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Udienza per gli antirazzisti torinesi!
E’ stata fissata per oggi, martedi 9 marzo alle 10.00 del mattino al Tribunale di Torino (settore 2 – scala E – piano III – aula 32313) l’udienza del tribunale del riesame per i sette antirazzisti torinesi colpiti da misure restrittive dal 23 febbraio scorso
Andrea, Fabio, Luca (in carcere alle Vallette), Maja, Paolo, Marco (arresti domiciliari) e Massimo (divieto di dimora in provincia di Torino) dovrebbero essere tutti presenti all’udienza in cui gli avvocati difensori chiederanno la revisione delle assurde misure restrittive chieste dal PM Padalino.
L’udienza sarà a porte chiuse e si preannuncia piuttosto lunga.
La risposta del collegio giudicante dovrebbe arrivare nelle 48 ore successive.
Intanto tra le varie manovre di quel ciccione biloso di Padalino dopo l’isolamento e il divieto di colloquio coi familiari (decisione per fortuna revocata dopo alcuni giorni dal GIP) sembra esserci una richiesta di trasferimento di Andrea, Fabio e Luca dalle Vallette in altre carceri piemontesi, sempre per rendere più profondo il loro distacco dal mondo esterno e solidale.
Sempre il paladino della censura Padalino aveva chiesto ulteriori restrizioni per i tre ai domiciliari dopo la trasmissione radiofonica Macerie condotta su radio blackout da casa di Maja; anche in questo caso il GIP ha dato parere negativo.
Un grazie a tutti per la solidarietà e per le lotte condotte in questi giorni, dentro e fuori dai CIE, contro il razzismo, lo sfruttamento, la reclusione.
LIBERI TUTTI!
FUOCO AI C.I.E.!
Aggiornamenti sugli scioperi della fame nei C.I.E.
A Milano, nel Cie di via Corelli, i detenuti e le detenute in sciopero della fame cominciano ad essere debilitati ed indeboliti. Ad alcune ragazze del reparto trans sono state fatte flebo di liquidi e una è stata portata in ospedale. I reclusi hanno chiesto invano di essere pesati e controllati costantemente da personale medico, come è prassi durante ogni sciopero della fame, ma questo. Tuttavia, nonostante le difficoltà, lo sciopero continua con determinazione, anche grazie alla solidarietà degli antirazzisti che continuamente portano acqua e succhi al centro e mantengono ininterrottamente i contatti.
A Roma, nel Cie di Ponte Galeria, una ventina di reclusi continua lo sciopero: i gestori portano il cibo e loro lo rimandano indietro. Alcuni che avevano iniziato autonomamente lo sciopero qualche giorno prima degli altri sono molto provati, perché oramai sono dieci giorni che non mangiano. A differenza di quanto accade a Milano, a Roma i reclusi sono pesati e monitorati regolarmente, ma la cooperativa Auxilium (subentrata alla Croce Rossa nella gestione del centro da una settimana) non permette che i solidali portino i succhi e le bevande dall’esterno. La dotazione giornaliera di liquidi per ciascun recluso è di un litro d’acqua, ma lo sciopero non si ferma.
A Torino, nel Cie di corso Brunelleschi, lo sciopero nell’area gialla prosegue a staffetta e oggi un recluso in sciopero della fame da parecchi giorni si è sentito male. I suoi compagni di gabbia hanno chiamato la Croce Rossa, il 118 e i solidali fuori. Dopo un’ora di pressioni – dall’interno e dall’esterno del centro – il ragazzo è stato portato all’ospedale per accertamenti.
Bologna invece è un caso a parte. Nel Cie di via Mattei lo sciopero si è interrotto dopo il primo giorno, e soltanto un recluso continua il suo sciopero della fame solitario, anche per motivi personali. La situazione nel centro è molto difficile, perché sembra che l’uso di tranquillanti in questo Cie sia più diffuso che in altri. Ogni volta che i solidali riescono a contattare i reclusi, questi rispondono del tutto intontiti ed addormentati, a qualunque ora del giorno e della notte.
Infine, ecco alcune testimonianze raccolte dal Comitato Antirazzista di Milano e pubblicate sul sito noinonsiamocomplici.noblogs.org
Dalla sezione Trans del Cie di via Corelli, Milano:
“Siamo in 20 persone che stiamo facendo lo sciopero della fame. In ogni stanza siamo in 4 persone. I muri son pieni di muffa, le lenzuola vengono cambiate una volta alla settimana mentre le coperte non vengono mai cambiate. Ogni quindici giorni ci danno un bagnoschiuma. Alla sera dobbiamo pulire noi la stanza con la scopa e il secchio. Le finestre sono senza tende così la mattina presto entra la luce. Noi siamo obbligate a mettere le coperte sulla finestra per dormire. Il bagno è uno schifo, è molto sporco. Gli scarichi son tutti intasati, dobbiamo fare per forza i nostri bisogni in piedi. Alle 8 e mezza di mattina ci portano un bicchiere di latte e una brioche. Non possiamo bere le cose calde se non con la macchinetta a pagamento. Il cibo è molto scadente, ci portano spesso il tacchino. Noi che abbiamo il silicone non possiamo mangiare il tacchino. Per questo a molte di noi sono venute infiammazioni alle protesi, ai fianchi, al seno, nei glutei. Quando andiamo alla Croce Rossa per i nostri problemi di salute ci danno dei tranquillanti per togliere il dolore, ma queste gocce ci fanno addormentare. Quando abbiamo troppo dolore ci danno la tachipirina”.
“Sono qua da una settimana. Ho subito iniziato lo sciopero della fame perché non possiamo stare qua sei mesi. Inoltre sono sieropositiva, avevo da fare gli esami del sangue per valutare quali medicamenti prendere invece son stata portata qui e mi hanno fatto saltare la visita. Ho avuto tre giorni la febbre molto alta. Stavo così male che mi hanno portato in ospedale, al Policlinico, per un blocco intestinale. Dopo di che mi hanno riportato in Corelli sempre senza le medicine per l’HIV. Io sono in Italia da nove anni, mi sono ammalata in Italia e non posso stare qua dentro. Abbiamo bisogno di mantenerci e di mantenere la nostra famiglia al paese. Noi vogliamo la nostra libertà perché non abbiamo fatto nulla e ci obbligano a stare qua dentro senza potere fare nulla. C’è una psicologa che viene dentro una volta alla settimana, ma tanto alla fine ci danno sempre 30 gocce di Valium per dormire e via… poi diventiamo tutte dipendenti”.
“Io ho avuto un incidente molto grave fuori da qua. Ero ancora in cura con la fisioterapia e invece mi hanno presa e portata al Cie. Mi ero fratturata la scapola sinistra, il femore e il ginocchio. Qui spesso la ferita alla gamba mi si infiamma: vado in infermeria, mi danno una crema idratante e basta. Molte di noi sono state prese a Pisa, chi ci viene a trovare ha diritto a sette minuti di colloquio dopo 5 ore di viaggio… È pieno ovunque di scarafaggi e vermi nei water e nella doccia. La polizia ci maltratta, ci trattano come cani, ci insultano dicendo che siamo tutti gay, fanno battute sessiste nei nostri confronti. Quando diciamo cose che non gli vanno bene ci danno schiaffoni in faccia, per qualunque cosa ci aggrediscono e ci trattano come se non fossimo come esseri umani, con totale disprezzo. Sappiamo che una trans a Natale s’è suicidata qua dentro… c’è una ragazza dentro da quattro mesi che ha visto quello che è successo quando la ragazza si è suicidata e ora è del tutto fuori di testa, perché una persona normale non può sopravvivere qua dentro e molti vedono come unica uscita la morte. Ci sono persone con casi psichiatrici e dobbiamo vivere tutti assieme in una situazione di conflitto, con diverse patologie tutti assieme e qua entro siamo costretti a convivere con malattie diverse, neppure in carcere è così”.
Dalla sezione femminile del Cie di via Corelli, Milano:
“Vi racconterò la mia storia. Sono arrivata in Italia come turista perché mi piaceva molto questo paese. L’ultima volta mi ha fermato la polizia, mi hanno chiesto il permesso di soggiorno. Io avevo solo il visto come turista, ma mi hanno portato in questura dove son stata tre giorni e poi in Corelli. Mi hanno presa il 26 gennaio e avevo in tasca il biglietto dell’aereo per tornare in Brasile il 16 febbraio… beh son ancora qui! Ora dovrò uscire da questo paese come una criminale, scortata dai poliziotti. Non immaginavo che in Italia potesse esistere un posto come questo. Mi sento inutile, sto molto male. Ci trattano come animali, e questo è solo l’inizio… dovremo fare sei mesi in questo inferno per poi uscire di qua con un’espulsione per dieci anni. Chiediamo a tutti che ci ascoltino, che anche se ci dicono clandestini siamo gente di buon cuore. Siamo venuti in cerca di una vita migliore. Stiamo facendo lo sciopero per fare capire alla gente che siamo esseri umani e abbiamo il diritto di vivere qua come tutti gli altri e che non ci possono togliere la libertà. Ci dovrebbero esser altri modi per ottenere questo pezzo di carta senza passare da questo inferno. È veramente una legge ingiusta, non so chi l’ha inventata e non vogliamo rispettarla. Per noi l’unica opzione che abbiamo è lottare”.
macerie @ Marzo 7, 2010
RADIO BLACKOUT E’ SOTTO ATTACCO!
E’ un blog in maternità, lo sapete, quindi arriva alle cose con i suoi tempi, con sommo ritardo ormai su tutto.
Spesso salto proprio intere giornate in cui vorrei parlare di tante cose o segnalare notizie, ma in questi giorni è praticamente impossibile.
Ma questa cosa è gravissima e mi scuote l’anima.
Mi scuote l’anima come compagna, come militante, come redattrice di una radio libera.
I nostri compagni torinesi sono sotto costante attacco da tempo, ma in questi giorni la situazione è pesantemente degenerata.
Arresti, perquisizioni, censura totale con una radio perquisita e quindi in silenzio per ore (per un’ora è stato staccato il segnale e si è riuscito a trasmettere solo dopo cinque lunghe ore) : la Digos torinese festeggia.
Tra gli arrestati tre redattori, computer della redazione, otto hard disk , cellulari e le agende telefoniche della radio.
Con i contatti di tutti, soprattutto dei migranti detenuti in Corso Brunelleschi!
La Digos festeggia: a sentirli hanno preso quelli delle azioni contro la Lega Nord, hanno preso i lanciatori di merda nei ristoranti, hanno preso gli “anarco-insurrezionalisti”!
Nel pieno della campagna “spegni la censura, accendi blackout!”, ad un mese dalla scadenza prevista del contratto d’affitto con cui Chiamparino cerca di mettere a tacere una storica voce libera e indipendente della città, Radio Blackout subisce questa mattina un nuovo attacco censorio e intimidatorio.
Con la scusa di un’operazione di polizia inconsistente, volta a criminalizzare l’Assemblea Antirazzista Torinese, che da mesi organizza appuntamenti pubblici di protesta contro l’orrore dei centri di identificazione ed espulsione, la radio viene di fatto sequestrata per più di 6 ore, impedendoci di andare in onda con il nostro consueto palinsesto di quotidiana contro-informazione. Per più di un’ora è stato anche staccato il segnale radio. Messi sotto sequestro apparecchiature informatiche fondamentali per la quotidiana attività della radio.
La nuova “grande operazione”, fatta di 23 perquisizioni, 3 arresti “cautelari” in carcere e altre 3 custodie ai domiciliari è costruita, ancora una volta, su reati di scarsissima rilevanza penale: insulti, reati contro il patrimonio, resistenza e violenza a pubblico ufficiale e una generica associazione a delinquere. Tre dei colpiti da questi provvedimenti sono nostri redattori. A ordire la trama contro i “nemici pubblici”, il sostituto Pm Andrea Padalino, già salito agli onori delle cronache per la proposta razzista di rendere obbligatorie le impronte digitali per gli/le immigrati/e.
Radio Blackout non si è mai sottratta dal denunciare pubblicamente con la propria attività informativa le ossessioni xenofobe di questo pubblico ministero. Non ci stupisce che con la dilatata perquisizione mattutina della nostra sede (e con l’operazione tutta) il Pm in odore di carriera cerchi anche una personale vendetta.
L’indagine si sgonfierà presto, il tutto si risolverà ancora una volta in un nulla di fatto. Ma intanto, attraverso la scusa di misure “cautelari”, s’imprigionano e zittiscono le voci scomode. Per parte nostra diamo tutta la nostra solidarietà agli arresati e denunciati. Come mezzo di comunicazione libero e indipendente denunciamo la pretestuosità di un attacco che giudichiamo censorio e intimidatorio. Un attacco che, guarda caso, cade in un momento particolare della vita di Radio blackout e della stessa città di Torino. Mentre si preparano le elezioni regionali e l’ostensione della sindone, le contraddizioni che attraversano la città e il territorio circostante restano tutte aperte: crisi, disoccupazione,casse integrazione che volgono al termine, l’opposizione popolare all’Alta Velocità, le ribellioni dentro i Cie, il massacro della scuola pubblica. Si cerca insomma di normalizzare una delle poche voci libere della città.
