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Archive for marzo 2011

12-3-2011: Tutt@ davanti al C.I.E. di Ponte Galeria

9 marzo 2011 1 commento

12 Marzo, 2011 – 14:00
stazione Ostiense >> treno per Fiumicino >> fermata Fiera di Roma

LIBERTA PER TUTTE E TUTTI! CON O SENZA DOCUMENTI

È trascorso quasi un anno dall’ultimo presidio fuori dal lager di Ponte Galeria a Roma e da allora per le condizioni dei reclusi e delle recluse nulla è cambiato. All’interno del lager romano la gestione dalla croce rossa è stata ereditata dalla cooperativa Mondo Auxilium, per il resto i principi di reclusione, oppressione, violenza, terrore e privazione sono rimasti gli stessi. La repressione contro chi lotta per la chiusura di queste strutture di annientamento prosegue senza sosta, ma ciò ci porta solo e unicamente a continuare unite/i nella lotta.
Una stagione di rabbia e conflitti sta investendo il Mediterraneo e non solo. È quanto più importante in questo momento manifestare, con ogni mezzo, la nostra solidarietà ai reclusi e alle recluse, la nostra complicità con chi si ribella ovunque, a tutte le persone rastrellate e deportate.
La lotta contro il controllo, la repressione e le istituzioni “totali”, come i Cie, deve affermarsi con energia. Ribadiamo il nostro appoggio solidale ai reclusi e alle recluse del Cie di Ponte Galeria, come di tutti i lager della democrazia.
Riprendersi le strade, le piazze, affinché le vie, i muri e i quartieri parlino di solidarietà tra sfruttate/i e di odio verso chi arresta, rinchiude, opprime e tortura ogni giorno. Perché il nostro odio non si è placato, vogliamo tornare a esprimerlo sotto quelle mura.

Il 12 marzo torneremo a farlo davanti al Cie di Ponte Galeria
Appuntamento alle ore 14.00 alla stazione Ostiense per prendere insieme il treno
dalle ore 15.00: tutte e tutti davanti alle mura del Cie di Ponte Galeria
fermata “Nuova Fiera di Roma” del trenino Roma-Fiumicino

PER UN MONDO SENZA GABBIE, NÈ FRONTIERE
>> ascolta/scarica/diffondi lo spot contro i Cie <<

 

Egitto: maledetta Baltagheyya

9 marzo 2011 2 commenti

Ciò che è accaduto questo pomeriggio a piazza Tahrir e un po’ tutto quello che sta avvenendo da una decina di giorni a questa parte, palesa che son state prese alla leggera un po’ troppe cose dai giovani rivoltosi egiziani.

Foto di Valentina Perniciaro _il mio arrivo al Cairo con il paese in festa, febbraio 2011_

Le squadracce del regime, la Baltagheyya, che tanto spesso abbiamo nominato in questo blog per descrivere la situazione egiziana, stanno di nuovo passando all’attacco. Probabilmente anche questi improvvisi scontri confessionali, che hanno fatto dieci morti in due giorni, puzzano della loro mano: almeno a me, che ho visto con i miei occhi l’unione tra copti e islamici in questo inizio di rivoluzione in Egitto.
I copti hanno permesso ai Fratelli Musulmani di pregare tranquillamente in piazza durante le tre settimane di piazza Tahrir: loro cordonavano gli islamici piegati a recitare il Corano, loro con quelle piccole croci tatuate sui polsi. Tutti i volantini, tutti i manifesti, tutti i giornali e tutti i volti hanno parlato dal primo giorno di unione tra confessioni per un nuovo paese e la stavano e stanno costruendo con forza e determinazione.
Ora…piazza Tahrir attaccata dalle squadracce, come a gennaio; la manifestazione di ieri, otto marzo, di donne e per donne, finita nel peggiore dei modi; gli scontri confessionali che riappaiono improvvisi, anche alla luce di molte prove uscite sugli attacchi contro le chiese copte, mossi non da gruppi di fondamentalisti islamici ma direttamente dal vecchio ministero dell’Interno…

Foto di Valentina Perniciaro _uno dei simboli più diffusi a piazza Tahrir, l'unità tra musulmani e copti_

Piazza Tahrir, attaccata come dicevamo da queste maledette squadracce che stanno provando a fermare il mutamento in corso con i soli metodi che conoscono, è stata poi definitivamente sgomberata di tutti i manifestanti dall’esercito, che sembra averlo fatto senza usare forza e senza nemmeno reagire al fitto lancio di sassi di un gruppo di giovani che non voleva lasciare il luogo ormai simbolo di un popolo che cerca di liberarsi del regime e dei suoi scagnozzi.
Per qualche ora è circolata  la notizia che il coprifuoco era stato anticipato alle 21 in tutta wast al-balad, il quartiere dove si trova piazza Tahrir, notizia smentita poco fa dalla tv di stato.
La rivoluzione non è un pranzo di gala, diceva un tipo tempo fa… il popolo in lotta d’Egitto lo sta imparando sulla sua pelle giorno dopo giorno.
Il popolo di piazza Tahrir

A Pedro, Pietro Maria Greco, ucciso dallo Stato

9 marzo 2011 8 commenti

– Pietro Maria Walter Greco nasce a Mileto Porto (RC) il 4 marzo 1947
– si trasferisce in Veneto alla fine degli anni sessanta
– nel ’79 si trasferisce a Padova e si iscrive a statistica, dove si laurea
– lavora come insegnante di matematica in una scuola media di Padova
– viene inquisito e prosciolto per i Collettivi Politici Veneti nell’inchiesta contro l’autonomia veneta nella primavera ’80
– nel 1982 viene nuovamente inquisito
– va in esilio a Parigi
– viene ucciso dalla polizia a Trieste il 9 marzo 1985

[Pedro esce di casa, dall’appartamento al terzo piano; una volta giù decide di rientrare.
Appostati all’esterno ci sono 4 sicari dello Stato italiano. Sono Nunzio Maurizio Romano, agente del Sisde (che ha il compito di riconoscerlo); Giuseppe Guidi, viceispettore della Digos; Maurizio Bensa e Mario Passanisi, agenti della Digos di Trieste. Il Romano, il Guidi e il Passanisi entrano nello stabile e si mettono in agguato nel sottoscala.
Quando Pedro discende le scale il Romano gli si para davanti e spara due colpi calibro 38 a meno di mezzo metro di distanza che lo colpiscono ai polmoni. Immediato il fuoco incrociato degli altri due poliziotti killer che colpiscono Pedro con pallottole calibro 9 alla spalla e alla gamba. Nel piccolo atrio si conteranno successivamente i segni di almeno una dozzina di colpi.

