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A Mario Salvi, ucciso da un agente della polizia penitenziaria
7 Aprile 1976 __Via degli Specchi, Roma__
Mario Salvi viene ucciso con un colpo di pistola alla nuca, dopo aver lanciato alcune molotov contro un portone laterale del Ministero di Grazia e Giustizia, dall’agente carcerario in borghese Domenico Velluto.
L’8 aprile, i Comitati Autonomi Operai di Roma, nel corso di una manifestazione di protesta, diffondono un documento sulla morte di Mario in cui, tra l’altro si legge : “L’agente Velluto con la pistola in pugno ha percorso centinaia di metri lungo le strade che portano a Campo de’ Fiori, alla ricerca di una vittima a cui sparare a freddo con tutta calma. Infatti quando ha sparato, nessuno stava scappando: il nostro compagno è stato freddato mentre camminava…”
Il 15 aprile 1976 l’agente Velluto viene arrestato per omicidio preterintenzionale. Il 7 luglio il tribunale lo assolve ” per aver fatto uso legittimo delle armi”.
In via degli Specchi, nel quartiere di Campo de’ Fiori, all’altezza del numero civico 15 è affissa una lapide di commemorazione: “Qui è caduto Mario Salvi comunista rivoluzionario di 21 anni ucciso dal piombo di stato mentre manifestava il suo odio di classe contro la giustizia borghese. Il suo ricordo vive nelle lotte degli sfruttati. 7 settembre 1977.”
Testimonianza al Progetto Memoria. Roma, 1955 :
“Il mio ricordo di Mario Salvi è legato alla nostra comune militanza nel Comitato Proletario di Primavalle. […] Il “battesimo di fuoco” per lui, fu veramente di fuoco! La Sip staccava il telefono a chi praticava l’autoriduzione, si organizzarono come risposta una serie di sabotaggi alle cabine di derivazionei telefoniche nei quartieri borghesi, lascinado così per un po’ di tempo senza telefono gli abitanti dei Parioli e degli altri quartieri-bene della città. Io e Mario ci recammo con una vespetta all’ora stabilita al nostro obiettivo, dovevamo aprire l’armadietto metallico e sistemarvi un ordigno incendiario. Un congegno chimico doveva ritardare l’esplosione; l’acido solforico entrando in contatto
con la miscela di clorato di potassio e zucchero avrebbe innescato l’incendio della tanica di benzina; ma la qualità del profilattico che separava le fiale dell’acido dalla miscela era evidentemente scarsa, così la sua corrosione non avvenne, come preventivato, dopo qualche minuto, ma fu immediata. La fiammata illuminò la strada, saltammo sulla nostra vespetta modificata e schizzammo via a tutto gas nella notte. Le nostre capacità di artificieri ci lasciarono perplessi, ma la nostra ‘guida veloce’ ci confortò. […]”
Mario era un giovane che, come altre migliaia di giovani e meno giovani, in quegli anni aveva fatto della militanza politica e dell’ impegno sociale una scelta di vita. Militanza ed impegno che fondamentalmente significavano solidarietà ( in quegli anni veniva definita solidarietà di classe) con gli sfruttati e con i più deboli.
Gli assalti ai forni e le donne di Ponte di Ferro (7 aprile 1944)
Roma, tra il febbraio e l’aprile del 1944, è schiacciata dalla morsa della fame, è una città sfinita, murata dall’occupante nazista. È il momento peggiore della guerra: bombardamenti, attentati, rastrellamenti, rappresaglie, gli Alleati sono fermi ad Anzio, non vanno né avanti né indietro, gli uomini al fronte o prigionieri o nascosti o non se ne sa più niente; i figli e i vecchi da sfamare.
