Brutali violenze poliziesche a Milano, il 25 aprile
Il video che potete vedere andando su questo link, QUI, non lascia poi senza parole e non ci stupisce nemmeno così tanto ma certo non va taciuto. E’ stato girato poco prima di mezzogiorno da una finestra di una via milanese, proprio oggi, 25 aprile 2020, 75° anniversario della liberazione dal nazifascismo.
Un 25 aprile diverso da sempre, vista l’impossibilità di muoversi a causa dei decreti emergenziali per il Coronavirus, un 25 aprile che ci toglie via dalle piazze, dalla collettività, dal calpestare insieme le strade e riempirle del rosso delle bandiere e degli ideali di libertà. Sempre e comunque.
Ma anche un 25 aprile dove si era deciso di iniziare a violare le misure, di farlo insieme, con tutte le cautele del caso, ma farlo, per commemorare i partigiani ma anche per riprendersi una prima boccata di vita.
Perché se è ovvio che dovevamo tutelare la comunità e rimanere a casa, se è ovvio che non c’era probabilmente altro modo per frenare una crescita esponenziale dei contagi … non è certo ovvio ritrovarsi con le strade svuotate dalla vita e riempite solo da pattuglie, repressione, controllo totale.
Quello a cui abbiamo assistito in questi giorni, il costante abuso di potere perpetrato in ogni strada ed in ogni contesto non può certo continuare a proseguire.
Bisogna rimetterli al loro posto,
bisogna riprendersi le strade per vivere, per stare insieme, e non solo per gli interessi di Confindustria che invece ci manda sereni sereni a morire ammazzati sui posti di lavoro.
Le immagini di Milano di questa mattina si susseguono a quelle di Torino di qualche giorno fa : dobbiamo fare in modo che questo non riaccada. Imparare a riprenderci le strade in massima sicurezza, tentare di riappropriarsi della vita malgrado i prossimi mesi complicati con l’inevitabile “distanziamento sociale”.
Bisogna fargli capire che non si è disposti a vivere così,
mandati al macello per gli interessi dei padroni,
detenuti in casa con i droni a controllarci
e in fila silenziosi davanti ai supermercati.
Qui i link : VEDI IL VIDEO
poi Milano Via Padova
QUI invece potete ascoltare da Radio Cane il racconto della giornata : ASCOLTA
Klodian Elezi, morto di Expo.
Solo sul giornle Brescia Today son riuscita a trovare il nome di quest’uomo.
Che poi uomo, quale uomo, aveva 21 anni, un ragazzetto.
Nessuno lo nomina, probabilmente perché albanese.
Però l’11 aprile ha fatto un volo di 5 metri, all’interno del cantiere della Teem, sbattendo la testa e morendo sul colpo, da un ponteggio dove lavorava senza alcuna imbracatura.
Klodian Elezi, questo era il nome di questo giovane ragazzo da anni residente con tutta la famiglia nel bresciano,
che è morto per garantire l’inaugurazione di una una galleria nei pressi del futuro casello di Pessano con Bornago, che va inaugurata per l’Expo, perché sarà la prossima futura tangenziale esterna milanese.
Un morto di Expo, volato giù come una mela senza diritto nemmeno ad avere un nome a quanto pare,
impiegato in un cantiere ora posto sotto sequestro e da cui son subito sbucate molte irregolarità, tra cui in primis l’assenza dell’imbracatura di sicurezza, che avrebbe permesso a Klodian di assaporare questa primavera e tante altre.
Un’intervista che ci racconta il carcere di Santo Stefano degli anni ’50
Quella che leggerete è l’intervista ad un maestro, Stefano di Filippo, che per un paio di mesi della sua vita si trovò sullo scoglio di Santo Stefano, ad insegnare ai detenuti dell’ergastolo che dal periodo borbonico, rimase aperto e stracolmo fino all’aprile del 1965.
L’intervista è di Melania Del Santo, compagna di Liberi dall’ergastolo, che lo scorso anno è venuta con me in Sicilia ad intervistare chi quel carcere l’aveva fatto ai ferri, il mitico bandito dell’Isola di Milano, Ezio Barbieri…
da qualunque parte lo si racconti quel carcere si sente lo stesso odore di zuppa di piselli o fave, da qualunque parte lo si guardi, non si può non sentire la violenza della segregazione in un luogo mangiato dai mari e dai venti.
Un luogo che noi abbiamo scelto come simbolo per parlare dell’indecenza della segregazione e dell’aberrazione del Fine Pena Mai.
Anche quest’anno, il 14 giugno, siamo salpati: 60 persone da ogni dove, per raggiungere quel carcere e quel cimitero degli ergastolani.
Ancora una volta un’esperienza grande, ricca e infinitamente eterogenea: ancora una volta abbiamo portato i nostri fiori, le nostre voci, i nostri sorrisi sulla tomba di Gaetano Bresci e dei suoi 46 compagni di riposo.
CONTRO OGNI CARCERE.
M.: Professo’, raccontatemi un poco di questa esperienza. Quanto tempo siete stato a Santo Stefano?
Pr.: Ci stetti solo 3 mesi a S. Stefano, da ottobre a dicembre, fino alle vacanze di Natale.Gli ultimi giorni in carcere mi ammalai di tifo. Mi venne la
febbre alta, a 41 C.Mi ricordo quando avevo la febbre che sono stato chiuso un po’ di giorni nella cella… una notte mi sono alzato che mi mancava l’aria perché la cella era piccola e si era consumato l’ossigeno.Aspettavo ogni giorno il “vapore” (la barca) che non veniva da qualche giorno perché c’era il mare agitato. Ad un certo punto venne un carcerato: <<Professo’, professo’, la barca. La barca è arrivata!>>. E così finalmente me ne andai a Ventotene dove c’era mia moglie che abitava là perché insegnava nella scuola elementare di Ventotene. Il comune aveva messo a disposizione una barca che faceva servizio per chi lavorava al carcere. C’era un barcaiolo che lavorava per il comune che la guidava. Dopo qualche anno morì perché prese il tetano a causa di un chiodo arrugginito con il quale si ferì proprio mentre puliva la barca.A Ventotene a quel tempo non si stava bene. Era come andare ai lavori forzati per i maestri, come per mia moglie. Era una sede troppo disagiata.Quando il mare era mosso era pericoloso attraccare a Santo Stefano. Dalla barca bisognava fare un salto, tant’è vero che qualcuno era pure caduto in acqua… qualche guardia (ride).A volte anche per 4 o 5 giorni non arrivava la barca. Come quella volta che ebbi la febbre io. Tant’è vero che non attraccammo neanche al porto di Ventotene quando mi portarono via, ma dietro.
M.: Quanti maestri eravate?
Pr.: Nel carcere eravamo due insegnanti, io e un collega di Gaeta perché c’erano 2 sezioni. Si faceva scuola dal lunedì al venerdì, dalle 7.30 alle 11. La barca che faceva servizio da Ventotene a Santo Stefano arrivava tutti i giorni alle 7.30 per portare le guardie carcerarie. Ma poi alle 9 andava via e quindi dopo le 11 non c’era più il servizio del “vapore” che ci poteva riportare indietro. Allora io e il collega di Gaeta stavamo là tutta la settimana, come i carcerati, ma solo dal lunedì al venerdì.
