. The sites we saw were impressive, what an excellent choice!” .
Geraldo Lima Filho, Sao Paulo, June 2010.
First Class Accommodation:
- Five-star accommodations at the Leonardo Plaza (formerly Sheraton) Jerusalem (Glatt Kosher);
- Three meals a day (all Kosher);
- Luxury bus transportation and knowledgeable tour guide;
- A dedicated Executive Communications Center at the hotel;
- Personal cell phone for each participant.
“I have visited Israel about 15 times (since 1968). I have joined Shurat Hadin on three missions. Before my first mission, I checked references. One of the references happened to be a friend who has traveled to Israel 25 times. She told me it was the best trip she ever had, and she was repeating it also. The trip promises many interesting experiences, and delivers in spades. I would recommend this to anyone, especially someone who has visited Israel before. Outstanding program, I guarantee you won’t be disappointed!”
Howard Feldman, Del Mar, CA, June 2009
Costs:
Cost of the Mission is US $2,835 per person.
- Not including air fare.
- Based on double occupancy.
- A mandatory donation of $500 – $5,000 per person is required. Donations are needed to assist in the funding of the terror victim litigation against the Palestinian terrorist organizations, their leaders and financial patrons. The donations will permit the survivors of the hundreds of killed and injured to seek justice and compensation through the court systems around the world. All donations in the US are tax-deductible.Shurat HaDin – Israel Law Center is a fully independent non-profit organization, unaffiliated with any political party or governmental body. Shurat HaDin’s budget relies entirely on the generosity of donors.
Contact Us:
US Phone: 212-591-9347
Israel Phone: 972-3-7514175
Israel Fax: 972-3-7514174
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Srebrenica-Israele: a ciascuno il suo Eichmann
A ciascuno il suo Eichmann
Uno degli assassini di Srebrenica arrestato in Israele, dove viveva dal 2006
Ormai pensava di averla fatta franca. Quindici anni dopo la strage di Srebrenica lo zelante soldato Aleksander, il boia Aleksander, pensava di potersi godere la sua nuova vita, con moglie e figli, quando il governo israeliano aveva concesso la cittadinanza israeliana. Adesso è stato arrestato, a Gerusalemme, in attesa di estradizione verso la Bosnia – Erzegovina. Ha sbagliato i suoi calcoli, però. Perché il governo di Sarajevo, come il vecchio Simon Wiesenthal faceva con i nazisti, non ha mai smesso di dare la caccia ai criminali di guerra. Aleksander Cvetkovic é uno di loro. Tra gli esecutori materiali del massacro più grande della storia recente d’Europa. Miliziano delle formazioni serbo-bosniache durante la guerra in Bosnia, nel 1995 era tra coloro che massacrarono in poco più di ventiquattro ore almeno ottomila civili musulmani dell’enclave di Srebrenica e dintorni. Alla fine della guerra, nel 1995, ha fatto perdere le sue tracce, come tanti altri. Molti, in questi anni, sono stati catturati.
Lo stesso Radovan Karadzic, leader politico dei serbi di Bosnia, langue nel carcere dell’Aja in attesa che il Tribunale Internazionale per la ex Jugoslavia emetta la sua sentenza. Manca all’appello ancora il generale Ratko Mladic, comandante militare dei serbo-bosniaci, ma si spera che arriverà presto il suo turno. Cvetkovic, oggi, ha 43 anni. Ha sposato una donna ebrea e, in base alla Legge sul Ritorno israeliana, che permette a ogni ebreo del mondo di chiedere e ottenere la cittadinanza d’Israele se si trasferisce a vivere nel Paese, ha ottenuto anche lui la regolarizzazione. Il mandato di cattura della magistratura bosniaca è stato recepito da quella israeliana e sarà una corte distrettuale di Gerusalemme a stabilire, nei prossimi giorni, se il fermo di polizia possa tramutarsi in estradizione.