L’approvvigionamento di una città di quasi due milioni di abitanti come Roma si presenta soprattutto come un problema di trasporti, visto che i rifornimenti di viveri arrivano non solo dal Lazio, ma anche da regioni molto più lontane; se fino al gennaio 1944 gli alimenti, nonostante gli attacchi aerei alle linee ferroviarie, erano ancora trasportati con i treni merci,
dopo lo sbarco alleato a Nettuno e l’aggravarsi della situazione per tutte le ferrovie dell’Italia centrale, i trasporti avvengono per mezzo di autocarri. Quotidianamente partono 100 autocarri per il rifornimento della città. Ma i viveri che arrivavano non sono comunque sufficienti, tanto che l’Ufficio alimentare dell’Amministrazione militare vede nella parziale evacuazione della città l’unica possibile “soluzione”, ma, prevedibilmente, il tentativo non viene mai fatto. Interi quartieri restano senza pane. Poveri e ricchi sono ugualmente costretti a ricorrere al mercato nero. I romani mangiano, quando ne trovano, carrube lesse, pane di vegetina, bucce di patate bollite; bruciano mobili d’arredamento per scaldarsi e cucinare. La città sopravvive sospesa in una atmosfera di terrore, fame e freddo.
La situazione economica alimentare va sempre peggiorando e la popolazione trae motivo di ulteriore pessimismo dalle recenti disposizioni circa l’aumento del prezzo del pane e la ritardata distribuzione di parte della già modesta razione di pasta. Si vorrebbe una energica e fattiva azione da parte delle autorità per arrestare la corsa al rialzo dei prezzi che, se favorisce l’ingorda speculazione dei commercianti e dei cosiddetti borsari neri, pregiudica ed esaspera i consumatori ed in special modo
quelli appartenenti alle classi meno abbienti o a quelle costrette a vivere del reddito fisso.
A complicare ulteriormente una situazione già inquietante, da una parte gli Alleati, che mitragliavano i convogli di viveri diretti in città, dall’altra gli occupanti che sequestravano per il loro uso, ma soprattutto per una sorta di deontologia dell’occupazione, intere partite di generi alimentari. L’idea che i tedeschi tenessero tutti i depositi sequestrati per il loro uso e consumo, è molto diffusa.
Ulteriori problemi provoca un vertiginoso ma invisibile (perché clandestino, non ufficiale) aumento della popolazione: dai Castelli, da Genzano, da Albano, dalle campagne intorno ad Anzio e Nettuno, arrivano a Roma intere famiglie di disastrati che cercano alloggio nelle scuole, nelle caserme o nell’ala abbandonata di qualche ospedale, un incremento silenzioso che va ad accelerare un andamento già crescente della popolazione romana, prima del ventennio fascista. Si calcola che oltre 200.000 persone vivessero in alloggi di fortuna in condizioni inumane e senza lavoro. E trovare cibo diventa ancora più difficile.
Gli ospedali sono pieni di bambini denutriti, e si contano numerosi casi di piccoli deceduti per fame e malattie da denutrizione: forse più di trecento, una strage, altre vittime innocenti da inserire nell’elenco di atrocità commesse dai nazifascisti a Roma e in Italia.
Dopo l’attentato di via Rasella del 23 marzo, la rappresaglia tedesca non si ferma alla strage delle Fosse Ardeatine, ma vuole colpire il maggior numero di persone possibile. Così, per ordine diretto del generale Maeltzer, la razione di pane dei romani viene ridotta da 150 a 100 grammi al giorno. Oltretutto è pane nero, spesso ammuffito.
Ai primi di aprile del 1944, dopo il catastrofico e lungo inverno, le condizioni alimentari si fanno intollerabili portando allo stremo la popolazione. La situazione nel settore del pane peggiora in modo drammatico con l’approssimarsi del fronte. A metà aprile, a causa delle difficoltà dei trasporti e dei disordini creati dalla lotta partigiana, la distribuzione ufficiale subisce un’ulteriore diminuzione; a quel punto ci si rende conto che non solo circolano 50.000 carte per il pane falsificate, ma anche che ingenti quantitativi di farina sono stati venduti di contrabbando dagli organi addetti alla distribuzione.
Protagoniste di un così oscuro periodo sono le donne che da sole, con ogni mezzo, con l’astuzia o la violenza, cercano di sopravvivere alle miserie della guerra. È così che avvengono i primi assalti ai forni, destinati a diventare sempre più frequenti; sono le donne spinte dal bisogno che li pensano e li organizzano spontaneamente anche se qualche volta c’è dietro l’aiuto e l’impulso dei gruppi femminili della Resistenza. Si passano parola, vanno all’assalto provviste di sporte per metterci dentro quel po’ che riusciranno a prendere, usano i figli come scudo; sono le donne che si organizzano per assalire i forni ove si panifica il pane bianco per fascisti e nazisti.