M.: Professore, dove dormivate?
Pr.: Nella cella. Nel carcere c’erano gli appartamenti per il direttore e per gli impiegati della direzione. Alcune guardie carcerarie, quelle che avevano famiglia, vivevano là, sempre negli appartamenti. Invece i giovani scapoli che lavoravano nel carcere dormivano nelle celle vuote, adibite ad alloggi per i lavoratori più giovani. Come noi.
M.: Quanti erano i carcerati a quel tempo?
Pr.: Un centinaio, o forse meno.
M.: Che tipo di lezioni facevate?
Pr.: Facevamo lezioni di italiano, matematica, storia e geografia. Nella mia classe c’erano 3 o 4 di quelli della banda Giuliano. Il vice di Giuliano, si chiamava Terranova, e poi ‘On Pisciotta (ndr. Don Pisciotta. Da un po’ di ricerche fatte poteva essere Salvatore, padre di Gaspare il quale nel ’57 era già morto). Poi c’erano diversi altri detenuti che avevano fatto varie cose, dall’omicidio alla… strage di persone! Questi della banda Giuliani erano ben istruiti, preparati, “scafati”. Con loro si potevano fare discussioni più alte rispetto agli altri detenuti. Anche quelli che sapevano leggere e scrivere, venivano lo stesso a scuola, per perdere un po’ di tempo. Parlavamo anche di argomenti di attualità, ragionavamo di cose come lo sbarco sulla Luna che in quel periodo era un dibattito molto acceso (ndr: Sputnik 1, sovietico, 4 ottobre 1957; Sputnik 2, 3 Novembre 1957). Ti ricordi il cane Laika? Soprattutto i siciliani erano assai interessati. Avevamo materiale didattico. Si facevano compiti scritti, ma anche dibattiti su argomenti che leggevamo sul giornale. Era bello.
M.: C’erano le guardie in classe?
Pr.: Quando insegnavo c’era sempre una guardia di piantone per difendermi, ma non ce n’è stato mai bisogno. Era un ambiente tranquillo.
M.: E di pomeriggio che facevate?
Pr.: Anche di pomeriggio continuavamo le discussioni iniziate in classe, oppure andavamo a parlare in direzione o col ragioniere. Parlavamo sempre nella piazzetta quando c’era il sole, chi diceva una cosa, chi un’altra, era un ambiente non pericoloso. Ognuno aveva i propri compiti e là dentro erano liberi. Mo’ ti racconto un aneddoto. Quando stavamo liberi (fuori dall’orario scolastico) passeggiavamo per il cortile circolare con qualcuno di questi della banda Giuliani. Quando incontravamo una guardia, il detenuto la chiamava con un soprannome che era uno storpiamento del cognome. Io chiedevo, ma se tu sai il cognome, perché la chiami così? E loro dicevano: noi abbiamo la matricola, veniamo chiamati con un numero, allora per dispetto cambiamo il nome pure noi alle guardie. Però erano “contranomi” senza cattiveria.
M.: Che facevano i carcerati durante la giornata?
Prof.: Alcuni lavoravano in un laboratorio, un bel laboratorio di tessitura. Cotone, seta… stava al piano terra. L’attività principale era proprio nel laboratorio tessile, ma questi prodotti erano gestiti dalla direzione. Altri facevano i muratori e altri erano addetti alla manutenzione del carcere. Alcuni detenuti poi lavoravano alla casa colonica che stava fuori. In questa casa abitava una famiglia di affittuari o mezzadri. Coltivavano le lenticchie che erano prodotti locali, nella fattoria che stava fuori. I prodotti però là (nel carcere) non arrivavano. Quelli che lavoravano la terra fuori percepivano la mercede.
M.: Come era tenuto il carcere a quel tempo?
Prof.: Il carcere era tenuto bene, i detenuti lavoravano per tenerlo pulito e facevano tanti lavoretti di manutenzione.
M.: Come era organizzato logisticamente?
Prof.: A piano terra, vicino al cortile, c’era la direzione e un vano che era un centro di commercio dove venivano gli ambulanti che portavano scarpe, pantaloni ecc. per i detenuti. Alcuni detenuti lavoravano l’uncinetto, facevano cose tipo sciarpe, centrini mantelline che vendevano in questo centro agli ambulanti per fare un po’ di soldi da mandare alle famiglie.
M.: I detenuti percepivano una paga?
Prof.: Sì, i detenuti percepivano la mercede, uno stipendio dato dallo stato per i lavori che facevano. Una parte di questi soldi li mandavano alle famiglie, una parte invece serviva a loro.
M.: Professore, si ricorda di qualche detenuto?
Prof.: Prima di prendere servizio a Santo Stefano io non avevo mai visto un detenuto. Quando arrivai il primo giorno fui accolto da un signore vestito a righe. Questo era un ergastolano che faceva il segretario, l’uomo di fiducia del direttore. Era lui che riceveva quando il direttore non c’era.
M.: Si ricorda chi era questo signore?
Prof.: Era un alunno d’ordine delle ferrovie. Una notte mentre era di servizio con il capostazione cercò di scassinare la cassaforte per prendere i soldi. Mentre stava facendo questa operazione arrivò il capostazione e allora lui… lo ammazzò (sussurrato). Era un bel giovanotto. Poi c’era un altro, il nipote del ministro Spadaro. Prima era stato un ufficiale dell’aeronautica ed aveva un’amante, una signora ricca, più anziana. Una notte la ammazzò per prendersi tutti i gioielli. Questo ragazzo faceva l’operatore della televisione perché ne capiva. Infatti nella mensa c’era la televisione.
M.: C’erano detenuti politici?
Prof.: Quando stavo io non c’erano detenuti politici, ma prima, soprattutto durante il fascismo erano tutti antifascisti. Mi hanno raccontato che c’era stato Settembrini. Lo sai che all’inizio del Novecento c’erano i briganti che vivevano a Ventotene nelle grotte?
M.: Avevate dei rapporti migliori con alcuni detenuti piuttosto che con altri?
Prof.: Non c’erano detenuti preferiti per noi, ma sicuramente c’erano detenuti più colti, alcuni erano ingegneri. Quelli più importanti erano quelli della banda Giuliano. Gli altri detenuti li chiamavano “i nobili”. Quindi le differenze tra i detenuti erano evidenziate da loro stessi. Riconoscevano quelli della banda Giuliano, diciamo, come intellettuali va.
M.: Dove mangiavate?
Prof.: C’era il refettorio e la cucina dove cucinavano stesso i detenuti. Però il cibo buono non c’era.
M.: Che mangiavate?
Prof.: Per esempio pasta e polvere di piselli. Pasta e polvere di fave. Roba secca. Mangiavamo tutti insieme: guardie, detenuti e maestri, sia a mezzogiorno che la sera. Qualche guardia qualche volta si portava cibo da Ventotene e se lo faceva preparare. Allo spaccio però cibo buono non ne arrivava.
M.: Quindi i detenuti non erano rinchiusi .
Pr.: No no, i detenuti, erano “liberi”, non stavano chiusi nelle celle. Invece le famiglie delle guardie stavano sempre chiuse dentro casa perché, soprattutto i detenuti muratori che spesso stavano in giro, era facile che andassero a bussare alle porte delle mogli delle guardie per… (ride). Mi ricordo un muratore che stava sempre arrabbiato, stizzoso.
