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Archive for aprile 2010

a respirare tonnellate di ossigeno

28 aprile 2010 1 commento

Foto di Valentina Perniciaro _a giocar con l'acqua del Sultano_

Eh si…manine cicciotte che giocano con l’acqua.
Quelle del mio cucciolo son decisamente più piccole (e grasse) e da oggi se ne staranno un po’ in montagna…
un blog vacanziero per qualche giorno, lontano da tutto.
Sulla nostra montagna senza connessione mi/ci sarà impossibile aggiornare queste pagine…
andremo a caccia di fiori e di lupi, di orsi e di falchi…!
alla prossima settimana

Foto di Valentina Perniciaro _ascoltando il battito di un girasole_

…storia di una bottiglia d’acqua…

27 aprile 2010 Lascia un commento

Un video che racconta la follia dell’imbottigliamento dell’acqua…
FIRMATE PER IL REFERENDUM: ACQUA PUBBLICA!
ACQUA PER TUTT@

Contro ogni forma di segregazione e gerarchia

26 aprile 2010 Lascia un commento

L’assemblea dei rivoltosi dell’isola di Salamina e dei quartieri  di Perama, Keratsini, Nikaia, Koridallos e Pireo ha fatto un volantino/manifesto veramente interessante sulla crisi. Poche parole, che fanno però capire molto bene il livello di conflitto che si aggira per le strade della Grecia: si parla di crisi e dei suoi responsabili, si parla di crisi inevitabile se si continua con il mantenimento di questo tipo di sistema.
Le loro proposte? Scioperi, solidarietà, occupazioni, sabotaggio, espropri e mutuo soccorso.
Chiari e tondi! 😉

The (financial) crisis shall become their crisis once we play with a full deck of playing cards
The crisis is not a natural disaster that simply happens; the crisis is the outcome of the choices of all those who want to maintain this system, in which we are exploited, repressed and governed. Their proposals on how to come out of the crisis do not differ from suggestions on how the existing situation could be reinforced and take root. Our propositions can be nothing less than strikes and solidarity, occupations and sabotage, expropriations and mutual help… in order to create the world that we choose for ourselves, against all kinds of segregations and hierarchy.

Assembly of the revolted in (the island of ) Salamina, (and the neighborhoods of) Perama, Keratsini, Nikaia, Koridallos, Piraeus

Rosarno: caporali in manette

26 aprile 2010 Lascia un commento

Ammazza come sono intelligenti…si sono accorti che a Rosarno i rivoltosi non erano solo immigrati impazziti e violenti a cui hanno iniziato a sparare addosso…
si sono accorti che forse dietro c’era una condizione che non si può nemmeno definire di sfruttamento ma di totale schiavitù. Stiamo parlando di persone, di persone che lavoravano 14 ore al giorno per intascare una decina di euro…di persone che dormivano in baracche, prive di bagni, prive di qualunque cosa, stiamo parlando di persone costantemente minacciate e costrette a condizioni di subordinazione totale. Le agenzie stampa raccontano oggi (OGGI!!!) che oltre alla paga insignificante, dovevano pagarsi anche il trasporto dalla bidonville dove dormivano ai campi: 3 euro al giorno!
E questa mattina ci siamo svegliati con Rosarno di nuovo in prima pagina per una carrellate di ordinanze di custodia cautelare nei confronti di una trentina di persone (9 sono in carcere e 21 ai domiciliari) a capo di un sistema di caporalato, un “collocamento” illegale in grado di fornire manodopera clandestina destinata all’agricoltura.
I nove in arresto (in realtà due risultano irreperibili) sono tutti migranti, gli altri 21 ai domiciliari sono tutti italiani proprietari dei terreni e imprenditori agricoli: venti aziende e duecento terreni (10 milioni di euro di valore ) sono stati posti sotto sequestro, perchè ritenuti frutto di arricchimento illecito…

Leggere ed ascoltare le testimonianze e i racconti delle condizioni di vita ma soprattutto della rivolta è impressionante: sono ancora tutti estremamente terrorizzati per quello che è successo e molti di loro, scappati dai colpi di pistola e dai pestaggi dei rosarnesi, non hanno più avuto il coraggio di tornare in quelle terre…
gli schiavi del nuovo millennio, braccianti privi di qualunque diritto, sono davanti ai nostri occhi tutti i giorni…
sono quelli che raccolgono le nostre arance, quelli che cadono dai ponteggi per costruire case, sono quelli che oltretutto vengono chiusi in un CIE senza aver commesso alcun reato.
BASTA CON LO SFRUTTAMENTO, BASTA CON LE FRONTIERE
CONTRO PADRONI E CAPORALI CHE SFRUTTANO E UCCIDONO
CONTRO LO STATO CHE CARCERA, ESPELLE, REPRIME E CONTRO TUTTI I SUOI SERVI CHE DENTRO I C.I.E. ESERCITANO IL LORO POTERE ABUSANDO FINO ALLO STUPRO.

Joy ha tentato il suicidio: Assassini!

24 aprile 2010 Lascia un commento

Chi vuole la morte di Joy

Mesi e mesi di vita rubata tra Cie e carcere dopo anni di vita rubata dai suoi sfruttatori. Quello di Joy non è un tentato suicidio, ma un tentato omicidio, e sappiamo bene chi vuole la sua morte: chi sta facendo di tutto per non farla uscire dal Cie, chi da settimane cerca di piegarla e distruggerla psicologicamente, chi cerca di isolarla impedendo i colloqui con lei e negandole la linfa vitale delle relazioni. Tutti/e costoro – e i loro complici – sono responsabili del gesto disperato di Joy che oggi i suoi avvocati hanno voluto denunciare con un comunicato stampa mandato alle agenzie.
Chiediamo a chi intende riprendere il comunicato di omettere, come abbiamo fatto noi, il suo cognome.
Immigrazione/ Denunciò stupro al Cie: nigeriana tenta suicidio Il 17 aprile Joy (***) ha ingerito sapone al Cie di Modena (da Apcom) Joy (***), la 28enne nigeriana che ha denunciato un tentativo di violenza sessuale da parte di un ispettore di polizia nel Cie di Milano l’estate scorsa, ha tentato il suicidio all’interno del Centro di identificazione ed espulsione di Modena dove è trattenuta da alcuni mesi.
A quanto risulta ad Apcom, il 17 aprile scorso, la donna ha ingerito un intero flacone di sapone ed è stata ricoverata in ospedale dove le è stata praticata una lavanda gastrica. Sentito da Apcom, l’avvocato Eugenio Losco, che insieme con il collega Massimiliano D’Alessio difende la donna, conferma l’episodio: “Se l’è cavata, ma sono molto preoccupato perché, dopo questo tentativo, Joy continua a manifestare propositi suicidi e non vorrei contare il secondo morto nella vicenda seguita alle proteste nel Cie di Milano”. L’avvocato si riferisce al suicidio, nel gennaio scorso, a San Vittore di Mohamed El Aboubj, in carcere dopo la condanna in primo grado nel processo con rito direttissimo per la “rivolta” in cui fu coinvolta anche Joy. “Joy è nei Cie da quasi un anno in attesa di espulsione ed è fisicamente e psicologicamente molto provata, sia per la detenzione che per il dilatarsi dei tempi di inoltro della denuncia che ha fatto contro i suoi sfruttatori e che le farebbe ottenere un permesso di soggiorno per protezione sociale” continua il legale, sottolineando che la situazione per Joy, in Italia dal 2002 per fare la parrucchiera e poi diventata prostituta, si è “ulteriormente aggravata dopo che il 12 aprile scorso, giorno in cui era prevista la sua liberazione, le è stato comunicato che sarebbe dovuta rimanere al Cie per altri due mesi”. Per quanto riguarda la vicenda della presunta violenza sessuale (l’ispettore accusato ha sporto querela contro la donna), l’avvocato fa sapere che l’8 giugno prossimo il Gip Guido Salvini ha fissato l’incidente probatorio per l’audizione della donna nigeriana.

Beit Jala, ancora una volta

23 aprile 2010 1 commento

22 Aprile 2010

Oggi a Beit Jalla vicino a Betlemme, cittadini palestinesi con alcuni internazionali hanno dato vita ad una manifestazione di protesta contro il muro dell’apartheid in costruzione in quella zona. Per diverse ore l’esercito ha sdradicato decine di ulivi centenari e buttato giù il portico di una cosa perchè proprio li soergerà la continuazione del muro dell’apartheid. I manifestanti hanno tentato di avvicinarsi alle case ma i militari li hanno respinti sparando lacrimogeni e proiettili di gomma. Sono state fermate 6 persone, tra cui 2 italiani, che ora sono nelle mani dell’esercito israeliano. Le accuse sono di violazione di una zona militare chiusa perchè, in maniera simbolica, hanno piantato una bandiera palestinese sul perimetro del futuro muro, dove era appena stata distrutta una parte di una casa di palestinesi.
Ascolta la corrispondenza di Radiondarossa e gli aggiornamenti

Il secondo giorno della V Conferenza Internazionale di Bil’in sulla Resistenza Popolare Palestinese comincia con la brutta notizia del riavvio dei cantieri per la costruzione del muro attorno a Betlemme. Numerosi bulldozer e circa dieci jeep dell’IDF sono entrati a Beit Jalla e Al Walaja per sradicare gli ulivi lungo il tracciato del muro e demolire il cortile di una casa palestinese.
Diversi attivist* internazionali (tra cui alcun* del nostro gruppo) e israeliani sono andati sul posto per portare la solidarieta’ attiva alla famiglia di Beit Jalla e, eludendo la sorveglianza, sono riusciti a rimanere al fianco dei palestinesi mentre procedeva inesorabile la demolizione. I militari israeliani sono intervenuti trascinando brutalmente gli/le attivist* per centinaia di metri, picchiandone e ferendone tre. Due attivisti israeliani sono stati arrestati.
Questa casa e’ stata al centro di un processo completamente falsato dalla giustizia israeliana: il terrazzamento del cortile era stato demolito qualche mese fa e poi ricostruito in seguito alla sospensione del processo stesso. Due giorni fa, il 20 Aprile, il tribunale ha definitivamente autorizzato il governo israeliano a dare inizio ai lavori di costruzione del muro che passera’ a pochi metri dalla casa stessa, isolandola e usurpandone la terra.