Gli assalti avvengono nei quartieri di Trionfale, Borgo Pio, Via Leone Quarto. A guidarle in questi quartieri sono le sorelle De Angelis, Maddalena Accorinti ed altre.
In via Leone IV, davanti alla sede della Delegazione rionale, scoppia una rabbiosa protesta contro la sospensione della distribuzione di patate e farina di latte. Nella stessa strada viene assaltato il forno De Acutis, ma qui c’è il consenso dello steso proprietario, che distribuito il pane e la farina, si dà alla clandestinità.
Sempre fra i Prati e il Trionfale, zona di piccola e media borghesia, avvengono assalti ai panifici in via Vespasiano, via Ottaviano e via Candia.
Il 1° aprile 1944, di fronte a un forno di via Tosti, nel quartiere Appio, una forte manifestazione di donne contro la riduzione della razione di pane, dà inizio ad una nuova e disperata serie di assalti ai forni.
“Sabato primo aprile, al forno Tosti, quartiere Appio, la fila era interminabile: le donne attendevano da più di due ore l’arrivo dell’ordine di distribuzione e non si
capiva perché tardassero tanto ad aprire. Esasperate le donne protestavano ad alta voce, erano furibonde, e c’era tra loro chi temeva che non ci fossero neppure quei cento grammi per tutti. [] aveva cominciato una in prima fila in faccia ai militi [che vigilavano alla porta]: “Ci ho quattro creature che me se magnano puro a me se je porto sta crioletta de cento grammi! Ve volete da’ na mossa! Buffoni!”. Un milite la prese per il braccio e la portò fuori dalla fila, le donne cedettero che la volessero arrestare e cercarono di strapparla dalle mani della GNR: seguì un parapiglia, tutte strillavano, insultavano; poi d’improvviso, rotta la fila, si ammassarono tutte davanti alla porta del forno. La porta forzata cedette e tutte entrarono [] le donne trovarono, oltre al pane nero, anche sacchi di farina bianca, forse pronti per la panificazione per le alte gerarchie fasciste o per le truppe di occupazione tedesche”.
Nei giorni a seguire e per tutto il mese di aprile, furono attaccati camion carichi di pane, come a Borgo Pio dove la folla assale un camion, scortato da militi fascisti, che trasporta pane per una caserma. Tale è l’improvvisa e inaspettata irruenza delle assalitrici che i militi possono fare ben poco e si trovano il camion completamente saccheggiato. Altri assalti hanno lugo a forni in tutti i quartieri, costringendo i tedeschi a scortare ogni convoglio e a presidiare ogni punto di distribuzione.
L’episodio più tragico avviene all’Ostiense, al Ponte di Ferro. Il 7 aprile 1944 decine di persone si ritrovarono di fronte al mulino Tesei per chiedere pane e farina; si diceva che quel mulino producesse pane destinato ai militari tedeschi. Le donne dei quartieri limitrofi (Ostiense, Portuense e Garbatella) avevano scoperto che il forno panificava pane bianco e che probabilmente aveva grossi depositi di farina. La folla cominciò a reclamare il pane, i cancelli del forno furono sfondati e le donne riuscirono ad entrare. Il direttore del forno, forse d’accordo con quelle disperate, lasciò che entrassero e che si rifornissero di pane e farina, ma qualcuno avvertì la polizia tedesca che arrivò quando le donne erano ancora sul posto. A quel punto i militi fascisti presenti chiesero l’intervento delle SS tedesche, che bloccarono la strada, molte donne riuscirono a scappare, ma dieci di loro furono prese, afferrate di forza, portate sul ponte e lì fucilate in fila, contro la ringhiera. A monito della popolazione i tedeschi ne lasciano i cadaveri sulla spalletta del ponte fino alla mattina dopo quando alcuni lattonieri e sfasciacarrozze della zona vengono costretti a caricare le povere salme su di un camion. Da allora non si è mai saputo dove siano state portate e sepolte.