Un problema non da poco, per Israele. In quanto cittadino israeliano, infatti, le accuse di Cvetkovic potrebbero non rientrare nella fattispecie dei crimini riconosciuti da Israele per l’estradizione. Tel Aviv, infatti, non ha mai ratificato i tribunali internazionali. Temendo di vedere, un giorno, i suoi militari o i suoi politici inquisiti per gli stessi crimini. Uno strano senso del diritto, questo. Nel 1960, a Buenos Aires, un commando del Mossad (servizio segreto israeliano) sequestrò Adolf Eichmann, gerarca nazista e ufficiale delle SS, con un ruolo di primo piano nello sterminio degli ebrei durante la Seconda Guerra mondiale, che si era rifugiato nell’America Latina dopo la guerra. Eichmann, senza che il governo argentino venisse coinvolto, venne trascinato in Israele, giudicato e condannato a morte. Lo spirito di quell’iniziativa era lampante. Non deve esistere nessun posto sicuro, al mondo, per chi si è macchiato di un crimine orrendo come quello della Shoah. Non è da meno il massacro di Srebrenica e lascia per lo meno esterrefatti che un Paese come Israele, noto per le sue procedure di sicurezza, non sapesse chi era Aleksander Cvetkovic quando questi ha richiesto la cittadinanza israeliana. Lascia ancora più perplessi, però, il mancato riconoscimento dei tribunali internazionali che proprio da quello di Norimberga presero la loro legittimazione etica e giuridica.
di Christian Elia, Peacereporter
Cerchi lavoro? Il Mossad assume!!
Sei un giovane che ama le sfide? Disposto a condurre una vita di imprevisti?
Disposto a compiere ripetute visite all’estero?
Pensi in maniera non convenzionale e conosci alcune lingue straniere?
Sei “capace di inventare realtà e svolgervi un ruolo centrale”?
Il tuo carattere e il tuo modo di fare hanno capacità di influenzare gli altri?
Questa è la campagna pubblicitaria che il più famoso dei servizi segreti sta facendo per ingaggiare nuovi agenti segreti.
Sembra una notizia surreale ma è proprio così e lo riferisce con le parole che vi ho riportato sopra, la televisione commerciale israeliana Canale 2.
Alla fine di questo mese il capo del Mossad da più di otto anni, Meir Dagan, passerà lo scettro al suo successore Tamir Pardo (nominato il 30 novembre) ,che è proprio l’ideatore di questa campagna di grandi dimensioni anche televisiva!
Il servizio segreto israeliano cerca nuovi agenti e per candidarsi basta compilare il form on-line!
Il nuovo capo, Tamir Pardo, è un personaggio più che conosciuto nelle fila delle spie israeliane. Conosciuto per anni come l’agente T., anonimo vice di Meir Dagan, era soprannominato da Ariel Sharon “colui che aveva rimesso il coltello tra i denti al Mossad”: proprio Sharon lo aveva scelto nel 1997 per ricominciare ad agire fuori dal territorio israeliano. Sono state classificate sotto le sue responsabilità anche la recente azione di Dubai e l’omicidio mirato del leader Hezbollah Imad Mughniyeh, residente a Damasco.
In più, l’ex agente anonimo, è un grande esperto di Iran e ha fatto molta carriera nella Neviot, l’intelligence informatica leggendaria per l’istallazione di microspie e telecamere in territorio e strutture nemiche.
Mossad: il sesso per la sicurezza nazionale è Kosher
Le donne che lavorano per il Mossad hanno ottenuto l’ennesima e definitiva “benedizione” dai rabbini del loro paese, il democraticissimo Stato Ebraico d’Israele, fondato sulla pulizia etnica della terra di Palestina a partire dal 1947, un abbondante semestre prima della proclamazione del loro stato elitario.
Qualche giorno fa Haaretz riportava gli studi del rabbino Ari Schvat titolati “Il sesso illegale per questioni di sicurezza nazionale”, pubblicato dall’Istituto Tzomet, che studia i rapporti tra religione e modernità.
La definizione ufficiale delle missioni del Mossad in cui sono inseriti rapporti sessuali per l’ottenimento delle informazioni ricercate è Honey Pot, barattolo di miele. Ora le donne agenti hanno avuto la benedizione ufficiale: è kosher avere rapporti sessuali per il bene del paese, nessun peccato. Gli ortodossi sono gli stessi che recitano al risveglio, ogni sacrosanta mattina, una preghiera di ringraziamento a Dio perchè NON li ha fatti nascer donna…insomma gente da prendere d’esempio, che ha il medioevo nel patrimonio genetico, oltre che il desiderio di supremazia in una terra occupata manu militari, con la Torah alla mano.