Ma Radio Blackout non si fa intimidire e rilancia: la data di scadenza sul tappo continuiamo a non vederla… Spegni la censura, accendi Blackout!
23 febbraio 2010
La redazione di Radio Blackout
Tutt@ a salutarle, prima della deportazione … la solidarietà è un’arma!
Sabato 13 febbraio 2010 appuntamento alle 10.00 di mattina alla stazione Ostiense per andare al CIE di Ponte Galeria a salutare Helen e Florence e far sentire la nostra solidarietà ai reclusi e alle recluse in sciopero della fame.
La notte scorsa hanno trasferito furtivamente in diversi CIE le cinque donne imprigionate dopo la rivolta nel CIE di via Corelli a Milano, che il 12 febbraio avrebbero dovuto essere scarcerate insieme a Mohamed Ellabboubi, morto in circostanze misteriose nel carcere di San Vittore.
Stanno cercando di obbligarle al silenzio perché durante il processo una di loro ha denunciato il tentativo di stupro da parte dell’ispettore-capo Vittorio Addesso.
Pensano così di indebolire la solidarietà e la protesta dentro e fuori i lager di stato, che in questi mesi si è sviluppata in diverse città.
Joy, Helen, Florence, Debbie, Priscilla e tutti i rivoltosi di Corelli non sono più invisibili.
La violenza istituzionale sulla loro pelle non deve passare inosservata.
La solidarietà è un’arma!
Invitiamo tutti e tutte sabato 13 febbraio alle 10.00 alla stazione Ostiense per andare in treno davanti al CIE di Ponte Galeria.
Saluteremo Helen e Florence che stanno per essere deportate a Ponte Galeria ed esprimeremo sostegno ai reclusi e alle recluse in sciopero della fame nei CIE di Roma, Torino, Milano e Bari.
FINCHE’ I CIE ESISTERANNO NESSUNO E NESSUNA POTRA’ DIRSI LIBERO/A CONTRO LA VIOLENZA RAZZISTA E SESSISTA DELLO STATO CONTRO OGNI GABBIA E REPRESSIONE LIBERTA’ PER TUTTI E TUTTE CHIUDERE I CIE
Con Joy ed Hellen. Basta Deportazioni
Il 04/02/2010 l’avvocato Massimiliano D’Alessio chiama in carcere a Como, per l’istanza depositata nel tribunale di Milano il 2 febbraio scorso, che gli autorizza l’ingresso in carcere insieme all’interprete nigeriana per incontrare in colloquio la sua assistita Joy.
Dall’ufficio colloqui del carcere rispondono che è tutto a posto per la suddetta visita.
Il giorno seguente, venerdì 5 febbraio 2010, l’avvocato insieme all’interprete si presenta all’ufficio colloqui del carcere di Como per incontrare la sua assistita e gli viene detto che Joy il 4 febbraio 2010 ha revocato la nomina al suo avvocato di fiducia, Massimiliano d’Alessio, nominando l’avvocata d’ufficio che le avevano assegnato in precedenza e con la quale non ha mai avuto un colloquio né un contatto.
Non avendo potuto incontrarla non ci spieghiamo come Joy abbia potuto scegliere di cambiare l’avvocato che la seguiva fino a quel momento nel processo di appello per la rivolta dello scorso agosto nel Cie di via Corelli a Milano e nella denuncia per tentata violenza sessuale nei confronti dell’ispettore capo dello stesso Cie, Vittorio Addesso, mettendosi così nelle mani di un’emerita sconosciuta.
Allora ci chiediamo: ma ha fatto la richiesta veramente Joy? Quale ‘forza oscura’ l’ha indotta a farlo? In questo modo non ha potuto parlare con il suo avvocato e la interprete nigeriana. Perchè succedono queste cose improvvise? C’è qualcuno o qualcosa che non vuole che si sappia come è andata la vicenda?
Non abbiamo potuto vedere Joy, non abbiamo potuto parlare con Joy, non sappiamo come stia, non sappiamo cosa pensi, non abbiamo potuto dirle che il 12 febbraio, giorno della sua scarcerazione, saremo lì fuori ad aspettarla.
Lei continua a lottare, ma purtroppo è in carcere dove non possiamo comunicare con lei perché loro non vogliono.
Dobbiamo far sapere a tutti che non possono zittirla perchè siamo noi la sua voce!
Appuntamento 12 febbraio ore 6.30 di mattina davanti alla stazione di Albate Camerlata Fs. Dalle ore 7 in poi davanti al carcere di Como – in via Bassone 11 – per aspettare Joy!
Invitiamo chi non può venire a Como a costruire iniziative a supporto del presidio nel territorio in cui vive.
Cortese Signor Ministro, lei è uno schiavista di merda
DAL SITO MACERIE
Nel pomeriggio un gruppone di giovani si materializza in mezzo al popoloso quartiere torinese di San Salvario, proprio di fronte alla solita sede della Lega Nord di largo Saluzzo. Qualcuno entra, con in mano una tenda da campeggio ed una missiva da inviare al ministero degli Interni: la tenda è presto montata, nella stanza un po’ angusta e gremita di vecchi. Inviare lo scritto, invece, è più complicato: alla scrivania dove è appoggiato il fax c’è il responsabile che sbraita e protesta e telefona nervosamente alla polizia, mentre toglie i fogli dalla macchinetta. 
Dopo pochi secondi, con un gran «Porco Dio!», il leghista tira un furioso cazzotto sul tavolo facendo perdere qualche pezzo al fax rendendolo inutilizzabile. Niente da fare, allora: la missiva al Ministro sarà consegnata a mano, magari dagli agenti della Digos che arriveranno anche questa volta troppo tardi. Sopra c’è scritto che Maroni è uno «schiavista di merda» e si ricordano i fatti di Rosarno, gli stranieri rastrellati con l’inganno e trattenuti dentro a tende da profughi nel Cie di Bari in attesa dell’espulsione. Ancora qualche minuto a riempire di insulti i leghisti, e i nostri sono di nuovo fuori dalla sede insieme agli altri che intanto hanno tirato fuori striscione megafono. Si parte in corteo per il quartiere, riempiendo l’aria di slogan e i muri di manifesti.
Si parla di Rosarno, certo, ma anche della morte di Mohammed a San Vittore e del processo per il rogo di Vincennes in corso a Parigi. Arriva anche una pattuglia con i lampeggianti, che i manifestanti dribblano senza difficoltà. Come sempre a San Salvario, i passanti si fermano, commentano, approvano, si mettono a parlare: fino a quando, in piazza Madama Cristina, il piccolo corteo scompare nel nulla.
IL TESTO DEL FAX PER MARONI:
Alla C.A. del Sig. Ministro
Roberto Maroni
c/o Ministero dell’Interno
Piazza del Viminale n. 1 – 00184 Roma
Fax + 39 06.46549832
e p. c.
Lega Nord – Segreteria Federale
via Carlo Bellerio, 41 – 20161 Milano
tel. 02 66234.1 fax 02 6454475
Cortese Signor Ministro,
Lei è uno schiavista, uno schiavista di merda. Lo diciamo così, senza alcun rispetto per la Sua persona e per il Suo ruolo Istituzionale, senza tanti giri di parole.
Lei è uno schiavista perché nei giorni di Rosarno ha provato paura: dopo anni di sfruttamento bestiale e di apartheid, gli schiavi hanno rialzato la testa, riversandosi nelle strade e scontrandosi con la Sua polizia.
Lei è uno schiavista perché nei giorni di Rosarno ha riso sotto ai baffi: finalmente la guerra razziale alla quale Lei e quelli del Suo partito avete lavorato per vent’anni ha fatto capolino ed ha cominciato a mostrare tutti i suoi vantaggi, cacciando a sprangate le braccia ribelli ed in esubero.
Lei è uno schiavista perché nei giorni di Rosarno si è assunto in prima persona gli oneri della pulizia etnica. Prima facendo trasportare nei Centri per richiedenti asilo i fuggiaschi e poi schedandoli a tradimento e internando i senza-documenti nei Cie, per prepararne l’espulsione.
Proprio come profughi di guerra molti di loro sono costretti a dormire sotto tende militari, dietro al filo spinato dei Centri.
Lei è uno schiavista, uno schiavista di merda, perché nei giorni di Rosarno si è preso la soddisfazione di lanciare a tutti un doppio monito.
«Ecco cosa succede a rivoltarsi». Ma anche e soprattutto «ecco cosa succede ad esistere, quando si è di troppo».
Lei è il Ministro, il ministro della Polizia, e in effetti non potevamo aspettarci nient’altro da Lei.
Noi invece siamo gente di strada e da sempre stiamo dalla parte dei ribelli: sappia allora cosa aspettarsi da noi.
Cogliamo questa occasione, senza dubbio un poco insolita, per porgerle i nostri più sentiti saluti.
Alcuni antischiavisti torinesi
Volevate gli schiavi, avete la sommossa
Rigurgito dal passato o spioncino sul futuro? Ad una settimana di distanza è questa la domanda che ci preme formulare pensando a Rosarno. Risposte chiare e univoche, ovviamente, non ne sappiamo dare ma state sicuri che diffidamo – ostinatamente e per metodo – di chi vorrebbe farci dormire sonni tranquilli.
Sui fatti, in fondo, c’è poco da discutere.
La rivolta sacrosanta di gente sottoposta ad uno sfruttamento bestiale, ammassata ai margini dell’abitato e umiliata ogni giorno, ora dopo ora. Gente utile finché può essere messa al lavoro e fino a che se ne sta zitta e discosta, rinchiusa in una condizione di apartheid non dichiarata ma concreta e rigidissima. Gente in eccedenza, invece, quando il mercato è tanto spietato che neanche ad utilizzar schiavi puoi reggere la concorrenza, quando anche il gioco delle sovvenzioni e dei finanziamenti si inceppa e non produce più quattrini. Gente ancor più di troppo perché reduce da una doppia fuga: quella originaria dai paesi martoriati dell’Africa centrale e quella recente dalle metropoli del Nord dell’Italia, dove la guerra ai poveri si respira nell’aria insieme allo smog del traffico cittadino. A reprimere la rivolta arriva lo scatenamento etnico, ed ha la meglio su tutto. Tanto che nel giro di poche ore quegli stessi poliziotti prima impegnati a darsele di santa ragione con i rivoltosi si trasformano in truppa di interposizione, in scorta armata dei rivoltosi tramutatisi in profughi in fuga. Sul campo arrivano operatori umanitari, come in ogni guerra moderna, e rappresentanti delle Nazioni Unite, a controllare che il disastro segua un corso bene ordinato.
Lo scontro assassino, la pulizia etnica, si svela per quel che è: uno strumento dell’economia politica. Ora a Rosarno di braccia in eccesso non ce ne sono più e, quelle che ancora avevano da fare se ne sono andate di corsa, e senza toccare un quattrino dei propri stipendi.
Fuggiti dall’Africa, poi dal Nord Italia leghistizzato, e poi ancora a gambe levate dagli agrumeti calabresi – tre volte profughi, in qualche maniera – gli scampati di Rosarno sono stati rinchiusi prima nei Centri per richiedenti asilo di Crotone e di Bari e poi – per quelli tra loro che non hanno i documenti – dentro ai Cie. A Bari, addirittura, alcuni di loro vengono “ospitati” in tende piantate in mezzo al campo da calcio del Centro: sono di troppo anche lì, e nessuno sa più dove metterli. Anche i numeri sono incerti, e fluttuanti. I compagni di là hanno raccolto qualche testimonianza di qualcuno che li ha incrociati, dentro alle celle del lager barese.
macerie @ Gennaio 17, 2010
Mentre dal sito di Radio Onda Rossa potete ascoltare una puntata speciale della trasmissione Terre-moti tutta dedicata alla rivolta di Rosarno
Ti spiegherò la pena di morte, nel tuo paese
Dovrò spiegargli che è nato in un paese dove esiste la pena di morte.
Che dolore solo pensarci, non sarò sicuramente in grado di trovare le parole senza sentire un groppo in gola, un senso di nausea.
D’altronde non si può negare la verità ai propri figli, non si può pensare di nascondergli la realtà per far sembrare il tutto meno pesante, non potrò certo proprio io evitare di fargli capire che razza di mondo e paese siamo ormai…
Ed è quindi ormai un dato di fatto, devo cominciare sin da ora a cercare le parole adatte per spiegargli che qui, nel paese dove è nato, piccolo piccolo che non si può credere quanto si può esser piccoli, esiste la pena di morte, anche se ce lo nascondono.
Ma siamo al 16 gennaio e questi sono i dati, i numeri, i nomi e cognome: [fonte: Ristretti Orizzonti]
Con la morte di Mohamed El Aboubj, ritrovato esanime nel bagno della sua cella nel carcere di San Vittore salgono a 6 i detenuti suicidi dall’inizio dell’anno: una frequenza mai registrata prima.