Le dieci vittime innocenti della furia nazi-fascista furono: Clorinda Falsetti, Italia Ferracci, Esperia Pellegrini, Elvira Ferrante, Eulalia Fiorentino, Elettra Maria Giardini, Concetta Piazza, Assunta Maria Izzi, Arialda Pistolesi, Silvia Loggreolo.
Durante un nuovo assalto, quello avvenuto il 2 maggio, all’indomani delle manifestazioni del giorno prima, una guardia della PAI (la Polizia Africa Italiana che funge da servizio d’ordine per conto del Governo fascista repubblicano), accorsa per sedare il tumulto uccide con una fucilata una donna del Tiburtino III, Caterina Martinelli, madre di sei figli.
Cade sul selciato con sei sfilatini nella borsa della spesa, una pagnotta stretta al petto, in braccio una bambina ancora lattante: stramazza a terra sopra la figlia che sopravvive ma che avrà poi la spina dorsale lesionata. Una specie di monumento alla madre affamata.
Il giorno dopo, sul marciapiede ancora insanguinato, un cartello antifascista ricorda la vittima. Quel cartello, subito fatto togliere dalle autorità, tornerà come lapide a Roma liberata.
Mario Socrate, partigiano gappista e poeta, così testimonia di quell’episodio: “… ci fu l’assalto al forno e uno della Pai sparò e uccise una donna. Allora noi facemmo una manifestazione, e io quel giorno stesso ho scritto la lapide e la mettemmo al punto dov’era ancora il sangue a terra”. Fu lui a scrivere le parole che si possone leggere ancora oggi nella lapide sulla facciata di una casa in via del Badile 16:
Il 2 maggio 1944 in questo luogo durante un assalto al forno per cercare il pane per i suoi figli venne uccisa dalla violenza fascista Caterina Martinelli «io non volevo che un po’ di pane per i miei bambini non potevo sentirli piangere tutti e sei insieme»
Fonti :
Le dieci donne del ponte di ferro
Dal C.I.E. di Lampedusa solidarietà per le vittime del terremoto
«Solidarietà per le vittime del terremoto»: questo lo striscione che stato esposto oggi pomeriggio dalle finestre del Centro di Identificazione ed Espulsione (Cie) di Lampedusa. A scriverlo alcuni migranti trattenuti nel CIE che erano stati informati dai funzionari dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) di quanto accaduto questa notte in Abruzzo.
I migranti, colpiti dall’entità del disastro, hanno deciso di scrivere un messaggio di solidarietà utilizzando come mezzi un pennarello e le loro lenzuola usa e getta. A riferire la notizia è la stessa Oim con un comunicato.
7 APRILE 1979: processo all’Autonomia
7 aprile 1979.
Stampa e tv danno notizia della maxi-retata che da poche ore ha portato in galera il presunto vertice delle Brigate Rosse. Gli arresti, avvenuti su tutto il territorio nazionale, sono stati ordinati dal sostituto procuratore di Padova Pietro Calogero.