Ma la cosa più bella di questo delirante studio è che, come la pulizia etnica e l’occupazione delle terre più fertili della Palestina, tutto è giustificato perchè GIA’ SCRITTO SULLE SACRE SCRITTURE. Così anche il coito delle spie ci viene raccontato che vien da molto lontano, che il Mossad l’ha solo preso ad esempio dal suo libro sacro. Ed ecco Ester che nel 500 A.C va a letto col re persiano Serse per salvare il suo popolo; o Yael, moglie di Hever, che va a letto con il capo delle truppe nemiche Sisra per poi tagliargli la testa.
Consiglia però, di usare agenti segreti che siano donne possibilmente non sposate, altrimenti il bravo maritino ha diritto a divorziare e a riprendersi la moglie dopo la missione.
Israele, Uribe e le buffonate dell’ONU
BRAV’UOMO BAN KI-MOON, PROPRIO UN BRAV’UOMO.
OGGI HA FATTO UN BEL REGALO ALL’INTELLIGENZA PLANETARIA: mettere Uribe, da sempre servo statunitense e amico superfedelissimo dello stato (stato segregazionista e teocratico) israeliano, a capo del Comitato d’indagine sull’aggressione israeliana alla Freedom Flottiglia, avvenuta il 31 maggio scorso in acque internazionali.
Una commissione super-partes, era stata trionfalmente annunciata (lunedì Israele aveva dato la disponibilità a collaborare) e s’è rivelata una delle più comiche buffonate degli ultimi tempi.
Guidata da un assassino, un torturatore, un personaggio di rara
Metto paro paro l’articolo di Peacereporter di Stella Spinelli pubblicato tre giorni fa che prova a fare (non è per niente semplice) un quadro delle splendide azioni del signor Uribe, per aver meritato un simile compito.
La Commissione Onu che dovrà indagare sull’assalto militare israeliano alla Flottiglia della pace sarà presieduta da Alvaro Uribe, il presidente colombiano uscente, uomo vicino agli Usa che ha fatto del disprezzo per i diritti umani una bandiera
Alvaro Uribe, presidente uscente della Colombia, non resterà senza lavoro l’8 agosto, quando il suo successore, Manuel Santos gli succederà a Palazzo Narino. Il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, lo ha appena scelto per presiedere il Comitato d’indaginisull’aggressione israeliana subìta dalla Freedom Flottilla turca carica di aiuti umanitari destinati a Gaza. Era il 31 maggio scorso. Dopo due lunghi mesi di intense consultazioni, il governo di Tel Aviv ha dunque concesso che una commissione Onu indaghi su quanto avvenne quando le truppe speciali israeliane assaltarono la nave in cui vennero assassinati nove attivisti turchi. È la prima volta che lo stato ebraico accetta un’inchiesta internazionale sull’operato del suo esercito, tanto che non sono mancate le polemiche interne: “E’ un fatto senza precedenti e il risultato di una cattiva gestione di governo”, ha tuonato Tzipi Livni, ex ministro degli Esteri e ora leader dell’opposizione. Plauso e soddisfazione invece da buona parte della comunità internazionale, Stati Uniti in testa. Ad affiancare Uribe, l’ex primo ministro della Nuova Zelanda Geoffrey Palmer e due rappresentanti di Turchia e Israele. Con la promessa che lo stato ebraico collaborerà.
Una buona notizia, dunque, per lo meno in apparenza. Ed è così che ce la presentano. Ban Ki-Moon in testa. Finalmente un Comitato super partes, di prestigio, composto da “esperti”, dicono. Eppure, chiunque abbia masticato un po’ di storia recente colombiana non può che sgranare gli occhi e sobbalzare dall’indignazione nel leggere il nome del prescelto Onu. Alvaro Uribe è considerato da commissioni internazionali e organizzazioni non governative in difesa dei diritti umani, comprese molte associazioni più o meno direttamente collegate alle Nazioni Unite stesse, uno degli uomini più oscuri e sinistri del panorama internazionale. Su di lui pendono non solo sospetti, ma anche cause di corruzione e legami con il narcotraffico. E non finisce qui. Durante i suoi due mandati di governo, la Colombia non ha visto che incrementare esecuzioni extragiudiziali per mano dell’esercito regolare, con migliaia di civili morti ammazzati e fatti sparire in fosse comuni. Ha visto oltre 4 milioni di sfollati interni, ignorati e ingannati. E la guerra interna, negata dalle versioni ufficiali, continuare imperterrita. E che dire delle decine e decine di collaboratori di Uribe, compreso parenti e amici, finiti indagati e spesso condannati per i reati più svariati, legati però, sempre e comunque, alla gestione del potere e alla spartizione dei proventi.