M.: I parenti dei detenuti venivano?
Pr.: I parenti dei detenuti non venivano mai, erano come dimenticati. Le guardie ci dicevano che non dovevamo fidarci dei detenuti perché se ne potevano approfittare per far uscire delle lettere fuori dal carcere. C’era la censura, la posta non poteva uscire. Alcuni ci tenevano a farsi ben volere da noi per poter far uscire fuori le lettere indirizzate ai parenti. Il capo reparto del laboratorio tessile stava sempre vicino a me, mentre le guardie (o il direttore) mi dicevano di stare attento. Usavano la tattica di avvicinarsi e raccontare la loro storia, dicendo <<sì abbiamo sbagliato>>, ammettendo il loro errore, però sempre giustificando la causa e dando una spiegazione a quello che avevano fatto. Avevano un’arte nel farsi ben volere.
M.: Ma voi sapevate i loro reati?
Pr.: In direzione c’erano le schede con i reati dei detenuti, ma erano riservate. A volte qualcuno ci diceva qualcosa, ma noi non le potevamo leggere. I detenuti non ci parlavano mai di quello che avevano fatto gli altri. Il detenuto che ne parlava, al massimo parlava del suo reato, ma soprattutto per giustificarsi. Per dire “je nun so’ malament’. Nun so’ cattivo”. Voleva dimostrare che era una brava persona, e quello che avevano fatto aveva una spiegazione, che c’era una ragione alla causa, diciamo così. Invece quelli di Giuliani non ne parlavano mai di quello che avevano fatto, del perché stavano là dentro. Erano quelli “più spiccioli” che ne parlavano.
M.: Si ricorda del cimitero?
Pr.: Quando facevamo le passeggiate, in un certo punto, prima del cimitero, c’era un’immagine che chiamavano l’incompiuta, vicino al muro. L’avevano fatta un paio di detenuti che chiesero al direttore il permesso di dipingere questa immagine. Lo scopo però era quello di scappare. Un giorno che andarono a dipingere si tuffarono e scapparono a nuoto fino a Ventotene. Presero una barca per scappare a Ischia, però poi furono presi. E quindi l’immagine rimase incompiuta. Il cimitero era chiuso, non si poteva entrare. C’erano due colonne con la scritta: “Qui finisce la giustizia umana, qui comincia la giustizia divina”.Ci sono andato una sola volta. Poi non ci sono mai più tornato.
M.: E al carcere ci è mai più tornato?
Prof.: Dopo le vacanze natalizie tornai là per dare le consegne e andai a salutare i ragazzi dicendo che mi dispiaceva, ma che me ne dovevo andare. Proprio quelli della banda di Giuliani mi dissero: “Professore, ci dispiace che ve ne andate perché siete una brava persona, però siamo contenti che ve ne andate da questo luogo schifoso che non è per voi”. Alla fine posso dire che si stava bene comunque là, anche il mio collega di Gaeta lo diceva, e lui stava da due anni. Se non mi fosse venuta la febbre sarei rimasto. E poi era conveniente stare nella scuola carceraria, venivamo pagati dallo Stato, dal Ministero di grazia e giustizia e dal provveditorato. Nei confronti del maestro c’era un gran rispetto. E l’ambiente era gioioso perché si discuteva molto. Nella vita mi è piaciuta questa esperienza che ho fatto. E’ stata breve a causa di quella febbre, però bella.
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– Un fiore ai 47 corpi
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– Il cantore della prigionia
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Ancora, con il nostro pellegrinaggio libertario verso Santo Stefano
Anche quest’anno parteciperò al nostro annuale pellegrinaggio libertario,
anche quest’anno, tra una manciata di ore, attraverserò quel tratto di mare che ci ha rubato il cuore e che ha fatto nascere l’affiatato gruppo di “Liberi dall’ergastolo”, ormai una grande famiglia a cui è sconosciuto il concetto di privazioni.
Dovrei usare altre forme verbali però, visto la vita che strada ha preso dopo che ho lasciato quello scoglio, ormai un anno fa.
E’ cambiato tutto,
tutto è cambiato dentro me e attorno a me,
ora con l’ergastolo ho una dimestichezza nuova, ora l’ergastolo mi è entrato nella vita,
un ergastolo che ha conosciuto altre sbarre ed altre istituzioni, ma senza liberarsi della sua violenza.
Ho conosciuto l’ergastolo della malattia, della disabilità, ho conosciuto quell’ergastolo che segue quando sbeffeggi la morte e rimani in vita malgrado tutto:
ho conosciuto un dolore nuovo e lacerante, che toglie il respiro come le scudisciate che risuonavano nel cortile di Santo Stefano quando il detenuto da punire veniva messo al centro,
così che tutti potessero vedere e sentire con i propri organi la lacerazione della pelle, le urla del dolore, la rabbia della dominazione.
Al centro di quel panoptico, sotto le cinghie dei carcerieri ci son stata, ci sono ancora,
ci sto costruendo la vita di mio figlio, sto cercando di insegnargli (in realtà è lui che lo insegna a me) come conquistare e costruire una libertà in ogni piccolo movimento muscolare… quest’anno a Santo Stefano vestirò la casacca del carcerato,
ma proverò a farlo con un sorriso, con lo stesso sorriso che quel posto mi ha sempre donato.
Vengo a trovarti nuovamente Gaetano Bresci, e mai come questa volta voglio che mi insegni ad “uccidere un principio” più che un re!
Mi devi insegnare come hai fatto, mi devi dar la tua forza e la mano ferma per affrontar questo futuro privo di arti per correre leggeri,
da te quest’anno vengo per imparare, non solo per portarti il profumo dei fiori freschi.
Quest’anno per me sarà come la prima volta: poggerò il cuore in quelle 99 celle, sulla ruggine e il cemento che cade pezzo pezzo,
lo poggerò su quelle tombe, sulla terra che smuoverò per piantare nuove vite in un luogo che volevano di morte e redenzione.
SI SALPA SABATO 14 GIUGNO,
alle ore 12 dal porticciolo di Ventotene. Alcuni gommoni ci porteranno verso la Marunnell, selvaggio approdo di un’isola che volevano solo intrisa di dolore, ma che noi vogliamo terra di libertà, libertà contagiosa.
Contro l’ergastolo, come ogni anno,
porta un fiore al cimitero degli ergastolani.
Vi lascio i molti link prodotti in questi anni di “pellegrinaggio” in quel magico luogo:
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Prima di salpare per il cimitero degli ergastolani, una serata contro il fine pena mai!
Venerdì approderemmo alla nostra Mecca, per raggiungere il giorno dopo il carcere borbonico sullo scoglio di Santo Stefano e il suo cimitero di ergastolani. Ancora un fiore, ancora un grande gruppo di persone che andranno simbolicamente a riportare dignità, colore e profumi in quel piccolo cimitero del Fine Pena Mai.