Quasi tutti gli accusati sono intellettuali: docenti universitari, scrittori, giornalisti e leaders dei diversi movimenti post-’68. Tra i più noti vi sono: Antonio “Toni” Negri, docente di Dottrina dello Stato all’università di Padova, indicato come capo e ispiratore di tutta la galassia sovversiva italiana; Nanni Balestrini (latitante), poeta e scrittore, già nel Gruppo 63 e poi autore del romanzo-culto “Vogliamo tutto”; Franco Piperno (latitante), docente di fisica all’università di Cosenza; Oreste Scalzone, insieme a Piperno leader storico del ‘68 romano; Luciano Ferrari Bravo, Guido Bianchini,
Sandro Serafini e Alisa del Re, tutti assistenti di Negri all’università di Padova; Giuseppe “Pino” Nicotri, giornalista del “Mattino” di Padova, di “Repubblica” e de “L’Espresso” (in passato si è occupato della controinformazione su Piazza Fontana, e le sue scoperte sugli spostamenti di Franco Freda sono state preziose per le indagini di Calogero); Emilio Vesce, redattore delle riviste “Rosso” e “Controinformazione. L’elenco prosegue con diversi militanti dell’Autonomia Operaia ed ex-membri del gruppo Potere Operaio, scioltosi nel 1973. Secondo gli inquirenti, Potere Operaio non si sarebbe sciolto, piuttosto sarebbe divenuto un’organizzazione clandestina, una vera e propria “cupola” della sovversione. Inoltre, malgrado l’evidenza di insanabili contrasti teorici e politici, Autonomia Operaia e Brigate Rosse sono ritenute la stessa cosa, o meglio: la “illegalità di massa” propugnata dalla prima non sarebbe che il mare magnum in cui sguazza l’avanguardia clandestina rappresentata dalle seconde. Per alcuni degli arrestati vale solo la seconda parte del mandato, cioè l’accusa di associazione sovversiva. Al contrario, su Negri e alcuni altri sta per rovesciarsi una valanga di fantasiosi mandati di cattura per gli episodi più diversi. Nei giorni successivi il processo si estende ai redattori della rivista romana “Metropoli”, su cui scrivevano anche Scalzone e Piperno. I nuovi inquisiti sono Libero Maesano, Lucio Castellano e Paolo Virno. Anche loro apparterrebbero in blocco all’organizzazione eversiva “costituita in più bande armate variamente denominate”, per il semplice motivo di… aver scritto su “Metropoli”. Pleonasmi a non finire. Davvero curiosa questa “guerra civile” combattuta a colpi di saggi, editoriali, recensioni… e anche fumetti: su “Metropoli” è comparsa una drammatizzazione a fumetti del caso Moro. Secondo gli inquirenti, alcune vignette contengono l’esatta riproduzione della “prigione del popolo” in cui era rinchiuso Moro.
Poi si verrà a sapere che l’autore si è ispirato a un fotoromanzo di “Grand Hotel”. Ormai sappiamo tutti che Toni Negri non era il capo delle Brigate Rosse, né il telefonista dei rapitori di Moro, né l’assassino di Carlo Saronio. Eppure un giudice, su basi così palesemente assurde, imbastì nel 1979 il processo simbolo del periodo dell’ “emergenza”, rimasto noto come “il caso 7 aprile”. Vi furono coinvolti prima una ventina di imputati, quasi tutti docenti e ricercatori della facoltà di Scienze Politiche di Padova, poi divenuti oltre un centinaio. Molti furono incarcerati, altri costretti all’esilio, uno (“Pedro”) perse la vita, ucciso dalle forze dell’ordine mentre era armato di un semplice ombrello. Inutile dire che gli assassini di Pedro rimasero impuniti, e che il magistrato che gestì il processo ha tranquillamente fatto carriera.
L’impianto dell’inchiesta crollò solo grazie alle confessioni di Patrizio Peci, che dimostrarono come Negri, Piperno, Scalzone e gli altri del 7 aprile, con le Brigate Rosse, non avessero nulla a che spartire. Il teorema Calogero è rimasta la più impressionante montatura mediatico-giudiziaria dell’Italia repubblicana.
A trent’anni da quel giorno, martedì 7 aprile 2009 Filorosso organizza un’iniziativa dal titolo “Una storia da ricordare” con alcuni dei protagonisti, loro malgrado di quella vicenda: Franco Piperno, Oreste Scalzone (in collegamento da Parigi) e Francesco Febbraio, che in quel periodo era studente e attivista politico all’Università di Padova.
La discussione si terrà alle ore 17:30 presso il Capannone del Filorosso nell’edificio Polifunzionale dell’Unical di Cosenza. L’iniziativa è rivolta agli studenti universitari che nel ’79 non erano ancora nati e che avranno l’occasione di ascoltare una pagina di storia raccontata dalla voce viva di chi l’ha vissuta sulla sua pelle.
QUI UN BRANO DI FORTINI SUL 7 APRILE
Resisti Abruzzo, RESISTI!

Rientro dall’Abruzzo, ormai terra familiare, solamente ieri sera e poche ore dopo…il terremoto.
Terra di dirupi, di grotte e panorami che cambiano ogni metro, terra di lupi e orsi (stavolta lo posso dire forte), di montagna aspra e colline dolci.
