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Posts Tagged ‘Sciopero generale’

L’esplosione di Porto Marghera non è un incidente!

16 Maggio 2020 Lascia un commento

E’ una notizia che non merita già la prima pagina, Schermata 2020-05-16 alle 10.00.37
a meno di 24 h dall’esplosione di un serbatoio all’interno di una ditta produttrice di materiali chimici, la 3V Sigma di Porto Marghera, che ha provocato il ferimento gravissimo di due operai, e quello meno grave di altri.
Una tragedia annunciata che coinvolge direttamente la vita dei lavoratori, e anche quella dei cittadini delle aree circostanti, che già nel giorno precedente allo scoppia in migliaia avevano lamentato una puzza chimica pungente, non normale, molto preoccupante.

Non si hanno notizie aggiornate sulla condizione dei due operai rimasti più gravemente feriti: quello che si sa, benissimo, è che questi lavoratori erano scesi in sciopero pochi mesi fa proprio per chiedere, per pretendere, misure di sicurezza adeguate, per denunciare la mancata osservanza dei protocolli di sicurezza, la mancata osservanza delle norme antincendio, quelle che avrebbero potuto salvare la vita di due operai con ustioni gravissime in tutto il corpo, che non è detto usciranno mai dalla terapia intensiva.
Operai costretti a lavorare anche in pieno lockdown, per continuare a produrre solventi e sbiancanti per cementifici.
Un assassinio annunciato, con nomi e cognomi dei mandanti, degli esecutori, di chi ci ha speculato e accumulato capitale sulla pelle degli operai.

Non un incidente, non un incidente.

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Lo sciopero che non c’è, la vergogna del sindacato

4 giugno 2018 3 commenti

Quando ammazzano un ragazzo a colpi di fucile i suoi assassini dovrebbero essere chiamati tali.004247583-39561043-d943-4175-99cf-d77c7a8534e1
Quando ammazzano un ragazzo a colpi di fucile dicendo “stava rubando”, chi è abituato alla ricerca della verità dovrebbe metterci poco a capire.

ma c’è una cosa più grave di tutte però, più del sangue a terra di Soumaila (29 anni, maliano), una cosa che lascia basiti, che farà pensare ai giovani ai bambinetti che tutto ciò è normale.

Non c’è niente di normale invece: perché quando ammazzano un sindacalista a colpi di fucile il lavoro si ferma. Quando ammazzano un sindacalista i lavoratori incrociano le braccia e bloccano la produzione e questo nemmeno dovrebbe esser dichiarato, tanto è naturale.
Soumaila era un sindacalista dell’USB, lottava per i diritti dei braccianti nella piana di Gioia Tauro, i servi della gleba della nostra Europa ed è stato ucciso a fucilate.
Oggi il suo sindacato avrebbe dovuto dichiarare uno sciopero generale: oggi TUTTI gli iscritti USB si sarebbero dovuti fermare, incrociare le braccia, urlare la rabbia, bloccare la produzione. Il tranviere, il postino, l’insegnante: oggi tutti avrebbero dovuto urlare il nome di Soumaila.

E invece no.
L’USB ha dichiarato lo sciopero DEI BRACCIANTI.
I servi della gleba oggi si fermeranno. Quando dovrebbero, invece, marciare sulla testa del sindacato, acciaccandola e acciaccandola ancora

 

Funerali Brahmi: nasce la Regione Autonoma di Sidi Bouzid, e si sposta verso la capitale…

27 luglio 2013 Lascia un commento

Dal momento in cui l’undicesimo colpo di pistola che ha ucciso Brahmi, a pochi passi dalla sua abitazione e solo sei mesi dopo l’assassinio del suo compagno Choukri Belaid, le strade della Tunisia sono esplose.
Qui sotto la pagina, in costante aggiornamento, di Infoaut : LINK

La tomba di Brahmi

intanto da Sidi Bouzid ci si sta spostando verso la capitale…sembra che Ennahdha abbia le ore contate…
chissà…

Il funerale di Brahmi. Sidi Bouzid si dichiara Regione Autonoma.
Notte di ferro e fuoco in Tunisia. Tutto il paese è stato attraversato dalla furia della popolazione tunisina rivolta contro tutte le istituzioni del regime guidato dai demo-islamisti di Ennahdha. Durissimi scontri con la polizia si sono verificati ovunque e a Gafsa, città storica dell’opposizione rivoluzionaria magrebina, durante gli incidenti con la polizia un compagno del Fronte Popolare Mohamed Mufti è stato ammazzato con un colpo di lacrimogeno sparatogli in testa da un celerino. Arrivano notizie anche di scontri tra diverse fazioni politiche come a Susa dove le squadracce di Ennahdha hanno attaccato un presidio dei nostalgici del regime di Ben Ali, organizzati nel partito, capeggiato da Beji Caid Essebis, Nidaa Tounes.