Pedro fa appello per l’ultima volta alla sua straordinaria forza di volontà, uscendo in strada e impedendo così che tutto si svolga senza testimoni. Esce, ferito mortalmente, parecchi passanti lo sentono gridare “mi vogliono ammazzare mi vogliono ammazzare”. Il Bensa, rimasto all’esterno dello stabile, appena vede Pedro gli spara, alle spalle. Pedro si accascia sanguinante dopo pochi metri. Il Passanisi lo ammanetta.
Trasportato in ospedale con notevole ritardo, muore verso le 11.50] *non è tratta dal libro

Documenti prodotti da organizzazioni armate per la persone o per l’evento in cui ha incontrato la morte
– Franco Fortini, “A Mino Martinazzoli”, in Lettere da Lontano, L’Espresso 16 novembre 1986
“L’assoluzione -tale è la sentenza di Trieste- di chi ha ucciso Greco non è sorprendente; né l’indifferenza dei partiti politici, da quelli che difendono “la vita” a quelli non contrari al terrorismo in uniforme (tornava in Francia, emigrato politico; agenti in borghese vanno a prelevarlo; fugge, sparano, lo ammazzano. “Sembrava avere un’arma” dicono. Era disarmato. Due condanne a 8 mesi, condizionale e non iscrizione). Quando leggo di sentenze come quelle non penso ai criteri dei giudici ( lei, ex ministro di giustizia ne sa più di me). Prima di tutto perché dei fatti so solo quel che se ne lesse.
E poi perché ho paura e sto molto attento a non violare il Codice penale. (Quello della calunnia, non ho più l’età per temerlo).
Purtroppo o fortunatamente è vero però che i responsabili dei quali mi interesso – e dunque non delle uccisioni né della sentenza ma del loro significato – non sono coloro che hanno sparato né coloro che 2ne hanno benedette le mani con un sorriso”, come tanti anni fa ebbi a scrivere per l’uccisione di Serantini; sono i politici e i loro portavoce ossia i giornalisti e gli operatori della comunicazione che quei significati conferiscono o lasciano conferire. Lei, caro Martinazzoli, è di buone letture. Mi permetta di rammentarle due versi di Baudelaire. Il “tu” invocato è Satana ma, per un cristiano, potrebbe essere il Sommo Bene: “Tu che al proscritto dai lo sguardo calmo e nobile / che intorno a un patibolo danna un popolo intero”.
Non so se l’ucciso fosse colpevole alcunché; proscritto senza dubbia, se tornava da una sua emigrazione politica. Condannato a morte da alcuni specialisti fra dipendenti di due o tre ministri con i quali, fino a poco tempo fa, lei sedeva per il bene della Repubblica, Greco non era su un palco in attesa della lama o della corda.
Non aveva “le regarde calm et haut”. Gridava: “mi vogliono ammazzare, aiuto!”
Ma il popolo intero che la sua morte condanna e danna, quello sì, c’era. Mi basta scendere per la via per incontrarlo. E’ il nostro popolo, la gente che amiamo e stimiamo apparentemente inseparabile da quella che, forse insieme ai più, detesto, e , debbo pur dirlo, odio e vorrei veder ridotta non alla ragione (che è impossibile ormai) né al pentimento (che non è in mio potere) ma all’impotenza almeno. E’ il popolo che ascolta distratto o ignora cronache come quella di Trieste; e si danna così.
Non credo alla giustizia della storia, che è di invendicati. Né che l’accumulo di sopraffazioni, latrocini, corruttele, oppressioni dei deboli e beffe della giustizia, debba finire, prima o poi, col muovere le pietre e la gente. Tutt’altro. Chi non guarda più i telegiornali, se proprio non si trova sulla traiettoria dei proiettili della Digos, avrà altre cose cui pensare invece della intenzionale o preterintenzionale trasformazione, grazie a quei piombi, di un giovanotto in un fantoccio da obitorio.
Oggi, voglio dire, Nemesi sceglie vie invisibili, come nelle viscere del fall-out atomico. Il giusto ne è punito quanto il peccatore, a riprova che in ognuno dei due c’è una quota dell’altro. Lentamente, giorno dopo giorno, una impercettibile diminuzione dell’ossigeno morale annichilisce cellule, rabbercia circuiti vivari e precari. Come certe specie di anfibi adatti alle spelonche, che hanno ancora occhi ma senza uso o bisogno di vista, così intere generazioni possono convivere con una crescita di tossico storico negli alveoli. 
E’ quel che chiamiamo decadenza; di popolo o di continente: solo vera punizione attribuibile al Tribunale della Storia di cui parlò Hegel. Grazie a quest’ultimo, non dimentico che essa va di pari passo col suo contrario. Scopro, pieno di ammirazione, prove di vitalità, qualità, coraggio, severità di cui questa nazione è ricca e capace; e poi, quando tali forze positive siano, come oggi, offese e sprezzate, se ne cerchi allora al di là dei confini la amicizia vittoriosa… La “denuncia” di quella cosa che non oso neanche definire, dico la sentenza di Trieste, mi parrebbe stolta eloquenza senza seguito di azioni, foss’anche minime, com’è di scriverle questa lettera. Perché leri, caro Martinazzoli, ha poteri che io non ho. Mi creda, con ogni rispetto, suo Franco Fortini”.

(…) Cosa dire di un compagno per noi indispensabile?
Pedro lo ricordiamo sempre accanto a noi  dalle lotte degli universitari, a partire dal ’68, alle lotte in mensa come lavoratore dell’Opera, a quelle dei precari della scuola. Per questo, per la sua internità alle istituzioni di movimento, a quelle stesse lotte che ci hanno unito e che tuttora ci uniscono, Pedro ha subito varie inquisizioni da parte di Kaloegero (inquisizioni suffragate solo dalle parole dei pentiti, puntualmente crollate).
Ancora una volta in prima fila, al primo posto, pronto a pagare di persona, duramente, con ulteriori anni di latitanza, sospensione dal lavoro, riduzione del proprio reddito strappato con le unghie a questa società di merda, per creare migliore qualità della vita.
Pedro, 38 anni, Pedro accanto ai giovani del centro sociale “Nuvola rossa”, accanto a quella che era la sua classe di appartenenza, quella degli sfruttati, dei senza-casa, dei senza reddito, di chi non si lascia sconfiggere, di chi continua comunque a lottare.
Lo ricordiamo durante le lotte del censimento con noi proletari disoccupati, con noi per la solidarietà, per internità, perché Pedro era così. E così lo vogliamo vivere, nelle nostre lotte, non come un ricordo ma come una presenza sempre viva, in mezzo a noi, indispensabile fino in fondo, ricordando anche il suo sforzo estremo.
Ci piace immaginarlo così: che corre fuori dall’atrio di quel condominio-tomba di via Giulia a denunciare con voce forte, ancora una volta, purtroppo l’ultima per lui, che lo Stato uccide ma che questa volta non sarà possibile mistificare, non sarà possibile creare la montatura, il “mostro” (…)
Grazie compagno Pedro per quello che ci hai saputo dare, grazie compagno per la forza che ancora ci tiene vivi, incazzati e mai arresi, insieme a te e adesso anche per te.
A pugno chiuso compagno nostro, col sangue agli occhi, tu ci mancherai molto perchè tu sei per noi tutti uno degli indispensabili”.