Terra di gente genuina, dal dialetto stretto , simpatico e contagioso; gente generosa, silenziosa e piena di voglia di cantare, ridere e mangiare.
Una terra che sa accogliere e farti tornare indietro nel tempo, come se per bere dovessi risalire dal Calacroce con la conca in testa e l’acqua della fonte, come se la Morgia fosse sempre stata nel mio orizzonte.
Un Abruzzo in ginocchio ad una manciata di ore da quando m’ha salutato, da quando ho riempito di baci quella mamma montagna che ogni giorno svela un ruscello, un fiore, un animale, un lato sconosciuto.
Ogni luce dona alla dolce Majella un colore nuovo, un profilo più dolce del precedente.
Terra di pascolo e mulattiere, di scoppolette e formaggi di pecora, terra genuina che non sembra l’Italia di oggi.
Aspro e dolce Abruzzo, RESISTI.
E DOVRETE RACCONTARCI DI CHI SONO LE RESPONSABILITA’ DI TUTTO QUESTO, CI DOVRETE DIRE COME E’ POSSIBILE CHE CADANO SBRICIOLATI OSPEDALI E PREFETTURE E NON CASE ANTICHE, O ABUSI DI PERIFERIA.
CI DOVRETE DIRE COME COSTRUITE IN UN TERRITORIO ALTAMENTE SISMICO, CI DOVRETE DIRE PERCHE’ SIAMO L’UNICO PAESE AL MONDO DOVE IL CEMENTO ARMATO SI SBRICIOLA COME IL CARTONE.
UN PENSIERO VA A TUTTI GLI SFOLLATI, A TUTTI COLORO CHE LOTTANO PER USCIRE VIVI DALLE MACERIE.
UN PENSIERO PARTICOLARE A TUTTI I DETENUTI DELLA REGIONE ABRUZZO, RICCA ANCHE DI CARCERI DI MASSIMA SICUREZZA, DI CUI NESSUNO CI FA SAPERE NULLA: PERCHE’ TERREMOTO E CARCERE SONO DUE COSE CHE PENSATE INSIEME DOVREBBERO FAR VENIRE VOGLIA A TUTTI, A TUTTI, DI ANDARE LI’ E BUTTAR GIU’ QUELLE MURA, QUEI BLINDATI, QUELLE SBARRE.
Ian Tomlinson: ma quale casualità
Sembrava a tutti molto strano che Ian Tomlinson, l’edicolante 47enne morto durante le cariche ai cortei di protesta contro il
G-20 a Londra, si fosse trovato lì per caso, perchè uscito di casa per fare acquisti. Ancora più strana la versione dalla morte naturale, cioè un improvviso infarto che l’avrebbe colpito mentre si trovava alla manifestazione (sempre per caso). La Indipendent Police Complaints Commission (IPCC) -commissione governativa indipendente che ha la supervisione del comportamento della polizia- ha ricevuto diverse testimonianze oculari secondo cui la vittima si è accasciata a terra dopo essere stata assalito da agenti anti-sommossa, armati di manganelli (ovviamente nella fitta nuvola di lacrimogeni).
La verità non è ancora ufficiale, ma un altro morto ha macchiato un controvertice in Europa. Ma quale casualità: siete solo assassini
SIAMO TUTTE CLANDESTINE! NO AI MEDICI SPIA
SIAMO TUTTE CLANDESTINE
NO al pacchetto sicurezza, NO ai medici spia
Presidio di solidarietà a Kadiatou, la donna ivoriana denunciata come
clandestina da un medico dell’ospedale Fatebenefratelli di Napoli dove è
andata a partorire
Evidentemente uno o più operatori sanitari, resi troppo zelanti dal loro
razzismo, si sono sentiti in dovere di applicare una legge ancora prima che
fosse approvata.
Il 4 febbraio scorso, infatti, il Senato ha varato il cosiddetto Pacchetto
Sicurezza (ddl 733), che contiene, tra l’altro, una modifica all’articolo
35 del Testo Unico sull’Immigrazione (Dlgs 286-1998) che elimina la
garanzia, per gli irregolari che vanno a curarsi, di non essere segnalati
da parte dei sanitari. Un vergognoso provvedimento che impedisce di fatto
ai cittadini stranieri, non in regola con il permesso di soggiorno, di
accedere alle prestazioni sanitarie.
