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Bahrain: l’incredibile accanimento contro la famiglia Al-khawaja
Diverse volte su questo blog ho parlato della famiglia al-khawaja,

Le sorelle Al-Khawaja
il padre Abdulhadi e le due figlie, Zainab (conosciuta come @angryarabiya) e Maryam
che con ogni forza e davanti ad ogni genere di repressione si son battuti e si battono per i diritti umani in Bahrain.
Più volte abbiamo raccontato le sentenze assurde di quest’uomo e le mobilitazioni della popolazione in sua solidarietà, e delle figlie, che son riuscite a far risuonare le urla di rabbia e rivolta delle strade di Manama e dintorni,
per tutto il mondo.
L’accanimento contro di loro però è senza fine:
il carcere o l’esilio sembra essere la sola possibilità per i componenti di questa famiglia tenace e determinata.
Più che il carcere l’ergastolo, perche Abdulladi Al-Khawaja ha il carcere a vita come condanna.
Zainab è stata ripetutamente arrestata in questi anni, senza che questo la facesse desistere mai un secondo.
A partire dal 4 dicembre, arrivando ad oggi, una carrellata di condanne l’ha accolta all’uscita dalla sua seconda gravidanza, a meno di una settimana dal parto: 3 anni per insulto al re (e 6500 dollari), per aver strappato una foto dell’emiro proprio durante un’udienza ad ottobre: udienza per l’insulto di un agente di polizia mentre era in cella, per cui oggi è stata condannata ad altri 16 mesi, come ci racconta da twitter sua sorella. 4 anni e 4 mesi in tutto.
La sorella Maryam è attualmente in esilio invece.
In esilio sì, un doloroso esilio visto che non può vedere padre e sorella in carcere, per una condanna ricevuta il 1° dicembre per aggressione a pubblico ufficiale mentre si trovava all’estero.
Leggi:
– Sulla famiglia Al-Khawaja
– Sulla lotta in Bahrain
Una lettera di Zainab da una cella del Bahrain: piccola immensa donna
di Zainab Alkhawaja [QUI ALTRO MATERIALE A RIGUARDO: leggi]
dal Carcere femminile di Isa Town (Bahrain)
I grandi leader sono immortali, le loro parole e le loro azioni risuonano attraverso gli anni, i decenni e i secoli. L’eco attraversa gli oceani e confini e diventa un’ispirazione che tocca la vita di tutti coloro che sono disposti ad imparare. Un o di questi grandi leader è Martin Luther King Jr. Mentre leggo le sue parole, immagino che ce le legge da un altro paese, un altro tempo, per darci delle lezioni molto importanti. Ci dice che, non dovremmo mai diventare aggressivi ed abbassarci al livello dei nostri oppressori, che dobbiamo essere disposti a fare grandi sacrifici per la libertà.

Zainab!
Non appena i semi di speranza e resistenza all’oppressione sono fioriti iniziato in tutto il mondo arabo, il popolo del Bahrain ha visto i primi segni di una nuova alba. Un’alba che ha promesso la fine di una lunga notte di dittatura e di oppressione,la fine di un lungo inverno di silenzio e paura, per diffondere la luce e il calore di una nuova era di libertà e democrazia.
Con questa speranza e determinazione, il popolo del Bahrain è sceso in piazza il 14 febbraio 2011 per chiedere pacificamente i loro diritti. Le loro canzoni, poesie, dipinti e canti per la libertà sono stati accolti con proiettili, carri armati,sostanze tossiche, gas lacrimogeni e birdshot. Il brutale regime Al Khalifa era determinato a porre fine alla creatività e alla rivoluzione pacifica ricorrendo alla violenza diffondendo la paura.
Di fronte alla brutalità del regime, il popolo del Bahrein ha mostrato un grande auto controllo. Giorno dopo giorno, i manifestanti hanno stretto fiori di fronte ai soldati e mercenari, che poi avrebbero sparato contro di loro. I manifestanti stavano a petto nudo e con le braccia alzate, gridando: “Pace, pace” [silmiyya, silmiyya] prima di cadere a terra, coperti di sangue. Migliaia di cittadini del Bahrein da allora sono stati arrestati e torturati per reati come “raduno illegale” e “incitamento all’odio contro il regime”.
Il padre di Zainab!
Due anni più tardi, le atrocità del regime del Bahrain continuano. I manifestanti del Bahrein vengono ancora uccisi, arrestati, feriti, e torturati perché chiedono la democrazia. Quando guardo negli occhi di manifestanti del Bahrein, troppe volte vedo che l’ amarezza ha preso il sopravvento sulla speranza. La stessa amarezza che Martin Luther King Jr. ha visto negli occhi dei rivoltosi nei bassifondi di Chicago nel 1966. Le stesse persone che avevano guidato importanti proteste non violente, che hanno rischiato la vita e l’incolumità fisica, senza la voglia di reagire, si sono poi convinti che la violenza è l’unica lingua ad essere capita da tutti nel mondo.