Nel frattempo, a pochissimi chilometri da li’ e a pochi metri dalla terra di Abed, nel villaggio palestinese di Al Walaja,altri bulldozer hanno sradicato almeno 50 ulivi e 50 alberi da frutta. Gia’ la settimana scorsa nello stesso villaggio ci sono stati 3 arresti e varie minacce e pestaggi intimidatori da parte dell’esercito; anche stavolta hanno minacciato di arrestare i membri del comitato popolare locale se avessero continuato a protestare contro il muro e la demolizione delle case.

Nel primo pomeriggio, terminati i lavori della conferenza internazionale, altr* attivist* internazionali sono tornat* a Beit Jalla per cercare di raggiungere la famiglia rimasta isolata dalla mattina, rompendo la zona militare chiusa.
Quando siamo giunti sulla strada che conduce alla casa i militari hanno messo di traverso i loro mezzi e steso il filo spinato per impedirci il passo. Abbiamo provato a forzare il blocco in maniera pacifica ma i soldati hanno reagito nervosamente puntando i mitra e minacciandoci con le granate in mano. Ne e’ seguito un tafferuglio e dopo 2 ore di blocco stradale, durante le quali i militari hanno impedito il passaggio di qualsiasi veicolo – compresa un’ambulanza -, un piccolo gruppo e’ riuscito ad aggirare lo schieramento e a raggiungere la famiglia portandogli da mangiare e piantando simbolicamente una bandiera della Palestina. Perche’ questa terra non appartiene alla prepotenza sionista.
Sei persone sono state fermate, ammanettate e portate alla stazione di polizia di Gush Ezion (una delle tante colonie israeliane in Cisgiordania) e stiamo attualmente in attesa della loro liberazione. Nel gruppo ci sono quattro ragazze e due ragazzi, tra questi un compagno e una compagna del nostro gruppo.

In seguito agli arresti i soldati hanno sparato lacrimogeni sul resto dei manifestanti, disperdendoli. Alcuni ragazzi palestinesi hanno iniziato a lanciare pietre, rovesciando cassonetti, e l’esercito ha sparato alcuni colpi.

WITHOUT YOUR FREEDOM WE’LL NEVER BE FREE
PALESTINA LIBERA

Per gli aggiornamenti seguire Freepalestine ed ascoltare Radio Onda Rossa

Sono passati 8 anni da quando ero per i vicoli di Beit Jala, caricati dall’esercito! Quella terra è dentro di me…
sono stretta ai compagni presenti nei Territori Occupati, stretta stretta a quella terra resistente

VI SERVIAMO OVUNQUE, ANCHE NEI LAGER!

22 aprile 2010 Lascia un commento

VI SERVIAMO OVUNQUE, ANCHE NEI LAGER!
Roma, mercoledì 21 aprile 2010

Oggi un centinaio di persone tra studenti universitari, nativi e migranti, attivisti/e dei centri sociali, occupanti dei movimenti per il diritto all’abitare, antirazzisti e antirazziste si sono incontrati/e all’Università La Sapienza di Roma per dare vita a un’iniziativa di denuncia e boicottaggio contro i CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione per migranti).
L’obiettivo era il gruppo “La Cascina”, che gestisce il servizio mensa della Facoltà di Economia e il bar universitario a piazzale Aldo Moro. Questa società, tramite l’affiliata “Auxilum”, dal 1° marzo è entrata nella gestione dei servizi interni al lager di Ponte Galeria.

Abbiamo scelto di denunciare la linea complice di quest’azienda che, oltre ad avallare l’esistenza e contribuire alla mala-gestione del CIE di Roma, è responsabile di somministrare cibo scadente, se non scaduto, e troppo spesso “condito” con psicofarmaci, allo scopo di aumentare il controllo sui migranti e le migranti reclusi/e.
È stato aperto uno striscione che diceva «La cascina: complice dei lager! No ai CIE» davanti all’ingresso della mensa di Economia, mentre altri/e entravano nelle sale distribuendo volantini e adesivi informativi, denunciando al megafono gli orrori di Ponte Galeria, invitando gli studenti e le studentesse a boicottare gli esercizi gestiti da “La Cascina”, parlando con lavoratori e lavoratrici e informandoli/e, molti/e per la prima volta, del profilo infame dei loro datori di lavoro.
Ci siamo poi spostati con un corteo spontaneo che ha bloccato la strada fino a La Sapienza, per poi proseguire dentro l’università fino al bar di piazzale Aldo Moro. Anche qui abbiamo denunciato la complicità di “Auxilium/Cascina” e invitato al boicottaggio attivo gli studenti presenti.
L’iniziativa si è conclusa con un pranzo sociale e una mostra tematica sulle condizioni del CIE di Roma al pratone dell’università.

Per costruire le prossime iniziative della campagna contro i CIE
GIOVEDÌ 29 APRILE ORE 19.00 AL FORTE PRENESTINO, CENTOCELLE

CHIUDERE I CIE SUBITO
NON RENDERTI COMPLICE!
BOICOTTA “LA CASCINA”

Ascolta la CORRISPONDENZA di Radio Onda Rossa.

“Costituzione” e “democrazia” non sono valori che m’appartengono

22 aprile 2010 3 commenti

La Costituzione??
La Democrazia??
Ma perchè? Perchè siamo diventati così?
Sarà dura per me stare in piazza questo 25 aprile: volevo portare il mio bambino al suo primo corteo di LIBERAZIONE ma non credo riuscirò a farlo.
Sono comunista, sono antifascista…ma quest’ antifascismo non mi piace, quest’antifascismo non m’appartiene.
Non riesco a vedere “compagni miei”, SANGUE MIO, invocare democrazia e Costituzione…
Non potete chiedermi di difendere la Costituzione…non la potete trattare come una cosa intoccabile, detentrice di valori eterni ed inviolabili.
Ma di cosa stiamo parlando?
Ma da quando amiamo la nostra Costituzione? La democrazia? Una costituzione che parla di “famiglia”, di “proprietà privata”?
La stessa democrazia che tiene i compagni in carcere da trent’anni, la stessa democrazia che ha regalato ergastoli e leggi speciali,
la stessa democrazia che sgombera le case, che carica i lavoratori e l’ha sempre fatto.
Quanti proletari sono stati ammazzati dalla nostra Costituzione???

Ieri ad Ostia c’è stata l’ennesima aggressione di Casa Pound: c’era un compagno solo ad attacchinare che s’è salvato per un pelo:
Volevo mettere il comunicato e non ne sono stata capace: si invocano le “forze sinceramente democratiche”… sul mio blog, scusate, non riesco a mettervi!

Non riesco a condividere strade e piazze nemmeno più con la retorica partigiana di personaggi come Bentivegna che poi hanno avallato ergastoli a go-go.
Basta, invece di capire questo, di superare quella retorica in modo antagonista e rivoluzionario facciamo addirittura passi indietro,
la peggioriamo, la rendiamo ancora più “democratica e populista”.  Non ne posso più!
Vorrei contenuti di altro genere, vorrei parole nostre…non vorrei appellarmi solo al lessico borghese, alle Costituzioni borghesi e ai loro tribunali.

Questo 25 aprile mi sento molto sola, e non per i tanti fascisti in giro, ma per il modo in cui tentiamo di combatterli!

Sosteniamo il centro Amal Al-Mustakbal nel campo di Aida, in West Bank

19 aprile 2010 Lascia un commento

Il centro Amal Al Mustakbal è nato nel 1987 nel campo profughi di Aida, nella zona di Betlemme (Palestina). L’idea di un asilo nasce dal desiderio di attivare progetti per strappare i bambini e le bambine dalle strade e fornire una preparazione prescolastica attraverso attività di gioco, danza, studio, sport e arte.

Foto di Valentina Perniciaro _a pochi passi dal campo profughi di Aida, Betlemme_ Marzo 2002

Nel 2002, con la costruzione del muro di separazione, l’economia interna al campo profughi è precipitata. La totale disoccupazione, l’espropriazione di terre coltivabili e la continua occupazione militare, sono le ragioni per cui la struttura oggi si trova senza alcun sostegno economico, contando unicamente sul lavoro volontario di donne e uomini del campo profughi.
Nonostante l’obiettivo sia di garantire a tutti e tutte la possibilità di studiare, sono solo 40 i bambini e le bambine che possono utilizzare gratuitamente gli spazi del centro e, attraverso la guida dei volontari, partecipano alle attività culturali e di apprendimento. Ogni giorno, dalle 8.00 alle 12.00, bambine e bambini partecipano ad attività e giochi con lo scopo di imparare a leggere, scrive e contare mentre nel pomeriggio il centro resta aperto per dare vita a laboratori di danza, arte e sport. Durante la pausa estiva le attività proseguono con i campi estivi. Il motivo per il quale scegliamo di parlarvi di questa realtà è perchè abbiamo attivato una cassa di sostegno alla vita del centro, considerando fondamentale il ruolo che svolge all’interno dell’esistenza drammatica delle persone che vivono nel campo profughi di Aida.
Da Marzo 2009 non esiste alcun finanziamento che possa garantire il regolare svolgimento delle attività. Le persone che s’impegnano a tenere in vita questo progetto, non percepiscono alcuna forma di reddito e non possono garantire la sopravvivenza del centro. I materiali non sono minimamente sufficienti per consentire un dignitoso svolgimento delle attività. L’edificio che ospita questo grande sogno richiede l’impegno costante nel pagamento dell’affitto.
Per queste ragioni il centro Amal Al Mustakbal ha dovuto sospendere le attività ma la forza dei volontari ha portato ad una riapertura provvisoria. Come gruppo che fa riferimento al blog freepalestine.noblogs.org abbiamo attivato da diversi mesi una campagna di sostegno al centro Amal Al Mustakbal che ha portato a coinvolgere diverse scuole della capitale. Si può aiutare il centro in diversi modi: economicamente, alcune scuole hanno devoluto i ricavati volontari delle recite scolastiche, con uno scambio di disegni tra bambini o mandando in Palestina tutto lʼoccorrente didattico per continuare lʼapprendimento o la ricreazione. Tutte queste forme aiutano una popolazione a non sentirsi sola, soprattutto
nei confronti di bambine e bambini le maggiori vittime di muri e separazioni.
Per info: carovanapalestina@autistici.org
VIDEO DAL CAMPO DI AIDA