Mohamed El Aboubj era stato condannato in primo grado a 6 mesi di carcere per aver partecipato alla “rivolta” avvenuta 5 mesi fa nel Centro di Identificazione ed Espulsione (CIE) di Via Corelli.Tra un mese sarebbe stato scarcerato, probabilmente senza che arrivasse la sentenza definitiva, quindi dopo aver “scontato” in custodia cautelare una vera e propria “anticipazione della pena”.
L’avvocato Mauro Straini – legale di El Aboubj – ha commentato ad Apcom la morte del suo assistito spiegando che “nel 2009 in Italia si è registrato un record di suicidi tra i reclusi, 72 casi, e in questo primo scorcio dell’anno si sono già verificati alcuni casi. Invece di discutere solo in merito alla costruzione di nuovi penitenziari – ha aggiunto il legale – bisognerebbe ripensare seriamente al senso della pena e della custodia cautelare che andrebbe applicata soltanto in casi estremi ridimensionando la facilità con la quale viene disposta oggi“.
6 detenuti suicidi in soli 15 giorni (1 morto ogni 60 ore, in media): una frequenza mai registrata prima, a fronte della quale non c’è alcun “piano carceri” che tenga, anche perché gli interventi recentemente annunciati dal ministro Alfano non prevedono alcun rafforzamento dell’attività “trattamentale” verso i detenuti, quindi l’assunzione di psicologi, educatori, assistenti sociali. Si edificheranno nuove celle (“se” e “quando” si edificheranno), si assumeranno nuovi agenti di polizia penitenziaria (“se” e “quando” si assumeranno), in modo da poter “contenere” e “sorvegliare” fino a 80.000 detenuti. Che possano arrivare vivi al termine della pena – possibilmente conservando anche un po’ di salute fisica e mentale – non sembra essere tra le preoccupazioni di chi governa (il Paese e le carceri).
| Cognome | Nome | Età | Data morte | Causa | Istituto |
| Mohamed | El Aboubj | 25 anni | 15-gen-10 | Suicidio | Milano San Vittore |
| Abellativ | Eddine | 27 anni | 13-gen-10 | Suicidio | Massa Carrara |
| Attolini | Giacomo | 49 anni | 07-gen-10 | Suicidio | Verona |
| Tammaro | Antonio | 28 anni | 07-gen-10 | Suicidio | Sulmona (AQ) |
| Frau | Celeste | 62 anni | 05-gen-10 | Suicidio | Cagliari |
| Ciullo | Pierpaolo | 39 anni | 02-gen-10 | Suicidio | Altamura (BA)
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Perversioni legislative: arrestato senegalese mentre rientrava nel suo paese, perchè … “non aveva lasciato l’Italia”
COMUNICATO STAMPA
CLANDESTINO SENEGALESE ACQUISTA BIGLIETTO AEREO PER LASCIARE L’ITALIA MA, IN AEROPORTO, VIENE ARRESTATO PER… NON AVER LASCIATO L’ITALIA. IL GARANTE DEI DETENUTI DEL LAZIO ANGIOLO MARRONI «EFFETTI PERVERSI DI UNA LEGISLAZIONE CHE SEMBRA FATTA APPOSTA PER CASUARE SPRECHI DI DENARO PUBBLICO E ULTERIORI SOFFERENZE».
Dopo otto anni da clandestino in Italia, aveva deciso di tornare a casa sua, in Senegal, acquistando di tasca propria un biglietto aereo. Ma, secondo le leggi dello Stato, potrà tornare in Patria solo da espulso, fra sette mesi, e per di più a spese della collettività! Protagonista della singolare vicenda – segnalata dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni – Khadim, un cittadino senegalese di 41 anni. 
Khadim era arrivato in Italia otto anni dal Senegal. Per tutto questo tempo ha vissuto e lavorato a Napoli senza possibilità di essere messo in regola perché il permesso di soggiorno non lo ha mai avuto. Per questo – nonostante non abbia mai commesso reati ed abbia, invece, tentato dicostruirsi una parvenza vita sociale – Khadim viene raggiunto da diversi decreti di espulsione che portano ad una condanna penale a sette mesi di reclusione senza che lui ne abbia mai conoscenza.
Quando Khadim decide di tornare in Senegal, viene aiutato dagli amici italiani a comprare il biglietto dell’aereo ma all’aeroporto viene arrestato e trasferito al carcere di Civitavecchia per scontare la condanna a sette mesi per non aver ottemperato ad una espulsione che, per altro, stava volontariamente eseguendo. In carcere Khadim chiede l’espulsione come misura alternativa (misura prevista per diversi reati con condanna sotto i due anni) sperando di porre fine a questa sfortunata avventura. Ma la sua istanza viene respinta dai magistrati sul presupposto che, per la “Bossi-Fini”, questo tipo di misura alternativa non può essere concessa a chi non ha ottemperato all’espulsione.
«In sostanza – ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni – Khadim che stava lasciando l’Italia è ora recluso in un carcere per non aver lasciato il nostro paese. Dal carcere ha fatto richiesta per lasciare l’Italia ma non gli è consentito perché deve scontare una pena per non aver lasciato l’Italia. Quella che denunciamo sembra una storia senza senso ma è la realtà di una legislazione che, in tema di immigrazione, fra carcere e C.I.E., sembra accanirsi contro i cittadini stranieri fino a prevedere inutili pene afflittive ed ulteriore sofferenza.
Forse sarebbe necessario studiare maggiormente gli effetti pratici di alcune leggi, per evitare, ancora una volta, di risolvere un fenomeno di rilevanza sociale ed economica come l’immigrazione facendo ricorso al carcere».
Marco Leone , responsabile dell’ufficio stampa del garante del Lazio
Natale nei CIE: si impicca una reclusa trans a Milano
Una mezzoretta fa ci è arrivata una telefonata da dentro uno dei Cie qui del nord Italia: gira voce, ci hanno detto, che in via Corelli sarebbe morto un recluso, suicida. E proprio mentre cominciavamo a fare qualche verifica abbiamo rintracciato in rete questo lancio di agenzia:
«Un trasessuale brasiliano di 34 anni, bloccato domenica scorsa perché irregolare, si è impiccato nel Centro di identificazione ed espulsione di via Corelli a Milano. Per uccidersi ha usato un lenzuolo, fissato alle sbarre della finestra della sua stanza al Cie. Il cadavere è stato scoperto intorno all 15,30 da un altro immigrato trattenuto nel centro, che ha dato l’allarme. Secondo la prima ricostruzione, il transessuale sarebbe entrato nella sua stanza attorno alle 14 e da quel momento nulla di strano è stato notato fino alla tragica scoperta del suo gesto. Liberato dalla stretta del lenzuolo, il trans è stato subito portato in infermeria dove sono iniziate, senza esito, le manovre rianimatorie. Quando è arrivata l’ambulanza, il rianimatore non ha potuto fare altro che constatare la morte. Ignota al momento la causa del suicidio. La polizia tiene a sottolineare che in questi giorni il Cie non è particolarmente affollato.»
Aggiornamento ore 23.oo. E già. Nel reparto trans di via Corelli, riaperto da pochissimo, una reclusa si è impiccata. Era stata catturata cinque giorni fa e, dai racconti che siamo riusciti a raccogliere fino ad adesso, prima di uccidersi avrebbe chiesto senza essere ascoltata di essere trasferita in un’altra sezione.
macerie @ Dicembre 25, 2009
Il Natale italiano dei migranti: scosse elettriche nei respingimenti e autolesionismo nei CIE
Difficile riuscire a commentare queste notizie.
Ma mentre le città sono intasate dagli acquisti natalizi ecco quello che accade nei Centri di Identificazione ed Espulsione nel nostro paese, ed ecco quel sta venendo fuori sui respingimenti dal rapporto annuale di Human Right Watch.
Dichiarazioni di questa mattina di Angiolo Marroni, Garante dei detenuti del Lazio: «Situazione tesa all’interno del Centro di Identificazione ed Espulsione di Ponte Galeria. Questa mattina, nel giro di pochi minuti, un immigrato algerino si è ferito con un rasoio mentre un tunisino ha tentato, invano, di darsi fuoco». Lo rende noto il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. «L’algerino M. A., 25 anni proveniente dal carcere di
Velletri, si trova da cinque mesi nel Cie in attesa del riconoscimento da parte del suo Paese di origine – continua Marroni – Questa mattina si è colpito più volte un braccio con una lametta per protestare contro il fatto che, a suo dire, un connazionale entrato nel Centro dopo di lui sarebbe stato fatto giù uscire. Il trentenne marocchino A.M., invece, si trova da tre mesi e mezzo al C ed ha provato a darsi fuoco con un accendino. L’uomo non vuol essere rimpatriato in Marocco e chiede, invano, di poter uscire dal Centro per trasferirsi in Francia, dove dice di avere dei parenti. Attualmente a Ponte Galeria sono ospitate 263 persone, 151 uomini e 112 donne. Soprattutto fra gli uomini, la presenza è in deciso aumento, al punto che il settore maschile è quasi pieno. Le norme in tema di immigrazione – dice Marroni – le difficoltà di riconoscimento legate ai rapporti con le ambasciate e, non da ultimo, il freddo stanno trasformando i Cie in luoghi di tortura psicologica che possono portare alla disperazione, come nei casi di questa mattina. A causa della lentezza delle identificazioni, non è più una eventualità ma una certezza la possibilità, per gli ospiti, di trascorrere sei mesi nel Centro. A questo, a Ponte Galeria, si aggiunge anche la criticità delle condizioni di permanenza aggravata, negli ultimi giorni, dall’interruzione della collaborazione tra Croce Rossa e Asl sull’assistenza sanitaria. A Ponte Galeria tutto sarà fuorché un bel Natale»
Per quanto riguarda il rapporto della ONG internazionale che si occupa della difesa dei diritti umani, vi incollo direttamente l’agenzia così com’è, che non servono tante altre parole per commentarla:
ROMA, 22 DIC – Un clima generale di razzismo e xenofobia, inasprito dalle politiche legislative e di governo: il 2009, per gli immigrati in Italia, è stato un pessimo anno. A sostenerlo è Human Right Watch, Ong internazionale che si occupa della difesa dei diritti umani. E che, in un rapporto intitolato ‘Slow Movement: Protection of Migrants Rights in 2009’, fa un resoconto sulle violazioni dei diritti dei migranti in numerosi Paesi del mondo. Il rapporto punta il dito soprattutto contro i respingimenti «operati dall’Italia, a partire dallo scorso maggio, contro barche di migranti provenienti dalla Libia». In una di queste azioni di «repressione», il primo luglio 2009, la Ong riferisce che «funzionari italiani hanno usato bacchette che provocano scosse elettriche e manganelli» contro i ‘boat-peoplè e che alcuni persone a bordo dei barconi hanno riportato «lacerazioni alla testa, medicate prima che lasciassero le navi di soccorso italiane». Radiografando la situazione dell’immigrazione in Italia, Human Right Watch sottolinea che «le politiche di governo e la legislazione hanno inasprito un generale clima di razzismo e xenofobia». E a finire nel mirino è la legge 94 del 15 luglio, secondo cui «gli immigrati privi di documenti sono punibili con una multa superiore ai 10 mila euro». Non solo, con il cosiddetto ‘pacchetto sicurezzà «il premier Silvio Berlusconi, invece di scoraggiare le azioni dei vigilantes, ha autorizzato gruppi di vigilanza, con il rischio di creare una violenza tollerata dallo Stato contro rom e migranti», riferisce il rapporto. (ANSA)
31 DICEMBRE: TUTT@ SOTTO IL CARCERE DI REBIBBIA
NON VOGLIAMO PIÙ CHE DI CARCERE SI MUOIA MA NEMMENO CHE DI CARCERE SI VIVA!
Da quanto tempo gridiamo queste parole? Da quanto tempo le scriviamo sui muri?
Le abbiamo impresse sulla copertina sin dalla prima Scarceranda!
Eppure di carcere si continua a morire e di carcere donne e uomini continuano a vivere sempre di più.
Nei 206 istituti penitenziari italiani sono stipati 65.719 uomini e donne, 9.000 in più dello scorso anno.
Il 37% ha sul documento di identità un timbro diverso dal nostro: li chiamano stranieri.
Il 25% ha fatto uso di sostanze stupefacente: li chiamano tossicodipendenti.
Quasi la metà, ossia 31.136 sono in attesa di giudizio, dunque innocenti.
Tra i 27 paesi dell’Unione, l’Italia ha il primato per la presenza in carcere di persone non condannate: il 47,3% di fronte a una media europea al di sotto del 20%. Quasi 20.000 persone in carcere hanno condanne inferiori ai 3 anni. E si continua a incarcerare chiunque appartenga alle fasce emarginate e disagiate.
Ma soprattutto in carcere si muore e il numero è in continua crescita. Dall’inizio del 2009 alla fine di novembre sono morte 168 persone detenute, di cui 66 per suicidio; in crescita rispetto allo scorso anno che era di 146 morti di cui 46 suicidi. Le morti in carcere, quando non sono suicidi, vengono definiti “da accertare” secondo la terminologia dei burocrati, in realtà le persone in carcere vengono uccise dalla mancata -assistenza medica, dalle condizioni degradanti del carcere, ma soprattutto dai pestaggi.