Io, come King, mi rattristo nel trovare gli stessi manifestanti che hanno affrontato a petto nudo e con i fiori carri armati e pistole, chiedersi: “Che cosa significa non- violenza? Che importanza ha la superiorità morale se nessuno ci sta ascoltando? ” Martin Luther King Jr. spiega che questa disperazione è naturale quando le persone che sacrificano tanto non vedono nessun cambiamento e capiscono che i loro sacrifici sono stati vani.
Ironia della sorte, il cambiamento verso la democrazia è stato così lento in Bahrain in quanto molte nazioni occidentali continuano a dare sostegno a questa dittatura. Attraverso la vendita di armi e il sostegno economico e politico, gli Stati Uniti e altri governi occidentali hanno dimostrato alla gente del Bahrain che sostengo la dittatura di Al-Khalifa a sfavore dei movimenti democratici.
Mentre leggevo le parole di Martin Luther King ho desiderato che fosse vivo. Mi sono chiesta che cosa direbbe sul supporto del governo USA ai dittatori del Bahrain. Che cosa avrebbe detto in merito a chiudere un occhio su tutto il sangue che è stato versato a favore della libertà. Tutto quello che dovevo fare era girare una pagina, e questa volta Martin Luther King non ha parlato a me, ma agli americani:
John F. Kennedy ha detto ‘chi rende impossibile una rivoluzione pacifica, rende inevitabile una rivoluzione violenta.’ Sempre più spesso, per scelta o per caso, questo è il ruolo che il nostro Paese ha assunto, il ruolo di chi rende la rivoluzione pacifica impossibile rifiutando di rinunciare ai privilegi e ai piaceri che provengono dagli immensi profitti degli investimenti all’estero. Sono convinta che se vogliamo stare dal lato giusto della rivoluzione mondiale, noi come nazione,dobbiamo innanzitutto rivoluzionare radicalmente i valori. Una vera rivoluzione di valori ben presto ci porterà a mettere in discussione l’equità e la giustizia delle nostre politiche passate e presenti.
Questi sono tempi rivoluzionari. In tutto il globo gli uomini sono in rivolta contro i vecchi sistemi di sfruttamento e nuovi sistemi di giustizia e di uguaglianza, stanno nascendo … Tutti noi dovremmo supportare queste rivoluzioni.
E ‘un fatto triste che a causa del comfort e della compiacenza … e della nostra propensione a regolare le ingiustizie,le nazioni occidentali si sono irritate così tanto da decidere di diventare anti-rivoluzionarie. Dobbiamo trasformare l’indecisione del passato in azione . Dobbiamo trovare nuovi modi per parlare di pace … e si giustizia in tutto il mondo, un mondo che confina con le nostre porte. Se non agiamo, verremo trascinati in corridoi del tempo bui e vergognosi ,riservati a coloro che possiedono il potere senza compassione, potenza senza moralità, e forza senza vista.
L’eco delle parole di Martin Luther King ha viaggiato attraverso gli oceani, attraverso le pareti e le barre di metallo di una prigione del Bahrein, e nella cella sovraffollata e sporca dove vivo, sento le parole di questo grande leader americano, la cui inflessibile dedizione alla moralità e la giustizia ne fecero il grande leader che era. Ammiro la sua saggezza dalla mia cella minuscola,e mi chiedo se anche il popolo degli Stati Uniti sia all’ascolto.
Essendo una prigioniera politico in Bahrain, cerco di trovare un modo per combattere dall’interno la fortezza del nemico, come la descrive Mandela. Non molto tempo dopo che sono stata messa in una cella con quattordici persone, di cui due sono condannate per omicidio, mi è stata consegnata l’uniforme arancione . Sapevo che non avrei potuto indossare l’uniforme, senza dover inghiottire un po ‘della mia dignità. Il rifiuto di indossare gli abiti dei detenuti proviene dal fatto che non ho commesso alcun reato, questa è stata la mia piccola disobbedienza civile. Negare il mio diritto a ricevere visite , e non lasciarmi vedere la mia famiglia e mia figlia di tre anni,è stata la loro risposta. Questo è il motivo per cui sono in sciopero della fame.
Gli amministratori della prigione mi chiedono perché sono in sciopero della fame. Io rispondo: “Perché voglio vedere la mia bambiana.” Essi rispondono, con nonchalance, “Obbedisci e la vedrai.” Ma se io obbedisco, la mia piccola Jude non vedrà sua madre, ma piuttosto una versione rotta di lei.