Non un@ di noi! TUTT@ LIBER@

19 aprile 2010 Lascia un commento

 

Su un muro di Quarto, Napoli

Un’altra evasione da corso Brunelleschi.Questa volta è toccato a Nabil, uno dei reclusi trasferito a Torino da Roma dopo la grande rivolta della fine di marzo e da allora tenuto in isolamento. Lo stavano cambiando di blocco, ieri sera, ma lui è riuscito a sgattaiolare tra le sbarre e poi a dribblare il carceriere che gli si era parato davanti per impedirgli di avanzare. Una corsa e via, fino a guadagnare la strada.
Poche ore prima una sessantina di persone avevano dato vita al consueto presidio mensile contro i Centri, giusto là davanti: urla, battiture, mortaretti e messaggi di lotta e di solidarietà al microfono.

macerie @ Aprile 19, 2010

Qualche giorno fa invece:

Tentato suicidio nella sezione bianca del Cie di Torino. Nuer, un ragazzo tunisino, mercoledì mattina ha tentato il suicidio impiccandosi con una corda, soccorso in tempo e portato in ospedale da cui è stato dimesso in giornata. La sua storia è l’ennesima storia disperata frutto delle leggi assurde di questo paese. Nuer è stato detenuto in carcere per violenza privata per due anni, fino a quando non è arrivata l’assoluzione e la conseguente scarcerazione. Certo non si aspettava di passare da un carcere ad un altro centro di detenzione: il Cie di Corso Brunelleschi, perché dopo due anni di carcere aveva perso il permesso di soggiorno, quantomeno si aspettava di avere i cinque giorni di tempo che il decreto di espulsione concede per lasciare l’Italia. All’attuale non è neanche certo che riesca ad ottenere il rimborso per ingiusta detenzione.
La storia di Nuer ce l’ha raccontata Mustafa, un signore in Italia da vent’anni, che, a fine anni Novanta, insieme al lavoro ha perso anche il permesso di soggiorno, ed è stato quindi espulso. Ha deciso di tornare subito in Italia, ed ora è recluso nel Cie.
Nella stessa sezione di Nuer e Mustafa, la bianca, c’è anche Mohammed, che mercoledì ha interrotto lo sciopero della fame che portava avanti da ventitré giorni. Martedì era stato portato al repartino psichiatrico del Martini, e dopo un breve colloquio con la psichiatra, colloquio al quale ha partecipato anche la Guardia di Finanza che lo stava piantonando, alla faccia della riservatezza tra medico e paziente. Quello che Mohammed chiedeva era la visita di un medico che gli misurasse la pressione e che gli facesse un prelievo del sangue, quello che ha ottenuto è stata una psichiatra che gli ha confermato la sua salute mentale. Il commento di un crocerossino al suo ritorno nel Centro è stato: “Tu stai rischiando la vita, ti conviene smettere di fare lo sciopero, tanto non ti fanno uscire”.
Abbiamo anche saputo che quattro marocchini sono stati rimpatriati in settimana.

macerie @ Aprile 17, 2010

EVAsioni trasgressive!!

18 aprile 2010 Lascia un commento

Grazie a Giuseppe Palumbo, che ci ha donato questa tavola…
I boccoli neri stanotte rientreranno in cella con un gran sorriso… (t’ho sgamato eh?)

Cosa accade al porto di Napoli?

14 aprile 2010 Lascia un commento

cosa sta accedendo…

Una nave attraccata l’8 aprile fa nel porto di Napoli (molo Bausan, nella periferia orientale, verso San Giovanni a Teduccio) è stata fermata perchè aveva a bordo 9 migranti “irregolari”. Di queste nove persone, che la polizia di frontiera dichiara di nazionalità ghanese e nigeriana, cinque sono minorenni.

La Vera-D nel porto di Napoli

Secondo la ricostruzione accreditata dal comandante russo di questa grossa nave-merci (battente bandiera liberiana, ma di proprietà di una importante compagnia di armatori tedesca, la Peter Dohle di Amburgo) i migranti si sarebbero nascosti in un container al porto di Abidjan in Costa D’Avorio e avrebbero trascorso così l’intero viaggio.

Non è ben chiaro se in un primo momento la nave sia stata fermata dalla polizia di frontiera per la presenza di immigrati irregolari, o dallo stesso comandante. Sta di fatto che dopo aver “scoperto” la presenza dei migranti, il comandante rilevava di non avere più il numero legale per navigare e chiedeva all’Italia di farsene carico. Del resto sono in acque nazionali italiane, quindi i minori hanno diritto di tutela mentre gli adulti devono (è un loro diritto!) potere fare domanda d’asilo.  In ogni caso le autorità italiane gli hanno impedito di sbarcare…
La notizia è trapelata solo nella mattinata del 12 aprile, per la protesta dei lavoratori del terminal container, dovuta al fatto che il blocco del molo Bausan aveva interrotto molte delle attività lavorative legate allo scarico merci. Questa è sembrata essere anche l’unica preoccupazione dei media, che hanno trattato molto superficialmente la questione umanitaria dei migranti confinati forzatamente sulla nave sottolineando soltanto il danno economico che l’attracco della nave potrebbe costare, la necessità ripresa dei lavori nel terminal e i risarcimenti, dopo che i “clandestini” sarebbero stati fatti scendere dalla nave (vedi: canale9, il mattino)
In realtà le cose hanno rischiato di prendere una piega ancora peggiore: la nave è stata fermata e sequestrata dalla stessa magistratura in maniera preventiva rispetto alla eventuale copertura dei danni in seguito alla denuncia del Conateco, il consorzio napoletano terminal container, per il blocco del molo.

Quando il 13 aprile è scoppiata la protesta dei portuali, la mediazione tra polizia e comandante della nave è stata quella di far scendere solo tre dei cinque minori a bordo, esclusivamente per rientrare nel numero massimo di persone che consentisse alla nave di fare manovra.

Il porto di Napoli

La rete antirazzista si è subito mobilitata, cercando di entrare in contatto con i migranti, facendo notare che i minorenni non possono essere respinti e hanno diritto alla massima tutela da parte dello stato italiano, mentre gli adulti potrebbero voler presentare domanda di asilo politico o protezione umanitaria.
Ogni contatto è stato impossibile in un primo momento, perché la polizia di frontiera ha accampato una scusa dopo l’altra, impedendo di fatto che si rispettassero i diritti di queste persone. La motivazione della polizia di frontiera è stata che ci voleva l’autorizzazione del capitano della nave con cui  è stato a lungo impossibile entrare in contatto diretto. Un chiaro escamotage, dal momento che lo stesso capitano ha tutto l’interesse e la volontà, più volte esternata, di far sbarcare gli immigrati.
Possibile infatti che oltre alle motivazioni umanitarie ce ne siano altre di carattere economico, perchè la perdurante presenza a bordo dei migranti, una volta appurata, potrebbe portare al divieto di scalo anche nel porto di Genova, dove la nave è diretta. Infatti, per fortuna, la Vera D non ha a bordo le gabbie in cui vengono a volte rinchiusi gli immigrati trovati sulle navi! Gabbie in cui vengono segregati fino al ritorno nei presunti paesi di origine in spregio a ogni aspetto del diritto internazionale, specie per profughi e rifugiati, ma tranquillizzando così le autorità di frontiera…

Dopo un’estenuante trattativa con l’armatore tedesco della nave, la capitaneria di porto, la questura di Napoli e la polizia di frontiera, nella tarda serata di ieri 13 aprile, un’ ampia delegazione della rete antirazzista che presidiava la nave Vera D è riuscita ad ottenere che tre persone salissero sulla nave e incontrassero i migranti. Fra queste tre persone l’avvocato del CIR (Centro Italiano Rifugiati) a Napoli. Durante la visita tutti e nove i migranti hanno firmato la delega all’avvocato manifestando, anche davanti a un pubblico ufficiale (il comandante della nave), la volontà di chiedere asilo politico, di cui l’avvocato ha preso richiesta scritta. Inoltre cinque persone si sono dichiarate minorenni.
Quando la delegazione è scesa dalla nave ha chiesto subito alla Questura di prendere atto delle istanze di asilo e di venire a prendere i migranti per formalizzarle e provvedere all’accoglienza a terra, come è suo dovere legale. Il Questore (che ha interloquito anche con diversi parlamentari) ha invece preso tempo sostenendo che gli uffici potevano formalizzare tutto solo nella mattinata successiva.