-Claudio Latino, carcere Due Palazzi, 13 marzo 1985
“Parlare di Pedro, della sua vita, della sua figura di compagno a questo punto è struggente. Molti lo hanno conosciuto e ancora di più ne avranno sentito parlare. Senza retorica si può dire che pochi hanno la sua capacità di comunicare e socializzare, la sua carica e la sua determinazione, la sua intelligenza e la sua coerenza”.

Tratto da “Sguardi Ritrovati”, vol. 2 del Progetto Memoria. Edizione Sensibili alle Foglie
Qui le altre pagine di ricordo ai compagni…

La tortura in Egitto, ecco una sfilza di corpi

8 marzo 2011 Lascia un commento

Amnesty International dopo aver preso visione di queste immagini ha immediatamente avvertito e sollecitato le autorità egiziane perchè si avvii immediatamente un’indagine su scatti che mostrano decine di corpi di detenuti del carcere di al-Fayoum (nel deserto egiziano, ad un centinaio di kilometri da Il Cairo) apparentemente morti dopo tortura. I video sono stati girati tutti e tre nell’obitorio di Zenhoum l’8 febbraio di quest’anno, a rivoluzione in corso, da Malek Tamer, fratello di uno di quei corpi torturati e poi uccisi. Amnesty racconta dalle pagine del suo sito che Malek si era recato in obitorio perché avvertito da un amico, che aveva riconosciuto il fratello tra quei corpi, tutti con il nome attaccato sulla fronte con un pezzo di carta. Le immagini testimoniano, attraverso le ferite presenti sui cadaveri, delle torture subite prima di essere uccisi ed ora le autorità egiziane dovranno aprire un’inchiesta per stabilire le circostanze della morte di tutti e 68.
Questo numero è quello riportato nella lista presente nell’obitorio di Al-Fayoum, uno dei penitenziari più grandi del paese. La maggior parte delle ferite visibili sono su testa, bocca ed occhi, alcuni hanno bruciature o colpi di arma da fuoco ed alcuni le dita delle mani amputate e quelle dei piedi prive di unghie..

Malek Tamer, all’interno dell’obitorio era con Mohamed Ibrahim Eldesouy, il cui fratello è stato ritrovato lì: entrambi sono stati visti l’ultima volta il 30 gennaio, quando sono stati trattenuti dall’esercito in stato. La comunicazione data alle famiglie era per entrambi la stessa: avrete informazioni sul luogo di detenzione del vostro familiare entro due giorni presso il dipartimento penitenziario gestito dal ministero dell’interno. Una settimana dopo eccoli spuntare morti all’obitorio: il certificato di morte parla di soffocamento per uno e di cause da accertare per l’altro.
Delle quasi ventiduemila persone evase o fuggite durante i giorni della rivoluzione, più della metà sarebbe stato riarrestato o si sarebbe ricostituito, stando alle notizie di Amnesty International

 

Rispunta il dossier Verbano!

8 marzo 2011 9 commenti

Liberazione descrive le carte di Verbano riapparse da un archivio dei carabinieri. Si tratta di una parte del materiale sequestrato nell’abitazione di Valerio il 20 aprile di 31 anni fa. Prima scomparso dall’ufficio corpi di reato del tribunale di Roma, poi ritrasmesso in copia fotostatica dalla digos al giudice che indagava sul suo omicidio, infine definitivamente inviato al macero nel 1987. Quasi 400 pagine, tra cui l’agenda rossa del 1977 e la rubrica con i nomi dei militanti neofascisti. Il legale di Carla Verbano invoca trasparenza e chiede copia del dossier alla procura

di Giorgio Ferri e Nicola Macò , Liberazione 8 marzo 2011

Ci sono i voti del semestre appena concluso, l’orario delle lezioni, il testo della canzone di De André, Il bombarolo, e poi in stampatello sul frontespizio: «Portare l’attacco al cuore dello Stato», con una falce e martello e un mitra sovrapposti e sotto la sigla Ccr, collettivo comunista rivoluzionario quarta zona, composto dagli studenti del liceo scientifico Archimede. E’ la copia fotostatica dell’agenda rossa 1977, edita dalla Savelli, appartenente a Valerio Verbano, allora studente appena sedicenne, riemersa da un buio lungo 31 anni. Ai lati dei fogli la firma di Rina Zapelli, nome da ragazza di Carla Verbano, madre di Valerio, apposta al momento del sequestro la sera del 20 aprile 1979.

L’inchiesta sui fascisti
Tra le pagine che abbiamo potuto consultare, poco meno della metà dei 379 fogli che sembrano comporre quanto resta del “dossier Verbano”, ci sono anche 41 fogli di una rubrica nei quali sono riportati circa 900 nomi di attivisti di estrema destra corredati da indirizzi e in alcuni casi con numero di telefono. Redatti tutti con la grafia di Verbano. Altri 16 fogli, trascritti da più mani, riportano appunti, minute di schede, appartenenza politica, piantine e altre informazioni, come alcuni luoghi di ritrovo dell’estrema destra. Carla Verbano vi ha già riconosciuto quella di un amico di Valerio deceduto nel frattempo. Un accurato lavoro di mappatura delle diverse realtà del neofascismo romano dove lucide intuizioni e scoperte anzitempo si sommano anche ad imprecisioni e approssimazioni notevoli. Alcune schede collimano solo in parte con quelle riportate nel recente libro di Valerio Lazzaretti, Valerio Verbano, ucciso da chi, come e perché, Odradek 2011. Questa circostanza conferma quanto ricordato nei giorni scorsi da Carla Verbano sulla esistenza di più versioni del dossier, «realizzato da Valerio insieme ad altri sei o sette amici». La riprova sta proprio nel libro di Lazzaretti che riporta uno schedario con circa 1200 nomi aggiornato ad un periodo successivo alla morte di Verbano. Nel dossier “riapparso” in una scheda numerata “002” si legge che Pierluigi Bragaglia, ex militante del Fdg divenuto «gregario delle strutture collaterali dei Nar», ha 18 anni, mentre nel documento citato da Lazzaretti gli anni salgono a 20 e il testo della scheda, seppure quasi identico, vede l’ordine delle frasi spostato a conferma del fatto che le informazioni salienti contenute nel “dossier” erano patrimonio di un’area più larga che le ha conservate ed aggiornate nel tempo.
E’ azzardato trarre delle conclusioni sulla base di una visione troppo parziale della carte riemerse – secondo quanto sostenuto dal Corriere della sera – da un archivio dei carabinieri a cui la procura ha recentemente attribuito la delega per le nuove indagini sull’omicidio. L’avvocato Flavio Rossi Albertini, legale di Carla Verbano, si è già rivolto ai pm per avere copia del “dossier”. Le carte di Verbano rivestono ormai una valenza storica ancor prima che giudiziaria. Il buco nero che per lunghi decenni ha inghiottito le sue agende, rubriche e foto, consigliano oggi un dovere di trasparenza assoluta, tanto più che eventuali sviluppi dell’inchiesta si attendono dall’esame tecnico di altri reperti.