Ancora una volta repressione e controllo giungono sin dentro le corsie
degli ospedali dove dovrebbero essere garantiti diritti universali come
quello alla salute e alle cure!!
Nell’ospedale Fate bene fratelli di Napoli, a Kadiatou Kante è stato
sottratto il bambino impedendole persino di allattarlo per i 10 giorni che
ci sono voluti per dimostrare che era in attesa del riconoscimento
dell’asilo politico. Cosa succederà nei casi di espulsione di una donna
immigrata? Che fine faranno i bambini “clandestini”? Quante saranno le
donne che pur di evitare l’espulsione o di vedersi portare via il bambino
ricorreranno ai circuiti illegali per partorire o abortire rischiando la
morte? Kadiatou purtroppo non è neanche la prima vittima, appena due
settimane fa Joy Johnson, una nigeriana di appena 24 anni moriva di
tubercolosi per la paura di essere denunciata qualora si fosse presentata
in ospedale per farsi curare.
Se questa legge viene approvata definitivamente, nonostante le proteste
della maggioranza dei medici italiani, non solo gli immigrati irregolari
rischiano la segnalazione e l’espulsione per il solo fatto di ricorrere a
cure mediche, ma in caso di parto sarà impossibile anche la registrazione
anagrafica del bambino!
Ancora una volta il corpo delle donne viene utilizzato come pretesto per
giustificare leggi repressive. Non è un caso che proprio il pacchetto
sicurezza sia stato approvato strumentalizzando gli episodi di violenza
contro le donne degli ultimi mesi. Sull’onda del clamore mediatico creato
ad arte intorno a questi stupri si è voluto far credere che gli unici
responsabili della violenza contro le donne sono gli immigrati. Una
menzogna: 142 donne sono state uccise nel 2008 e centinaia di migliaia
quelle picchiate e violentate dai loro mariti, fidanzati, amici. Che
c’entrano gli immigrati? Aumentare la paura dello straniero, la
diffidenza e l’odio serve solo a nascondere i veri responsabili della
insicurezza dei cittadini: i poteri forti che creano la precarietà, che
tagliano i servizi sociali, che licenziano, che fanno degradare i nostri
quartieri.
Contro pacchetti sicurezza e norme xenofobe che ci vogliono distinguere in
cittadine/i con e senza diritti, rispondiamo che
SIAMO TUTTE CITTADINE DEL MONDO E ANDIAMO DOVE CI PARE! QUESTE MISURE NON
DEVONO PASSARE!
Presidio
Venerdi 3 APRILE ’09
ORE 17.00- davanti al Ministero del Lavoro, Salute, Politiche Sociali
(via Veneto 56, metro Barberini
Assemblea romana di femministe e lesbiche http:
//flat.noblogs.org
Intervista a Benoît Nicolas, dopo il “sequestro” dei manager Caterpillar
Il magnate del lusso François Pinault assediato dai suoi lavoratoti Quattro manager della Caterpillar di Grenoble sequestrati nei loro uffici
Paolo Persichetti, Liberazione 1 aprile 2009
I padroni di Francia sono sotto assedio, braccati da operai in rivolta e manifestanti che non tollerano più il quotidiano stillicidio di licenziamenti mentre consigli d’amministrazione e dirigenti d’impresa si spartiscono super dividendi azionari e ricchi bonus. Come ai tempi dell’ancièn regime, oggi una noblesse de l’argent, composta dalle Spa, i consigli d’amministrazione, presidenti e amministratori delegati, quadri centrali d’impresa, vivono in una bolla di ricchezza alla faccia di una società che non arriva alla terza settimana del mese e vede minacciati i posti di lavoro.