Come Stefano Cucchi, un ragazzo di 31 anni, assassinato dalla ferocia di tutte le istituzioni che l’hanno avuto “in consegna”: carabinieri, polizia penitenziaria, magistrati, medici. Perché in Italia si nega ma esiste la tortura che viene regolarmente sperimentata sulle detenute e i detenuti.
Ma quanti Stefano Cucchi vengono uccisi senza che se ne sappia nulla? Come Yassine El Baghdadi di soli 17 anni, registrato come suicidio il 17 novembre nell’Istituto per Minori (IPM) di Firenze, buttato in carcere per tentato furto. Il carcere come discarica dei problemi sociali: solo chi rifiuta o non sottosta alle leggi dei potenti finisce in carcere.
Oltre ai 206 istituti penitenziari, con annessi 6 Ospedali Psichiatrici Giudiziari, ossia i manicomi criminali che annientano 1600 segregati, aumentati del 20% nell’ultimo anno, ci sono gli Istituti Per Minori –IPM- con 530 ragazzi e ragazze, e infine le celle di sicurezza delle questure di PS e delle stazioni dei CC, nelle quali transitano, mai indenni, decine di migliaia di persone.
Ma non basta ancora! Al paesaggio di sbarre, mura, celle e custodia si aggiungono le gabbie dei Centri di Identificazione ed Espulsione, i famigerati CIE, i lager in cui vengono rinchiuse le persone immigrate. Lì dentro donne e uomini subiscono violenze e soprusi, si ammalano e muoiono sotto lo sguardo complice degli operatori della Croce Rossa o degli altri enti gestori. Nell’ultimo anno, solo nel CIE di Ponte Galeria, sono morte per queste cause Salah Soudani e Nabruka Mimuni. Sono 13 le strutture presenti sul territorio nazionale per una capienza massima di 1814 persone ma deportazioni di massa e un’impossibile assistenza legale non permettono tuttora una trasparente stima dei reclusi e delle recluse. Un panorama devastante che è peggiorato in seguito all’approvazione del Pacchetto Sicurezza che ha prolungato fino a 6, i mesi di reclusione.
A questo punto dobbiamo farci delle domande non più rinviabili:
Cosa ne sappiamo di come si vive e si muore dietro quelle mura? Leggi e regolamenti non ci danno la risposta!
Ogni tanto la cosiddetta opinione pubblica viene a conoscenza di questi crimini di stato commessi dietro quelle sbarre e ne resta stupita. Allora sdegnata chiede diritti e garanzie, nuove leggi e regolamenti per chi sta dall’altra parte del muro.
Fino a quando assisteremo a questo massacro, esprimendo solo di tanto in tanto la nostra protesta?
La storia dei supplizi, della segregazione, della libertà tolta, in tutti i paesi e in tutte le epoche ci insegna che soltanto una pressione costante, continua, incalzante, può intaccare la ferocia di quella mostruosità che si definisce sistema di reclusione. Intaccarlo nella prospettiva dell’abolizione definitiva di questa barbarie.
Uno solo è il diritto che dobbiamo rivendicare, il diritto di indignarci e quindi il diritto di lottare!!!
La lotta contro il carcere e gli altri sistemi privativi della libertà va condotta tutti i giorni! Con efficacia e determinazione, unendo tutte e tutti quelli che odiano ogni gabbia.
Contro ogni carcere giorno dopo giorno
IL 31 DICEMBRE TUTTE E TUTTI SOTTO IL CARCERE DI REBIBBIA
dalle ore 11,00 alle 15,00.
Funerali di SherKhan
Giovedì 17 Dicembre alle ore 17:00 saremo a Piazza Vittorio per la veglia pubblica per Mohammed Muzzafar Alì, detto Sher Khan.
Ci saremo per ricordarlo e ricordare insieme a tutti gli antirazzisti le battaglie portate avanti insieme.
Ci saremo per ricordarci che ancora molto da fare se c´è ancora chi muore, di freddo, per strada…
Saremo insieme anche per denunciare pubblicamente le colpe di chi non lo ha assistito durante la detenzione nel C.I.E. di Ponte Galeria e fuori, quando è stato lasciato al suo destino.
Chiediamo a tutti di partecipare a questo momento di lutto che vuole anche essere un momento di riflessione collettiva sul da farsi affinchè le battaglie per i diritti dei migranti siano ogni giorno nelle strade e nella vita di questa città, nella vita di tutti noi così come lo è stato per Sher Khan.
Per chi voglia contribuire alle spese per il funerale e per il trasporto in Pakistan si può utilizzare il conto dell’associazione Senzaconfine, specificando nel bonifico “per Sher Khan” e mandando contestualmente una mail a senzaconfine@libero.it.
Conto n° 111215 intestato a Associazione Senzaconfine
Banca Popolare Etica – Roma
IBAN: IT91W0501803200000000111215
Associazione Senza Confine
Dal sito Macerie, un po’ di aggiornamenti da Parigi, Torino e Milano
Parigi Torino e Milano, in breve
Diario
@ Si è tenuta, il primo dicembre scorso al Tribunale di Parigi, la prima udienza del processo per l’incendio di Vincennes. Intanto, la domanda di scarcerazione di Nadir, l’ultimo dei ribelli in carcere, è stata respinta, come è stata respinta la richiesta degli antirazzisti di potergli far visita. E sono
state respinte pure le richieste degli avvocati di prendere visione di tutte le videoregistrazioni della rivolta e non solamente della sintesi preparata – ad arte – dalla polizia. In aula erano presenti un bel numero di solidali, alcuni dei quali hanno occupato, successivamente, l’ufficio che concede i permessi di visita. Il processo continuerà il 25, 26 e 27 gennaio prossimi, e per la settimana precedente sarà indetta una settimana internazionale di solidarietà con gli arrestati.
@ A Torino, al processo per i fatti di piazza Rebaudengo, sono stati ascoltati i testimoni della difesa. Nulla da segnalare, se non l’astio evidente e incontrollato del Pubblico ministero Padalino nei confronti degli imputati e di alcuni dei testimoni. Astio oramai quasi maniacale, che lo ha portato a richiedere preventivamente alla Digos di analizzare i tabulati telefonici del cellulare di uno dei testimoni proposti dalla difesa, per scoprire esattamente dove il testimone fosse al momento dei fatti: peccato che quel cellulare, in quel momento, fosse spento. Anche questo procedimento continuerà nel 2010.
@ Al Tribunale di Milano, per finire, il processo per la seconda rivolta di Corelli, quella del 7 novembre. Udienza lunga, con molti solidali in aula. Sono stati interrogati alcuni testimoni e alcuni degli imputati. A metà udienza è emerso un particolare inedito: i quattro arrestati non sarebbero stati arrestati totalmente “a caso”, come si sospettava all’inizio. Al contrario: si è trattato di una ritorsione per aver tentato di fuggire, soltanto un paio di giorni prima. La prossima udienza sarà il 17 dicembre, e a testimoniare ci sarà l’oramai famosissimo Vittorio Adesso, ispettore capo del Centro.
Evasioni e lotte in Francia contro i C.I.E.
Evasioni senza frontiere dal sito “MACERIE”

Preso da http://mpcinque.splinder.com/
Intanto, un lancio d’agenzia dalla Francia:
«Otto stranieri in situazione irregolare sono evasi nella notte tra giovedì e venerdì dal Centro di Detenzione Amministrativa di Palaiseau, in Essonne. Dopo mezzanotte, sono riusciti a scappare dal primo piano, da dove sono scesi grazie ad un lenzuolo, dopo aver smontato le griglie di una finestra. Si tratterebbe di due rumeni, due marocchini, tre algerini e un burkinabé. Secondo una fonte vicina all’amministrazione, il responsabile del Centro avrebbe allertato molto recentemente la Prefettura in merito alla sicurezza del centro, chiedendo di effettuare lavori di ammodernamento.»
E poi, visto che ci siamo, vi pubblichiamo qui sotto la versione elettronica di un opuscole che sta circolando oltralpe e che racconta delle lotte intorno ai Centri di lassù durante l’ultima estate. Alcuni passaggi riguardano proprio gli interventi negli aeroporti, che qui in Italia mancano del tutto. Chi mastica un po’ il francese, dunque, gli dia una occhiata.
Récits de révoltes et de solidarité
macerie @ Novembre 22, 2009
25/11 Giornata internazionale contro la violenza sulle donne: TUTT@ DAVANTI AI C.I.E.
NELLA TUA CITTÀ C’È UN LAGER
È IL CIE (centro di identificazione ed espulsione) DI PONTE GALERIA
SIAMO TUTTE CON JOY
LA DONNA CHE HA DENUNCIATO IL TENTATIVO DI STUPRO
DA PARTE DEL SUO CARCERIERE NEL CIE DI MILANO
NON VOGLIAMO ESSERE COMPLICI DI UNA VIOLENZA LEGALIZZATA
NON VOGLIAMO ESSERE COMPLICI DI UNA LEGGE RAZZISTA FATTA IN NOME DELLE DONNE
NON VOGLIAMO ESSERE COMPLICI DI UN SISTEMA CHE CONSIDERA LE PERSONE IMMIGRATE COME DEI CRIMINALI SOLO PERCHÉ NON HANNO I DOCUMENTI
NON C’È RISPOSTA ALLA VIOLENZA CHE NON SIA AUTODETERMINAZIONE:
L’AUTODETERMINAZIONE DI UNA È L’AUTODETERMINAZIONE DI TUTTE
MERCOLEDÌ 25 NOVEMBRE 2009
GIORNATA INTERNAZIONALE CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE
PRESIDIO ITINERANTE DI DONNE,
FEMMINISTE E LESBICHE, MIGRANTI E AUTOCTONE
VERSO IL CIE DI PONTE GALERIA
alle 16:00: appuntamento alla stazione Ostiense
per un volantinaggio sul treno che porta verso il Cie
dalle 17:00: presidio davanti al Cie di Ponte Galeria
(via Gaetano Rolli Lorenzini angolo via Cesare Chiodi)
musica e parole, voci, denunce e testimonianze di femministe e lesbiche
CONTRO LA VIOLENZA SESSISTA E RAZZISTA,
NOI SIAMO TUTTE CON JOY E HELLEN!
http://noinonsiamocomplici.noblogs.org
Nella tua città c’è un lager. Alle porte di Roma, tra il Parco Leonardo e la Fiera di Roma, c’è il centro di identificazione ed espulsione (Cie, ex Cpt) di Ponte Galeria, dove vengono rinchiuse, in condizioni disumane, le persone immigrate prive di documenti o che hanno perso il lavoro. Con l’approvazione del “pacchetto sicurezza” e il prolungamento della detenzione fino a sei mesi, lo stato vorrebbe privare le persone immigrate di ogni dignità e costringerle a vivere in un regime di violenza quotidiana e legalizzata. Nel corso dell’estate, sono scoppiate numerose rivolte, da Lampedusa a Gradisca. Noi ci sentiamo vicine e vogliamo sostenere le lotte delle recluse e dei reclusi contro questi “lager della democrazia”. In particolare vogliamo farvi conoscere la forza e l’autodeterminazione di Joy.
Martedì 13 ottobre si è chiuso il processo di primo grado contro i reclusi e le recluse accusate dalla Croce Rossa di aver dato vita, ad agosto, alla rivolta contro l’approvazione del pacchetto sicurezza nel Cie di via Corelli a Milano. Nel corso del processo una di queste donne, Joy, ha denunciato in aula di aver subito un tentativo di stupro da parte dell’ispettore-capo di polizia Vittorio Addesso e di essersi salvata solo grazie all’aiuto della sua compagna di cella, Hellen. Inoltre, entrambe hanno raccontato che, durante la rivolta, con altre recluse, sono state trascinate seminude in una stanza senza telecamere, ammanettate e fatte inginocchiare, per essere poi picchiate selvaggiamente prima di essere portate in carcere. Dopo essere state condannate a sei mesi di carcere per la rivolta, ora Joy e Hellen rischiano un processo per calunnia, per aver denunciato la violenza subita.
Sappiamo bene che questo non è un caso isolato: i ricatti sessuali, le molestie, le violenze e gli stupri sono una realtà che le donne migranti subiscono quotidianamente nei Cie, ma le loro voci sono ridotte al silenzio perché i guardiani, protetti dalla complicità della Croce rossa, in quanto rappresentanti dell’istituzione, si sentono liberi di abusare delle recluse.
Sappiamo bene quanto sia aggravante essere prigioniera e donna: la violenza che si consuma nei luoghi di detenzione ad opera dei carcerieri, che viene sistematicamente occultata, si manifesta anche e soprattutto attraverso forme di violenza sessuale sulle prigioniere donne: perchè la violenza maschile sulle donne è un fatto culturale, e si basa sulla sopraffazione che sfocia nell’abuso del corpo e nell’offesa della mente. 
Per questo pensiamo che sia importante sostenere Joy e Hellen, assieme a tutte le migranti che hanno avuto – e che avranno in futuro – il coraggio di ribellarsi ai loro carcerieri.