Gli elenchi distrutti

Quello che si legge nel verbale di sequestro del materiale trovato dalla digos nella stanza di Valerio Verbano è un lungo elenco: l’agenda rossa che fu il suo diario personale nel 1977, quaderni, decine di fogli sparsi, fotocopie, ritagli di giornali, fotografie e una pistola. In tutto, ben diciotto schedari pieni di documenti e altri sei di foto. Dopo il sequestro, cominciano le ‘stranezze’. Tutto il materiale – spiega Marco Capoccetti Boccia nel suo, Valerio Verbano, una ferita ancora aperta, Castelvecchi 2011 – sarà tenuto in custodia dalla digos per una settimana prima di essere consegnato all’ufficio corpi di reato del tribunale di Roma per essere repertato e messo a disposizione del fascicolo processuale «Verbano + 4». Pochi giorni dopo la morte di Valerio i legali della famiglia ne chiedono la restituzione. Si scopre così che l’originale del cosiddetto “dossier” non è più al suo posto; è praticamente sparito. Il 27 febbraio 1980 il giudice istruttore Claudio D’Angelo, che si occupa dell’omicidio di Valerio, constatata la scomparsa del dossier dall’ufficio corpi di reato riceve dalla digos una «copia fotostatica della documentazione sequestrata nell’abitazione di Verbano Valerio». Se ne evince che si tratta ancora di una copia integrale ma Carla Verbano, che all’epoca poté visionare le carte, sostiene che il materiale inviato dalla digos era «dimezzato» rispetto all’originale. Nell’ottobre 1980, il giudice istruttore nega alla famiglia la restituzione delle carte sequestrate, ormai presenti solo in copia, perché ancora sottoposte a segreto istruttorio. Quattro anni dopo, l’11 aprile 1984, la corte d’appello che aveva giudicato Valerio ordina la distruzione dei reperti, comprese le carte e le foto, nonostante queste fossero state nuovamente repertate nell’inchiesta aperta per il suo omicidio. In realtà, come documenta Capoccetti, l’effettiva distruzione della copia fotostatica inviata dalla digos avverrà solo il 7 luglio 1987. Da quel momento non c’è più traccia del dossier negli atti giudiziari. Per ritrovarne copia Capoccetti ha scritto anche alla digos, ricevendo lo scorso luglio un’evasiva risposta che tra le righe non smentisce affatto l’attuale possesso di copia del «materiale oggetto di sequestro». Documentazione che all’improvviso è riapparsa in mano ai carabinieri dopo la recente riapertura dell’inchiesta. Si è detto anche che il dossier sarebbe passato nelle mani del giudice Amato, ucciso mentre conduceva un’inchiesta contro Nar e Terza posizione, ma sempre secondo quanto accertato da Capoccetti non c’è alcuna traccia di protocollo che ne dia conferma. Questo trasmigrare, sparire e ricomparire, dimagrire, per infine esser distrutto e poi riapparire in copia fotostatica dove nessuno se lo aspetta, è senza dubbio una delle circostanze più sconcertanti di tutta la vicenda.

L’agenda rossa del 1977
Siamo entrati nelle pagine del diario di Valerio del 1977 con un sentimento di pudore. Ci sembrava di violare la sua intimità, i suoi segreti, quelli di un adolescente cresciuto in fretta. In quegli anni si diventava adulti presto travolti dalla forza di una corrente che insegnava come fosse possibile cambiare il mondo. Valerio surfava veloce su quell’onda di rivolta che non conosceva rassegnazione. Il suo era un coinvolgimento totale: almeno quattro riunioni politiche a settimana, tra collettivi, comitato e assemblee, non solo all’Archimede ma anche all’università. Annotava le manifestazioni e gli scontri del periodo, le ricorrenze, l’uccisione dei militanti di sinistra, da Francesco Lorusso ad Antonio Lo Muscio e Walter Rossi, insieme ai compiti in classe, i pomeriggi al muretto con gli amici, gli incontri con le ragazze e anche un  «abbiamo giocato a nascondino» che fa sorridere. Tanti gli slogan, roventi come la temperatura al suolo dell’epoca, ma anche una battuta del tipo: «Atac: associazione telline aspiranti cozze». Meglio non prendersi troppo sul serio. Il 4 marzo annota: «Mancia ripassa a scuola». Angelo Mancia, conosciuto come Manciokan, fattorino del Secolo d’Italia, era un noto picchiatore del quartiere. Venne ucciso per rappresaglia dalla Volante rossa poche settimane dopo la morte di Valerio, anche se con il suo assassinio non c’entrava nulla. Il 12 marzo sono appuntati gli scontri durante la manifestazione nazionale per l’uccisione da parte di un carabiniere di Francesco Lorusso e, qualche giorno dopo, il 15, la discussione nel collettivo «sui fatti di sabato e le baiaffe». Facevano discutere le pistole apparse durante il corteo e l’armeria presa d’assalto il sabato precedente. Il 22 settembre Valerio annota la partenza per Bologna dove partecipa, fino al 25, al convegno nazionale contro la repressione. Dormirà a casa di una zia accompagnato dalla madre, ci racconta Capoccetti. Il 15 novembre si legge «Vado all’Archimede, vengo aggredito». Quasi un presagio.

 

Tunisia: sciolta la polizia politica

7 marzo 2011 Lascia un commento

Era una delle richieste da sempre e subito avanzata dal Fronte 14 gennaio, quello che dal primo giorno ha guidato -autorganizzandosi- le proteste tunisine che hanno portato alla caduta del regime di Ben Ali: sciogliere la polizia politica, che per anni ha abusato del suo potere tenendo sotto scacco tutti i militanti e gli attivisti del paese. Sciolta. Non esiste più.