Ieri sera, Francois-Henri Pinault, il “re del lusso”, proprietario del gruppo Pinault-Printemps-La Redoute che controlla anche Gucci,
Puma, Christie’s, è stato bloccato da un centinaio di manifestanti, in prevalenza dipendenti della Fnac e Conforama, all’uscita della sede sociale del suo gruppo nel quindicesimo arrondissemment di Parigi. La polizia è dovuta intervenire per sgomberare la zona. Sia la Fnac che Conforama hanno annunciato il 18 febbraio scorso licenziamenti del personale per 1.200 unità. In mattinata, invece, quattro dirigenti della Caterpillar di Grenoble sono stati “trattenuti” dagli operai che contestano il piano di riduzione dell’organico. 733 licenziamenti secchi, un quarto dell’intero personale, giustificato dalla multinazionale statunitense con il calo del 55% delle vendite per effetto della crisi. Il direttore, Nicolas Polutnick, il direttore delle risorse umane, un responsabile del personale e un responsabile dei prodotti europei, non hanno più potuto lasciare gli uffici della direzione. «Stiamo discutendo in permanenza con loro», spiega al telefono Benoît Nicolas, delegato sindacale della Cgt mentre torna da un’intervista televisiva. L’indignazione sociale sale incontenibile. È la quarta volta nel giro di appena due settimane che le maestranze di fabbriche colpite da licenziamenti trattengono in azienda i loro direttori chiedendo in cambio l’apertura di negoziati. Il 12 marzo erano stati gli operai della Sony, nelle Landes, a costringere il loro amministratore delegato a un turno di “straordinari notturni“. Lo stesso era accaduto pochi giorni dopo per il direttore del sito farmaceutico 3M di Pithiviers. Ma ormai modalità di lotta analoghe si stanno diffondendo un po’ ovunque nel Paese, come alla Fci microconnections a Mantes-la-Jolie, nel dipartimento delle Yvelines, regione parigina. «I quattro dirigenti sembrano un po’ “sbalorditi – dice sempre Benoît – perché sembra che non abbiano grandi margini di manovra per il confronto». Le decisioni più importanti appartengono a un livello superiore.
Com’è venuta la decisione di bloccare i dirigenti?
La direzione ha sempre rifiutato il negoziato. Nella nostra azienda è già in vigore la cassa integrazione parziale. Il rischio è che i lavoratori ricevano la lettera di licenziamento a casa. Caterpillar ha nel mondo circa 100 mila dipendenti. Un quarto di questi dovrà andare a casa. Così hanno fatto sapere. Lunedì abbiamo iniziato lo sciopero e poi siamo andati tutti in direzione, ma l’azienda non ha voluto negoziare.
E cosa è successo?
Niente violenza, né sequestro ma soltanto una decisa pressione affinché si riaprano i negoziati. Nel momento in cui l’azienda annuncia benefici record nel 2008 e distribuisce cospicui dividendi azionari, è nostra intenzione arrivare a un risultato favorevole per tutti i lavoratori.
Quali sono le vostre richieste?
Un piano di salvataggio. 30 mila ero a testa per i licenziati. È giusto che sia così. Va risarcito chi ha lavorato e prodotto ricchezza non i membri del consiglio d’amministrazione. I licenziamenti, poi, non devono riguardare solo le fasce più basse e dequalificate. Chiediamo anche la possibilità di prepensionamenti calcolati sull’ultimo salario per chi ha più di 55 anni e soprattutto le 32 ore settimanali con parità di retribuzione che, da sole, possono salvare 200 posti di lavoro.
Quanto durerà l’occupazione della direzione?
Abbiamo riconfermato lo sciopero. La notte passerà così. Vedremo domani (oggi per chi legge) se qualcuno verrà al tavolo delle trattative.
Nei giorni scorsi Nicolas Sarkozy aveva detto ai parlamentari della sua maggioranza che anche se nel Paese veniva criticato era lui ad avere «la banana in mano». Frase che ha suscitato subito molte polemiche. Forse sta sottovalutando un po’ troppo i lavoratori che non sembrano per nulla disposti a fare la fine dell’omino di Altan.
Il presidente francese avrà pure la banana ma gli operai sono armati con l’ombrello.
Maometto va alla montagna, visto che lei non voleva spostarsi…
Vado alla mia montagna.
Vado ad invecchiare in un luogo dove l’occhio prende il volo,
dove ogni salita è una conquista del cielo.
…non vi abbandono però…





































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