Per questo il 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, assieme ad altre compagne femministe e lesbiche che si stanno mobilitando in diverse città, saremo a Ponte Galeria. Per affermare che noi non vogliamo essere complici, né delle campagne mediatiche costruite sull’equazione razzista “clandestino uguale stupratore”, né delle leggi razziste, securitarie e repressive varate in nostro nome; per gridare che tutti i centri di detenzione per migranti devono essere chiusi; per dire che rifiutiamo ogni forma di controllo e ogni tentativo di usare i nostri corpi per giustificare gli stereotipi e le violenze razziste e sessiste.
Ma soprattutto saremo lì per esprimere la nostra solidarietà a tutte le recluse e i reclusi nei Cie e per far sentire a Joy e Hellen che non sono sole, che il loro gesto rappresenta un atto estremamente significativo di resistenza e di autodeterminazione, che rovescia il ruolo di vittima assegnato alle donne immigrate, dando forza a tutte le lotte e i percorsi contro la violenza sulle donne, dentro e fuori dai Cie.
Volantinaggio al San Camillo: contro i CIE, contro tutte le gabbie, in solidarietà con FAID
LO STATO UCCIDE: NEI CIE, NELLE GALERE, NELLE QUESTURE
I suoi servi negano, insabbiano, nascondono
C’è tensione nel CIE di Ponte Galeria. Da quando i reclusi non hanno più notizie di un loro compagno, di nome FAID, che nella notte tra venerdì 13 e sabato 14 novembre è stato portato all’ospedale per problemi cardiovascolari. Sembra che l’uomo lamentasse dolori da giorni e che dopo l’ennesima richiesta di soccorso l’abbiamo ricoverato all’ospedale S.Camillo. Già da domenica si era diffusa dentro al CIE la voce che FAID fosse morto ancor prima di arrivare all’ospedale, notizia che era stata confermata anche da un avvocato in contatto con due reclusi, mentre la Croce Rossa, davanti alle domande dei solidali e dei reclusi, ha continuato a negare tutto, come al solito, rifiutandosi di fornire informazioni sulle sue condizioni di salute e sul motivo del suo ricovero.
All’alba di domenica 15 novembre, invece, un altro recluso tunisino, di nome MOHAMED BACHIR, è stato ricoverato all’ospedale Forlanini perché probabilmente affetto da influenza A. E’ quanto hanno ipotizzato i reclusi ascoltando i crocerossini che l’hanno prelevato e che infatti indossavano mascherine su viso e naso. La cosa ha ovviamente diffuso il panico tra i reclusi all’interno del centro, che sono rimasti a contatto per giorni con il virus, al freddo, in spazi angusti e senza alcuna precauzione.
A Ponte Galeria infatti dall’inizio dell’inverno non funziona il riscaldamento e l’acqua calda sembra sia tornata in funzione solo da qualche giorno.
Solo oggi, martedì 17 novembre, apprendiamo che FAID è ancora ricoverato in ospedale in seguito a un’ischemia cerebrale e che fortunatamente, a quanto pare, non sarebbe in pericolo di vita, mentre BACHIR è riuscito a scappare dall’ospedale, ma non ci è dato sapere se sia davvero affetto da influenza A, né se vi sia un reale rischio di contagio all’interno del centro.
Tutto questo non fa altro che mettere nuovamente in risalto la complicità dei crocerossini nella gestione di questi lager e nello stendere un velo d’omertà e di silenzio su quanto succede al loro interno. Insabbiare e negare – che si tratti di torture, stupri o violenze – è quanto fanno la Croce Rossa e chi gestisce questi centri, complici di militari, governi e servi al loro seguito. Diffondere paura – dell’immigrato, del diverso, dell’emarginato – e sventolare il mito della sicurezza è quanto fa lo Stato per legittimare questi lager. La loro panacea è sempre la stessa: repressione e reclusione.
Così, per il silenzio che si stende sulla situazione di FAID e di BACHIR, per protestare contro le condizioni che si vivono in questi lager e contro il prolungamento a sei mesi della detenzione, buona parte dei reclusi della sezione maschile domenica scorsa è entrata in sciopero della fame. Anche se da ieri sera lo sciopero è stato sospeso, da dentro ci chiedono di mobilitarci dall’esterno, visto che loro la lotta la stanno già portando avanti, come ogni giorno, per la libertà.
Per questi motivi l’assemblea cittadina che si è tenuta mercoledì 18 novembre all’Ex Snia ha deciso di lanciare una mobilitazione di fronte all’ingresso principale dell’ospedale Forlanini,(p.zza Carlo Forlanini), per venerdì 20 novembre alle ore 17.00, per un volantinaggio in solidarietà con Faid.
Libertà per tutte e tutti
Contro tutte le gabbie
Chiudere i lager di stato, chiudere i CIE!
Nella tua città c’è un lager!
Chiudiamo il CIE di Ponte Galeria!
Loa Acrobax: Morire di Stato, 14 novembre 2009
Morire di Stato
Salutare un figlio. Rivederlo morto.
E’ il dramma di Patrizia, madre di Federico Aldovrandi, ucciso da quattro poliziotti durante un fermo.
E’ il dramma di Ornella madre di Nike Aprile Gatti, morto nel carcere di Sollicciano (Firenze),
E’ il dramma di Maria, madre di Manuel Eliantonio,morto nel carcere di Marassi a 22 anni.
E’ il dramma della mamma di Stefano Cucchi, morto in carcere a Roma dopo un arresto per pochi grammi di droga.
Uno stato che sottrae un figlio e lo restituisce morto, negando ogni possibilità di avvicinarlo, di esercitare il diritto di ogni madre di constatare la salute e le condizioni del proprio figlio, anche di chi si trovi in carcere.
In ricordo di Renato, accoltellato per odio e intolleranza nel 2006, le Madri per Roma Città Aperta vogliono interrogarsi su questi eventi, su queste maternità negate che calpestano i diritti dell’individuo e rappresentano un gravissimo segnale di deriva della nostra democrazia.
Anche queste morti appartengono al tema della sicurezza.
Sicurezza anche dei cittadini quando hanno a che fare con le istituzioni repressive e carcerarie. Per questo come madri non vogliamo dimenticare Nabruka Mimuni, la donna che si è tolta la vita nella notte tra il 6 e il 7 maggio di quest’anno nel lager di Ponte Galeria, alle porte di Roma.
Abbiamo contestato ai vari sindaci la risposta xenofoba e repressiva delle istituzioni a fenomeni di grave disagio e precarietà, che ha alimentato episodi di razzismo e violenza, opponendo, praticando e sostenendo la cultura della diversità e del rispetto.
Vogliamo affrontare il tema della sicurezza portandolo anche dietro le mura di un carcere o di un CIE. Vogliamo riproporre il tema dei diritti dentro la città e soprattutto nei luoghi dove sembra che rappresentanti dello Stato possano esercitare un diritto di vita e di morte su cittadini italiani e stranieri.
Come le madri argentine di Plaza de Majo, le madri cinesi di Piazza Tien-a-men e le madri iraniane hanno chiesto giustizia e verità per i loro figli, le Madri per Roma Città Aperta vogliono sostenere e dar voce ad ogni madre che voglia rivendicare la dignità e i diritti dei suoi figli strappati alla vita.
Comitato Madri per Roma Città Aperta
madrixromacittaperta@libero.it
Sabato 14 novembre ad Acrobax (ex Cinodromo), Ponte Marconi ore 17,30
– Incontro con avvocati, operatori del carcere, associazioni
– Cena per sostenere la famiglia di Manuel Eliantonio
Sei ore di rabbia in corso Brunelleschi
Una crepa in Corso Brunelleschi
Diario
Sei ore di rabbia in corso Brunelleschi. Eccovele, minuto per minuto.
Alle 20,00 di questa sera uno dei reclusi che l’altro giorno era stato trasferito da via Corelli è esploso. La lunga detenzione, il trasferimento inatteso, le condizioni di detenzione, la lontananza da sua figlia appena nata, lo portano a tagliarsi le mani e le braccia e ad ingoiare un accendino e vari altri ferri. Dice che vuole morire, accusa la polizia di averlo trasferito da Milano per punirlo di aver denunciato la situazione dei Centri tramite le radio di movimento e tramite il nostro sito, //Macerie//. I suoi compagni di cella vedono subito che la situazione è abbastanza grave: il sangue è ovunque e la Croce Rossa si rifiuta di intervenire. Così chiamano i solidali che conoscono all’esterno e da subito – dai microfoni di Radio Blackout e dai siti di movimento – parte un appello a telefonare al Centro perché i responsabili chiamino l’ambulanza e lo facciano curare.
Parte un vasto giro di telefonate di protesta. Da dentro al Centro i responsabili negano, affermano che “la situazione è sotto controllo”, che provvederanno… alla fine il recluso ferito viene portato in infermeria e poi riportato subito nelle gabbie.
Intorno alle 22,30 i prigionieri riferiscono entusiasti di sentire un gran baccano fuori dalle mura: “c’è una manifestazione” – dicono. Sono gli antirazzisti, veloci e rumorosi come al solito. Da quel momento in poi la situazione si scalda: i reclusi continuano a protestare rumorosamente, alle 23,00 inizia una breve sommossa, e i prigionieri delle due aree maschili danneggiano il danneggiabile. Alle 23,20 il ferito si taglia di nuovo, questa volta alla gola. Dopo un attimo di silenzio sgomento, riparte la protesta. Solo intorno alle 23,40 i responsabili del Centro chiamano un’ambulanza, che recupera il ferito e lo porta al Pronto Soccorso.
Intorno alla mezzanotte la polizia circonda le gabbie e minaccia di caricare, i reclusi si barricano dentro accumulando le panchine di cemento contro le porte. Dentro ad una delle aree, i reclusi riescono a buttare giù il muro della saletta interna. La polizia un po’ minaccia un po’ cerca di calmare la situazione: arrivano i capi dell’ufficio immigrazione e del Centro. “Se non vi rispondiamo al telefono domani mattina, vuol dire che siamo in carcere o all’ospedale” – dicono i reclusi.
Alle 0,45 il recluso ferito è in chiurgia all’ospedale Martini. Fuori dall’ospedale due volanti e la Digos, che ferma e identifica alcuni solidali.
Nello stesso tempo la polizia comincia a provare a sfondare le porte, ma non ci riesce. Arrivano i vigili del fuoco e altri rinforzi. Ci sono più o meno 50 carabinieri e 100 poliziotti. I capi dell’ufficio immigrazione parlamentano con i reclusi e intorno all’1.05 trovano un accordo: via la celere e i poliziotti armati, nelle gabbie potranno entrare soltanto i pompieri a raccogliere le macerie del muro demolito, scortati da due donne dell’ufficio immigrazione.
Alle 1,15 sembra tornata la calma. Alle 2.10, quando oramai i pompieri hanno terminato il proprio lavoro, due volanti riportano al centro il prigioniero ferito. Sei ore di rabbia, e il Cie di Torino ha un muro in meno.
Aggiornamento 5 novembre.
Intorno alle 11,25 è iniziata una perquisizione nelle gabbie del Centro. La polizia è arrivata in massa, con i cani ed è riuscita ad entrare: come sapete, ieri sera era dovuta rimanere fuori, grazie alla determinazione dei reclusi.
Ore 15.00. La perquisizione è finita velocemente ed è stata tutto sommato pacifica. Il recluso ferito continua la sua lotta: ha mangiato varie lamette e sta facendo lo sciopero della fame. In mattinata, poi, sono state portate via dal Centro una decina di persone, quasi esclusivamente donne – non coinvolte nella sommossa di ieri. Non sappiamo se si sia trattato di una deportazione o di un trasferimento per alleggerire il Centro e iniziarne la ricostruzione.
Ore 16.00. Notizie dalla Tunisia: è uno dei deportati di stamattina, ed è nel posto di polizia dove l’hanno trasferito appena sceso dall’aeroporto. Sta bene e dovrebbe uscirne a breve, c’è suo fratello fuori ad aspettarlo. Si tratta di uno dei protagonisti della sommossa di ieri sera nell’area rossa, ma probabilmente non si tratta di una ritorsione: è stato svegliato alle 5 del mattino, e ci sembra difficile che gli uomini di Maroni riescano ad organizzare un viaggio burocraticamente tanto complesso in tre ore soltanto. Le altre deportate di questa mattina sono donne, forse 5, e ieri non avevano partecipato alle danze.
macerie @ Novembre 4, 2009
Qui la corrispondenza di Radio onda rossa
La vendetta di Via Corelli ora passa per Gradisca.