Il premier del governo provvisorio instaurato in attesa delle elezioni previste per il 24 luglio prossimo, Beji Caied Essebsi ha fatto pronunciare al suo ministro dell’Interno un discorso più che chiaro che annuncia alcune misure che mirano alla “rottura definitiva con ogni forma di organizzazione simile alla polizia politica, sia a livello di struttura che di mandati e prassi.” Allo stesso modo è stato eliminata la direzione della sicurezza di Stato (!) e l’impegno del nuovo ministero è di rispettare la libertà e i diritti civili. «Queste misure – continua il comunicato del ministero dell’interno tunisino – sono in simbiosi con i valori della rivoluzione, nella preoccupazione di rispettare la legge, nel testo e nella pratica, e in ossequio al clima di fiducia e di trasparenza nei rapporti fra i servizi di sicurezza e il cittadino». Le misure – conclude la nota – «si iscrivono nella volontà di proseguire nell’azione già imbastita per contribuire alla realizzazione dei valori della democrazia, della dignità e della libertà».

 

Le emissione dell’Ilva di Taranto

7 marzo 2011 Lascia un commento


E’ dalle immagini riprese dal noto ambientalista Fabio Matacchiera che abbiamo la conferma definitiva di quel che causa l’impianto industriale dell’Ilva di Taranto. Dalle pagine de Il Mattino la notizia ha avuto eco, ma il video su youtube era stato già lanciato da decine di utenti su facebook e i social network più usati. Il Gruppo Riva oltretutto, ha querelato Matacchiera per le parole usate durante le immagini (solo pochi mesi fa aveva pubblicato un altro video simile), ma lui non si dice preoccupato, visto la quantità di materiale raccolto sulla nocività delle polveri e dei fumi dell’Ilva.
«Sempre più operai mi riferiscono di storie vissute all’interno della fabbrica che riguardano problemi ambientali. Loro hanno a cuore il proprio lavoro, ma sentono un certo disagio e lo trasmettono. Perché hanno una forte sensibilità, ma è difficile ascoltare la loro voce. Ho ricevuto alcune segnalazioni dai lavoratori. Nella notte tra il 3 e il 4 marzo – spiega – è stato riattivata la linea “D” dell’agglomerato che sarebbe stata ferma alcuni giorni per manutenzione. Alle 23,30 mi sono appostato e grazie alla tecnologia ad infrarossi, con una speciale telecamera di tipologia militare, abbiamo ripreso l’a re a dall’esterno. Puntavamo a dimostrare che gli impianti di abbattimento fumi dell’Ilva di Taranto non sarebbero sufficienti a contenere le emissioni, specie durante la notte. Le segnalazioni arrivano. Gli operai, ripeto, vogliono difendere l’ambiente e la loro salute».

Il bello è  che solo dieci giorni fa s’è riunito un tavolo tecnico presso il ministero dell’Ambiente proprio puntato alla sperimentazione e alla realizzazione di impianti capaci di ridurre drasticamente le emissioni di diossine dall’acciaieria di Taranto: soprattutto la garanzia di controlli continui.
Abbiamo visto

L’Egitto e le frustrazioni della stampa israeliana

7 marzo 2011 3 commenti

Le frustrazioni accumulate dalla stampa israeliana in questi giorni sono innumerevoli e divertenti: l’editoriale uscito questa mattina su Hareetz, quotidiano di Tel Aviv a firma di Amira Hass è emblematico a riguardo e lo si legge con una certa “simpatia”.
Stiamo parlando di Amira Hass poi, residente a Ramallah da molti anni, inviata israeliana nei territori occupati che più di una volta -se non sempre- ha mosso penna contro l’esercito dalla stella di Davide, quello del suo paese. Ora Amira scrive, o tenta di farlo, dalle strade de Il Cairo protagoniste di una rivolta che ha accolto tutti i media internazionali, ma non lei a quanto pare.
Le risposte che riferisce nel suo editoriale sono emblematiche del rapporto che c’è tra il giovane popolo rivoluzionario di piazza Tahrir e l’ “entità sionista”, in qualunque forma si presenti: c’è chi ha rifiutato l’incontro a prescindere, ci racconta la giornalista, perchè incontrare un cittadino dello stato di Israele avrebbe significato riconoscerne l’esistenza, di quello Stato.
Ci racconta sconcertata della sua faticosa ricerca di un interlocutore e ci tiene a specificare che non sono stati gli appartenenti ai Fratelli Musulmani a rifiutare gli incontri, ma esponenti di diverse organizzazioni anche appena nate, che spesso rimanevano anche sorpresi della richiesta di un incontro [“scusi signora, niente di personale ma non tengo rapporti con l’entità sionista”].
Tra questi anche esponenti delle organizzazioni di lavoratori che hanno scioperato nei giorni della rivolta e non stanno smettendo di farlo.

Amira, con tutto l’infinito rispetto per il tuo lavoro…ma che t’aspettavi??

Egitto: finalmente si assalta la polizia segreta e i corpi di sicurezza dello stato! Yalla!

6 marzo 2011 1 commento

Al-jazeera ci racconta passo passo, rincorrendo gli eventi, quello che sta accadendo per le strade d’Egitto da ieri sera.
Dicevo appena l’altro giorno come “la pulizia” sia lenta in questa rivoluzione egiziana, ma da ieri sembra aver accelerato i tempi.
Migliaia di persone stanno assaltando diverse sedi, al Cairo come in altre città del paese, numerose sedi dell’ Amn el-Dawla, corpo della Sicurezza dello Stato, la polizia segreta e quella investigativa. Quella che chiamiamo, come il popolo egiziano, la Baltagheyya: le squadracce di Mubarak che in questi trent’anni di regime hanno monitorato, controllato, rinchiuso, torturato e ucciso.

Foto di Valentina Perniciaro _Il Cairo, piazza Tahrir e i suoi martiri_

Quello che sembra avvenga in queste ultime ore in queste sedi è un “doppio” attacco: da una parte i manifestanti che assaltano per rabbia le sedi dei loro aguzzini, dall’altra anche il tentativo di bloccare tutti quei poliziotti che qua e là stavano tentando di far sparire col fuoco molta documentazione compromettente sui loro abusi, perpetrati per decenni ( ci sono stati arresti decennali mai notificati alle famiglie, torture, morti mai segnalate, sparizioni …molte cose legittimate dalle leggi speciali, prima cosa che il nuovo popolo d’Egitto ha chiesto di abbattere!)
L’emittente al-jazeera, attraverso le parole di Lubna Darwish, attivista e testimone degli ultimi eventi, ci racconta quello che sta accadendo nel quartiere di Nasr City, nel nord della capitale, dove sono stati assaltati sei palazzi, incluso il quartier generale dei servizi segreti.
“In ogni ufficio abbiamo trovato centinaia di fogli e fascicoli strappati e pronti al macero; allo stesso tempo nel perlustrare gli edifici abbiamo trovato un piano sotterraneo contenente

Foto di Valentina Perniciaro _Il Cairo e le fiamme allo Stato_

venti celle di sicurezza.
Sullo stesso piano abbiamo trovato uno stanzone contenente faldoni e documentazione su praticamente tutti gli attivisti del paese. Sono stati in molti a trovare la propria foto.”
Tutte le notizie confermano che l’esercito ha provato a bloccare i manifestanti ma non ha mai usato la forza: in un episodio hanno salvato un ufficiale della Sicurezza di stato che era stato preso dalla folla infuriata e che è stato chiuso all’interno di un tank per evitare un linciaggio.
Sono molti i manifestanti a dichiarare che malgrado la vittoria schiacciante del popolo di piazza Tahrir contro Mubarak e le sue squadracce, gli uffici della polizia investigativa e dei servizi segreti funzionavano ancora a pieno regime: un’altra pagina della rivoluzione -necessaria- è iniziata solo ieri.