Ciò che rende difficile il carcere è che si vive con il nemico,a partire dalle cose più elementari. Se vuoi mangiare, ti trovi di fronte a loro con il vassoio di plastica. E ogni giorno, si deve affrontare la possibilità di essere preso in giro, urlato, o umiliato per qualsiasi motivo. Oppure, per nessuna ragione. Ma ho lasciato che le parole di grandi uomini e donne mi aiutassero in questi momenti difficili. Quando lo “specialista” ha minacciato di picchiarmi per aver detto ad una detenuta che ha il diritto di chiamare il suo avvocato, non gli ho gridato contro. Ho ripetuto le parole di King nella mia testa: “Non importa quanto i tuoi avversari siano aggressivi, l’importante è mantenere la calma”.
Finché un giorno, ne avevo avuto abbastanza di persone che mi dicono che godo di tutti i diritti a mia disposizione e rifiuto di prendermi le mie responsabilità . Dopo aver sentito questa frase più e più volte, sono scoppiata. E la cosa peggiore è che mi sentivo così frustrata che non ho potuto evitare di gridargli contro.
Ma poi non era stato un grande uomo a dire che la lotta per la giustizia “non deve diventare amara” e che “non dovremmo mai abbassarci ai livello degli oppressori?”.
Un medico è venuto a visitarmi e mi ha detto ” potrebbe cadere in coma, i suoi organi vitali potrebbero smettere di funzionare, i livelli di zucchero nel sangue sono così bassi, e tutto questo per che cosa … una divisa!”
Ho risposto: “Sono contenta che non eri con Rosa Parks su quel bus, a dire alla donna che ha scatenato il movimento dei diritti civili,” che lo ha fatto solo per una sedia. “Quando il medico mi ha chiesto del movimento afro- americano,gli ho offerto il libro di Martin Luther King. Se mi conoscessi sapresti che sono molto gelosa dei miei libri.
A volte, attraverso le sue parole, Martin Luther King è stato un compagno, un compagno di cella più che un insegnante. Egli dice: “Nessuno può capire il mio conflitto se non ha guardato negli occhi di coloro che ama ama, sapendo che non ha altra alternativa che prendere una posizione che li tormenterà.” Io lo capisco. Ha scritto come se fosse seduto accanto a me . “L’esperienza in prigione … è una vita senza il canto di un uccello, senza la vista del sole, della luna e delle stelle, senza la presenza di aria fresca. In breve, è la vita senza le bellezze della vita, è esistenza nuda, fredda, crudele, che continua a degenerare”.
Mio padre, il mio eroe e il mio amico, è stato condannato all’ergastolo per il suo attivismo a sostegno dei diritti umani, ha come me, rifiutato di indossare l’uniforme grigia . Come al solito, il governo cerca di “farci stare al nostro posto “privandoci di ciò che per noi è più importante. Essi non permetteranno a mio padre di farmi visita e di ricevere visite della sua famiglia. E per schernirlo ulteriormente, per la prima volta, gli hanno detto che avrebbe potuto farmi visita se avesse indossato l’uniforme. La crudeltà è un marchio del regime Al Khalifa, ma mio padre ha un incrollabile coraggio e tanta pazienza. Nessuna pressione emotiva potrà farlo crollare.
La visita della famiglia è l’unica cosa che si aspetta in prigione. Io e mio padre non ci vedremo e non potremo vedere i nostri cari, ma la lotta per i nostri diritti continua. Porteremo nel cuore i nostri cari fino al giorno in cui potremo riabbracciarli.
Ieri mi sono addormentata guardando la porta della mia cella, con le sue sbarre di ferro, e ho sognato. Ma questa volta era un sogno piccolo e semplice, non di democrazia e libertà. Ho visto mia madre sorridente, tenere la mano di mia figlia, in piedi davanti alla porta della mia cella. Le ho viste a piedi attraverso la sbarra di metallo. Mia madre si sedette sul mio letto con me e mia figlia uno accanto all’altro,e la sua testa sul mio grembo. Io solleticavo Jude e lei rideva, e il mio cuore si riempieva di gioia. Improvvisamente sento un’ombra fredda e protettiva avvolgerci,alzo lo sguardo e vedo mio padre in piedi accanto al letto,che ci guarda e sorride. Sogno coloro che amo, è il loro amore che mi dà la forza di lottare per i sogni del nostro paese.
Zainab Alkhawaja
Carcere femminile di Isa Town
Articolo originale: http://www.jadaliyya.com/pages/index/10808/zainab-al-khawaja_letter-from-a-bahraini-prison
Il Bahrain dalle notti luminose e dalla repressione
Altre lunghe giornate e nottate di lotta nel piccolo arcipelago del Bahrain, che continua a rimanere avvolto da una fitta nebbia di silenzio mondiale. Non si fermano i giovani delle 33 isole che compongono il paese nelle mani di Hamad ibn Isa Al Khalifa, che già emiro, si autoproclamò re del Bahrein nel 2002.
Di confessione sciita ha sempre tenuto in piedi il suo potere immergendolo nella repressione, nella tortura,
ora, dal febbraio 2011 con una violenza a tappeto su una popolazione perennemente in conflitto,
con una carrellata di ergastoli e condanne che ha tolto dalle piazze buona parte dei quadri del pensiero ribello del paese.