[mercoledì 14]
Dopo una intera notte e mattinata trascorsa a picchettare ininterrottamente la nave “Vera D” gli immigrati sono scesi dalla nave (video) e il presidio si è spostato sotto l’ufficio stranieri, che dovrà determinare il percorso con cui i migranti arriveranno alla Commissione asilo, se in condizioni ordinarie e sacrosante di libertà e di accoglienza o con forme di restrizione della libertà (come ad esempio nei CIE) che rappresentano una grave coercizione all’esercizio del diritto alla protezione.
In ogni caso, nella gestione di questa vicenda molti restano i lati oscuri! Anzitutto la questione dei minorenni: ieri la questura dichiarava che “sulla nave non ci sono minorenni”, dopo aver fatto dei discutibilissimi esami biometrici solo a tre ragazzi sui cinque che pure erano stati censiti…!! Oggi, in seguito alle insistenze della rete antirazzista e alle varie forme di pressione, altri tre ragazzi sono stati portati a fare gli esami (ancora un’altra persona è risultata nella fascia anagrafica giusta). “Dobbiamo dedurre che se l’espulsione fosse avvenuta oggi, avrebbero proceduto senza verificare le esigenze di tutela dei minori! E’ una responsabilità grave!” “Dobbiamo pensare che senza la protesta dei portuali del molo Bausan tutto sarebbe avvenuto in silenzio e senza alcuna tutela?!”
Poi il misterioso decreto di respingimento, che ai migranti non è stato mai notificato e che in questura sostengono aver prodotto il 7 aprile… perchè finora non è stato notificato? L’espulsione sarebbe comunque sospesa dalla richiesta di asilo, ma l’ipotesi decreto sembra francamente solo una forma di accanimento per rinforzare l’ipotesi di una reclusione nei CIE dei migranti maggiorenni in attesa della valutazione in Commissione della loro richiesta di protezione umanitaria. Una condizione cui sicuramente faremmo ricorso, ma che secondo noi “testimonia ancora una volta il contesto irrituale in cui si svolgono i cosiddetti “respingimenti in mare”, che comportano sempre una violazione sostanziale dei diritti minimi e delle tutele dei rifugiati. Una “pratica” che almeno oggi la rete antirazzista è riuscita a inceppare!”

Rete antirazzista napoletana
SU INDYMEDIA NAPOLI TUTTI GLI AGGIORNAMENTI!

Quando muore un operaio…

13 aprile 2010 2 commenti

National Geographic _minatori in west Virginia_

Ogni morte sul lavoro è un assassinio.
Ogni assassinio sul lavoro è una morte ingiusta e terrificante.
La media al giorno di questo paese fa capire che parliamo di una vera e propria guerra, dove -alla spicciolata- mandiamo a morire uomini e donne, figlie e figli.
Oggi, il primo a far notizia è stato Sebastiano Storti, un operaio di 40 anni impiegato presso lo stabilimento chimico del gruppo Zambon, in una località della provincia di Vicenza.
E’ morto in un modo ancora da accertare: di certo è che la sua morte è stata orribile. E’ morto congelato dopo esser caduto in una vasca di liquido refrigerante mantenuto a 20 gradi sotto zero. La dinamica non è ancora chiara perchè nessuno ha assistito all’incidente: Sebastiano è stato trovato già morto da alcuni suoi colleghi che non riuscivano a trovarlo all’interno dell’azienda.
Era riverso all’interno di una vasca contenente 80 cm di liquido refrigerante.
Era un esperto addetto alla manutenzione, da sei anni dipendente dell’azienda.
Aveva tre bambini.
Lo stabilimento chimico è stato bloccato per l’intera giornata dallo sciopero di tutti i dipendenti.

Quando è precipitato il Tupolev con tutto il parlamento, i militari, vescovi e papponi vari del governo polacco ho scritto qualche sarcastica riga di giubilo: un “simpatico” lettore mi ha immediatamente scritto, altamente indignato, per chiedermi se quello era il mio modo di insegnare il valore della vita a mio figlio. Certamente!
Mio figlio imparerà che la vita dei padroni ha un valore decisamente diverso rispetto a quella degli sfruttati…e tu che mi scrivevi così velocemente per difendere quattro padroni nazisti (per una volta un po’ di più … ‘na volta tanto…!!)  e una carrellata di divise e medagliette, vorrei tanto sapere se ti indigni anche per Sebastiano, morto congelato.
Se ti indigni per un rumeno che cade da un ponteggio, o un fanciullo massacrato dalla polizia…

Troppa merda dentro i CIE Altro poliziotto sotto inchiesta

12 aprile 2010 1 commento

Erano giorni che volevo pubblicare questa cosa ma ormai non rispetto mai i tempi che mi metto in testa…
il mio cucciolo decide per me, i tempi son dilatati, il mondo a volte sembra distante.
ma non lo è!
E’ di qualche giorno fa la notizia dell’ennesima porcheria fatta da un ispettore capo di stanza in Corelli. Guardiano nel lager e molestatore di trans rinchiuse lì dentro, arrotondava lo stipendio di “difensore della sicurezza” affittando in nero e a prezzo esorbitante un tugurio a trans brasiliane senza permesso.
Che il reato di clandestinità sia un business per lo Stato e i suoi “servitori” non ci sorprende affatto.
Da radiocane:
L’affittacamere
(Friday, 09 April 2010 15:23)
La storia di Paola, trans brasiliana, che vive prostituendosi in appartamento a Milano.
La storia di Paola che finisce nel Cie di Via Corelli a Milano.
La storia di un incontro nel Cie con un poliziotto che lei già conosce
La storia di un poliziotto che arrotonda affittando appartamenti agli stessi clandestini che poi finiranno nel Lager.
La storia di Paola, che denuncia pubblicamente il suo affittacamere, viene prelevata dalla polizia questa mattina nel cie di via corelli a milano, il perchè non lo sappiamo, lei non risponde più al telefono.
Oggi la Questura di Milano ha deciso di far uscire la notizia per evitare che l’ennesimo scandalo gli esplodesse per le mani.
Ma il coperchio del silenzio dei CIE d’Italia è saltato, ed è chiaro a tutti che non è questione di mele marce.
Una storia tutta italiana
Ascolta l’intervista a Paola raccolta da radio cane

Tupolev-Tu 154!

10 aprile 2010 5 commenti

Che caracca, mamma mia! Uno schianto come si deve, che ad elencarli vien la pelle d’oca: il presidente, il capo di stato maggiore, vice ministro degli esteri, governatore della banca centrale, 13 ministri, l’ex presidente Ryszard Kaczorowski, alcuni deputati, il candidato conservatore alle prossime presidenziali Przemyslaw Gosiewski e il vescovo cappellano dell’esercito (qui l’urlo di giubilo personale si fa più acuto!).
Particolarmente colpite le forze armate polacche (ululato orgasmico) : oltra al capo di stato maggiore anche quello delle forze sul campo, il capo dell’Aereonautica militare e quello dell’esercito. Per non farci mancare nulla era salito a bordo anche il capo delle forze speciali e il vice ammiraglio non so chi!

Insomma, una cosa così non c’era mai riuscito nemmeno Walt Disney!
Ci tengo a riportare le parole del papa, che esprime cordoglio per tutti i “servi di Dio” morti spiaccicati insieme al Gotha polacco.
“Profondo dolore” per la tragica morte del presidente polacco Lech Kaczynski e il suo seguito, è stato espresso da papa Benedetto XVI. “E’ con profondo dolore che ho appreso la notizia della tragica morte del Signor Presidente Lech Kaczynski, della sua moglie e delle persone che lo accompagnavano in viaggio a Katyn”, scrive Benedetto XVI in un messaggio. “Tra loro – continua il Pontefice – voglio elencare il Signor Ryszard Kaczorowski, l’ex Presidente della Repubblica in esilio, il vescovo foraneo Tadeusz Ploski, l’arcivescovo ortodosso foraneo Miron Chodakowski e il pastore militare evangelico Adam Pilsch”.

vodka e giubilo!

Penso che oggi vada rispolverata quella vecchia immagine usata per Haider ( se non ricordo male pure per Laudi, ma vabbè!)
Insomma, oggi si berrà vodka… mi pare il minimo.
E che darei per esser polacca oggi, pensa che senso di leggerezza!!

APPELLO INTERNAZIONALE: SETTIMANA DI AZIONI CONTRO LE DEPORTAZIONI!

9 aprile 2010 Lascia un commento

Chiamata per una Settimana di azioni contro la Macchina delle Deportazioni
1 – 6 giugno 2010
STOPDEPORTATION.NET

Le deportazioni sono diventate una parte integrale del sistema delle Regime europeo sull’immigrazione. Centinaia di rifugiati/e e di migranti sono forzatamente deportati/e ogni giorno per fare ciò che le persone hanno fatto per milioni di anni: emigrare alla ricerca di una vita migliore, scappare dalla povertà, dalle persecuzioni, dagli abusi, dalle discriminazioni, dalla guerra etc. Il diritto di viaggiare e vivere dove si vuole è negato a tutti e tutte coloro che hanno un diverso colore della pelle, passaporto e conto in banca. Queste persone sono trattate come ‘criminali’ e incarcerati in prigioni speciali che chiamano con altri eufemismi (centri di rimozione, case rifugio e così via). Gli abusi razzisti e sessisti e la violenza fisica, agiti dalla polizia che si occupa di immigrazione e dalle guardie private, sono istituzionalizzati e legittimati dall’uso della forza nelle operazioni di deportazione.

Dietro le deportazioni si nasconde un misto di razzismo, nazionalismo e imperialismo in un contesto di capitalismo globale: mentre il capitale e i cittadini/e dell’Unione Europea e degli altri paesi del “primo mondo” sono liberi di viaggiare dove vogliono, le/gli altri/e dal lato sbagliato dei confini costruiti artificialmente, i cui paesi sono fatti a pezzi dai privilegi europei e dal capitalismo e dalle conquiste imperialiste, sono illegali, criminalizzati e impediti nell’esercizio dei diritti fondamentali. Loro semplicemente cessano di essere persone; diventano “immigrati illegali”, che si “trattengono troppo a lungo” [overstayers] e “mancati richiedenti asilo” di cui si può fare a meno quando non si ha più bisogno di sfruttare il loro lavoro o quando cercano di rivendicare i propri diritti. Come conseguenza, le lotte comuni e le comunità sono divise e prevale una cultura di sospetto e della sorveglianza.