Prima di partire, domani, per chi vuole farsi due chiacchiere su ergastolo, 41bis, premialità e carcere e vedere i video realizzati nei precedenti viaggi, saremo tutti in Casetta Rossa, a Garbatella a partire dalle 18
Giovedì 20 giugno alle 18.00:
ABOLIAMO L’ERGASTOLO – Riflessioni, proiezioni e azioni per liberare la società dalla schiavitù dell’ergastolo-
Liberi dall’ergastolo è una presa di posizione da fare in tutta coscienza, come un sospiro di sollievo, che accomuna chi non vuol vivere in una società che immagina se stessa attraverso istituzioni di paura.
L’ergastolo viene comminato nei tribunali in nome del “popolo” ma ciò non esclude che porzioni di popolo possano dire: “non in mio nome”.”Riflessioni su ergastolo, 41 bis e carcere con:
Nicola Valentino (sensibili alle foglie) , avvocato Caterina Calia, Valentina Perniciaro (baruda.net) e Paolo Persichetti (insorgenze.wordpress.com)Proiezioni:
– ERGASTOLO s.m. [sec.XV] Pena detentiva a vita di Giacomo Pellegrini, Mattia Pellegrini e Letizia Romeo
– PASSAGGI DI UN VIAGGIO A SANTO STEFANO a cura del Follettto 25603/La Terra Tremaliberidallergastolo.wordpress.com
www.casettarossa.org
06/89360511
Sull’ergastolo leggi:
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– Un fiore ai 47 corpi
– Aboliamo l’ergastolo
– Gli stati modificati della/nella reclusione
– Il cantore della prigionia
– Piccoli passi nel carcere di Santo Stefano, contro l’ergastolo
– La lettera scarlatta e la libertà condizionale
– Perpetuitè
– Il 41 bis: se questo è un uomo
ERGASTOLO: la pena più inutile
Di tutte le pene la più inutile e crudele, in Italia, è il cosiddetto ergastolo ostativo.
Si tratta di una pena che non si sconta: la si subisce e basta, come la pena di morte. Chi vi è condannato si trova nella condizione di non avere alcuna realistica prospettiva di uscire di prigione mai se non mandando in prigione qualcun altro al posto suo.
Questo orrore, che fa pensare più ad un sistema totalitario che ad uno stato di diritto, è figlio di due storture, inutili e crudeli tanto quanto: il sistema premiale dell’ordinamento penitenziario e la pena dell’ergastolo.
La pena dell’ergastolo è, per definizione, “carcere a vita”. Fine pena 99/99/9999 come è scritto nei sistemi informatici dell’amministrazione penitenziaria. Uscire prima si può: avvalendosi del beneficio della libertà condizionale. Beneficio che può essere richiesto, ma non necessariamente viene concesso, dopo aver scontato almeno 26 anni di detenzione.
La legislazione premiale, invece, prevede che alcuni comportamenti (buona condotta, ravvedimento, dissociazione, pentimento…) possano permettere al condannato di accedere a determinati benefici riducendo, ad esempio, la durata del periodo detentivo.
Alcuni detenuti condannati per reati considerati più gravi (sequestro di persona, associazione di tipo mafioso, traffico di sostanze stupefacenti e via discorrendo) possono accedere ai benefici esclusivamente se riconosciuti come collaboratori di giustizia. Poiché la libertà condizionale è considerata un beneficio sono altrimenti condannati a scontare interamente la pena, che per una condanna all’ergastolo corrisponde al carcere a vita (fine pena: 99/99/9999).
Legge 23 dicembre 2002, n. 279, Art. 1
(Modifiche all’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354):
1. L’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, esclusa la liberazione anticipata, possono essere concessi ai detenuti e internati per delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione violenta dell’ordinamento costituzionale,[…], solo nei casi in cui tali detenuti e internati collaborino con la giustizia a norma dell’articolo 58-ter della presente legge.Legge 26 luglio 1975, n. 354, Art. 58-ter
(persone che collaborano con la giustizia):
1. I limiti di pena previsti dalle disposizioni del comma 1 dell’articolo 21, del comma 4 dell’articolo 30- ter e del comma 2 dell’articolo 50, concernenti le persone condannate per taluno dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1quater dell’articolo 4- bis, non si applicano a coloro che, anche dopo la condanna, si sono adoperati per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori ovvero hanno aiutato concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione o la cattura degli autori dei reati.
L’Unione delle Camere Penali Italiane affronterà questo argomento il 17/18 maggio nel convegno DETENZIONE E DIRITTI UMANI – Il regime del 41 bis O.P.; il reato di tortura; l’ergastolo ostativo.
Sarebbe utile che si approfittasse dell’occasione per rispondere alla domanda posta dalla più inutile e crudele delle pene non limitandosi ad aggiungere una nuova condizione (fosse anche “migliorativa”) ma intervenendo sulle due esistenti, che ne sono la causa. Agendo, per così dire, alla radice ed eliminando due storture, inutili e crudeli tanto quanto.
CONTRO L’ERGASTOLO, PER L’ABOLIZIONE DELLA PIU’ INUTILE ED ABERRANTE DELLE PENE,
UN’INIZIATIVA A MILANO: VI ASPETTIAMO TUTT@, PER L’ADOZIONE DEL LOGO CONTRO L’ERGASTOLO,
PER LIBERARE SPAZI, PEZZO PEZZO, DAL FINE PENA MAI E DAL CARCERE!
(qui tutte le info: LEGGI)
LIBERATEVI DALL’ERGASTOLO!
I passi dei detenuti: il cerchio e la linea retta
Rinchiusi in prigione si lasciano morire: così viene detto dei Masai, dei Fulani, degli Aborigeni australiani ed anche di certe altre popolazioni amerinde ed esquimesi.
Vivendo pienamente nel presente, i membri di queste etnie, non appena reclusi, immaginerebbero che tutti i giorni a venire saranno nient’altro che una ripetizione del giorno che li sta facendo soffrire. E quest’idea insopportabile li stroncherebbe spingendoli alla morte.
Proviamo a punteggiare in altro modo. Perché non dire, ad esempio, che per una creatura felicemente integrata col suo ecosistema, la recisione dei legami relazionali con l’ambiente è condizione più che sufficiente per morire?
In tal caso non sarebbero i Masai, i Fulani, gli Aborigeni, gli amerindi o gli esquimesi a non sapersi adattare alla prigione poiché incapaci di ristrutturare le loro rappresentazioni del tempo. Sarebbe invece proprio la prigione che non si adatta a loro, alla loro vita e alla loro cultura.
Ed allora l’accento potrebbe essere spostato dalla “incapacità a vivere recluse”, attribuita a queste popolazioni, alla scelta di chi le reclude come scelta omicida.
Era stato appena arrestato. Di fronte alla porta blindata della sua cella, quella di un passeggio.
Dal buco dello spioncino riusciva a scorgere i reclusi che lo popolavano: tutti in isolamento, come lui.
Non sapeva spiegarsi perché alcuni camminassero in modo da descrivere un cerchio, mentre altri sempre e solo tracciando una linea:
avanti e indietro, come movimento macchinico, gli occhi puntati a terra e la testa china.
Anni dopo comprese: quelli che descrivevano un cerchio erano “dentro” per la prima volta.
Ecco: smettere di “circolare” è il primo modo in cui la reclusione entra nella carne.
Ma essere “tolto dalla circolazione” sarà mai l’inizio della retta via?