Ma non ci si ferma: dalle piazze immense che non smettono di riempire strade, ponti, arterie nel più pacifico e popolare dei modi,
ai vicoli dei villaggi, difesi dalle molotov dei giovani ribelli, pescatori, braccianti, schiavi dei grandi cantieri delle metropoli ultramoderne che sorgono nelle principali isole dell’arcipelago del petrolio.
Una notte di fuochi che ha illuminato la terra tra i due mari, quella del 19..seguita dall’enorme corteo del venerdì, che ha visto 29 arresti e quindi chissà quante sessioni di tortura,
quanti lacrimogeni soffocanti lanciati tra gli stretti vicoli..
anche questa mattina le esplosioni dei candelotti lacrimogeni sono la colonna sonora del traffico di Manama.
Ma pare non interessi a nessuno, come non interessa a nessuno capire le varie componenti che si muovono nella ribellione siriana: eurocentrismo e antimperialismo accecato permettono scempi e massacri.
E inizia ad essere intollerabile.
Il Bahrain conferma le surreali condanne agli attivisti
SUL BAHRAIN: QUI
Tutto confermato, la rivoluzione più sconosciuta al mondo, quella che tutte e tutti si ostinano a non vedere,
continua a subire il pesante attacco repressivo del regime che tenta di abbattere dal 14 febbraio dello scorso anno.
Confermate 13 condanne, confermati gli ergastoli:
sarà carcere a vita per gli attivisti già in carcere da mesi e mesi, tra cui anche Abdulladi al-Khawaja, di cui molte volte ho parlato sulle pagine di questo blog.
Condanne in contumacia anche per alcuni blogger, che si aggirano tutte intorno ai 15 anni e che non hanno stupito minimamente gli attivisti e i familiari che continuano a combattere per le strade di Manama e del resto del paese.
E’ una conferma che palesa il funzionamento giudiziario, completamente alle dipendenze del regime di al-Khalifa, che sta piegando la popolazione sunnita e quella migrante.
Il resto del mondo ne ha parlato per due giorni, solo perché si è rischiato che la Formula1 dovesse far le valigia prima di veder partire i suoi bolidi, se ne è parlato solo perché i fumi dei lacrimogeni che tante vittime hanno fatto,
rischiavano di arrivare sulla passerella internazionale dell’automobilismo.
La solita vergogna, che non stupisce.
Dopo processi bufala, dopo torture subite, dopo l’impossibilità di incontrare avvocati per mesi, ecco che Hassan Mshaima’, Abdelwahab Hussain, Abdulhadi Al-Khawaja, Abdel-Jalil al-Singace, Mohammad Habib al-Miqdad, Abdel-Jalil al-Miqdad, Sa’eed Mirza al-Nuri, Mohammad Hassan Jawwad, Mohammad Ali Ridha Isma’il, Abdullah al-Mahroos, Abdul-Hadi Abdullah Hassan al-Mukhodher, Ebrahim Sharif,e Salah Abdullah Hubail al-Khawaja continuano a rimanere nelle carceri.
Il docente Mahdi ‘Issa Mahdi Abu Dheeb, per “aver promosso uno sciopero degli insegnanti, sospeso il percorso educativo e incitato all’odio contro il regime” si è preso 10 anni!
Il silenzio del mondo è complice di tutto ciò.
Chi lotta per la libertà marcisce nelle carceri, sotto tortura.
FREE BAHRAIN, FREE SURIYA, FREE POLITICAL PRISONERS!
Anonymous attacca la Formula1 in solidarietà con la lotta del popolo del Bahrain
Non c’è niente da fare, io mi son proprio innamorata di questi Anonymous…
dalla solidarietà al movimento Notav con i tangodown alle forze dell’ordine italiane e a Trenitalia,
passando per il governo greco e la banca mondiale…
ora oscurano il sito della Formula1, che è appena approdata in Bahrain per correre il gran premio di domenica sul sangue di chi lotta per la libertà in quel piccolo paese a maggioranza sciita e governato da una feroce monarchia sunnita.
Una repressione sanguinaria, torturatrice, che ha regalato il carcere a vita a molti militanti che avevano ispirato le prime mobilitazioni, totalmente pacifiche.
Ora mentre nelle piazze del paese sono iniziati i “tre giorni della rabbia” i due principali siti della formula1 sono una pagina nera.
Io l’avrei fatta rossa, come il colore della benzina dei loro bolidi supersonici quando esplode …
Sarà che so’ roscia! 😉
Evviva Anonymous!