Quando gli ordini di deportazione sono emanati, fa comodo dimenticare le cause dell’immigrazione. Le armi prodotte in Occidente e i conflitti armati, le guerre di aggressione alla ricerca di petrolio e di altre risorse naturali, i regimi repressivi appoggiati dai nostri democratici governi, i cambiamenti climatici e la sottrazione delle terre… tutto ciò può essere rintracciato all’interno delle nostre economie capitaliste, dello stile di vita consumistico e degli interessi imperialisti. La lotta contro le deportazioni non è solo una singola campagna: le persone scelgono o sono forzate a migrare per varie ragioni.

Per far funzionare il sistema dei voli di deportazione, i governi europei appaltano ad una serie di privati o semi-privati il lavoro sporco che sarebbe toccato a loro. Le compagnie aeree sono un ingranaggio centrale della macchina delle deportazioni. Non solo sono una delle prime cause che contribuiscono alla morte del pianeta, ma molte compagnie aeree, nella loro ricerca di profitto, sono contente di portare persone verso una possibile morte – sia essa una deportazione individuale o di massa. Gli interessi dietro la macchina delle deportazioni includono altri tipi di opportunisti, quali le compagnie che provvedono al trasporto e all’accompagnamento durante le deportazioni forzate e le compagnie di sicurezza delle multinazionali, come Serco e G4S, che gestiscono le prigioni per immigrati/e e portano avanti le deportazioni a nome delle autorità per l’immigrazione.

Inoltre, ci sono agenzie fantasma e inspiegabili, agenzie inter-governativei, come l’Agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne (Frontex) e l’Organizzazione Internazionale per la migrazione (IOM), il cui ruolo è diventato sempre più influente negli ultimi anni e con le quali i governi europei cercano di portare avanti operazioni unitarie e coordinate. Questo non solo per risparmiare soldi, ma anche per mettere le deportazioni in mano a corpi europei e internazionali, che spingono la responsabilità su un altro livello al di là dei governi nazionali e delle autorità per l’immigrazione.

Infine, La Frontex ha recentemente assunto ulteriori poteri per le deportazioni di massa attraverso voli charter a nome dei governi europei, comprando equipaggiamento e sperimentando nuove tecnologie per il controllo dei confini dell’EU. Dopotutto, un super stato, razzista e imperialista, come Fortresse Europe ha bisogno di un esercito mercenario come Frontex per proteggere i propri confini artificiali.

Deportati e deportate, inclusi bambini/e, sono spesso ammanettati e accompagnati dalla sicurezza come criminali pericolosi (l’etichetta “criminale” è usata da chi è al potere). Ci sono stati numerosi segnalazioni di maltrattamenti fisici e abusi razzisti e sessuali, che uomini e donne hanno subito da parte delle guardie per l’immigrazione o degli “accompagnatori” privati durante le deportazioni (sia individuali che di massa). La proposta di avere qualcuno/a che monitori i diritti umani sui voli per le deportazioni, come ha recentemente suggerito un membro della Commissione europea, può impedire alcune di queste pratiche ma può anche legittimare le brutalità della deportazione stessa.

Siamo consapevoli che resistere contro le deportazioni è un percorso continuo e non confinato ad alcuni giorni o a settimane di azioni: le persone cercano di attraversare i confini in condizioni pericolosissime ogni giorno; gli scioperi della fame e le lotte nelle prigioni per immigrati; i/le deportati/e e i passeggeri consapevoli che si rifiutano di sedersi tranquillamente a bordo di un volo che passa inosservato; le comunità che si uniscono per difendere i loro membri; le proteste regolari e azioni contro varie componenti della macchina delle deportazioni… e molto altro ancora deve essere fatto perché milioni di persone continuano ad essere forzatamente deportate ogni giorno.

Questo appello è rivolto a tutti/e coloro, individualità e gruppi in Europa, che vogliano unirsi in una settimana di azioni decentralizzate e coordinate contro la macchina delle deportazioni nella prima settimana di giugno 2010. Questo appello è rivolto a tutti/e i migranti e rifugiati e chi li sostiene dentro e fuori l’Europa. Organizziamoci nelle nostre realtà locali in azioni o proteste durante la settimana con un unico grido:

STOP ALLE DEPORTAZIONI!
NO ALLA FORTEZZA EUROPA!
LIBERTÀ DI MOVIMENTO PER TUTTI E TUTTE!

Callout [Deutsch | Ελληνικά | Español | Français | Italiano | Polski | Türkçe | عربي] || Poster | Leaflet

24 Aprile staffetta Civitavecchia-Montalto di Castro: NO MORTI LAVORO, NO NUCLEARE, NO CARBONE!

7 aprile 2010 Lascia un commento

NELL’ANNIVERSARIO DI CERNOBYL STAFFETTA DA CIVITAVECCHIA A MONTALTO
BASTA ENERGIA PADRONA, MORTI SUL LAVORO E NUCLEARE,MAI PIU

Da oggi e per almeno 15gg. il “ cantiere della morte” di Torvaldaliga sarà fermo per l’ordinanza di chiusura emessa dal sindaco di Civitavecchia.
Da ieri sono iscritti nel registro degli indagati “per omicidio colposo” 11 persone : 3 responsabili della ditta Guerrucci ( da cui dipendeva Sergio Capitani), 1 della ditta General Montaggi( che aveva da poco controllato “l’impianto ammoniaca”), ben 7 dell’Enel , dal capo centrale a dirigenti e tecnici della centrale di Torvaldaliga Nord.
Da stamani , ha preso il via l’ispezione dell’ISPELS con l’incarico di verificare le inadempienze della sicurezza sul lavoro.
Qualcosa si è smosso , ma al caro prezzo di vite umane e disastri ripetuti !
Le colpe e le responsabilità – oltre quelle primarie dell’Enel che gestisce 2/3 della produzione nazionale( di quella di molti altri paesi UE, anche nucleare) e che controlla centinaia di ditte in appalto e subappalto che lavorano per lei  –  sono dei partiti e del Parlamento, che hanno svuotato e reso mano mano inservibile la “legge sulla sicurezza del lavoro”, sostitutiva della 626/94 .
In particolare scaricando su altri sottoposti le “responsabilità primarie del datore di lavoro “ che non è più il “ responsabile della sicurezza”. Dove, “ il piano dei rischi” non è fatto sulla specifica tipologia dell’impianto, bensì su un fac simile generico. Dove, agli addetti pubblici al controllo della sicurezza è permesso di fare i consulenti per i gestori privati. Dove le sanzioni sono diventate ridicole e/o inesistenti.
OVVERO, A FRONTE DI MORTI E DISASTRI RIPETUTI, PARTITI E PARLAMENTO HANNO DELIBERATO  L’ IMPUNITA’ ZERO !
Seguiremo passo passo questa vicenda, affinché non si chiuda con un nulla di fatto.
Siamo altrettanto preoccupati per la famelicità dell’Enel, dei partiti e degli imprenditori nazionali/locali, che pur di realizzare impianti inutili e dannosi – di muovere ingenti somme e relative mazzette – non esiterebbero a candidare il territorio che va da Civitavecchia a Montalto di Castro  quali località  per le centrali nucleari, con tutto il carico di morti , di disgrazie e di tumorati  al presente e per le future generazioni.
VANNO SMASCHERATI SUBITO; GLI VA IMPEDITO DI NUOCERE ANCORA !!
A breve , il 26 aprile, ricorre il 24° anniversario del disastro nucleare di Cernobyl – che ha causato decine di migliaia di morti in Ucraina-Russia-Bielorussia…..Polonia-Cekia-Slovacchia,Bulgaria, Romania,…… Austria, Slovenia, Germania,Italia – sarà l’occasione per tornare a Montalto il 24 aprile , con una staffetta da Civitavecchia a Montalto per gridare “ basta con l’energia padrona , morti sul lavoro e nucleare, mai più”

Roma 7 aprile 2010
Cobas Energia/ Cobas Lavoro Privato   –  Coordinamento Antinucleare “ salute,ambiente,energia”

Intervista a Sonja Suder e Christian Gauger, a rischio estradizione!

5 aprile 2010 3 commenti

La buca delle lettere di Sonja e Christian

Dal blog DamnatioMemoriae non posso non prendere (GRAZIE!!!) la traduzione di quest’intervista pubblicata sull’edizione domenicale della Tageszeitung (TAZ, quotidiano berlinese di sinistra) del 21.3.2010, agli esuli tedeschi in Francia Sonja e Christian,  di cui ho già parlato in questo blog.[Archivio]
Revolutionäre Zellen
Sfuggiti per 22 anni ai cacciatori di terroristi. Sonja Suder e Christian Gauger sulla vita in clandestinità e su ciò che si prova quando si viene scoperti
“Guardi sempre se c’è qualcuno dietro di te”

di Andreas Fanizadeh

taz: Signora Suder, signor Gauger, quando vi siete accorti per la prima volta di essere osservati?
Sonja Suder: Era l’estate 1978. Eravamo appena tornati a Francoforte da una gita nel sud della Francia. Alle 6 di mattina ci siamo mossi per montare il nostro stand al mercato delle pulci all’Eisernen Steg sul Mainufer.
E li avete notato che qualcuno vi seguiva?
Suder: Alle sei di mattina è evidente se qualcuno ti sta dietro dalla porta di casa fino al mercato, dove poi non monta un suo stand. Al pomeriggio l’abbiamo comprovato ed era chiaro: eravamo osservati. Era un clado giorno d’estate a Francoforte, credo in agosto. E dovemmo prendere una decisione.
Perché?
Eh, erano tempi duri, era l’anno dopo il sequestro Schleyer e i morti di Stammheim. Decidemmo di andarcene via.

1978.
Chi si ricorda del 1978, l’anno in cui Sonja Suder e Christian Gauger scomparvero dalla scena, per restare introvabili nei successivi 22 anni? L’anno in cui l’Argentina visse i mondiali di calcio. O in cui nacque Katja Kipping, oggi vice capo del Partito Die Linke (La Sinistra). C’era ancora la RDT (Germania dell’Est) e l’Europa occidentale era nella fase finale del movimento del ’68. In Nicaragua i Sandinisti attaccarono il Palazzo Nazionale, in Italia le Brigate Rosse uccisero il democristiano Aldo Moro.