La Colombia di Uribe è un paese ingiusto e macchiato di sangue innocente. Per non parlare della serie di scandali gravissimi che hanno fatto tremare Palazzo Narino fino alle fondamenta: dai servizi segreti deviati e usati per scopi personali dal medesimo Uribe, il quale ordinava loro di spiare e minacciare uomini chiave della società colombiana; ai voti pagati a suon di prebende per ottenere la maggioranza per la riforma costituzionale che gli avrebbe permesso una seconda elezione.
Elencare in poche righe tutte le malefatte di un personaggio di tale portata è impossibile. A parlare sono i fatti della storia recente colombiana. Ma una cosa fra tutte va sicuramente evidenziata: Alvaro Uribe è da sempre e soprattutto un fedelissimo della Casa Bianca e molto amico di Israele. È grazie all’appoggio incondizionato ricevuto dal governo Bush che ha potuto ingaggiare una guerra campale contro guerriglia e narcotraffico, e sotto sotto costringere milioni di persone a fuggire da terre fertili e preziose per multinazionali affamate. È grazie ai soldi, tanti, destinati dalla Casa Bianca al Plan Colombia se ha potuto fare e disfare a suo piacimento. Un appoggio che ha, comunque, generosamente ricambiato svendendo il territorio colombiano agli interessi privati ed esteri. Prima di lasciare la poltrona, una delle sue ultime mosse, è stato concedere l’installazione di sette basi militari agli Usa, trasformando del tutto il paese in un vero avamposto strategico a stelle e strisce. E se si pensa alla posizione geografica della Colombia e agli stati con cui confina, i conti son presto fatti. E non scordiamo il ruolo, comprovato, che il Mossad, servizio segreto israeliano, ha da sempre nell’addestrare le truppe colombiane, affiancate da soldati e contractors Usa e israeliani. Che avevano rapporti molto stretti anche con le orde di paramilitari che da decenni mettono a ferro e fuoco il paese.
Particolari anche i legami economici tra Colombia ed Israele, con una predilezione per il mercato delle armi e della tecnologia che l’ex ministro della Difesa di Uribe, Santos – ora eletto presidente – ha sempre mantenuto strettissimo, dimostrando costanza e fedeltà
Averlo nella Commissione Onu di “esperti” super partes in cerca della verità, dunque, non è una buona notizia. Uribe non è super partes, non è votato alla verità, non è indipendente. Ma una cosa è certa. È esperto, sì, e molto, di diritti umani. Calpestati e violati, puntualmente, in nome del profitto.
Ancora sul Mossad e i suoi errori a Dubai
Gli aggiornamenti provenienti da Dubai, sull’assassinio del leader di Hamas Mahmoud al Mabhouh, sono sempre più divertenti.
Il capo della polizia degli emirati arabi ha chiesto addirittura l’arresto del primo ministro israeliano Bibi Netanyahu nonché quello del capo del Mossad Meir Dagan, per il loro diretto coinvolgimento nell’assassinio avvenuto inun albergo della capitale degli Emirati Arabi Uniti.
Tamim, questo il nome del capo della polizia, ha dichiarato che il Mossad ha “insultato” Dubai e tutti i paesi i cui passaporti sono stati utilizzati per coprire la vera identità degli agenti israeliani, killer di al-Mabhouh. Ha anche tenuto a precisare che le misure di sicurezza e i controlli verso gli occidentali sono molti più severi negli aereoporti del paese per fare in modo che non avvenga più un fatto simile. Tamim dichiara un po’ imbarazzato che una simile falla «è stata possibile tutto ciò perché non pensavamo che Israele falsificasse i passaporti dei grandi paesi occidentali. Noi rispetteremo i fedeli di tutte le religioni e non ci accaniremo contro gli ebrei o i cristiani staremo però più attenti nell’analizzare i passaporti occidentali per verificare se siano falsi o meno».