FREE PRISONERS
FREE BAHRAIN
La rivoluzione in Tunisia vuole ricominciare: “Via la nuova dittatura, ci vuole una nuova rivoluzione”
A tutti coloro che evitano di parlare delle “primavere arabe”,
a tutti coloro che lo fanno strumentalmente parlando solo di Libia e Siria per cercare di convincerci che ci sia per forza la mano occulta imperialista dietro a chi alza la testa,
a tutti coloro che si sentono proprietari della rivoluzione, intrisi di occidente becero, pronti a dare dei salafiti, come dei sionisti, a chiunque ci metta la faccia e il cuore per cercare di capire i cambiamenti del Nord Africa e del Medioriente,
a tutti coloro che si schierano con gli Hezbollah per difendere Assad, parlando di “asse del bene” usando gli stessi linguaggi e criteri geopolitici del dipartimento di stato americano,
a tutti coloro che attaccano chi scende in piazza dandogli dei pericolosissimi Fratelli Musulmani sunniti,
prendendo le loro parole dalle componenti sciite ( mamma mia si arriva anche a questo in Italia) senza nemmeno conoscere le varie componenti che da mesi e mesi riempiono le piazze arabe, da Tunisi a Manama…
leggete quel che accade nelle strade di Tunisi,
leggete come siamo solo all’inizio.
Leggete e capite quanto c’è da imparare ed amare nei giovani maghrebini e mashreqini che scendono in piazza
sfidando qualunque tipo di repressione.
LUNGA VITA ALLE RIVOLUZIONI CHE SI AFFACCIANO PER LE STRADE DEL MONDO,
E CHE COMBATTONO CONTRO TUTTO E TUTTI, PER LA LIBERTA’…quella vera.
Ringrazio Infoaut per l’articolo e per gli aggiornamenti che seguiranno:
Duri scontri nel centro di Tunisi tra manifestanti e polizia che sta facendo ampio uso di lacrimogeni caricando un partecipatissimo corteo. Sembra che alcuni militanti del sindacato UGTT ed esponenti della società civile e dei partiti della sinistra radicale (come Hamma Hammami del Partito dei lavoratori tunisini) siano stati selvaggiamente pestati e poi arrestati. Alle 10am l’appuntamento era sull’Avenue Mohamed V con l’obiettivo di dirigersi verso l’Avenue Bourguiba interdetta alle manifestazioni da un provvedimento imposto dal Ministero degli Interni. Quest’ultimo approfittando dello show architettato lo scorso 28 marzo dalle fazioni salafite nel centro della città aveva promulgato il divieto a manifestare sull’Avenue Bourguiba, decisione contestata dai movimenti di lotta che fin da subito hanno tentato di respingere la provocazione congiunta di salafiti e polizia.
Sabato 7 aprile un grande presidio organizzato dal Coordinamento dei Diplomati Disoccupati era stato attaccato dalle forze dell’ordine che a suon di manganellate e lacrimogeni erano riusciti a scacciare dal centro (dopo una lunga resistenza) i disoccupati in lotta. E da settimane andava avanti la repressione contro l’associazione dei martiri e dei feriti della rivoluzione che più volte hanno tentato di avvicinarsi al Ministero dei Diritti dell’Uomo per far sentire le proprie ragioni contro un ministro che da quando si è insediato, al di là di qualche futile sortita mediatica, ha risposto ordinando pestaggi e provocazioni poliziesche contro l’associazione.
Insomma la misura era colma per la piazza di Tunisi che in queste ore è tornata a battersi gridando “ il popolo vuole la caduta del regime!”, “viva la Tunisia, viva i Martiri”, “no alla nuova dittatura, ci vuole una nuova rivoluzione”. Ma lo slogan che oggi assume un valore davvero importante per la Tunisia post Ben Ali è quello che recita: “il popolo tunisino è un popolo indipendente, noi non vogliamo né il Qatar né gli USA!”, il 9 aprile è infatti la data che ricorda i martiri tunisini della lotta anti-coloniale contro i francesi, una data dai fortissimi lineamenti politici che oggi viene intelligentemente curvata dal movimento tunisino contro quei paesi che tramite politiche di debito e investimento (orientato verso le lobby affaristiche delle fazioni islamiste più o meno moderate) stanno tentando di scippare la rivoluzione alla Tunisia alle prese con un fragile termidoro islamista.
In questi minuti apprendiamo che gli scontri si stanno allargando anche ai quartieri limitrofi del centro di Tunisi con il proletariato giovanile della zona impegnato a dare manforte come sempre al movimento rivoluzionario. E’ la stessa piazza che solo un anno fa ha imposto il “game over” al rais Ben Ali e che ora torna a muoversi per staccare direttamente la spina a quella macchina perversa di un regime che tramite elezioni farsa e vesti moderate islamiste credeva di poter ricominciare a rapinare impunemente il popolo tunisino. Il 9 aprile in Tunisia non è più da oggi una ricorrenza retorica ma sta divenendo barricata su barricata, pietra su pietra, slogan dopo slogan una giornata della rivoluzione, della nostra rivoluzione globale contro l’1% del vecchio regime…
Seguiranno aggiornamenti… intanto ci uniamo allo slogan “Tahya Tunes”, “Forza Tunisia” con l’augurio che sia l’inizio della fine di questo breve termidoro!