Dopo le espulsioni e i massicci trasferimenti di Roma, il vento della vendetta ministeriale arriva anche a Gradisca dove, lunedì scorso, è stato arrestato uno dei presunti protagonisti della tentata fuga del 21 di settembre. È un ragazzo di 21 anni ed è accusato di aver fatto cadere giù dalle scale d’emergenza un carabiniere che stava cercando di tirarlo giù dal tetto. Il carabiniere ruzzolato è finito subito al pronto soccorso ed ha avuto i soliti dieci giorni di prognosi: quello che è successo dopo ai reclusi potete vederlo invece sul video che sta circolando in rete da tre settimane. L’arresto è avvenuto a due settimane dai fatti, giusto il tempo che si calmassero un po’ le acque, ed è stato richiesto – a detta del capitano Sutto del comando dei Carabinieri di Gradisca – a causa dell’«atteggiamento particolarmente sfrontato dell’immigrato». Sembra quasi, insomma, che quello che pesa non siano tanto i fatti specifici dei quali è accusato l’arrestato ma la sua presunta mancanza di rispetto verso i proprio carcerieri: fatto indicativo di un clima, senza dubbio. È indicativo anche che, dall’arresto in poi, le autorità parlino dei fatti del 21 come di una «doverosa e regolare reazione alla resistenza a pubblico ufficiale». Se per una settimana intera hanno fatto finta di niente e se tutta la settimana successiva hanno messo in dubbio l’autenticità delle foto e del video, ora invece rivendicano l’accaduto e lo giustificano. Finalmente si parla chiaro.
Quelli che stanno ancora zitti, invece, sono i consiglieri d’amministrazione della “Connecting Peolple” che in altri tempi erano tanto loquaci. Del resto il consorzio che gestisce il Centro di Gradisca è in corsa per aggiudicarsi anche quello di Ponte Galeria e deve dare prova di fedeltà complice e silenziosa per rimanere nelle grazie del ministro Maroni
Macerie, 13 ottobre 2009
QUESTA MATTINA INVECE CI SARA’ L’ENNESIMA UDIENZA DEL PROCESSO CONTRO I 14 RIVOLTOSI DEL CIE DI VIA CORELLI: oggi è il turno degli avvocati della difesa e potrebbe anche arrivare la sentenza.
I compagni di Milano stanno raggiungendo il Tribunale per portare una rumorosa solidarietà ai processati: i reclusi di Gradisca e di Via Corelli stanno iniziando uno sciopero della fame per dar maggior voce alla loro solidarietà con i loro compagni di prigionia e rivolte.
Proverò a dare aggiornamenti in maniera costante.
La nuova trasmissione “Silenzio assordante” di Radio Onda Rossa, in onda tutti i venerdì pomeriggio sugli 87.900 FM a Roma e ascoltabile anche in streaming dal sito della Radio, nell’ultima puntata ha fatto un resoconto dell’ultima udienza del processo di Milano
RASTRELLAMENTI AL PIGNETO
Un rastrellamento in piena regola ha sconvolto ieri pomeriggio la vita di un quartiere multietnico di Roma, il Pigneto.
Alle 18,30 numerose volanti e blindati della Guardia di finanza hanno circondato l’isola pedonale. Decine di agenti in assetto antisommossa, creando il panico tra i cittadini, hanno violentemente percosso e arrestato chiunque avesse la pelle scura. Le forze dell’ordine hanno fatto irruzione in alcuni appartamenti, all’angolo tra via del Pigneto e via Campobasso, dove hanno divelto porte, sfondato finestre, sequestrato merci e beni degli abitanti.
La retata si è conclusa con 25 arresti di cittadini senegalesi e nigeriani, persone che vivono da anni nel nostro quartiere, lavoratori immigrati che mai hanno fatto male a nessuno. Con la scusa della sicurezza, la nostra città sta respirando in questi mesi un clima di violenta repressione: blitz contro immigrati, sgomberi di centri sociali e di spazi occupati in risposta all’emergenza abitativa.
Operazioni eclatanti, che colpiscono proprio i più deboli con l’obiettivo di aprire nuovi spazi agli interessi economici che governano la città. Come accaduto al Pigneto, un quartiere che si vorrebbe “ripulire”, per renderlo una ricca vetrina dedita al commercio. Forse, dietro lo sgombero, si nascondono gli interessi legati al mercato degli immobili in una zona che vive una gravissima emergenza sfratti e dove il prezzo delle case è in costante ascesa. Noi, cittadini del quartiere siamo preoccupati di questa grave spirale di violenza dello Stato. Vogliamo che il Pigneto sia un quartiere dell’accoglienza, non della repressione e della speculazione.
Organizziamo a questo scopo il 10 ottobre un pomeriggio e serata di incontri con il quartiere, sui problemi di case, scuole, e del razzismo, che si concluderà alle 21 con
un’assemblea per preparare insieme la manifestazione del 17 ottobre contro il razzismo e il pacchetto sicurezza.
Oggi 6 ottobre, ore 12, conferenza stampa, Via del Pigneto angolo via Campobasso
Comitato di quartiere Pigneto- Prenestino
Osservatorio antirazzista Pigneto
Per info: 3386034789
per info foto: 3384171445
qui un link con un sacco di sbirraglia che commenta, per chi non soffre di nausee : http://www.pigneto.it/news.asp?id=776
Ancora con il diario dai CIE
Sciopero della fame oggi al Cie di corso Brunelleschi a Torino. Quasi tutti i reclusi hanno rifiutato la colazione questa mattina e intendono proseguire almeno per tutta la giornata. Un recluso è in sciopero addirittura da sei giorni. Nel frattempo, continuano gli atti di autolesionismo e le denunce di condizioni di vita insopportabili, minacce, maltrattamenti continui e pestaggi brutali da parte dei militari. I reclusi sono molto determinati e consapevoli che in tutti gli altri Cie la situazione è calda.
Ieri c’è stata una protesta molto forte al Cie di Crotone, cominciata con grida e battitura delle sbarre. Quando è intervenuta la polizia i reclusi hanno spaccato i mobili per difendersi. E quando la polizia è riuscita a portarsi via due ragazzi, l’effetto è stato quello di prolungare la protesta fino al loro rilascio. Alla fine, nonostante fosse domenica, sono arrivati di corsa quelli dell’Ufficio Immigrazione della Questura, con la promessa di fare il possibile per migliorare la situazione e sbrigare le pratiche di chi può essere rilasciato.
A Brindisi, invece, otto reclusi se ne sono andati dal Centro. È la seconda fuga da quando,questa estate, il Cie di Restinco è stato riaperto per “accogliere” i reduci della sommossa di Milano. I prigionieri sono fuggiti alle cinque del mattino, ma le guardie si sono rese conto della loro assenza solo alle otto: auguriamo loro buon viaggio. Ora dentro al Centro sono rimasti soltanto in quindici, ed otto di loro – come ricorderete – sono in sciopero della fame e della sete dalla settimana scorsa.
A Roma la situazione è più tranquilla, a parte quattro rimpatri oggi all’alba e qualche scarcerazione in mattinata. Alcuni consiglieri regionali stanno facendo una visita dentro le gabbie e i detenuti hanno raccontato loro del pestaggio contro l’aspirante evaso di tre giorni fa: vedremo cosa dichiareranno i politici una volta usciti. Ieri sera le voci di alcuni reclusi sono finite nei titoli di testa del Tg3, insieme all’annuncio dello sciopero della fame… della settimana passata.
macerie @ Ottobre 5, 2009
In Italia da decenni: tra le sbarre dei CIE
PRENDO UNA SERIE DI STORIE DAL SITO FORTRESS EUROPE. SONO STORIE MOLTO DIVERSE TRA LORO; AD UNIRLE E’ LA DETENZIONE E IL FATTO CHE SONO QUASI TUTTI “ITALIANI” DA DECENNI O PARECCHI ANNI.
LA VERGOGNA DI QUESTO PAESE PASSA ATTRAVERSO LE STORIE DI CHI VIVE TRA LE GABBIE.
CHISSA’ SE I PARTECIPANTI ALLA MANIFESTAZIONE DI PIAZZA DEL POPOLO HANNO MAI DEDICATO UN MINUTO DELLA LORO VITA A TUTTO CIO’, INVECE DI LEGGERE IL TUTTOLOGO SAVIANO CHE PIANGE I CADUTI DEL SUD, QUELLI DELLA FOLGORE.
C’erano una volta gli sbarchi. E chi non faceva domanda d’asilo veniva smistato nei centri di identificazione e espulsione (Cie) d’Italia in attesa del rimpatrio o del rilascio con un ordine di allontanamento. Ma adesso che gli sbarchi sono diminuiti del 90% negli ultimi cinque mesi (dati del Viminale), chi è che finisce dentro i Cie? Per scoprirlo stiamo girando i Cie di tutta Italia. Cominciando da quello di Roma, a Ponte Galeria.
Lì abbiamo scoperto che, oltre a un terzo circa di ex detenuti trasferiti direttamente dal carcere, le vittime del giro di vite sulla clandestinità sono soprattutto “italiani”. Italiani tra virgolette, perché non hanno la cittadinanza, ma in Italia vivono da quindici, venti o trent’anni. Gente che ha avuto il permesso di soggiorno con le sanatorie del ‘93 e del ‘95, e che il permesso se l’è visto ritirare per scadenza termini, essendosi trovato senza datore di lavoro al momento del rinnovo. In vent’anni però in Italia uno si costruisce una vita. E allora c’è chi fuori ha moglie e bambini piccoli. Ci sono famiglie che rischiano di essere spezzate in due. In nome della sicurezza degli italianisenzavirgolette. Drammi che hanno portato alcuni a tentare il suicidio, bevendo la candeggina o tagliandosi i polsi. Oppure a imbottirsi di psicofarmaci per non impazzire. Fortress Europe ha raccolto per voi le loro storie. Ogni giorno ve ne racconteremo una
– Quando gli azzurri di Bearzot vinsero i mondiali di calcio del 1982 in Spagna, Z. Jacob viveva in Italia già da due anni. Era arrivato all’età di 19 anni, nel 1980, dal Camerun. Negli ultimi tempi a Roma lavorava al locale Jogodo, in via di Torre spaccata 127. Tutto in nero perché non aveva il permesso di soggiorno. Gli era scaduto durante la lunga convalescenza seguita a un grave incidente stradale di cui porta ancora le cicatrici sul cranio. A Roma aveva anche un magazzino di strumenti musicali. Li affittava per serate e concerti per guadagnarsi la vita. E aveva addirittura una associazione culturale, registrata a nome della moglie, l’associazione “Black and White”. La moglie già. Perché dopo 29 anni in Italia uno ha tutta la vita nel nostro paese. Jacob oltre alla moglie ha un figlio. Un bambino di 10 anni, a cui ancora la madre non ha spiegato dove sia finito il papà da quando lo ha fermato la polizia, lo scorso 31 agosto, per un banale controllo dei documenti. Rinchiuso da 29 giorni al centro di identificazione e espulsione di Ponte Galeria, a Roma, Jacob adesso teme il rimpatrio. Soprattutto per la sorte della sua famiglia e del figlio.
C’è un altro particolare tragicomico. Il 18 aprile del 2009, quattro mesi prima di essere fermato dalla polizia e portato al Cie per essere espulso, il signor Jacob aveva partecipato a Frascati a una giornata di studi sui diritti umani, intitolata “Dai prigionieri di guerra ai nuovi privati della libertà”. Mi mostra l’attestato di partecipazione. C’è scritto il suo nome. Indovinate chi organizzava l’evento? La Croce rossa italiana. Gli stessi che ora gestiscono la sua di privazione della libertà, all’interno del Centro di identificazione e espulsione di Ponte Galeria, dove ha già passato 33 giorni e da dove rischia di essere rimpatriato quanto prima.
– Su un piazzale di cemento sono piantate le sbarre di ferro alte quattro metri che delimitano i moduli della sezione femminile del Centro di identificazione e espulsione di Ponte Galeria, a Roma. I posti a disposizione sono 172, sei per ogni camerata. Di notte i cancelli di ogni modulo si chiudono. Nella prima sezione ci sono le ragazze nigeriane, molte sono vittime del racket della prostituzione. Più avanti si trova la sezione delle cinesi. Massaggiatrici da spiaggia e madri di famiglia detenute in nome della sicurezza degli italiani. H. è una di loro. È dentro da 45 giorni. Ma nella sua stanza ci sono quattro donne che sono qui da più di 60 giorni e chiedono che cosa sarà di loro con questa nuova legge. “Dopo tle mesi fai come passo” dice nel poco italiano che conosce. Accanto a lei, si alza dal letto, dove era seduta sulle lenzuola di carta stropicciate, Sunchi. Lei vive a Roma da sei anni. È una dottoressa di medicina tradizionale cinese. A Roma si guadagnava da vivere con l’agopuntura e i massaggi, in un appartamento a Piazza Vittorio. Ha 53 anni. La polizia l’ha fermata due mesi fa a Fregene, sulla spiaggia, mentre faceva massaggi ai bagnanti. In Cina ha un figlio di 25 anni, che si sta per laureare a Pechino. Tra sette giorni scadono i primi due mesi del trattenimento. Ancora non ha ricevuto la notifica della proroga del trattenimento, che potrebbe durare fino a sei mesi secondo le nuove disposizioni. Tuttavia è quasi sicura che non sarà rimpatriata. E come lei le altre donne. Un ispettore di polizia del Cie conferma. L’ambasciata cinese non collabora con le identificazioni. Insomma, sei mesi di detenzione e poi tutto ricomincia come prima. Sunchi lo sa. E per questo – tramite amici che ha fuori – sta continuando a pagare l’affitto del suo posto letto in un appartamento sulla Casilina.