Per finire però c’è andato pesante e al giornale al-Sharq al-Awsat ha deriso i servizi segreti israeliani, famosi per essere i migliori del mondo, dicendo che «se il Mossad vuole imparare come travestire gli agenti e cambiare identità, gli possiamo mandare uomini della polizia di Dubai per insegnarglielo. Stanno usando metodi vecchi di 20 anni. Il modo in cui il team ha operato è stupido e ingenuo. Stanno ancora usando le parrucche!»Il capo della polizia di Dubai ha quindi spiegato di aver seguito le tracce dei killer usando la tecnica che i beduini mettono in atto per cercare un cammello disperso. «Usando questo metodo, siamo stati in grado di rivelare i dettagli dell’operazione dopo sole 20 ore» dall’omicidio.
Non credo che gli agenti siano stati felici del paragone!
Mossad e passaporti…i guai della società del controllo
E’ estremamente interessante leggere la stampa israeliana in questi giorni, dopo l’assassinio di Dubai e i video mostrati dalla polizia degli Emirati in cui vengono mostrati 11 appartenenti al commando che ha compiuto l’azione ai danni del capo di Hamas, all’interno di un albergo locale.
Tutti a cercar di mischiar le carte; anche il ministro degli esteri israeliano, quel “brav’uomo” di Avigdor Lieberman ci tiene a dire che non esistono prove che quei personaggi siano agenti del Mossad. Le undici false identità usate sono di cittadini stranieri immigrati in Israele, sette di queste risultano rientrate nel paese questa settimana.
Gran Bretagna ed Irlanda hanno confermato che i passaporti usati dal presunto commando erano stati falsificati. Liebermann è stato in grado di dichiarare che “non vi è alcun motivo di pensare che sia stato il Mossad, potrebbe essere il servizio segreto di qualche altro paese”. Già in passato c’erano stati problemi tra Israele e Gran Bretagna per l’uso di passaporti falsi britannici usati dagli agenti del Mossad durante le loro operazioni all’estero: nel 1987 ci fu la prima protesta ufficiale sull’abuso di documenti falsi e il governo israeliano aveva dato rassicurazioni in proposito.
Tanti però sono stati i casi successivi anche con altri paesi: nel 1997 agenti del Mossad furono arrestati in Giordania dopo un tentativo fallito di attentato alla vita del leader di Hamas Khaled Meshaal. Avevano passaporti canadesi. Anche Ottawa chiese chiarimenti e ottenne la promessa che non sarebbero stati più usati passaporti battenti bandiera canadese.
Anche in Norvegia accadde un fatto simile…
In Nuova Zelanda agenti del Mossad furono catturati mentre tentavano di ottenere un passaporto reale, non falso, a nome di un giovane tetraplegico: anche qui promessa al governo che Israele e i suoi agenti non avrebbero più violato la sovranità di quel paese con le loro operazioni.
Questo fatto della Nuova Zelanda fa capire che il lavoro dei servizi segreti è decisamente più complicato nell’era del controllo totale. In questo caso gli agenti arrestati stavano cercando di procurarsi passaporti veri: con le nuove misure di sicurezza che entreranno in vigore (misurazioni biometriche all’interno dei passaporti) sarà praticamente impossibile rubare identità come spesso è stato fatto o falsificare impronte ed iride. Il Mossad ha bisogno di passaporti veri, come un po’ tutti i servizi segreti che operano nel pianeta.
Comunque…questo piccolo giallo di spionaggio internazionale sembra proseguire: anche se son sicura che non verrà fuori nulla, ci aggiorneremo presto a riguardo…
Gli 11 volti del Mossad: bel colpo!
E’ la prima volta, credo, che accade una cosa simile..e penso alle facce che staranno facendo i loro capi, le facce di chi dirige e gestisce il miglior servizio segreto del mondo, quello israeliano. Assassini matricolati…la storia del Mossad è la storia delle tante guerre segrete dello Stato ebraico d’Israele, guerre che non hanno mai avuto confini territoriali; non sono cose che interessano agli 007 israeliani.