— Entrambi i testi son tratti da “IL BOSCO DI BISTORCO”, di Curcio, Petrelli e Valentino
PERCHE’ L’ERGASTOLO NON E’ UNA PENA ACCETTABILE,
PERCHE’ NON ESISTA PIU’ IL FINE PENA MAI, L’ISOLAMENTO, E IL CONCETTO STESSO DI RECLUSIONE.
Testi sull’ergastolo:
– Adotta il logo contro l’ergastolo!!
– L’ergastolo e le farfalle
– Un fiore ai 47 corpi
– Aboliamo l’ergastolo
– Gli stati modificati della/nella reclusione
– Il cantore della prigionia
– Piccoli passi nel carcere di Santo Stefano, contro l’ergastolo
– La lettera scarlatta e la libertà condizionale
– Perpetuitè
Iniziativa a Milano il 27 Maggio: Qui le info
27 Maggio 2013: “Aboliamo l’ergastolo”, Cinema Mexico, Milano
27 maggio al cinema Mexico, via Savona 57, Milano dalle 21.30
“ABOLIAMO L’ERGASTOLO”
con
letture a cura di
Gigi Gherzi ( Attore e Regista teatrale / Drammaturgo )
interverranno:
Nicola Valentino (sensibili alle foglie)
Valentina Perniciaro (baruda.net)
Giuliano Capecchi (associazione liberarsi)
Mirko Mazzali (Presidente Commissione Sicurezza di Milano,Osservatorio Carcere Ucpi )
dalle 21.30
Proiezione di:
– “PASSAGGI A SANTO STEFANO”
a cura di Folletto 256037 /La terra trema (2012, 20 min)
– “ergàstolo s.m. [sec.XV] – pena detentiva a vita”
di Giacomo Pellegrini, Mattia Pellegrini e Letizia Romeo (2012, 7.20 min)
Il 23 giugno 2012 siamo stati al Cimitero degli Ergastolani dell’isola di Santo Stefano (Ventotene). Ci siamo andati per chiedere l’abolizione dell’ergastolo e un orrizonte liberato dalle carceri. Ci siamo andati per portare dei fiori sulle tombe e per ridare il nome alle persone sepolte. Abbiamo fatto questo viaggio insieme a un gruppo di una quarantina di persone, aiutati da uno scritto di Luigi Veronelli, che qualche tempo dopo la chiusura del carcere fece un viaggio sull’isola addentrandosi fin nel cimitero alla ricerca della tomba di Gaetano Bresci, ricostruendo anche la mappa nominale di gran parte delle 47 tombe. Poco prima di morire scrisse ancora di S. Stefano, un testamento.
LIBERI DALL’ERGASTOLO
L’ergastolo viene comminato nei tribunali in nome del “popolo” ma ciò non esclude che porzioni di società possano dichiarare: Non in mio nome!
L’ergastolo è una prigione anche per chi non vi è recluso, d’altronde lo stesso Beccaria lo prospettava per la funzione terrifica che avrebbe esercitato sull’immaginario sociale. Liberi dall’ergastolo costituisce quindi una presa di posizione da fare in tutta coscienza, come un sospiro di sollievo, per non vivere in una società che immagina se stessa attraverso istituzioni di paura.
PORTA UN FIORE per l’abolizione dell’ergastolo
Ogni anno nel mese di giugno, in occasione della giornata mondiale indetta dall’ONU contro la tortura, sarà possibile recarsi al cimitero degli ergastolani dell’isola di Santo Stefano (Ventotene) attiguo al vecchio carcere borbonico. Un luogo simbolico da vedere e far vedere perché racconta in modo emblematico, con le sue 47 tombe, non solo la spietatezza dell’esclusione degli ergastolani dal consorzio umano anche dopo morti, ma soprattutto ciò che oggi è l’ergastolo. In particolare la tortura dell’ergastolo senza speranza, quello cosiddetto ostativo, che prevede oltre alla morte sociale e civile dei reclusi, la loro effettiva morte in carcere.
I sogni non si sgomberano, figuratevi le “montagne”
Una settimana lontana da questo blog,
l’avevo quasi rimosso oh, ci si riesce!
E allora, prima di tornare a infastidir la rete, che tanto non riesco a non farlo,
vi REGALO, perchè è straordinario, questo disegno/lettera di un bambino,
un giovane scalatore milanese che s’è ritrovato minacciato nella sua libertà di imparare a camminare sui muri, sulle montagne,
infilandosi in ogni buchetto capace di sostenere il proprio peso.
Il centro sociale e la palestra popolare che vi è stata costruita dentro, sono sotto sgombero.
Bello Samuele, bello il suo disegno e lo voglio condividere con voi.
Con queste MAN DA CALLI, noi la farem vendetta: cantava la classe operaia.
Non sapete che calli sulle mani di chi rosicchia le montagne!
Dieci anni da una giornata indelebile: con Rachel e Dax scolpiti nel sangue
Dieci anni fa.
Una giornata lunga, che sembra durare ancora.
Dieci anni fa il 16 marzo si accavallarono telefonate, telegiornali, dirette radiofoniche, marciapiedi, corse, fiatone, pianti.
Il 16 marzo di 10 anni fa scadeva l’ultimatum su Baghdad,
la guerra in Iraq riprendeva forma, dopo lo scempio afgano, la guerra su Babilonia che si annunciava rapida e indolore stava aprendo le porte all’ennesima ferita indelebile per quella terra,
culla di storia e di tempeste di sabbia. Non passarono che tre giorni soli, poi fosforo, uranio, fuoco precipitò sull’Iraq e il suo popolo.
Il 16 marzo di 10 anni fa un bulldozer israeliano schiacciava il corpo e il futuro di una ragazza che eravamo tutte noi.
Rachel Corrie, schiacciata da tonnellate di ferro sulla terra di Gaza, spirava tra le braccia dei suoi compagni dell’Ism,
nello sconcerto dell’attivismo internazionale e negli occhi dei palestinesi,
che si sentivano privati di un sorriso, di un’amica, di una ragazza di 23 anni che dai lontani Stati Uniti era partita col cuore in mano per muoversi contro l’Apartheid.
Per ritrovarsi spiaccicata, sotto i suoi cingoli.
Con Rachel morimmo tutti quel giorno, io che ero stata l’anno prima in quella terra martoriata e che nei campi avevo festeggiato i miei piccolissimi 20anni guardavo quel corpo dalla forma mutata per sempre senza nemmeno riuscire a proferir parola: con lacrime rabbiose.
Il 16 marzo di 10 anni fa ci ammazzavano Dax, a coltellate, due balordi fascisti.
In tre aggrediti con le lame, e lui che non ce l’ha fatta.
Poi la lunga notte all’ospedale San Paolo, le cariche, i pestaggi, il comportamento indescrivibile di polizia e carabinieri…
e le condanne, la richiesta folle di risarcimento di 130.000 euro a due compagni, due.
Un gran dispiacere non poter essere su tra voi, oggi, cordonata al ricordo di Dax e di quella notte milanese che abbiamo tutti dentro.
LEGGI LE ULTIME LETTERE DI RACHEL DALLA PALESTINA: QUI
Milano, arriva la perizia balistica sui colpi del vigile Amigoni: é stata un’esecuzione
Ve lo ricordate Alessandro Amigoni?
Vi ricordate che uccise un ragazzo cileno che correva verso una partita di calcetto; correva perché vista arrivare la municipale per una rissa alla quale non aveva partecipato, era scappato via perché privo di permesso di soggiorno.