Arabia Saudita: le donne al voto
Si vede che ospitare Saleh, al potere in Yemen da qualche decade deve aver fatto impaurire re Abdullah bin Abdul Aziz in Arabia Saudita. Nell’ospitare il convalescente collega yemenita, alle prese da gennaio con una rivolta popolare che tenta di abbattere il suo regime, deve aver capito che rischia grosso,
anche alla luce di quel che da mesi si muove in Bahrain, malgrado la repressione del regime sunnita, che ha chiesto ai sauditi sostegno militare appena una manciata di mesi fa.
Insomma, la primavera araba spaventa tutti questi papponi in turbante e provano a parare i colpi in anticipo, tentando di scongiurare lo spettro ribelle che muove le piazze arabe e islamiche.
E così oggi è stato spezzato, o almeno è stato annunciato che si farà, un tabù non da poco per quel paese dalle donne nere, costrette in un velo integrale e a moto altro. Ottantuno voti a favore e trentasette contrari: le donne potranno partecipare alle elezioni come votanti e addirittura “potranno presentarsi candidate ai consigli municipali, nel rispetto dei principi dell’Islam”.
Ovviamente non si riferisce alle municipali che si terranno la prossima settimana, ma alle successive, previste per il 2015.
Un primo passo? Bho, fa un po’ ridere, visto che in Arabia Saudita le donne non possono nemmeno togliersi un pelo incarnito senza il permesso del maschio, non possono lavorare, uscire di casa, farsi curare, sospirare senza il lascia passare del loro padre prima e marito poi.
Pochi mesi fa una grande mobilitazione, almeno mediatica, aveva spinto alcune donne saudite a sfidare le autorità guidando la macchina, rischiando ed affrontando l’arresto immediato. La solidarietà è stata immediata, in tutto il mondo.
Qui la pagina Fb nata in Italia in quelle giornate 😉 IO GUIDO CON MANAL
Oslo: il terrorismo non è più islamico. E mo come se fa?
Come la mettiamo?
Sono 10 anni che facciamo la “war on terror”, dieci anni che ci dicono che bisogna eliminare il terrorismo di matrice islamica,
che per colpa del terrorismo, di Bin Laden, dei barbudos musuRmi, dei lettori di Corano, delle donne velate, degli uomini in vestito bianco e così via, siamo costretti a vivere nel terrore.
Costretti a non sentirci sicuri a casa nostra, nei nostri paesi ordinati e puliti, magari anche un po’ ariani.
Da dieci anni ci bombardano (ma soprattutto, bombardano) ed hanno vinto su molti fronti: il livello culturale di questo occidente mortaccino e puzzolente di sfruttamento e capitalismo s’è lasciato incartare velocemente, ha creduto al volo a teorie e complotti, ad aereoplanini e scuole del terrore con bimbi scalzi e alfabeti indecifrabili: ci hanno detto che sarebbero venuti a colpirci a casa, nelle nostre metropolitane, nei cinema…che tutti noi, uno ad uno, rischiavamo la nostra vita.
Che nessuno di noi era al sicuro, che non avremmo mai saputo se lasciando il nostro bimbo all’asilo l’avremmo ritrovato o sarebbe stato rapito per essere indottrinato e poi fatto esplodere in qualche strada afgana.
C’hanno detto che dovevamo fidarci dei nostri bravi soldatini, dei nostri prodi eroi che rischiano la vita in guerra per tutelarci dai musulmani cattivi, i nostri valorosi portatori di democrazia: i tanti Parolisi che poi rientrano a casa dalle proprie mogli, dopo la missione, per accoltellarle e seviziarle a morte nei boschi d’addestramento.
Ce ne hanno dette tante in questi anni, ed io purtroppo ho anche una gran memoria.
Non dovevamo parlare di sfruttamento, di capitale, di lavoro e migrazioni: ma di pericolo di matrice islamica, di terrore, di apocalisse.
Ed ora?
Ora che abbiamo 91 morti già accertati rimasti uccisi in un duplice attentato ad Oslo, la città dei premi Nobel, la città delle aringhe, dell’ordine e dei diritti…ora che ci sono cadaveri di giovanissimi ancora caldi al suolo, ammazzati dal piombo di un biondo, nazista, fondamentalista cattolico…
ora che ci venite a raccontare?
Mandiamo qualche contingente al Vaticano? Chi bombardiamo?
L’avete visto il volto dell’attentatore…quando i servizi norvegesi si sono affannati a cercare collegamenti tra la sua vita e l’Islam hanno tentato un suicidio collettivo. Era proprio un bravo ragazzo lui, uno pure biondo, pure cattolico, pure d’estrema destra.