La storia di quel paese è composta di eccidi, di un’occupazione militare unica nei suoi metodi e nella sua durata; è una storia di apartheid, è una storia di segregazione razziale e anche di omicidi mirati, di liste nere di persone da far fuori.
E gli omicidi mirati avvengono in due modi: dentro i Territori Occupati o nella Striscia di Gaza il metodo è semplice e credo anche poco dispendioso per Israele. Il suo esercito non conosce regole né confini: quindi basta alzare un elicottero da combattimento e permettergli di colpire la macchina o l’appartamento giusto al momento giusto, per eliminare dal pianeta qualcuno di scomodo. Nessuno si accorgerà di quella detonazione nel mondo, nessuno accuserà nessuno, a nessuno interesserà sapere da dove è partito quel missile e chi cercava.
Nella storia di questo servizio segreto però c’è un elenco infinito di morti, di assassinii compiuti in tutti i paese del Medioriente, in Europa e in Sudamerica: tanti nomi, troppi nomi di persone uccise a freddo dentro un portone, o nella stanza d’albergo dove alloggiano… tanti arabi, tanti palestinesi ammazzati con una detonazione o un colpo di pistola silenziata… in posti, paesi, città dove si pensavano al sicuro.
La storia delle vittime del Mossad è spesso la storia non di capi militari o politici ma di intellettuali, di scrittori, di poeti: da quando è nato, il 2 marzo 1951 per ordine di Ben-Gurion le vittime sono tante, tutte colpite a freddo.
Peccato però che nel 2010 avrebbero dovuto imparare a muoversi in modo un po’ più intelligente: il Mossad di cazzate ne ha fatte tante anche se sappiamo bene che sono i più bravi del mondo nel loro lavoro di spionaggio e “affari speciali”; il libro di Benny Morris e Ian Black racconta bene la storia di questa struttura, lo consiglio a chi vuole capirci qualcosina in più.
Andiamo ai fatti:
Dubai, 20 gennaio 2010: Mahmoud Al-Mabhouh, capo di Hamas, viene ucciso nella stanza del suo albergo.
A distanza di meno di un mese, incredibile ma vero, spuntano diversi video. Il servizio segreto più fico del mondo non ha pensato alle telecamere dell’albergo: quasi comico come scivolone. E così per la prima volta abbiamo dei visi, dei movimenti, dei passaporti (falsi): per la prima volta abbiamo addirittura la richiesta di 11 mandati di cattura internazionali. STUPENDO!
I giornali israeliani ironizzano non poco: “Li riconoscete?”, “Saranno del Mossad?”. Che appartengano al Mossad non si ha la certezza, ovviamente; parliamo di undici persone (tra cui una donna) con 6 passaporti britannici, 3 irlandesi, 1 francese e 1 tedesco, con rispettivi nomi e cognomi, ovviamente falsi.
Difficile andare ad accoppare un tipo dentro un lussuoso albergo degli Emirati Arabi senza essere immortalati in mille immagini della sorveglianza: il video mostra la rapidità d’esecuzione del commando.
Mahmoud Al-Mabhouh entra in albergo alle 20.24 e poco dopo nella sua stanza: alle 20.46 il gruppo di assassini se ne vanno, l’uomo di Hamas è già morto, pare per soffocamento (stanno controllando che non si tratti di avvelenamento). Alle 22.30 i due che sono entrati nella stanza a compiere materialmente l’omicidio sono già imbarcati su un volo.
Piena di errori quest’operazione: si parla di telefoni criptati e materiale estremamente sofisticato, ma i volti ci sono e sono stati già arrestati due palestinesi che avrebbero collaborato: la stampa internazionale parla anche di servizi iraniani e siriani. Insomma, una storia complicata, come sempre quando si parla di spionaggio: ma questa volta di nuovo abbiamo 11 volti.
Anche se….penso che ne fossero consapevoli: era un rischo che sapevano di correre. Al mondo d’oggi non si può pensare di compiere azioni simili senza che una telecamera spii ogni movimento; sicuramente anche questo era stato calcolato e questa storia che pure ci intriga non poco, morirà nel silenzio.
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