Quando l’esplosivo scoppiò all’improvviso
E nella Repubblica Federale Tedesca, nel giugno del 1978, un conoscente -secondo la Procura penale- di Sonja Suder e Christian Gauger si preparò a piazzare una bomba al Consolato argentino di Monaco. Si chiamava Herrmann Feiling ed avrebbe agito, come Sonja Suder e Christian Gauger, nell’ambito delle cosiddette Cellule Rivoluzionarie (RZ). Le RZ erano per gli apparati di difesa dello Stato difficili da valutare, poiché dalla loro spaccatura del 1976/77 agivano senza una direzione riconoscibile. Il gruppo propagava attacchi con danni materiali e tentava, diversamente dalla RAF, di non fare vittime. Suder e Gauger avrebbero partecipato, dice oggi la Procura, a due attacchi contro imprese che lucravano sull’uranio con il Sudafrica, nel 1977, e ad un incendio al castello di Heidelberg, nel 1978. Perciò il 15 settembre 1978 un giudice istruttore federale emise un mandato d’arresto contro i due.Se Gauger, Suder e Feiling si conoscevano veramente, come ritiene la Procura, potevano senz’altro, nel 1978, considerare l’Argentina come uno Stato di non-diritto. Là i militari avevano fatto nel 1976 un colpo di stato con un seguito di 30’000 omicidi. In quel paese e in condizioni scandalose si giocarono i campionati mondiali di calcio. E la coalizione social-liberale di Bonn tollerava gli affari delle imprese tedesche con la dittatura argentina, mentre aiutava solo con molte esitazioni i cittadini germanici incarcerati e torturati in Argentina. V’erano insomma serie inconvenienti , anche se solo pochi come Herman Feiling tentarono di bucare con una bomba il muro del Consolato argentino. Ma l’attentato al Consolato non ebbe luogo. Per Hermann Feiling, il presunto conoscente di Suder e Gauger, la preparazione ebbe un esito fatale. L’esplosivo scoppiò il 23 giugno prima del previsto ad Heidelberg, e Feiling perse entrambe le gambe e gli occhi.
Il ferito grave venne palesemente interrogato dagli inquirenti già nella clinica universitaria di Heidelberg. Per settimane e mesi, dicono amici ed avvocati, gli inquirenti isolarono Feiling, per cercare di ottenere informazioni sulla struttura organizzative delle Cellule Rivoluzionarie. Gli inquirenti verbalizzarono ciò che Feiling avrebbe detto loro sotto l’effetto dei medicamenti e senza l’assistenza di un legale liberamente scelto, cose che poi egli ritrattò.
Poche settimane dopo l’incidente di Feiling, Suder e Gauger notarono la squadra di osservazione a Francoforte e si eclissarono. Da allora avrebbero vissuto da qualche parte all’estero senza più essere attivi -come lo erano in precedenza- in rapporto alle RZ.
Il sospetto contro Suder e Gauger “si appoggia in sostanza sulle dichiarazioni del testimone Feling nel 1978” conferma oggi, su richiesta, la Procura di Francoforte. Solo nel 1999 si aggiunse secondo le autorità un ulteriore sospetto contro Sonja Suder. Accusa: partecipazione all’attacco contro l’OPEP a Vienna nel 1975 e complicità in omicidio. I termini di prescrizione per gli attentati originariamente imputati a Suder e Gauger è di 20 anni. Sarebbero quindi prescritti dal 1998. Ma, sostiene la Procura pubblica, la prescrizione è stata “interrotta più volte” e può andare “al massimo fino al doppio del tempo previsto, dunque a 40 anni”. Un attacco incendiario del 1978 (prescrizione: 10 anni) può essere trasformato in un attacco incendiario con messa in pericolo della vita altrui (prescrizione: 20 anni) e così allungare la prescrizione a 40 anni.
È del 2000 la spettacolare scoperta con immediato arresto dei due “pensionati delle RZ”, come vennero definiti, a Parigi. Da allora le autorità francesi e tedesche si affannano su Suder e Gauger. Nel 2001 la Francia respinse una domanda di estradizione della Germania. Ora la pagina potrebbe voltarsi, grazie al nuovo mandato di cattura europeo, contro i due militanti della sinistra degli anni settanta. Il caso pende al momento presso la Corte costituzionale francese. Si ignora se la Francia estraderà.

2010.
Parigi, Saint Denis, vicino all’Università 8. Su piccolissimi appezzamenti di terreno sorgono piccole case, in lontananza si scorgono i profili di alcuni grattacieli. Non c’è nessuno per strada, è una giornata fredda e umida. In una delle casine, o meglio in una parte minuscola di una di quelle casine, vivono da quando vennero scoperti ed arrestati Sonja Suder e Christian Gauger. Sonja Suder ha compiuto nel frattempo 77 anni, Christian Gauger ne ha 68. Erano una coppia già prima della fuga nel 1978. È la prima volta che parlano con la stampa tedesca. Il colloquio è accompagnato da thé e torte. La loro cucina non arriva a 16 metri quadrati.

In clandestinità poco prima della laurea
Com’è, essere trovati e presi decine di anni dopo aver attaccato delle imprese tedesche per i loro affari con il Sudafrica dell’apartheid, dopo essere scomparsi ed aver vissuto una vita clandestina in Francia? Suder e Gauger sorridono. Su quei temi non parlano. Entrambi vogliono parlare con la TAZ a condizione di non dover rispondere a domande che possano avere un rilievo giuridico nel loro processo. Non dicono se, e se sì, per cosa, portano responsabilità.

taz: Da quando vive in esilio?
Sonja Suder: Dal 1978.
Prima viveva a Francoforte?
Suder: Si, studiavo medicina. Quando siamo partiti, avevo quasi finito.
Quanti anni aveva, allora?
Suder: Dovevo averne 45.
E lei, signor Gauger?
Christian Gauger: Anch’io vivevo a Francoforte. Avevo un diploma in psicologia e lavoravo con la pedagogia speciale all’Università.
Come collaboratore scientifico?
Gauger: No, come ‘servitore’ scientifico. Così si chiamava allora.

Gauger squadra il giornalista. Beve un po’ dalla sua tazza -thé d’erbe come quello di Suder- ed è calmo e concentrato. I suoi capelli bianchi li ha raccolti in una treccia, il viso è incorniciato da una barba sale e pepe tagliata corta. Con la sua camicia a fiori ed il leggero dialetto della regione dell’Hess potrebbe essere uscito direttamente da un negozio di antiquariato del quartiere Bockenheim a Francoforte. Sonja Suder dirige il dialogo. I suoi 77 anni non si notano. Una personalità agile, vivace e spontanea, con una voce decisa, è vestita sportivamente in nero, con capelli corti e scuri.
La camera a Saint Denis è arredata con mobili usati, comoda e pratica, come se ne vedono nelle comuni della scena alternativa. L’anticonsumismo sembra un’ideologia pratica per la vita spartana della clandestinità, senza pensione né entrate stabili. Tra i libri sugli scaffali si notano molti reggiposate. I reggiposate vengono volentieri usati in Francia per appoggiarvi le posate tra una portata e l’altra, per non sporcare il tavolo. Sono di porcellana, di diversi metalli nobili, rifiniti in modo semplice o artistico. Ogni uomo ha un hobby, e collezionare reggiposate è quello di Christian Gauger. Lui racconta lentamente, è quasi floscio. Nel 1997 ha subito un infarto ed ha dovuto essere riportato in vita.