Ora poi, alla luce della più ridicola delle guerre di questi ultimi decenni: stiamo bombardando la Libia, partner preferito per accordi commerciali e politici fino all’altro ieri. Tribunali internazionali che s’affrettano a dichiarare Gheddafi ricercato n.1 per “crimini contro l’umanità” e nemmeno 40 giorni dopo il ministro degli esteri francese Alain Juppè ci dice che nooooooooooooooo, in realtà può anche rimanere in Libia, “a patto che si discosti nettamente dalla vita politica del paese”…
insomma, anche il gas e il petrolio libico è stato incassato, al punto che il rais può pure rimanere dov’è, se sa comportarsi.
Chi bombardiamo allora?
Chi è il prossimo?
Ora di chi dobbiamo avere “terrore”?
M’avete stufato, non mi va nemmeno di starvi dietro.
Andateveneaffanculo! (nel nuovo linguaggio è: #fanculo)
Il Bahrain sentenzia: ERGASTOLO
Nel silenzio totale del pianeta intera il Bahrein prosegue con la repressione: prima a suon di fucilate nelle piazze, ora con il carcere a vita per gli attivisti catturati. Fine pena mai, ergastolo, perpetuità per dieci esponenti del movimento d’opposizione, leader sciiti che avevano partecipato e fomentato le proteste, completamente pacifiche, dei primi mesi di quest’anno. Al-Jazeera parla anche di diverse condanne minori (un massimo di cinque anni) per altri prigionieri. I condannati all’ergastolo lo sono per “complotto in favore di un colpo di stato”.
Chissà se il mondo se ne accorgerà.
Siria: l’assedio di Daraa peggiora
Il border Siria-Giordania continua ad essere chiuso ermeticamente.
La popolazione, che in massa ha tentato di raggiungere il Libano tra ieri
e l’altroieri, non può muoversi liberamente verso il meridione mesopotamico.

La prima pagina del sito del governo siriano, hackerato ieri 😉
Oggi ad Al-Ramtha, città giordania situata proprio sul confine, s’è tenuta una massiccia manifestazione di solidarietà nei confronti dei cittadini siriani e soprattutto per gli abitanti della città di Daraa, ormai sotto assedio militare da tempo.
Scontri anche interni all’esercito si sono effettuati in questa città a maggioranza drusa: il quarto reggimento è giunto in tutta rapidità da Damasco per cannoneggiare i “colleghi”del quinto, che in massa s’erano rifiutati di sparare e cannoneggiare contro i manifestanti o le abitazioni.
Una città tagliata fuori dal mondo, priva di cibo e riserve d’acqua, con un coprifuocopermanente e manifestazioni continue attaccate a colpi di cecchino.
Importante da sottolineare è che la gestione del reggimento che sta cannoneggiando la popolazione dell’Hauran è tutta in mano del fratello del presidente Assad. E’ lui in persona a gestire l’attacco.
Le immagini dei cadaveri ammassati nei corridoi della moschea centrale lasciano senza parole.
Ieri i morti dell’ennesimo venerdì di sangue sono stati 27: centinaia le città scese in piazza e più di 10.000 persone vicino alla moschea Omayyade di Damasco (questa si, una novità).
Oggi, venti nuovi tanks hanno fatto il loro ingresso a Daraa…
ORE 11: diversi testimoni raccontano ad Al-Jazeera che l’esercito sta usando armamenti pesanti contro la popolazione nella città vecchia di Daraa. Nel quartiere di Karak sono già quattro le palazzine colpite e rese inagibili
ORE 13.30: I cannoneggiamenti proseguono pesanti a Daraa, soprattutto nei quartieri circostanti alla Moschea di Omar. Truppe sono state “scaricate” anche dagli elicotteri militari. Circa 300 militari si sono uniti alla popolazione in lotta.
La polizia segreta ha fatto irruzione a casa di Sheikh Ahmad al-Sayasneh, imam della moschea, accusato di essere uno dei fomentatori della rivolta: suo figlio, interrogato per ore, non ha dato comunicazione della sua posizione. Infatti poi è stato ucciso
Siria: 23 aprile, in costante aggiornamento
Mentre più di 150 pulmann escono dalla città di Daraa per andare a portare omaggio ai corpi degli uccisi di ieri, mettiamo un resoconto parziale delle vittime pubblicato da Al-Jazeera. Le organizzazioni per i diritti umani del paese parlano di 103 uccisi: tra le vittime di ieri si registrano anche diversi bambini.
Homs: 21 – Bab Amr in Homs: 3 – Teldo in Homs: 1 – Damascus: 3 – Kaboon: 4
Madamia in Rif Dimashq: 9 – Zamalka in Rif Dimashq: 3 – Jobar in Damascus: 2
Darayya in Damascus: 4 – Harasta in Rif Dimashq: 5 – Duma in Rif Dimashq : 5
Al Hajjar Al Aswad in Rif Dimashq: 4 – Ezra in Daraa: 32 – Al Herak in Daraa: 1
Hama: 5 – Latakiya: 1
Qui in continuo aggiornamento i nomi e le età.