C. segue la nostra conversazione. Non vuole che scriva il suo nome, ma ci tiene a far sapere la sua storia. Perché è una di quelle storie che non possono essere taciute. Questa donna di 42 anni vive in Italia dal 1999. E non è da sola. A Forlì la aspettano il marito e i due figli, di 18 e 19 anni. Il suo permesso di soggiorno è scaduto tre anni fa, perché non aveva un contratto di lavoro al momento del rinnovo. Ha provato anche a metterci un avvocato, ma sono stati soldi sprecati. L’hanno fermata a Forlì durante un banale controllo dei documenti, lo scorso 13 agosto. Da allora sente i suoi figli soltanto al telefono. Soltanto tra quattro mesi potrà riabbracciarli e tornare al lavoro, nella fabbrica dove era impiegata in nero.
Torino, Parigi, Teramo… dal sito Macerie
Giusto all’ora di pranzo di giovedì, una decina di antirazzisti è entrata nella mensa del Politecnico di Torino, esponendo uno striscione con la scritta “La Sodexho ingrassa sui lager” e distribuendo volantini ai presenti. Studenti, cassiere e cuochi sono così stati informati che la grande multinazionale del catering Sodexho, oltre a gestire questa mensa, ha anche l’appalto per la fornitura dei pasti ai reclusi dei Centri di identificazione ed espulsione di via Corelli a Milano e di Roma Ponte Galeria.
Reclusi che da sempre si lamentano per la pessima qualità del cibo e per la presenza di vermi e scarafaggi cotti. Reclusi che spesso, come da quattro giorni proprio al Cie di Roma, sono in sciopero della fame contro le condizioni di detenzione e contro l’estensione a sei mesi del tempo massimo di permanenza, per la libertà. Reclusi che spesso si ribellano e distruggono questi lager, come hanno fatto i quattordici rivoltosi di via Corelli, sotto processo per la grande rivolta dell’agosto scorso. Reclusi che spesso evadono da quelle gabbie, come è successo al Cie di Torino nella notte tra domenica e lunedì. Detto questo, il gruppetto si è dileguato prima dell’arrivo della polizia, chiamata da un’inviperita funzionaria amministrativa della Sodexho.
Scarica, stampa e diffondi il comunicato della Sodexho e il menu della giornata.
A Parigi, invece, martedì sera una decina di solidali si sono auto-invitati a due dibattiti inseriti nel forum degli istituti culturali stranieri il cui tema di quest’anno è, pensate un po’ che pretese, “Sublimiamo le frontiere”. Il loro intento era quello di ricordare al pubblico dell’Istituto culturale olandese e di quello italiano che la parola stessa “frontiera” fa rima con controlli, lager, prigionia e morte per milioni di persone. Soprattutto ora, dentro alla moderna Europa di Schengen. Bisogna dire che l’accoglienza del pubblico che assisteva alla conferenza all’Istituto culturale olandese non è stata particolarmente calorosa: i presenti sul posto hanno cominciato molto presto a dare in escandescenze ed insultare i contestatori, e i volantini sono stati distribuiti e letti nonostante il loro gesticolare e il loro baccano. Al contrario, all’Istituto culturale italiano l’accoglienza è stata molto più cortese e comprensiva: i contestatori hanno letto la testimonianza di un recluso di Ponte Galeria ed hanno reso edotto il pubblico su quest’ultimo mese e mezzo di rivolte nei Centri italiani e del processo in corso contro i 14 di Corelli. “Sopprimiamo le frontiere” – così terminava il volantino distribuito in entrambe le occasioni.
A Teramo, invece, nella notte tra martedì e mercoledì sono stati imbrattati due mezzi della Misericordia. I quotidiani locali riportano le due scritte che sarebbero state vergate con lo spray nero sui portelloni: “Assassini” e “Complici dei lager”. La Digos, come al solito, indaga, e sospetta che a muovere gli autori delle scritte sia il disprezzo verso l’istituzione della Misericordia che, come sapete, gestisce i Cie di Bologna e Modena.
macerie @ Ottobre 1, 2009
Espulso Miguel: prosegue lo sciopero della fame a Ponte Galeria
Questa mattina, alle 7, Miguel è stato svegliato dai poliziotti dell’ufficio immigrazione del Cie di Ponte Galeria. L’hanno accompagnato nel loro ufficio e gli hanno annunciato che è arrivata l’ora della deportazione. Ora è in viaggio verso l’aeoporto. Non sappiamo se questa svolta nella sua storia sia il normale avanzare della macchina delle espulsioni oppure una rappresaglia contro la sua voglia di lottare ed una intimidazione rivolta anche a tutti i suoi compagni del Centro che da due giorni stanno scioperando.
A proposito, lo sciopero della fame. Durante tutta la giornata di ieri lo sciopero è proseguito compatto: solo alcuni abbandoni, ma il grosso dei reclusi dell’area maschile ha continuato nella protesta. In tre sono svenuti per la spossatezza, due nel pomeriggio e uno la sera. In tutti e tre i casi i loro compagni hanno dovuto urlare a lungo per farli soccorrere, ed un poliziotto si è prodotto in una di quelle scene delle quali soltanto i portatori di divisa riescono ad essere protagonisti: si è avvicinato alle gabbie mentre dentro la gente urlava disperata, con il ragazzo svenuto in mezzo, ed ha cominciato a sputare oltre le sbarre, verso i reclusi, borbottando qualcosa.
Poi la situazione è diventata ancora più tesa, nel tardo pomeriggio. Alle gabbie si sono presentati alcuni dei funzionari che governano il Centro (sicuramente il capo della polizia e quello della Croce Rossa, più altri ancora) per parlamentare con i reclusi. Quando hanno appreso che la rivendicazione principale della protesta è l’abolizione della norma del “pacchetto sicurezza” che ha allungato a sei mesi i tempi di trattenimento hanno risposto che non è cosa di loro competenza e che avrebbero potuto soltanto fare qualcosa per migliorare un po’ le condizioni di vita. Hanno anche affermato che avrebbero fatto tacere la protesta “con le buone o con le cattive”. Durante tutto il colloquio almeno tre pulman dell’antisommossa sono entrati nel Centro, a dare forza alle parole dei funzionari. Intorno alle 19,30, i funzionari se ne sono andati e i reparti della celere si sono ritirati. Al posto loro, però, sono entrati in campo i fabbri che – almeno fino alle undici di sera – hanno lavorato per rafforzare le gabbie: nuovi lucchetti per tutti.
Ascolta la testimonianza raccolta da Radio Blackout su http://www.autistici.org/macerie/?p=20363
Immagini del dopo pestaggio: Cie di Gradisca
«Ci furono tempi felici in cui si poteva scegliere liberamente: meglio morti che schiavi, meglio morire in piedi che vivere in ginocchio. E ci furono tempi infami in cui intellettuali rincretiniti hanno dichiarato che la vita è il sommo dei beni. Oggi sono arrivati i tempi terribili in cui ogni giorno si dimostra che la morte dà inizio al suo governo del terrore esattamente quando la vita è diventata il sommo bene; che chi preferisce vivere in ginocchio, muore in ginocchio; che nessuno può essere ucciso più facilmente di uno schiavo. Noi viventi dobbiamo imparare che non si può nemmeno vivere in ginocchio, che non si diventa immortali se si corre dietro alla vita, e che, se non si vuole più morire per nulla, si muore nonostante non si sia fatto nulla.»
H.A., 1942
Lettera a Maroni dalla redazione di Macerie : contro i lager di Stato
Prendo questa lettera, per intero, dal sito Macerie. Sito che questo blog “frequenta” costantemente per il suo ottimo lavoro virtuale e reale che fa sui Cie, i Centri di Identificazione ed Espulsione per migranti. I nostri lager, per dirla in parole più semplici, quelli che dall’approvazione del “pacchetto sicurezza” del ministro Maroni stanno scoppiando, in una rivolta dopo l’altra. Sedate tutte nello stesso identico modo, dalla polizia e dall’incredibile “buon lavoro” della Croce Rossa.
Due redattori di Macerie sono sotto processo: un processo da tenere molto sotto controllo.
Con gli occhi ben aperti.
Signor Ministro,
Non sa più che pesci prendere, vero? È chiaro che la società che Lei pretende di controllare Le sta scoppiando tra le mani. Lo vede con i Suoi stessi occhi, e lo vediamo anche noi. Da qualunque parte la si guardi, la situazione è fuori controllo, e più Lei ripete i suoi «tutto va bene» sorridendo teso alla televisione, più alle sue spalle si vede il fumo delle macerie che sale.
Signor Ministro, è inutile nasconderlo. Se i padroni alla fine ingrassano come sempre, gli sfruttati sono ormai finiti talmente sul lastrico da essere disposti a far letteralmente di tutto. In primavera un gruppo di disoccupati napoletani è arrivato a dar fuoco ad un autobus per protesta, ed ora non si conta più la gente arrampicata sui tetti dei capannoni e dei monumenti. E se un mattino all’alba sgomberate decine di famiglie da una casa occupata abusivamente, la sera stessa ne avete altre dieci a cui pensare. E tutto questo, per un semplice posto di lavoro o per una casa, mica per la giustizia o per un mondo migliore. Si figuri, signor Ministro.Guardiamoci in faccia e diciamoci la verità: a parte parlare ossessivamente di sicurezza, Lei e i Suoi colleghi non sapete che pesci prendere. E dire che le state provando proprio tutte, ma i risultati sono quelli che sono. Basta vedere il gran casino che ha provocato l’approvazione del Suo amato “pacchetto sicurezza”. I Centri di Identificazione ed Espulsione per “clandestini” stanno letteralmente scoppiando: di rabbia, non di reclusi, giacché da quando sono state introdotte le nuove norme la macchina delle espulsioni è inceppata e funziona più lentamente di prima. Persino i poliziotti di guardia e i crocerossini si lamentano di Lei, signor Ministro. Ma questo non le importa, «non c’è nessuna emergenza», perché Lei si consola con le immagini dei barconi respinti in Libia. E questo la fa sentire importante, la fa sentire potente, signor Ministro. E le ronde che Lei tanto ha voluto si risolvono in pagliacciate scortatissime dalla Sua polizia, che brontola per dover far da balia a questi gendarmi dilettanti, quando non finiscono in rissa con chi di squadracce in giro non ne vuole vedere neanche l’ombra. E sono sempre i Suoi prodi ad aver la peggio. Per non parlare poi del “reato di clandestinità” di Sua invenzione, che sta intasando i Tribunali e non lascia ai Giudici neanche più il tempo per condannare a mesi o anni di galera chi ruba un pezzo di formaggio al supermercato. Dall’aeroporto di Kabul fino a Porta Palazzo, non si può certo dire che Lei e il Suo governo stiate vincendo su tutti i fronti. Ma i morti e i feriti vi rimarranno sulla coscienza per sempre.
No, Signor ministro, così proprio non va, se è davvero l’Ordine che Lei vuole gestire. Se invece, così come pare a molti, è solo il Potere che Le interessa, allora bisogna dire che Lei e i suoi compari siete stati bravi a conquistarlo. Saperlo mantenere, questo Potere, è tutt’altra cosa. O potreste ritrovarvi un bel giorno a regnare sul nulla.
Ma sappiamo anche qual è il vostro asso nella manica, la risorsa estrema, l’ultima carta da giocare. Che è poi il progetto politico preciso Suo e del movimento che Lei così degnamente rappresenta: scatenare una guerra civile permanente, che possa permetterLe di organizzare le masse in schiere pronte ad obbedire ai Suoi ordini con fervore e dedizione totali, assoluti. Pronte a tutto, pronte anche ad uccidere e stuprare in nome di un Capo e di una etnia, di una lingua o di una religione. Voi dite Padania, noi capiamo Bosnia. Voi dite Italia, noi capiamo Jugoslavia. Bisogna anche dire che in questo ambizioso progetto Lei non è affatto solo, signor Ministro. Non è lavoro da cospiratori questo, non ci sono trame segrete. C’è pure il rischio che Lei stia proprio “dalla parte della Storia” e del suo flusso osceno. Quando le macchine dentro alle fabbriche si fermano e sembrano non voler ripartire; quando i campi sono bruciati da guerre, pesticidi e carestie, le città devastate dagli affari delle Società per Azioni; quando la gente scappa e scappa in massa e valica le frontiere in lunghe file disperate; quando i Figli del mondo sono troppi, troppo rumorosi e troppo inutili; quando tutto si mescola e si confonde – allora quello stesso Capitale che in altri tempi si concede delle brevi e circoscritte apparenze di benevolenza tira fuori i denti e si prepara al totalitarismo. Servendosi proprio di uomini come Lei.
E, a proposito di uomini, signor Ministro, c’è ancora uno scoglio da superare prima di raggiungere il Suo ultimo obiettivo. Per rendere accettabile, desiderabile, buono e giusto l’incubo che state preparando, e di cui ci state facendo assaggiare qualcosa di più di un’anteprima, non basta la semplice propaganda, per quanto martellante e ossessiva. No, signor Ministro, Lei ha bisogno di una vera e propria mutazione antropologica, di un uomo nuovo. Di un uomo su cui la coscienza dell’ingiustizia scivoli via senza lasciare tracce, in cui la capacità di sentire su di sé le sofferenze altrui – da alcuni chiamata com-passione – sia un ricordo lontano. Un uomo che non individui come tali i sentimenti più odiosi e meschini, che non senta il bisogno di nasconderli o per lo meno di giustificarli ideologicamente, ma che li viva, al contrario, come la più placida delle normalità. Un uomo che, insomma, rendaantiquata anche l’ultima delle prerogative che un tempo erano proprie degli umani: l’ipocrisia.