Gli è costata la vita, a Marcelo Valentino Gomez Cortes, quella corsa innocente.
E’ stato freddato da un giovane rambo in divisa, stipendiato dal comune di Milano e facente parte di una squadretta (son chiamati i Robocop a Milano) reparto di 53 “duri” della polizia locale milanese, il “Nucleo operativo Duomo-Centro”, impegnato nella lotta all’abusivismo commerciale e alla contraffazione.
Oggi i giornali ci riportano, finalmente, notizie sulla perizia balistica.
Un assassinio a freddo: un’esecuzione. Il colpo è partito da una distanza che oscilla tra i 60 centimetri e i due metri e 80.
Poco, pochissimo: soprattutto alla luce delle sue dichiarazioni, in cui sosteneva di aver sparato su un terrapieno a terra e nemmeno in aria proprio per non mettere a repentaglio la vita di nessuno.
Il caro Robocop invece ha sparato, senza alcuna ragione di servizio, e per uccidere.
Lo dicono le perizie balistiche, che ci confermano quel che già sapevamo.
solo una cosa, e ve la dico io che sapete come e quanto sono contro il carcere:
ma lui stamattina, come ieri e probabilmente come domani, ha timbrato il suo cartellino.
E’ un uomo libero, che va a lavorare tutti i giorni nel suo posto di lavoro, l’hanno semplicemente spostato e disarmato.
Punto.
Ma siamo un paese che dei suoi assassini fa eroi, basta guardare la spilletta gialla della Fornero in solidarietà ai due marò.
L’articolo il giorno dell’assassinio: LEGGI
Dal sito Macerie, un po’ di aggiornamenti da Parigi, Torino e Milano
Parigi Torino e Milano, in breve
Diario
@ Si è tenuta, il primo dicembre scorso al Tribunale di Parigi, la prima udienza del processo per l’incendio di Vincennes. Intanto, la domanda di scarcerazione di Nadir, l’ultimo dei ribelli in carcere, è stata respinta, come è stata respinta la richiesta degli antirazzisti di potergli far visita. E sono
state respinte pure le richieste degli avvocati di prendere visione di tutte le videoregistrazioni della rivolta e non solamente della sintesi preparata – ad arte – dalla polizia. In aula erano presenti un bel numero di solidali, alcuni dei quali hanno occupato, successivamente, l’ufficio che concede i permessi di visita. Il processo continuerà il 25, 26 e 27 gennaio prossimi, e per la settimana precedente sarà indetta una settimana internazionale di solidarietà con gli arrestati.
@ A Torino, al processo per i fatti di piazza Rebaudengo, sono stati ascoltati i testimoni della difesa. Nulla da segnalare, se non l’astio evidente e incontrollato del Pubblico ministero Padalino nei confronti degli imputati e di alcuni dei testimoni. Astio oramai quasi maniacale, che lo ha portato a richiedere preventivamente alla Digos di analizzare i tabulati telefonici del cellulare di uno dei testimoni proposti dalla difesa, per scoprire esattamente dove il testimone fosse al momento dei fatti: peccato che quel cellulare, in quel momento, fosse spento. Anche questo procedimento continuerà nel 2010.
@ Al Tribunale di Milano, per finire, il processo per la seconda rivolta di Corelli, quella del 7 novembre. Udienza lunga, con molti solidali in aula. Sono stati interrogati alcuni testimoni e alcuni degli imputati. A metà udienza è emerso un particolare inedito: i quattro arrestati non sarebbero stati arrestati totalmente “a caso”, come si sospettava all’inizio. Al contrario: si è trattato di una ritorsione per aver tentato di fuggire, soltanto un paio di giorni prima. La prossima udienza sarà il 17 dicembre, e a testimoniare ci sarà l’oramai famosissimo Vittorio Adesso, ispettore capo del Centro.
La vendetta di Via Corelli ora passa per Gradisca.
Dopo le espulsioni e i massicci trasferimenti di Roma, il vento della vendetta ministeriale arriva anche a Gradisca dove, lunedì scorso, è stato arrestato uno dei presunti protagonisti della tentata fuga del 21 di settembre. È un ragazzo di 21 anni ed è accusato di aver fatto cadere giù dalle scale d’emergenza un carabiniere che stava cercando di tirarlo giù dal tetto. Il carabiniere ruzzolato è finito subito al pronto soccorso ed ha avuto i soliti dieci giorni di prognosi: quello che è successo dopo ai reclusi potete vederlo invece sul video che sta circolando in rete da tre settimane. L’arresto è avvenuto a due settimane dai fatti, giusto il tempo che si calmassero un po’ le acque, ed è stato richiesto – a detta del capitano Sutto del comando dei Carabinieri di Gradisca – a causa dell’«atteggiamento particolarmente sfrontato dell’immigrato». Sembra quasi, insomma, che quello che pesa non siano tanto i fatti specifici dei quali è accusato l’arrestato ma la sua presunta mancanza di rispetto verso i proprio carcerieri: fatto indicativo di un clima, senza dubbio. È indicativo anche che, dall’arresto in poi, le autorità parlino dei fatti del 21 come di una «doverosa e regolare reazione alla resistenza a pubblico ufficiale». Se per una settimana intera hanno fatto finta di niente e se tutta la settimana successiva hanno messo in dubbio l’autenticità delle foto e del video, ora invece rivendicano l’accaduto e lo giustificano. Finalmente si parla chiaro.
Quelli che stanno ancora zitti, invece, sono i consiglieri d’amministrazione della “Connecting Peolple” che in altri tempi erano tanto loquaci. Del resto il consorzio che gestisce il Centro di Gradisca è in corsa per aggiudicarsi anche quello di Ponte Galeria e deve dare prova di fedeltà complice e silenziosa per rimanere nelle grazie del ministro Maroni
Macerie, 13 ottobre 2009
QUESTA MATTINA INVECE CI SARA’ L’ENNESIMA UDIENZA DEL PROCESSO CONTRO I 14 RIVOLTOSI DEL CIE DI VIA CORELLI: oggi è il turno degli avvocati della difesa e potrebbe anche arrivare la sentenza.
I compagni di Milano stanno raggiungendo il Tribunale per portare una rumorosa solidarietà ai processati: i reclusi di Gradisca e di Via Corelli stanno iniziando uno sciopero della fame per dar maggior voce alla loro solidarietà con i loro compagni di prigionia e rivolte.
Proverò a dare aggiornamenti in maniera costante.
La nuova trasmissione “Silenzio assordante” di Radio Onda Rossa, in onda tutti i venerdì pomeriggio sugli 87.900 FM a Roma e ascoltabile anche in streaming dal sito della Radio, nell’ultima puntata ha fatto un resoconto dell’ultima udienza del processo di Milano
Drug detector per mamme preoccupate e dipendenti di Montecitorio con valigie colme di cocaina
Distribuito gratuitamente in 73 farmacie di Brescia e provincia (nemmeno poche, cavolo!) il DRUG DETECTOR consentirà alle mamme italiane di scoprire se i loro amati figlioletti si drogano o no.
E’ un’iniziativa promossa dalla stessa amministrazione provinciale ( più che provinciale sembra penitenziaria ) inserita nella campagna No Alla Droga!.