Nel frattempo, in nottata, è stato nominato come nuovo ministro degli Interni il generale Mansur al-Essawy. Ha preso il posto di Mahmud Wagdy, di cui tutti chiedevano le dimissioni, designato da Mubarak già durante i giorni di rivolta, nel rimpasto tentato sotto pressione della piazza per cercare di rimanere al potere.

Altre notizie e racconti dal popolo di Piazza Tahrir: QUI

Dibattito pubblico: Libertà per tutti e tutte, con o senza documenti

6 marzo 2011 Lascia un commento

6 Marzo, 2011 – 17:00
occupazione di via del casale de merode, 8

R.A.P. gruppo inchiesta, Radio OndaRossa, Rete no-Cie e occupanti di Casale de Merode
invitano tutte e tutti coloro che vogliono un mondo senza gabbie né frontiere
a partecipare a un dibattito pubblico sui Cie
DOMENICA 6 MARZO 2011
all’occupazione abitativa di via del Casale de Merode, 8 (Tormarancia)
– dalle ore 17.00:

dibattito pubblicolibertà per tutte e tutti! con o senza documenti!
per scambiarci informazioni ed esperienze sulle lotte contro i Cie e le deportazioni forzate,
sulle strategie di resistenza e sulle forme di autorganizzazione

mostre fotografiche sui Cie e sulle insurrezioni in corso nel Maghreb, materiali informativi, Nella tua città c’è un lager (bollettino bisettimanale sulle vicende che si susseguono nei cie), Scarceranda (l’agenda di Radio OndaRossa contro ogni carcere, giorno dopo giorno)

– a seguire:
cena con tutti i sapori del mondo

il ricavato della cena servirà ad acquistare delle radioline portatili da consegnare alle recluse e ai reclusi durante il prossimo presidio solidale del 12 marzo davanti al Cie di Ponte Galeria perchè ascoltare una radio è un modo per mantenere un contatto con l’esterno

PORTA UNA RADIOLINA A PONTE GALERIA!
contribuisci anche tu a rompere il muro del silenzio e dell’isolamento!

>> VERSO IL 12 MARZO <<
per un mondo senza gabbie né frontiere! chiudere tutti i Cie!

>> ASCOLTA LO SPOT DELLE DUE INIZIATIVE <<
>> ascolta/scarica/diffondi lo spot contro i Cie<<

Egitto: piccolo approfondimento su Radio Onda Rossa

5 marzo 2011 Lascia un commento

Con qualche giorno di ritardo riesco a pubblicare il link della trasmissione radiofonica fatta mercoledì mattina dai microfoni di Radio Onda Rossa.
Precedente alle dimissioni del premier Shaqif, è attualmente un po’ “vecchia” vista la velocità con cui corrono le vicende della rivoluzione egiziana…
si parla anche di lotta di classe, di province più lontane dalla capitale e dalla piazza simbolo di questo nuovo Egitto.
Buon ascolto
e ascoltatela sempre Radio Onda Rossa!

QUI INVECE LE PAGINE DEL BLOG SULLA RIVOLUZIONE EGIZIANA

Foto di Valentina Perniciaro _Il Cairo, piazza Tahrir e i suoi colori_

Altra vittoria per Piazza Tahrir

4 marzo 2011 2 commenti

Venerdì … l’ennesimo in piazza.

Foto di Valentina Perniciaro _Mahalla al-kubra e i volti del nuovo Egitto_

Il Cairo oggi si ritroverà invaso da centinaia di migliaia di persone appartenenti a quel movimento e a quella nuova classe politica che sta ribaltando, passo dopo passo, l’ordine costituito egiziano. Ieri c’è stata un’altra vittoria: il primo ministro incaricato ad arrivare alle nuove elezioni, Ahmed Shaqif (ex generale dell’aviazione e uomo di fiducia di Mubarak), ha presentato ieri le sue dimissioni richieste a gran voce da tutti i manifestanti. Momentaneamente è stato incaricato, dal Consiglio supremo delle forze armate egiziano, Essam Sharaf, docente universitario che in passato fu ministro dei Trasporti (poi rinunciò all’incarico) e che ha vissuto piazza Tahrir durante i giorni della rivoluzione.
Insomma, è un uomo che non dispiace alla coalizione dei giovani che porta avanti la lotta e le rivendicazioni di piazza Tahrir. La prima richiesta che gli viene fatta, oggi, è di andare a prestare giuramento nel luogo ora più importante per la vita politica egiziana: la piazza.

Anche questo venerdi, a due di distanza da quello vissuto con voi, avrò il cuore tra quelle strade, in questo ’68 egiziano che sta crescendo e cogliendo i primi frutti. C’è voglia di protagonismo e riappropriazione: c’è il desiderio chiaro di ridistribuire i miliardi rubati dalla classe politica corrotta e di ridistribuirli in servizi, case, istruzione. C’è voglia di cancellare la storia egiziana di Saadat e Mubarak, di tornare alle nazionalizzazioni nasseriane, di alzare i salari e dare diritti a tutti i lavoratori. La Coalizione dei giovani della rivoluzione ridiscuterà della gestione dei confini (!!!) e degli accordi di Camp David… insomma, tutto è da fare e i nuovi movimenti giovanili che stanno venendo alla luce sembrano ogni giorno di più voler prendere una strada opposta al neoliberismo, come in Tunisia.
Questa mattina, corteo per il diritto alla casa, nella periferia de Il Cairo, nei distretti di al-Nahda e al-Salam.
Je vous adore !
VI CONSIGLIO QUEST’ARTICOLO!