Taz: Com’era la situazione, quando veniste arrestati nel 2000?
Suder: Eravamo arrivati da poco a Parigi e siamo usciti dall’albergo. Andò tutto molto in fretta: mani in alto! Poi volto e braccia contro il muro.
Polizia francese?
Suder: Sì, polizia francese.
Nessun tedesco assieme a loro?
Suder: No, solo più tardi, al distretto degli sbirri, lì c’erano anche dei tedeschi. Non si sono lasciati vedere, ma potevi sentire come parlavano tra di loro.
È importante per voi che si parli di ‘sbirri’?
Suder [ride]: No, possiamo anche dire polizia.
Ve l’aspettavate, di essere presi nel 2000?
Suder: No. Non in quel particolare momento, anche se rispetto alla tua vita sai che potrebbe accadere in qualsiasi momento. Non si sa mai cosa stia effettivamente succedendo. In questo senso essenzialmente te lo aspetti.
Insomma non avevate nessun concreto indizio?
Suder: No. E questo benché ci stessero sicuramente già addosso da un pezzo.
Sapete come vi hanno ritrovati dopo 22 anni?
Suder: Non è chiaro. Avevamo avuto in incontro con un parente. Forse gli si sono appiccicati.
Intende dire che per tutto l’anno un commando di catturatori vi è stato addosso?
Suder: Non credo. Fino alle dichiarazioni di Hans-Joachim Klein nel 1998/99 non eravamo neppure sempre indicati nelle ricerche per la cattura in Europa. La cosa deve essere cambiata dopo.
Hans-Joachim Klein partecipò nel 1975 all’attacco contro l’OPEP a Vienna. Si allontanò in seguito dal terrorismo ma venne preso solo nel 1998 in Francia. Dopo il suo arresto sostenne per la prima volta nel 1999 che Sonja Suder aveva potuto partecipare alla logistica dell’attacco all’OPEP. Fino al 1999 non c’era un ordine di arresto internazionale?
Suder: No, secondo i nostri avvocati. È probabilmente per questo che prima abbiamo avuto abbastanza tranquillità.
Signor Gauger, si trattiene? Non vorrebbe partecipare alla nostra conversazione?
Gauger: Di molte cose non ho più ricordi. Ho avuto un infarto e sono entrato in coma.
Quando è successo?
Suder: 1997.
Gauger: Il cuore mi si fermò. Ero praticamente morto. Sonja mi ha riportato in vita. [Arresto cardiaco e infarto, con i conseguenti pregiudizi sul cervello e sulla capacità di memoria sono attestati da perizie mediche francesi].
Le vostre false identità erano così ben fatte che potevate chiedere delle cure mediche?
Suder: Dovevamo! Già solo per il controllo e le medicine. La riabilitazione l’ho poi fatta io con lui. Era davvero una situazione assurda.
E non vi hanno scoperti?
Suder: No. A volte abbiamo dovuto trattenere il respiro, ma la nostra età fa sì che la gente non sia tanto malfidata.
Gauger: Io avevo integralmente perduto la memoria.
Ma Sonja Suder l’ha riconosciuta?
Suder: Fatto che mi stupì, devo dire.
Gauger: Ma prima non sapevo neppure che esistesse, l’ho conosciuta solo quando è ritornata nella camera.
Che sentimento si prova, quando ci si è dimenticati tutto, si vive in clandestinità e ci si deve fidare di una persona che ci insegna chi si è?
Gauger: Prima o poi viene la paura: cazzo, che succede se rimango stupido? Quando mi è venuto questo timore era però anche il momento in cui ho notato che potevo pensare da solo. La cosa è durata per un po’.
Sonja Suder le ha anche dovuto raccontare perché viveva in clandestinità?
Gauger: Sì. Ma naturalmente non so se mi ha raccontato tutto. Semplicemente non lo so.
Suder: Questo neppure si può. Non puoi raccontare un’intera vita. Se qualcuno lo chiede e se si lavora con certi testi di riabilitazione, si può ri-raccontare qualcosa, ma non si può sovraccaricare una cervello. La cosa funziona pezzetto per pezzetto.
1997 e 2000 – tra arresto cardiaco e incarcerazione non passò molto tempo.
Suder: Sì, ma si era già stabilizzato. Il punto di cui prima parlava fu dopo un mezzo anno di riabilitazione. Ma ancora oggi Christian mi chiede cose sul suo passato, ed in pratica continuiamo ancora la riabilitazione.
Dopo l’incarcerazione siete stati immediatamente separati?
Suder: Sì, subito.
Avete ancora famiglia in Germania?
Suder: Sì, abbiamo contatto con le nostre rispettive sorelle.
Signor Gauger, allora adesso può verificare autonomamente se ciò che le ha raccontato la signora Suder è vero?
Gauger: Sì, questo è almeno divenuto più facile.
Che atteggiamento avete avuto nei confronti dell’interrogatorio dopo l’arresto?
Suder: Se prima hai concordato “se succede qualcosa, nessuna parola, niente dichiarazioni”, hai allora un buon sentimento di sicurezza.
Quanto siete rimasti in carcere preventivo nella prima procedura del 2000/2001?
Suder: Meno di tre mesi. Christian era detenuto a Parigi, il carcere femminile era fuori.
È stata la vostra prima volta in carcere?
Suder: Sì, io ero alla fine dei miei 60 anni, Christian all’inizio dei suoi.
Com’era in carcere?
Suder: Si dice che le prigioni francesi siano le peggiori del mondo. Io però non posso affermarlo. Sono stata messa in cella e avevo la normale ora d’aria nel cortile. Ho incontrato subito due donne basche. Da quel momento mi è stato organizzato tutto ciò di cui avevo bisogno, in modo naturale e ovviamente sottobanco. Insomma ero quasi un po’ privilegiata. Quella solidarietà era affascinante.
Qual’era la cosa più noiosa in carcere?
Suder: Di fatto, il baccano. Ad ogni passaggio ci sono porte d’acciaio, che vengono in permanenza aperte e sbattute rumorosamente. Sono dei botti continui. Un baccano incredibile. L’essere rinchiusa non era per me così brutto, per quello ti prepari un po’ prima. Devi subito vedere di fare qualcosa, come esercizi sportivi e letture.
Signor Gauger, come fu per lei?
Gauger: Al passeggio, è venuto subito uno da me. Sapeva già. Così poi sono stato sempre con lui e con un altro al passeggio. In cella eravamo in tre. I letti a castello erano scomodi; sul terzo, sopra, si è ben in alto, ti possono venire le vertigini. Altrimenti: topi e scarafaggi, che sono però animali domestici. Meglio che una cella singola tutta bianca, dove non vedi né senti nessuno.
Che si pensa, quando si è arrestati dopo 20 anni di esilio?
Suder: Adesso ci hanno proprio beccati.
Gauger: E io ho pensato: questo non è necessario.
Sapete ciò che concretamente vi viene rimproverato?
Suder: Tre attentati, due contro il programma atomico dell’allora regime dell’apartheid sudafricano, ed un attacco contro la ristrutturazione della città di Heidelberg. A me, inoltre, Vienna. Questa storia dell’OPEP. E con essa l’accusa: complicità in omicidio. In Francia questo sarebbe già prescritto. Le sole cose che qui non vanno in prescrizione sono i crimini contro l’Umanità.
L’accusa di partecipazione all’attacco contro l’OPEP l’ha sorpresa?
Suder: Sì.

1975. L’arresto di Klein nel 1998 fu un fulmine a ciel sereno, proprio come la sua affermazione della partecipazione di Suder. Klein aveva fatto parte nel 1975 di un commando diretto da Ilich Ramirez Sanchez, detto ‘Carlos’, e che si rese responsabile della morte di tre persone. A Klein, ferito durante l’azione, riuscì di partire con gli altri membri del commando e con i ministri dell’OPEP in ostaggio. Poi nel 1976 un commando tedesco-palestinese dirottò un aereo dell’Air France su Entebbe; in quell’occasione morirono Wilfried Böse e Brigitte Kühlmann, considerati dirigenti delle prime RZ. In seguito le RZ si rifondarono, distanziandosi da gruppi e formazioni del vicino oriente come quella di Carlos. Criticarono l’antiamericanismo e l’antisionismo della ‘sinistra antiimperialista’ e propagarono forme di attacco che non producessero morti.
Su richiesta, la Procura pubblica di Francoforte conferma oggi che, fino al 1999 ed a parte le affermazioni di Klein, non v’è mai stato il minimo indizio che Suder sia stata coinvolta nella prima fase delle RZ fino al 1976. Klein, la cui credibilità viene spesso paragonata con l’ex-membro della RAF e raccontatore di storie Peter-Jürgen Boock, accusò dei militanti delle RZ ed altre persone di aver partecipato all’attacco contro l’OPEP. Rudolf Schindler venne per questo processato dal tribunale di Francoforte. E venne assolto dall’accusa di complicità nell’attaco all’OPEP, smentendo l’accusa di Klein. La corte dubitò della sua “certezza di identificazione nel riconoscimento fotografico del 2.9.1999”. In quell’occasione accusò assieme a Schindler anche Suder, “benché in precedenza non avesse mai accennato ad un’altra donna”, affermò il tribunale già 2001. A parte la dichiarazione di Klein, ancora oggi la procura penale non ha null’altro in mano contro Suder per l’attacco all’OPEP.

TAZ: Quanto presenti sono state per voi in questi anni le accuse dei ’70, di una fase sempre più lontana delle vostre vite? Avete potuto avere una vita normale?
Suder: All’inizio no. Ti guardi sempre dietro per vedere se c’è qualcuno. Se parla tedesco.
Gauger: Il meno possibile contatti con dei tedeschi, questo è molto importante.
Signora Suder, signor Gauger, non vi è mai venuto in mente in tutti quegli anni: la storia è così vecchia, che senso ha, vogliamo ritornare e affrontiamo il passato?
Suder: Insomma, a me no. E a te, Christian?
Gauger: Certo, se avessero revocato i mandati di cattura.
Suder: Molto divertente. Ora è però chiaro: se la Francia ci estrada, saremo processati in Germania.
Il gruppo al quale avreste appartenuto si è sciolto definitivamente all’inizio degli anni novanta. Questo ha qualche influenza sul processo?
Suder: Giuridicamente nessuna. Dopo l’entrata in vigore degli accordi penali europei, siamo stati arrestati una seconda volta nel 2007. Christian per quattordici giorni ed io per un mese. E dal 2009 dobbiamo contare ogni giorno sull’eventualità di un’estradizione, benché il tribunale francese avesse già negato l’estradizione nel 2001
Dopo la vostra scoperta nell’anno 2000 e il rifiuto della domanda di estradizione avete vissuto a Parigi per la prima volta di nuovo legalmente. Com’è stato per voi?
Suder: Quando vivi sempre con una leggenda, non ti puoi costruire delle vere amicizie. Abbiamo vissuto tutti quegli anni molto ritirati. A Parigi in un primo tempo non avevamo nessun contatto. La nostra avvocatessa ci ha trovato dei compagni italiani, così da avere almeno un indirizzo da indicare per poter essere scarcerati. Poi una bravissima donna ci ha ospitati. Credo che in Germania sarebbe stato più difficile. Ma la cultura repubblicana ha in Francia una ricca e secolare tradizione di offrire rifugio agli esuli. Persone che non conoscevamo ci hanno lasciato la loro casa per mezzo anno, sono andati ad abitare nel sud della Francia permettendoci così di cercarci una nostra abitazione a Parigi. Praticamente non conoscevano né noi né la nostra storia, e ci hanno semplicemente aiutati. Ci siamo poi integrati in fretta nell’ambiente, abbastanza grande, degli esuli italiani, i militanti degli anni ’70 qui rifugiati, con le loro discussioni e le loro feste. Sono molto solidali. Abbiamo avuto fortuna.