Un test semplice e rapido in grado di rilevare la quantità e il tipo di sostanza assunta (cannabis, cocaina, ecstasy, anfetamina, eroina…) che verrà dato a disposizione delle famiglie (proprio vero che la Famiglia è il luogo più pericoloso…) che ne faranno richiesta.
Ma non è finita qui e l’invidia tra province (eh, proprio Province con la P maiuscola) ha fatto immediatamente mobilitare il comune di Milano con dichiarazioni dell’assessorato provinciale ai giovani che ci tranquillizzano dicendo che non è certo quella di Brescia la prima iniziativa mirata a promuovere il controllo dei figli all’interno della stessa famiglia. Corrado Ghiardelli, dell’assessorato, ha ricordato il progetto presentato poco fa di un braccialetto con etilometro capace di spedire al genitore un sms qualora il figlio avesse superato il limite consentito e non fosse quindi in grado di mettersi al volante. “E’ ora di finirla con l’omertà. Serve uno sforzo di tutti: anche in famiglia bisogna prestare la massima attenzione e la Provincia vuole essere d’aiuto in tale direzione.”
Progetti a firma di una classe dirigente mafiosa e bagnata da fiumi di cocaina: basta guardare l’arresto avvenuto la scorsa settimana a Lugano della segretaria del gruppo parlamentare della Lega Nord a Roma (Simona Patrignani, 38enne romana), che si trovava tranquillamente a passeggio con una borsa contenente 8 kg di cocaina (che ammontano a circa 200mila dosi: i conti fateli voi) appena sbarcati dal Brasile con un breve scalo a Zurigo. Non era nemmeno la prima volta che l’illustre impiegata viaggiava dal Sudamerica con scali svizzeri.
Notizia che però ha trovato solo 19 righe del Corriere della Sera e poco più. POVERA ITALIA.
MANIFESTAZIONE NAZIONE CONTRO LE LOGICHE SECURITARIE, PER L’AUTOGESTIONE E GLI SPAZI SOCIALI
Le mani moleste della Proprietà e del Controllo sono in grande attività: Trasformano la salute in un affare per imprenditori
Ci raccontano che la migliore cura è l’espulsione
Cancellano l’edilizia popolare e trasformano in merce i bisogni
Negano i diritti, la solidarietà Per salvaguardare i loro loschi affari
ingabbiano la cultura, cacciano le persone, cancellano la storia
In città ridotte a macchine per fare soldi, vogliamo liberare spazi, luoghi in cui stare e tempi da attraversare
Con la forza dei nostri desideri e con le armi della solidarietà vogliamo sconfiggere l’ossessione di controllo di chi nega il diritto all’esistenza e l’avidità di chi trasforma la conoscenza in un lusso
Per la salvaguardia e l’ampliamento dei diritti, contro la meschinità del razzismo di governo e contro la cementificazione delle città e delle menti
28 febbraio
MANIFESTAZIONE NAZIONALE CONTRO LE LOGICHE SECURITARIE, PER L’AUTOGESTIONE E GLI SPAZI SOCIALI
——– Milano ore 15 piazza XXIV maggio ——–
_LE COMPAGNE E I COMPAGNI DI MILANO_
MILANO IN PIAZZA CONTRO LO SGOMBERO DI IERI
39 ANNI DALLA STRAGE DI STATO
Venerdì 12 dicembre 1969
Le bombe scoppiano venerdì 12 dicembre tra le ore 16,37 e le 17,24 a Milano e a Roma. l,a strage è a Milano, alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana affollata come tutti i venerdì, giorno di mercato. I’attentatore ha deposto la borsa di similpelle nera che contiene la cassetta metallica dell’esplosivo sotto il tavolo al centro dell’atrio dove si svolgono le contrattazioni. I morti sono dieci, molti dei novanta feriti hanno gli arti amputati dalle schegge. L’esplosione ferma gli orologi di piazza Fontana sulle 16.37: poco dopo in un’altra banca distante poche centinaia di metri. in piazza della Scala, un impiegato trova una borsa nera e la consegna alla direzione. E’ la seconda bomba milanese, quella della Banca Commerciale Italiana. Non è esplosa forse perché il “timer” del congegno d’innesco non ha funzionato. Ma viene fatta esplodere in tutta fretta alle 21,30 di quella stessa sera dagli artificieri della polizia che l’hanno prima sotterrata nel cortile interno della banca.
E’ una decisione inspiegabile: distruggendo questa bomba così precipitosamente si sono distrutti preziosissimi indizi, forse addirittura la firma degli attentatori.(3) In mano alla polizia rimangono solo la borsa di similpelle nera uguale a quella di piazza Fontana, il “timer” di fabbricazione tedesca Diehl Junghans, e la certezza che la cassetta metallica contenente l’esplosivo è anch’essa simile a quella usata per la prima bomba. Il perito balistico Teonesto Cerri è sicuro che ci si trova davanti all’operazione di un dinamitardo esperto.
Le bombe di Roma sono tre. La prima esplode alle 16,45 in un corridoio sotterraneo della Banca Nazionale del Lavoro, tra via Veneto e via San Basilio. Tredici feriti tra gli impiegati, uno gravemente. Ma anche questa poteva essere una strage. Alle 17,16 scoppia un ordigno sulla seconda terrazza dell’Altare della Patria, dalla parte di via dei Fori Imperiali. Otto minuti dopo la terza esplosione, ancora sulla seconda terrazza ma dalla parte della scalinata dell’Ara Coeli. Frammenti di cornicione, cadendo, feriscono due passanti. Ma questi due ultimi ordigni sono molto più rudimentali e meno potenti degli altri.
La reazione del Paese è di sdegno per gli attentati, di dolore per le vittime. Ma non si assiste a nessun fenomeno di isteria collettiva. La strage non ha sbocco politico immediato a livello di massa, e soprattutto non contro la sinistra, anche se immediatamente dopo la bomba di piazza Fontana le indagini e le relative dichiarazioni ufficiali puntano solo in questa direzione nella ricerca dei colpevoli.(4)
Italia ’69: un attentato ogni 3 giorni
Le bombe del 12 dicembre sconvolgono e sorprendono, soprattutto per la loro ferocia, ma sarebbe inesatto dire che giungono inattese. Rappresentano il momento culminante di una escalation di fatti noti e ignoti che avvengono durante l’intero 1969 e che fanno parte di un preciso disegno politico. Alcuni di essi riconsiderati oggi nella loro sinistra successione acquistano un significato molto chiaro.
Le bombe del 12 dicembre scoppiano in un Paese dove, a partire dal 3 gennaio 1969, ci sono stati 145 attentati: dodici al mese, uno ogni tre giorni, e la stima forse è per difetto
Novantasei di questi attentati sono di riconosciuta marca fascista, o per il loro obiettivo (sezioni del PCI e del PSIUP, monumenti partigiani, gruppi extraparlamentari di sinistra, movimento studentesco, sinagoghe. ecc.) o perché gli autori sono stati identificati. Gli altri sono di origine ufficialmente incerta (come la serie degli attentati ai treni dell’8-9 agosto), oppure vengono addebitati a gruppi della sinistra estrema o agli anarchici (come le bombe del 25 aprile alla Fiera campionaria e alla stazione centrale di Milano). In realtà ci vuole poco a scoprire che la lunga mano che li promuove è sempre la stessa, e cioè una mano che pone diligentemente in atto i presupposti necessari alla “strategia della tensione” che sta maturando a più alto livello politico.