AGGIORNAMENTO, ORE 13: mezzora fa, alle 13.30 locali, il neo premier egiziano Essam Sharaf si è unito ai manifestanti presenti in un milione in piazza Tahrir, proprio come da loro era stato chiesto. “Sono in questa piazza perchè la legittimità mi viene da voi, dal popolo di piazza Tahrir.
Voi avete fatto una grande cosa con la vostra rivoluzione, ma ora è giunto il momento di ricostruire l’Egitto.
Avete compiuto il Jihad (“lo sforzo”) più piccolo – ha detto alla piazza straripante – ora vi aspetta quello più grande che è ricostruire il paese.
Il mio primo messaggio una volta arrivato qui è di saluto per i martiri e i feriti di questa rivoluzione, dobbiamo continuare la nostra lotta basandoci sulla volontà e la determinazione che abbiamo avuto qui a piazza Tahrir».

Commissione internazionale di inchiesta sulla morte di Ulrike Meinhof: 3° parte

3 marzo 2011 3 commenti

Questo blog ha dedicato spesso dello spazio ad Ulrike Meinhof e alla storia della RAF.
Da secoli dovevo proseguire con il rendere fruibile alla rete, le altre parti del Rapporto della Commissione internazionale di Inchiesta sulla morte di Ulrike Meinhof, così maledettamente identica a quella dei suoi compagni.
Vi lascio i link delle precedenti pagine, comunicandovi che proseguiremo con l’analisi degli accessi al piano delle celle e dei reparti presenti nell’Istituto di pena in quella nottata…
PRIMA PARTE COMMISSIONE INCHIESTA con riferimento alle condizioni di detenzione
SECONDA PARTE COMMISSIONE INCHIESTA e perizie mediche

Inchiesta criminologica

Le perizie mediche, conseguenti all’autopsia del corpo di Ulrike Meinhof, dimostrano che gli elementi a disposizione assolutamente non provano -come pretende la tesi ufficiale- che si tratti di un suicidio per tipica impiccagione. L’ipotesi del suicidio, al contrario, rivela contraddizioni insolubili che si ripetono anche nell’inchiesta criminologica e che il governo e la giustizia, da parte loro, non sono evidentemente in grado di spiegare.
Proprio queste contraddizioni rafforzano il sospetto dell’intervento di terzi.
Oltre alle contraddizioni riscontrate dal dott. Meyer nei suoi accertamenti e confermate dai detenuti di Stammheim (posizione del cadavere, genere dell’oggetto servito allo strangolamento etc..), debbono essere inclusi nell’inchiesta i seguenti dati:

A. L’ASCIUGAMANO E L’OGGETTO TAGLIENTE

La striscia ritagliata da un asciugamano, adoperato per lo strangolamento, non poteva essere fissata alla rete della finestra senza un adeguato strumento ausiliare. “La rete metallica ha quadrati di mm 9×9: senza uno strumento adeguato -una piccola pinza, ad esempio- è impossibile far passare una striscia tale nella maglia della rete e reintrodurla in un’altra maglia tirandola verso l’interno. Una pinza del genere non è stata trovata. Ogni altro mezzo (cucchiaio, forchetta…) è inutilizzabile per una simile operazione poiché le maglie sono troppo piccole” ( dichiarazione dei detenuti di Stammheim)  […]

B. SEDIA / MATERASSO

Per quanto riguarda la posizione del corpo, esistono versioni che si escludono reciprocamente.

  • Scheritmuller (funzionario della prigione): “Non c’era sgabello. Non ho visto sedie”
  • Henck (medico della prigione) : “I piedi erano a 20 cm dal suolo”
  • I funzionari di polizia non citano mai sedia o materasso
  • La sedia appare per la prima volta in Rauschke, nel suo rapporto di medicina legale e nel rapporto della polizia criminale. Rauschke parla di un materasso; la polizia criminale di un materasso e parecchie coperte. Nel rapporto destinato a Jansenn, Rauschke non parla del materasso; in tal modo Jansenn è costretto a partire da indicazioni inesatte
  • “Una sedia posta su una base così instabile si sarebbe immediatamente rovesciata per gli sgambettamenti – di cui si è parlato- che sarebbero stati così forti da provocare le ferite, numerose e profonde, che sono state accertate alle gambe” (dichiarazione dei prigionieri)

C. COPERTA

“Ulrike Meinhof ha sempre dormito con una coperta di pelo di cammello che portava, ricamato, il nome di Andreas Baader. Questa coperta mancava al momento in cui furono consegnati gli effetti personali all’esecutore testamentario. La coperta era ancora nel carcere poco tempo prima. Non è citata nella lista di oggetti presi in consegna dai funzionari della Sicurezza di Stato. Dal registro dell’Istituto di pena risulta che la coperta è stata registrata e quando. Una coperta non poteva lasciare la prigione” [documenti dell’IVK]

D. LAMPADINA ELETTRICA

“Ho aperto ieri sera, alle 22, secondo il regolamento vigente nell’istituto di pena di Stammheim, la cella della signora Ensslin e quella della signora Meinhof, per farmi consegnare, come ogni sera, i tubi al neon e le lampadine elettriche delle celle”. Ecco quanto dichiarava una guardiana ausiliaria, la signora Frede, nel corso del primo interrogatorio della polizia criminale il 9 maggio 1976.
Tuttavia, nel corso dell’inventario ufficiale, il 10 maggio, una lampadina elettrica che recava impronte digitali e che si trovava nella lampada da scrittoio è stata requisita e inviata all’istituto tecnico di criminologia dell’Ufficio federale della polizia criminale. L’istituto rende noti i risultati della perizia dattiloscopica: “Le tracce dattiloscopiche che si trovavano sulla parte esterna della lampadina, rese già visibili dalla polvere nera, sono state fotografate, qui, più di una volta. In ogni caso, si tratta di frammenti di impronte digitali che sono inutilizzabili a scopo di identificazione. Il confronto di questi frammenti con le impronte di Ulrike Meinhof, nata a Oldenburg il 7.10.34, non ha permesso di rilevare alcuna somiglianza.

E. VESTITI

Scaturisce dai verbali, come dalle dichiarazioni di Gudrun Ensslin, che Ulrike indossava la sera dell’8 maggio un jeans slavato e una camicetta rossa. Alla scoperta del cadavere, portava un pantalone di velluto nero e una camicetta di cotone grigia a maniche lunghe. Rimangono dunque due interrogativi: 1. Perchè qualcuno che vuole impiccarsi si cambia d’abito? 2. Perchè la polizia criminale e la Procura non hanno chiesto dove si trovavano i vestiti indossati dalla Meinhof la sera dell’8 maggio? [ Jurgen Saupe, settembre ’76]

F. CONTRADDIZIONI NELLE DEPOSIZIONI Di RENATE FREDE

Durante la sua prima deposizione dinanzi alla Polizia criminale, la guardiana ausiliaria Frede dichiara di aver aperto la porta della cella della Meinhof per farsi consegnare le lampadine elettriche. Senza darne spiegazione, la procura l’ascolta una seconda volta l’11 maggio. La Frede dichiara: “Nel corso della mia prima deposizione, ho dichiarato per errore che avevo aperto la porta della cella della Meinhof; non è del tutto esatto. Non ho aperto la porta della cella, ma lo sportello attraverso il quale vengono passati i pasti. In quel momento, anche i funzionari Walz e Egenberger erano presenti. Lo sportello è chiuso da un catenaccio”.