Mohammad Mufti, ucciso ieri con un candelotto lacrimogeno in testa

L’appello alla rivolta pacifica contro il regime pronunciato dal portavoce del Fronte Popolare Hamma Hammami sta facendo tremare le istituzioni tunisine: blocco dei servizi, del pagamento delle tasse, sciopero ad oltranza, presidio nei pressi dell’Assemblea Nazionale Costituente, e manifestazioni ovunque. Numerose le sedi di Ennahdha date alla fiamme.

In mattinata l’ex segretario di stato agli affari esteri Touhami Abdouli durante una lunga intervista a radio Mosaique FM ha annunciato che la regione di Sidi Bouzid si dichiara Regione Autonoma e che da oggi rifiuta di riconoscere tutte le istituzioni del potere centrale. Gli abitanti della regione hanno eletto un loro governatore, un certo numero di delegati, responsabili amministrativi, un consiglio regionale di saggi e un proprio senato. L’iniziativa sostenuta dai compagni e dalle compagne del Fronte Popolare durerà fino almeno allo scioglimento dell’assemblea nazionale costituente e del governo. La Sidi Bouzid rivoluzionaria invita tutte le regioni vicine (che ricordiamo sono parte del grande bacino minerario da sempre terra di lotta, dignità e rivolta) a seguire il suo esempio.

Il sindacato UGTT continua a presidiare tutte le proprie sedi, seguendo l’indicazione di un membro della segreteria centrale che ha dichiarato alla stampa che “qualsiasi attacco violento contro le nostre sedi o i nostri militanti, avrà una risposta repentina e organizzata ancora più violenta!”. Forte della riuscita completa dello sciopero di ieri questa volta l’UGTT sembra determinato a seguire la rabbia della popolazione, che nel pomeriggio di ieri è montata ancora di più quando sono iniziate a circolare le informazione a riguardo dell’uomo che il ministero degli interni aveva indicato come l’esecutore dell’omicidio Belaid e Brahmi: Marouen Nelhaj Salah, salafita combattente, è morto a giugno in Siria.

Le figlie di Brahmi al suo funerale

Non pochi commentatori riconoscono nella disinformazione diffusa dalle conferenza stampa del ministero degli interni un disperato tentativo di calmare le acque e aggiungere del torbido per allontanare da Ennahdha l’accusa di mandante politico degli omicidi.

Intanto continuano le dimissioni dei deputati dell’Assemblea Nazionale Costituente (ad ora 53), mentre da più parti aumentano le accuse contro Ennahdha degli omicidi politici e di aver svenduto la rivoluzione e il paese all’America e alle corone del petrolio alleate.

La tensione resta altissima anche nella capitale: intorno alle 10 di questa mattina una macchina della polizia è stata fatta saltare nei pressi del commissariato della Goulette a pochi kilometri da Tunisi. Blindatissimo dai servizi di sicurezza il corteo funebre di Mohamed Brahmi, partecipato da migliaia e migliaia di tunisini e tunisine. Il corteo ancora incorso dovrebbe raggiungere il cimitero Jellaz dove solo 6 mesi fa è stato interrato il corpo del compagno Belaid.

15 Maggio: 24 ore di sciopero della logistica

14 Maggio 2013 Lascia un commento

15 Maggio SCIOPERO nazionale e giornata di mobilitazione dei lavoratori della logistica
dalle 6 di mattina per 24 ore

I lavoratori della logistica hanno scioperato il 22 marzo rigettando il tentativo delle associazioni dei padroni (Sda, Tnt, Gls, Dhl, Ikea, Bartolini, ecc) di utilizzare il rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) per tagliare le ferie e la quattordicesima, per peggiorare gli orari di lavoro, per aggravare le già dure condizioni di lavoro.
Da parte dei sindacati confederali (cgil, cisl, uil e ugl, che NON rappresentano la gran parte dei lavoratori) c’è l’accettazione ai voleri dei padroni, per far aumentare i loro profitti peggiorando lo sfruttamento dei lavoratori.

A Bologna, Milano, Piacenza, Padova, Verona, Roma, ecc., da mesi è in corso una lotta compatta per migliorare le durissime condizioni di lavoro. Anche qui a Roma alla Sda-Express Courier la lotta ha raggiunto importanti risultati, come il pagamento al 100/% di tredicesima, quattordicesima, permessi e ferie; il passaggio di livello per tutti e scatti di anzianità; il passaggio dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato.
Si può e si deve andare avanti continuando le lotte che hanno indicato una prospettiva irrinunciabile: il progressivo smantellamento del sistema di sfruttamento basato sulle cooperative, vero e proprio caporalato.