Si tirano le somme della “strategia della tensione”
Cosa significhi in concreto questa “strategia della tensione” lo dice questo secondo elenco di fatti. anch’essi noti, che accadono in Italia nei quaranta giorni che precedono la strage del 12 dicembre. Ai primi di novembre la F.N.C.R.S.I., Federazione Nazionale Combattenti della Repubblica Sociale Italiana – fascista “di sinistra” – distribuisce a Roma un volantino in cui si invitano i paracadutisti e gli ex-combattenti a “non farsi strumentalizzare per un colpo di stato reazionario”.
Il 10 novembre, in un discorso a Roma, il presidente del partito socialdemocratico Mario Tanassi rilancia con forza un tema molto caro al PSU: “O il centrosinistra pulito o lo scioglimento delle Camere”, con conseguenti elezioni anticipate. Cinque giorni dopo a Monza il colonnello comandante del distretto militare afferma pubblicamente, alla presenza del procuratore della Repubblica: “Stante l’attuale situazione di disordine nelle fabbriche e nelle scuole, l’esercito ha il compito di difendere le frontiere interne del Paese: l’esercito èl’unico baluardo ormai contro il disordine e l’anarchia”.
Nel corso dello sciopero generale nazionale per la casa del 19 novembre, la polizia attacca i lavoratori in via Larga a Milano e un agente, Antonio Annarumma rimane ucciso in uno scontro tra due automezzi della stessa polizia. (5) Si diffonde la versione dell’assassinio, e non solo da parte di uomini politici e giornali di destra. Lo stesso presidente della Repubblica, in un telegramma trasmesso ripetutamente alla radio e alla televisione per tutta la giornata del 19 e del 20 novembre, oltre ad anticipare una sentenza di “barbaro assassinio”, afferma: “Questo odioso crimine deve ammonire tutti ad isolare. e mettere in condizione di non nuocere, i delinquenti, il cui scopo è la distruzione della vita. e deve risvegliare non soltanto negli atti dello Stato e del governo, ma soprattutto nella coscienza dei cittadini, la solidarietà per coloro che difendono la legge e le comuni libertà”.
Il giudizio di Saragat piace molto al segretario nazionale del MSI, Giorgio Almirante, il quale gli fa eco sul Secolo d’ltalia: “L’assassinio dell’agente di P.S. a Milano ci indurrebbe a chiamare in causa il Signor Presidente della Repubblica se egli, nel suo telegramma, non avesse duramente qualificati “assassini” i responsabili. Ora occorre individuare e colpire i mandanti”
Ma chi sono i responsabili, gli “assassini”, i “delinquenti”? Secondo la CISL “L’intervento della polizia non legittimato da fatti obiettivi non favorisce l’ordinato svolgersi delle manifestazioni e come, per altro, l’insistenza provocatoria di gruppi estremisti – la cui provenienza diviene sempre più dubbia – provoca effetti negativi nell’azione dei lavoratori”. Contro i gruppi estremisti si scagliano anche Gian Carlo Pajetta, che li definisce “massimalisti impotenti”, e l’Unità che commenta così gli incidenti di Milano nel suo articolo di fondo: “Mai come in questi giorni è apparso chiaro che l’avventurismo facilone, il velleitarismo pseudo-rivoluzionario. La sostituzione della frase rivoluzionaria allo sforzo paziente, sono sterili e si trasformano in un’occasione offerta alle manovre e alle provocazioni delle forze di destra”.
In questo crescendo di clima da caccia alle streghe si inserisce il giornale ufficiale del PSU che però approfitta dell’occasione per allungare il tiro: “L’assassinio di Annarumma chiama in causa la responsabilità diretta dei comunisti e dei loro complici nel PSIUP, nel PSI, nella DC e nei sindacati”.
La notte dopo la morte di Annarumma, in due caserme di Pubblica Sicurezza a Milano scoppia una rivolta che, alimentata ad arte, vedrebbe gli uomini dei battaglioni mobili scatenati per la città a fare piazza pulita degli “estremisti delinquenti” (6).Il giorno dei funerali dell’agente il centro di Milano è teatro di gravi disordini provocati dai fascisti che partecipano al corteo funebre coi labari della Repubblica Sociale Italiana. I fascisti non sono i soli a seguire il feretro e a dar vita a episodi di isteria collettiva: sotto i portici di corso Vittorio Emanuele quel giorno è presente anche la borghesia milanese che si commuove e poi chiede “il sangue dei rossi”: signori distinti, bottegai arricchiti, pensionati nostalgici, donne impellicciate partecipano e fomentano i tentativi di linciaggio dei malcapitati che sembrano sospetti, che hanno “la faccia da comunista”.
Il repubblicano La Malfa e il socialdemocratico Tanassi lanciano un duro attacco contro i sindacati che stanno vivendo, sotto la spinta operaia, i giorni più caldi delle battaglie contrattuali, con quasi cinque milioni di lavoratori mobilitati. Nello stesso giorno, 21 novembre, un comunicato della Confindustria: “… il potere operaio tende a sostituirsi al Parlamento ed a stabilire un rapporto diretto con il potere esecutivo. Ciò crea un sovvertimento in tutto il sistema politico”. Sul settimanale Oggi il deputato della destra democristiana Guido Gonella lancia un appello alla “reazione del borghese timido contro i picchetti degli scioperanti”. Da Londra il settimanale The Economist rivela l’esistenza di un documento “segreto solo a metà” in cui un gruppo di giovani industriali italiani proclama la necessità di un “governo forte”. Pietro Nenni, in una intervista al Corriere della Sera, traccia un paragone tra la situazione attuale e quella del 1922. Intanto è stato dato il via alla serie di arresti e condanne per reati di opinione: il primo a finire in carcere è Francesco Tolin, direttore di Potere Operaio.
Ai primi di dicembre, a rendere più precario l’equilibrio parlamentare, e come prima avvisaglia della dura campagna che sarà scatenata tra poco, compare sull’Osservatore Romano, organo del Vaticano, un attacco contro il voto favorevole espresso dalla Camera sul divorzio. In un paese della Lombardia, il sindaco-industriale spara contro il picchetto dei suoi operai in sciopero.
Il 7 dicembre i settimanali inglesi The Guardian e The Observer pubblicano il testo del dossier inviato dal capo dell’ufficio diplomatico del ministero degli Esteri di Atene all’ambasciatore greco a Roma. Contiene allegato il rapporto segreto sulle possibilità di un colpo di stato di destra in Italia, inviato dagli agenti dei servizi di spionaggio dei colonnelli. “Un gruppo di elementi di estrema destra e di ufficiali”, scrive The Observer, “sta tramando in Italia un colpo di stato militare, con l’incoraggiamento e l’appoggio del governo greco e del suo primo ministro, I’ex colonnello Giorgio Papadopulos” (Vedi testo integrale del dossier greco)
QUI TROVATE TUTTA LA CONTROINCHIESTA EFFETTUATA DAI COMPAGNI: http://www.strano.net/stragi/tstragi/pfontana/index.html
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