Da Francoforte a Parigi
1. Clandestini: Nell’estate 1978 a Francoforte Sonja Suder e Christian Gauger si accorsero di essere spiati. Partirono all’estero ed assunsero false identità. Probabilmente vissero in Francia, a Lille. Nel 1997 Gauger subì un colpo apoplettico e perse la sua memoria -della falsa come della vera identità.
2. Scoperti: Nel 2000 vennero scoperti ed arrestati davanti ad un albergo a Parigi. Separati, passarono alcuni mesi in carcere preventivo. Da allora Suder, 77 anni, e Gauger, 68, vivono a Parigi. La Germania ne chiede alla Francia l’estradizione -fin’ora invano.
3. Incolpati: La Procura di Francoforte sul Meno accusa oggi la coppia di aver partecipato ad attentati contro imprese nel 1977 e contro il castello di Heidelberg nel 1978. Suder è inoltre accusata di complicità in omicidio: per l’attacco alla conferenza dei ministri dell’OPEP a Vienna nel 1975, dove tre persone persero la vita. Questa accusa è basata soltanto sulle dichiarazioni dell’ex-terrorista Hans-Joachim Klein.

Ancora assassinii nella centrale di Civitavecchia

3 aprile 2010 Lascia un commento

Mentre prepariamo coratelle e carciofi, mentre si “brodetta” l’abbacchio e bollono le uova…
ci sono passata proprio l’altro ieri. Guidavo e ho rallentato, come sempre, nel passarle accanto. Venendo da Nord già raccontavo al mio cucciolo di Montalto, spiegavamo ai suoi occhietti curiosi e allegri quale mostro poteva diventare quel mostro che aveva davanti.
Dopo un po’ di km ecco altre ciminiere, le strisce in cielo: il sole era già tramontato.
La centrale di Civitavecchia fa più paura di notte, con tutte quelle luci a delineare il suo scheletro spaventoso.
Nemmeno poche ore dopo eccoci ancora a parlare di assassinii sul lavoro, ancora una volta al di là di quei cancelli…l’impianto Enelgreenpower del Gruppo Enel.
Una fuga d’ammoniaca, per quel poco che si sa ora, che ha causato la morte istantanea di un operaio e il ferimento di altri tre.
Aveva 33 anni, per ora non sappiamo altro, se non che era dipendente di una ditta esterna. Tanto per cambiare.
Una storia sentita già troppe volte…
é successo meno di 3 ore fa…proverò ad aggiornare.

Un Newroz lungo alcuni giorni, nel Kurdistan che resiste!

2 aprile 2010 Lascia un commento

di Michele Vollaro, Diyarbakir
In tutta la Turchia, le celebrazioni per il Newroz (il capodanno che segna l’inizio della primavera e per il popolo curdo rappresenta l’occasione di rivendicare l’orgoglio della propria appartenenza) si sono svolte senza scontri o tensioni particolari.

Foto di Michele Vollaro ... Diyarbakir, tra i fuochi sacri del Newroz

Numerose erano le preoccupazioni che anche quest’anno la festa del “Nuovo giorno” sarebbe stata macchiata da episodi di violenza e provocazioni da parte degli apparati di sicurezza dello stato turco o dei seguaci del nazionalismo kemalista, in particolare dopo il bando a dicembre del Partito per una Società Democratica (Dtp) e il successivo arresto di centinaia di sindaci e attivisti per i diritti umani curdi nei mesi successivi (sarebbero più di 2000 secondo le stime dell’Ihd, l’Associazione per i diritti umani di Diyarbakir). E invece sono stati giorni di festa, culminati nella oceanica giornata del 21 marzo ad Amed (il nome curdo di Diyarbakir), a cui hanno partecipato oltre un milione e mezzo di persone. I festeggiamenti del Newroz, quest’anno, sono infatti cominciati già nei giorni precedenti al 21 marzo in moltissime località, caratterizzati ovunque da una partecipazione enorme, un clima festoso e combattivo al tempo stesso, e soprattutto l’assenza di incidenti e tensioni. Una scelta politica, presa dal Partito della pace e la democrazia (Bdp), la formazione che ha rimpiazzato il disciolto Dtp, per dimostrare al governo di Ankara la propria forza e capacità di organizzazione, nonostante la maggior parte dei suoi quadri dirigenti si trovi adesso in carcere a causa della stretta repressiva cominciata a dicembre, e tuttora in corso.
Secondo gran parte dei quotidiani turchi, merito di quest’atmosfera tranquilla è della cosiddetta “apertura democratica” avviata lo scorso anno dal governo di Recep Tayyip Erdoğan, una serie di iniziative tese in teoria a garantire pari diritti alle “minoranze” che vivono in Turchia, a cominciare dai circa 20 milioni di curdi.

Foto di Michele Vollaro _Diyarbakir, Newroz 2010_

“Il progetto del governo, volto a migliorare gli standard democratici, il rispetto dei diritti umani e delle differenze nel paese – ha scritto uno tra i principali giornali turchi, ‘Zaman’, nella sua edizione in lingua inglese – ha portato a un’atmosfera di mutua comprensione e fiducia non solo tra le persone, ma anche tra le forze di sicurezza dello stato e le persone”. In ogni caso, il lessico usato dai quotidiani turchi per raccontare le giornate del capodanno curdo evidenziano in modo significativo la difficoltà – causata dal centralismo imposto alla struttura statale dall’ideologia kemalista – di una reale accettazione di differenti culture all’interno della Turchia: negli articoli non si parla delle celebrazioni del Newroz in Kurdistan, ma piuttosto del “Nevruz nella regione del Sudest (il Güneydoğu in lingua turca)”, poiché – ci spiega un giornalista curdo a Diyarbakir – “ci sono tre lettere dell’alfabeto curdo che non sono presenti in quello turco (w, q, x) e perciò il loro uso è vietato, e ancora oggi ha un valore estremamente politico; inoltre, in Turchia ufficialmente non esiste una regione che si chiama Kurdistan: secondo Ankara, questo è il Sudest, una definizione che utilizzando i punti cardinali dimostra chiaramente il suo voler essere relativa e corrispondente a un centro politico rispetto al quale non siamo altro che una periferia, senza la dignità di avere un nome proprio”.
A Diyarbakir, nella città considerata la capitale simbolica del Kurdistan, il Newroz è stato caratterizzato dalla partecipazione dei più importanti cantanti curdi, tra i quali i celebri Ciwan Haco e Ferhat Tunç, e il cantante rap Serhado, amatissimo dai più giovani. Benché la festa dovesse cominciare ufficialmente alle 10, già dalle 6 del mattino il parco adibito ad accogliere i partecipanti cominciava a riempiersi; poco prima dell’inizio ufficiale, gruppi di giovani hanno cominciato a ballare l’halay, la danza tradizionale, mentre sul palco venivano affissi cartelli nei due dialetti curdi parlati nella regione, il kurmanji e lo zaza. Nei vari interventi è stata ricordata la repressione del popolo curdo e dei suoi rappresentanti a opera delle forze di sicurezza turche. I primi a prendere la parola sono stati l’ex-presidente del Dtp, Ahmet Türk (in attesa a metà aprile di essere processato per il suo incarico politico in un partito messo fuorilegge), e il sindaco di Diyarbakır, Osman Baydemir, che si sono appellati al governo chiedendo una soluzione democratica della questione curda, e affermando la necessità di coinvolgere come interlocutore per la risoluzione del conflitto tra esercito e miliziani curdi il leader del Pkk, Abdullah Öcalan, recluso dal 1999 nel carcere di massima sicurezza sull’isola di Imralı, presso Istanbul. Tra i relatori – che hanno parlato soprattutto in lingua curda – anche l’ex deputata Leyla Zana, Selahattin Demirtaş, attuale presidente del Bdp,e Fatma Öcalan, sorella di Abdullah.
Due le richieste che tutti i relatori hanno posto al governo per rilanciare la possibilità di riforme che consentano una reale democratizzazione della Turchia: la liberazione di tutti i detenuti politici curdi arrestati negli ultimi mesi e l’abolizione dello sbarramento del 10% alle elezioni politiche, una misura che impedisce ai partiti curdi una reale rappresentazione del popolo curdo nel Parlamento di Ankara (ndr: i parlamentari curdi sono sempre stati eletti come indipendenti) e conseguentemente lo svolgimento di un lavoro politico continuo anche a livello nazionale. E poi, con gran sorpresa di tutti, dai maxischermi allestiti vicino al palco, parla anche Abdullah Öcalan, seppure attraverso una vecchia registrazione in cui parla di pace, libertà e diritti.

Foto di Michele Vollaro _Diyarbakir, Newroz 2010_

Dalle montagne del Qandil, in Iraq, nei giorni immediatamente successivi, ha parlato il comandante in capo, per così dire, del Pkk, Murat Karayilan, che in un’intervista con la Reuters ha affermato che con il Newroz si è aperta una nuova fase. “Non un periodo ad interim – ha detto – ma una vera e propria fase che si svilupperà nei termini di una soluzione democratica o della resistenza”. In altre parole, Karayilan non si sbilancia sul futuro del cessate il fuoco: se da una parte dice che l’illegalizzazione del Dtp ha reso la via per una soluzione politica molto più ardua e che la tregua “potrebbe essere rotta e potremmo riprendere la lotta armata”, dall’altra sottolinea come “le celebrazioni del Newroz possono essere lette come un referendum”. E l’opinione dei milioni di persone che hanno festeggiato è chiaramente quella che la pace deve prevalere. Il che non significa arrendersi, ma piuttosto che ora si attende una risposta da Ankara.
Karayilan sembra indicare che per il momento le bocce sono ferme. Per il momento. Quanto questo momento possa durare, è difficile dirlo. La primavera purtroppo, con lo scioglimento delle nevi sulle montagne, è per le forze armate turche il momento propizio per lanciare campagne militari anche molto pesanti. E negli ultimi giorni a Diyarbakir il fragore assordante dei caccia turchi diretti a sud verso l’Iraq è il rumore di fondo a molte ore del giorno, mentre la città è di nuovo piena di blindati di esercito e polizia ad ogni angolo. Come ha detto chiaramente l’altro ieri un gruppo di intellettuali turchi, curdi e turkmeni incontrando ad Ankara il premier Erdoğan, “o ci sono passi concreti, oppure l’iniziativa democratica rimarrà una scatola vuota e pace e giustizia nient’altro che parole senza senso”.

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