Esagerazioni farneticanti? No, signor Ministro, se Lei pensa a quell’informatico leghista di Gallarate, amico del figlio stupido del suo Capo, che trovava, e immaginiamo trovi tuttora divertente giocare su internet a respingere barconi di “clandestini”. Mentre lei lo faceva sul serio, e donne, uomini e bambini morivano disidratati, affogati o torturati in Libia: essenzialmente assassinati da Lei, signor Ministro. Ecco, quell’informatico di Gallarate è proprio il prototipo dell’uomo nuovo che Lei sta costruendo. L’uomo che ride di fronte alla morte di gente che non ha mai neanche visto e che nulla gli ha fatto.
Una persona orribile, senza ombra di dubbio, una persona orribile proprio come Lei, signor Ministro, talmente orribile che l’ultimo dei papponi della Pellerina sembra San Francesco in confronto. Ed è proprio per non soccombere di fronte a questo orrore, di fronte a questo baratro in cui precipitano gli ultimi residui di umanità che qualcuno, noi compresi, ha deciso di reagire, di rispondere, e di risponderLe.
Veniamo a noi, dunque, signor Ministro, a tutti noi che ci ostiniamo a non soccombere, e che per questo continuiamo a ribellarci, testardi, inguaribili guastafeste, una piccola parte di questo mondo che esplode, piccola ma non per questo disposta a rassegnarsi. Ebbene, come Lei saprà di sicuro, il Suo pupillo Spartaco Mortola – noto nel mondo intero per l’affaire delle molotov alla Diaz ed ora vicequestore qui a Torino – ha chiesto che si applichi a due di noi la misura di prevenzione della “sorveglianza speciale”. Se i Giudici di Torino lo riterranno opportuno, per quattro anni i due non potranno incontrarsi tra loro, non potranno uscire da Torino e neanche di casa la sera, non potranno partecipare a manifestazioni né chiacchierare per strada con gente di cui non possano certificare una fedina penale intonsa. Un bel castigo, non c’è che dire, un castigo per tutte quelle malefatte che la Sua polizia sostiene abbiano commesso e per le quali la magistratura non ha voluto o potuto infliggere condanne adeguate. Su questa lunghissima teoria di episodi che vengono loro contestati ci lasci dire solo questo, signor Ministro. Ad alcuni di questi i due hanno partecipato effettivamente, di altri invece ne ignoravano persino l’esistenza, ad altri ancora avrebbero partecipato volentieri. Perché di fronte all’accusa di essere stati in mezzo ad una folla che tenta di liberare dalle mani dei carabinieri un senza-documenti destinato alle gabbie di un Cie, nessun uomo che ama la libertà può dire null’altro che: «avrei voluto esserci anche io, se solo avessi saputo».
E qual è lo scopo di questo castigo chiamato “sorveglianza speciale”, Signor ministro? Spaventare, senza dubbio. E spaventare chi? Spaventare innanzitutto i due per i quali è stata richiesta la misura di prevenzione, con la minaccia di finire in galera se persistono nel vivere come hanno scelto di vivere. Spaventare i loro compagni, affinché la smettano di rompere i coglioni a Lei e a quelli come Lei. E spaventare, soprattutto, tutti quei pezzi di società, e sono tanti, che rischiano di intralciare il Suo progetto, affinché non si sognino neppure di poter alzare la testa e guardarLa dritto in faccia con tutto il disprezzo che Lei senza dubbio merita. E infatti, se pensiamo proprio a questi pezzi di società, scopriamo che la sorveglianza che la Sua polizia intende applicare a due di noi non è poi tanto speciale, comparata con i provvedimenti restrittivi che oramai è diventato normale applicare: agli stranieri, agli ultras, ai terremotati abruzzesi, per fare solo qualche esempio di tutti quei campi (siano essi campi di concentramento, campi da calcio o campi della Protezione Civile) in cui sperimentare meccanismi e dispositivi di compressione della libertà nel nome di una vera o presunta emergenza da agitare.
Ebbene, signor Ministro, si figuri se degli anarchici, che trovano intollerabile che la libertà degli altri sia messa in discussione, sono disposti a tollerare simili limitazioni della propria, di libertà. Si figuri se chi già di solito non è ben disposto a sottostare ai provvedimenti dell’Autorità può sottostare a misure come quelle che la Questura vorrebbe predisporre con il benestare del Tribunale. Si figuri se chi è abituato a non voltarsi dall’altra parte di fronte all’abisso dell’orrore a cui Lei e i Suoi simili ci costringono ogni giorno può aver paura di un simile provvedimento. Si figuri, signor Ministro, se qualcuno può smetterla proprio adesso che il mondo esplode e Lei non sa più che pesci pigliare. Noi no, no di certo.
La redazione di macerie (e storie di Torino)
(Dopo una prima udienza a giugno, il processo per la sorveglianza speciale a due redattori di macerie continuerà giovedì 1 ottobre. Se volete, potete scrivere a Maroni per dirgli quel che pensate di lui, usando queste cartoline: fronte e retro)
macerie @ Settembre 25, 2009
I feriti della rivolta di Gradisca
Ancora un po’ di immagini che testimoniano dei pestaggi nel Cie di Gradisca d’Isonzo di lunedì mattina. Tra i feriti c’è chi ha avuto 60 punti di sutura, e in tanti denunciano la complicità del personale medico del Centro con la polizia. Ma non solo: i reclusi denunciano anche la sparizione di denaro e di altri oggetti (in particolar modo lettori mp3) durante la perquisizione che ha preceduto il massacro. La polizia sta cercando di insabbiare la vicenda, ricatta i feriti per evitare che questi denuncino i poliziotti e, per spezzare la resistenza, questa mattina ha trasferito una dozzina di prigionieri a Milano, in via Corelli. Come potete sentire dalla diretta che pubblichiamo qui sotto, però, la voglia di farsi sentire, dentro, è ancora alta. Sta a noi aiutarli.
Ascolta la diretta con un recluso di Gradisca d’Isonzo:
http://www.autistici.org/macerie/?p=19923
Sulla rivolta di Gradisca del 21 settembre leggi anche:
Sui pestaggi dentro ai Cie leggi anche:
E sui furti nei Centri:
Sciopero della fame e della sete a Ponte Galeria
macerie @ Settembre 23, 2009
“Nella tua città c’è un Lager”: nasce un bollettino bisettimanale a Roma
Tra le tante cose che succedono nella capitale, qualche compagno ha anche trovato il tempo di raccogliere e mettere nero su bianco le notizie che arrivano dai centri di identificazione ed espulsione. “Perché nessuno dica che non sapeva” che c’è un lager nella sua città. Un piccolo regalo alla lotta contro la macchina delle espulsioni, che siamo lieti di mettervi a disposizione.
bollettino-roma-1
Rivolta al C.I.E. di Gradisca
Mentre il paese intero si raccoglie nel lutto per i sei soldati morti in Afghanistan, mentre la Croce Rossa piange sulla vernice versata sulla facciata della sede di Roma, scoppia una rivolta nel Cie di Gradisca di Isonzo, provincia di Gorizia. Non sappiamo come sia cominciata, per ora le notizie sono frammentarie e confuse. Quel che è certo è che in una sezione è stato appiccato un incendio, e che la polizia sta picchiando forte chiunque gli capiti sotto tiro. Al momento, si contano almeno 15 feriti tra i reclusi, portati in infermeria sanguinanti.
Ascolta una breve conversazione con un recluso: http://www.autistici.org/macerie/?p=19743
Aggiornamento. Piano piano stiamo riuscendo a ricostruire la dinamica di questa rivolta.

In foto la sede della Croce di Rossa di Roma, attaccata da lanciatori di palloncini ed escrementi questa mattina. La Croce Rossa è complice nella gestione dei Centri di identificazione ed Espulsione
Tutto comincia questa notte, quando in 35 tentano la fuga dal Cie. Purtroppo il tentativo è sventato dalla polizia, che comincia a picchiare brutalmente i fuggiaschi. A questo punto gli altri reclusi, anche chi non aveva partecipato all’evasione fallita, iniziano a protestare e salgono sui tetti, rimanendoci fino alle 6 di questa mattina. Pare che siano anche giunti sul posto dei giornalisti, che forse hanno preferito mantenere il riserbo sulla vicenda (sono sempre giorni di lutto, questi…). All’alba, dietro la promessa della polizia di non fare rappresaglie, i reclusi scendono dai tetti, e la situazione ritorna tranquilla. Fino alle 13, quando scatta una perquisizione. I poliziotti si lasciano andare ad offese pesanti, strappando in due un Corano, e pare che durante il loro passaggio siano spariti anche dei soldi e dei cellulari. Di lì a poco, scoppia la rivolta.
Al momento, e sono le cinque di pomeriggio, la rivolta è ancora in corso. Il numero di feriti è salito a una ventina. La polizia continua a picchiare e tirare lacrimogeni nelle celle. Dall’altro lato, i reclusi tentano di spaccare i lucchetti per arrivare ai poliziotti, “tanto qui siamo morti lo stesso”.
Ascolta una conversazione con un altro recluso http://www.autistici.org/macerie/?p=19743
Un altro aggiornamento. Pare che ora, verso le sette di sera, la situazione sia tornata relativamente tranquilla. Certo bisognerà presto capire la situazione dei feriti, alcuni dei quali sembrano davvero in gravi condizioni.
macerie @ Settembre 21, 2009
PER LE IMMAGINI: UN VIDEO GIRATO DENTRO QUALCHE GIORNO DOPO, PER VEDERE ” I RESTI” DELLA RIVOLTA
“Non si spara sulla Croce Rossa”…sulla CGIL si può????
Tratto da Indymedia Piemonte
Avremmo voluto raccontarvi la storia di un tentativo di evasione dal Cie di corso Brunelleschi a Torino.
Così come avremmo voluto raccontarvi la storia di un pugno in faccia sferrato da un fuggiasco a un Alpino di guardia al Centro. Avremmo voluto, eccome, ma abbiamo chiamato dentro e siamo costretti a smentire le notizie de La Stampa. Pare proprio che la storia dell’evasione sia una bufala, per quanto versosimile di questi tempi, inventata di sana pianta dai militari o dalla Questura per giustificare un violento pestaggio da parte degli Alpini – ed è il primo caso documentato di violenza alpina all’interno di corso Brunelleschi – nei confronti di una quindicina di reclusi, esasperati dall’attesa della “terapia”, dagli insulti e dai maltrattamenti. E, ovviamente, tra militari e poliziotti c’era pure un crocerossino, di sicuro un “operatore precario che, nell’assolvere il suo compito, lotta per mantenere pubblica e civile l’assistenza a tutte le persone in difficoltà“: infatti è stato lui a portare i manganelli agli Alpini, evidentemente in difficoltà. E inoltre, è sicuramente vero che “lo spirito che anima gli operatori Cri non è certo quello dei carcerieri”. Infatti il giorno dopo il pestaggio gli Alpini hanno chiesto scusa, il crocerossino invece no.
Ascolta una conversazione con uno dei reclusi pestati di corso Brunelleschi: http://www.autistici.org/macerie/?p=19213
A proposito di crocerossini precari e sindacalizzati leggi il comunicato della Cgil-Funzione Pubblica:
Piemonte Torino
COMUNICATO STAMPA
NON SI SPARA SULLA CROCE ROSSA
Nella serata di ieri un gruppetto di sedicenti anarchici ha occupato la sede
della Croce Rossa Italiana di Torino, per contestare la funzione di assistenza
svolta dalla CRI presso i Centri di Identificazione ed Espulsione (ex CPT).
Essere contro la politica razzista e xenofoba del Governo, non può in alcun
modo porre sotto accusa l’opera degli operatori della Croce Rossa che, in
condizioni difficilissime, garantiscono l’assistenza sanitaria alle centinaia di
esseri umani rinchiusi, in condizioni insopportabili, in centri che sono sempre
più simili a campi di concentramento.
Vale solo la pena di ricordare che gli operatori della Croce Rossa non
appartengono ad alcun corpo militare in armi. Al contrario, per la maggior
parte, sono operatori precari che, nell’assolvere il loro compito, lottano per
mantenere pubblica e civile l’assistenza a tutte le persone in difficoltà. Del
resto basti ricordare la funzione umanitaria che la CRI svolge in situazioni di
frontiera, come Lampedusa, per comprendere che lo spirito che anima gli
operatori CRI non è certo quello dei carcerieri di Guantanamo.
La Funzione Pubblica della CGIL, nel condannare l’occupazione della sede
della CRI di Torino, esprime agli operatori ed alla Croce Rossa, la propria
piena solidarietà.
Torino, 9 settembre 2009








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