Alle nostre 13 arriva la notizia di molte gambizzazioni effettuate da diversi cecchini contro i cortei funebri, soprattutto nel quartiere suburbano di Duma, a pochi passi dalla capitale. Le vittime di questo cecchinaggio sui funerali sono già tre: i cecchini sembrano essere posizionati sui palazzi del partito Baath.
14:00 Quando le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco contro il funerale di Duma erano circa 50.000 i manifestanti che avevano davanti. Le ultime notizie mutano il bilancio a 7 morti, tutti come sempre completamente disarmati e colpiti a distanza da cecchini.
14.15: imposto coprifuoco nel sobborgo damasceno di Barze. I reparti dei servizi di sicurezza impediscono alla popolazione di uscire di casa.
Ci aggiorniamo più tardi
Siria: il “grande venerdì”, il più sanguinoso
Doveva essere il “grande venerdì”, quello dove tutta la popolazione, di tutte le confessioni religiose e le etnie avrebbe dimostrato contro il regime di Assad e del partito Baath. Una mattanza… il fitto lancio di lacrimogeni che ha investito tutte le piazze siriane, da Damasco all’estremo nord est kurdo di Qamishli, è stato quasi immediatamente sostituito dagli spari delle forze di sicurezza sui manifestanti.
Spari per uccidere, spari per lasciare a terra quanti più morti possibile: 74 sembra essere il numero ufficiale definitivo.
Mai fino a questo momento c’era stato un simile bilancio nelle piazze siriane, mai nemmeno una folla simile aveva invaso così tante città contemporaneamente.
Le zone più calde, e quindi col più alto numero di assassinati, sono sempre le solite: la regione di Homs, quella dell’Hauran da dove tutto è iniziato, e il kurdistan… ma oggi i cortei erano ovunque, dalle città contadine a Deir ez-zour, persa nella mesopotamia desertica, sulle sponde dell’Eufrate.
Per quanto riguarda l’Hauran, dove da Daraa tutto è iniziato qualche settimana fa, è la cittadina di Izraa oggi quella il cui nome salta da un’agenzia all’altra: 20 morti sono arrivati in spalla ad altri all’interno della moschea principale, dove in tanti donavano il sangue. I video che circolano a centinaia in rete raccontano una Siria sconosciuta fino a questo momento ai nostri occhi.
La televisione di stato ha ignorato per l’intera giornata la fila di corpi che si ammassavano nei vari cortei; comunicavano invece che il buon governo Assad sta lavorando sodo per togliere definitivamente ogni traccia delle leggi speciali dando la possibilità di manifestare previo richiesta di autorizzazione al ministero degli interni. Insomma, 70 morti e passa…per una mancata richiesta d’autorizzazione.
Per la prima volta era una piazza chiamata non solo dal tam tam telematico e non ma un comunicato a firma dei “comitati locali per il coordinamento” chiedeva di scendere in piazza e sfidare i divieti per chiedere la liberazione di tutti i prigionieri politici e lo smantellamento dell’attuale apparato di sicurezza. Per la prima volta una sigla trasversale, un tentativo di organizzazione, che porta la firma di numerose teste straniere o comunque residenti fuori dal paese.
Mentre si dibatte su chi manovra questa massa siriana anti-regime, decine di persone vengono uccise dal regime in un crescendo sempre più preoccupante.
[Manifestanti di Deir ez-zour abbattono una statua di Assad]
Tunisia: sciolta la polizia politica
Era una delle richieste da sempre e subito avanzata dal Fronte 14 gennaio, quello che dal primo giorno ha guidato -autorganizzandosi- le proteste tunisine che hanno portato alla caduta del regime di Ben Ali: sciogliere la polizia politica, che per anni ha abusato del suo potere tenendo sotto scacco tutti i militanti e gli attivisti del paese. Sciolta. Non esiste più.
Il premier del governo provvisorio instaurato in attesa delle elezioni previste per il 24 luglio prossimo, Beji Caied Essebsi ha fatto pronunciare al suo ministro dell’Interno un discorso più che chiaro che annuncia alcune misure che mirano alla “rottura definitiva con ogni forma di organizzazione simile alla polizia politica, sia a livello di struttura che di mandati e prassi.” Allo stesso modo è stato eliminata la direzione della sicurezza di Stato (!) e l’impegno del nuovo ministero è di rispettare la libertà e i diritti civili. «Queste misure – continua il comunicato del ministero dell’interno tunisino – sono in simbiosi con i valori della rivoluzione, nella preoccupazione di rispettare la legge, nel testo e nella pratica, e in ossequio al clima di fiducia e di trasparenza nei rapporti fra i servizi di sicurezza e il cittadino». Le misure – conclude la nota – «si iscrivono nella volontà di proseguire nell’azione già imbastita per contribuire alla realizzazione dei valori della democrazia, della dignità e della libertà».
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