 

 

    Al C.I.E. di Gradisca ora è vietato fumare

    2 marzo 2011 Lascia un commento

    La situazione all'interno del C.I.E. di Gradisca dopo la rivolta dei giorni scorsi (Altre foto su http://fortresseurope.blogspot.com)

    La conferma è arrivata direttamente da Federica Seganti, assessore alla Sicurezza del Friuli Venezia Giulia: i reclusi di Gradisca non potranno più fumare. Questo per “evitare nuove rivolte” e non dare più la possibilità ai prigionieri di dar fuoco ai materassi.  Stanno fuori di testa.
    Evitare nuove rivolte togliendo anche la possibilità di fumarsi una sigaretta?
    DA MACERIE:
    Dopo la rivolta dell’altra sera, i reclusi dell’area bianca di corso Brunelleschi a Torino sono entrati in sciopero della fame. Tutto ieri non hanno mangiato, e per protesta hanno messo le coperte e i materassi fuori dalle stanze. Anche oggi si sono rifiutati di toccare cibo. A loro si sono aggiunti anche i reclusi di un’altra sezione del Centro. Secondo i calcoli che provengono da dentro, ad attuare questa forma di protesta sarebbero una settantina. Dall’altra sera, poi, è sempre più difficile fumarsi una sigaretta dentro al Centro. Già, perché ora i militari di guardia si rifiutano di farli accendere e allora i reclusi sono costretti ad aspettare i crocerossini. Inutile dire quanto nervosismo crei questa ripicca dei militari. Mai quanto a Gradisca dove, dalle voci che arrivano, ai reclusi stipati negli stanzoni è semplicemente vietato fumare.

    
    								

    Amnistia in Tunisia

    2 marzo 2011 Lascia un commento

    E’ quello che chiede a gran voce anche tutto il popolo egiziano! Fuori tutti, liberi tutti!
    Oggi la Tunisia, attraverso la voce dell’avvocato Samir Ben Amor (attivista dell’Associazione internazionale per il sostegno dei prigionieri politici):
    «Gli ultimi prigionieri politici in Tunisia sono stati liberati oggi» ha detto , aggiungendo che «in totale, a partire da lunedì sera, sono 800 i prigionieri politici liberati in gruppi e tra i 300 e 400 sono stati liberati oggi». L’amnistia generale decretata il 20 gennaio scorso dal governo provvisorio, sei giorni dopo la caduta di Ben Ali, è entrata in vigore in questi giorni. «Restano tuttavia una decina di detenuti, condannati per terrorismo durante il regime – ha detto ancora Ben Amor – sui quali continueremo ad insistere con le autorità».
    E poi ci ostiniamo a voler dire che questi due popoli non voglion fare la rivoluzione! Mi sembra che ce la stanno mettendo tutta: intanto aprendo le gabbie delle proprie prigioni. In Egitto, durante i giorni di rivolta, si sono contati circa 17.000 detenuti evasi, ed ora tutte le piazze e le organizzazioni chiedono la liberazione di TUTTI i prigionieri politici ancora privati della propria libertà.

    L’Egitto e la lotta di classe…

    1 marzo 2011 1 commento

    Foto di Valentina Perniciaro _Tank e macerie, a pochi passi dalla residenza dell'ex rais Hosni Mubarak, Il Cairo, febbraio 2011_

    La lotta in Egitto non si vuole fermare, tantomeno quella della classe operaia e contadina, che non vuole più sottostare a certe regole e dinamiche di sfruttamento.
    Oggi più di un migliaio di lavoratori delle industrie chimiche e farmaceutiche , con sede a Shubra, hanno scioperato e manifestato con un lungo sit-in. Quella fabbrica dal 27 febbraio ha incrociato le braccia, quando la proposta di 3 giorni di “vacanza premio” ha irritato i lavoratori, che l’hanno giustamente vista con un becero tentativo di bloccare le proteste di queste ultime settimane. Chiedono le dimissioni di tutti coloro indagati per corruzione tra i dirigenti dell’azienda, chiedono forme contrattuali a tempo indeterminato e un aumento dei salari.
    Contemporaneamente, più di tre centinaia di lavoratori della Samuel Tex, che produce biancheria, hanno annunciato uno sciopero per richiedere il pagamento dei salari, l’aumento degli stessi, un contratto a tempo indeterminato e una turnazione più umana. Il loro padrone, Samuel Louis, ha imposto turni di 12 ore giornaliere e un contratto per cui possono essere licenziati arbitrariamente in qualunque momento.

    Insomma, la “rivoluzione egiziana”, come tento di urlare quasi svociandomi da settimane, non è solo piazza Tahrir.

    Foto di Valentina Perniciaro _Il Cairo, e i suoi cimiteri abitati_

    Non è solo l’enorme movimento di giovani che ha deciso di riappropriarsi delle strade per chiedere e strappare al potere libertà politiche e sociali: non è solo questo. Le richieste sono quelle di una classe proletaria affamata da anni, incazzata, ma anche molto determinata a far sì che questo nuovo spiraglio di speranza per un futuro nuovo in Egitto e in tutta l’area, porti l’intera popolazione ad una consapevolezza reale dei propri diritti, come cittadini e come lavoratori. Come donne, come uomini e giovani che non vogliono abbassare la testa, nè davanti al rais di turno, ma nemmeno davanti ai padroncini (spesso stranieri) che speculano sul loro sudore e il loro lavoro.

    Sempre oggi, ci sono un po’ di novità anche sul “fronte piazza Tahrir”. La scorsa notte il generale dell’esercito Hassan al-Ruwaini, alla testa del comando centrale de Il Cairo, ha esortato i manifestanti ad evacuare definitivamente la piazza (venerdi scorso, per la prima volta, l’esercito egiziano ha sgomberato con violenza midan al-Tahrir), per poter dare alle forze armate la “possibilità di soddisfare le esigenze del popolo egiziano. La risposta della piazza è stata una sonora pernacchia: più volte il suo discorso è stato interrotto da slogan contro il capo del governo ad interim Ahmed Shafiq e altri che comunicavano chiaramente all’esercito che nessuno tornerà a casa fino a quando tutte le richieste fatte non verranno soddisfatte.
    Io continuo ad avere cuore e testa tra i marciapiedi riverniciati di piazza Tahrir, e tra i suoi volti dipinti.
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    Foto di Valentina Perniciaro _Il Cairo, piazza Tahrir saluta i suoi morti_