In questa zona di Roma-Settecamini,che comprende numerose attività della logistica e del trasporto merci, in ogni magazzino i lavoratori devono organizzare un’assemblea, come primo passo per autorganizzarci alla base e decidere da noi stessi gli obiettivi da rivendicare.

Ma soprattutto si devono collegare tutti i lavoratori dei magazzini della logistica di questa zona. Per avere più forza e vincere le battaglie in ogni magazzino; per respingere eventuali ritorsioni padronali; per evitare le grandi fregature contenute nel prossimo CCNL.
Lo sciopero del 15 maggio deve essere un’occasione per incontrarci tra i lavoratori di tutti i magazzini della zona di Roma-Settecamini; per confrontare i trattamenti e discutere come ottenere condizioni migliori ovunque e per respingere le schifose proposte padronali del CCNL e proporre le nostre rivendicazioni.
Tutti insieme nella lotta ce la faremo!!!

100 anni fa molti lavoratori negli Stati Uniti si autorganizzarono alla base perché non volevano più doversi lamentare dopo anni e anni di lavoro: erano gli Industrial Workers of the World – IWW. La loro canzone:
«ho passato la mia vita a far ricco qualcun altro…»

Per tutti i lavoratori della logistica dei magazzini di Settecamini ASSEMBLEA in zona, ore 9,30 mercoledì 15 maggio, nel piazzale all’incrocio tra Via di Salone e Via Cerchiara (adiacente al distributore Q8) a 300 metri dall’incrocio tra Via Tiburtina e Via di Salone.

***Partecipiamo tutti per discutere, organizzarci e lottare per i nostri interessi e contro lo sfruttamento!***

Assemblea di sostegno alle lotte dei Lavoratori della Logistica

Port Said: quando l’Egitto parla di autogestione e lotte operaie

27 febbraio 2013 2 commenti

Leggo questo reportage da Port Said col cuore sospeso.
Perché appena caduto Mubarak, dopo nemmeno 4 giorni,
siamo corsi proprio lì a vedere come la rivoluzione procedeva (in quei giorni si gioiva e basta) in quel territorio e in quello di Mahalla al-Kubra e Tanta, due importanti centri industriali e tessili del paese.
Mahalla aveva vissuto i grandi scioperi,
la chiusura forzata e continuativa delle fabbriche, le braccia incrociate nei campi di cotone…
Port Said era una città praticamente a rilento.
Il canale di Suez che mai per decenni e decenni si era fermato non vedeva muoversi una goccia d’acqua : gli scioperi che avevano bloccato tutto stavano terminando ma il giubilo era troppo perchè si potesse tornare ai ritmi soliti in poco tempo.
Una situazione elettrizzante, che poi ha subito anche lo sventramento di tutta la vicenda dei 75 morti allo stadio: pagina buia, molto buia del nuovo Egitto, soprattutto con le 21 condanne a morte.
Dove a pagare son sempre gli stessi, e non i mandanti e i responsabili politici.

Col cuore sempre in subbuglio seguo le vicende di quelle città, sempre obnubilate dallo spazio dato a Tahrir, almeno sulla stampa europea.
quindi queste righe pubblicate oggi da Infoaut sono una boccata d’aria: a dir poco bella!
buona lettura

Egitto. L’autogestione di Port Said e le lotte operaie

Una realtà senza precedenti si sta realizzando nella città di Port Said: una completa autogestione, un rifiuto di tutto ciò che rappresenta l’autorità. Una realtà che i protagonisti delle lotte egiziane di questo momento – i lavoratori – stanno cercando di riprodurre anche in altre città.

Port Said è diventato un luogo completamente nelle mani del popolo. All’entrata della città, se in passato molti erano i posti di blocco della polizia, adesso si trova un check-point formato però dagli abitanti, soprattutto lavoratori in sciopero, autoproclamatisi “polizia popolare”. La stessa cosa vale per il traffico: non più vigili urbani, ma giovani, studenti e lavoratori che autogestiscono il traffico urbano. photo P1000147_3308x2481_zps07e33c93.jpg

Disobbedienza civile: ciò che caratterizza adesso la città è un completo rifiuto del governo di Morsi in tutte le sue forme, dunque cacciata della polizia, rifiuto del lavoro e del sistema scolastico governativo.

Per quanto riguarda il fattore “sicurezza”, con l’autogestione, le strade risultano adesso più sicure che mai. La polizia – a seguito delle proteste di piazza, della rabbia popolare seguita alle 21 condanne a morte legate alla strage di Port Said e alle 40 vittime dei successivi scontri – la settimana scorsa si è vista costretta ad accettare di lasciare la città nelle mani del popolo.
Il governo Morsi ha accettato di richiamare la polizia sia per le inconfutabili prove video che mostrano poliziotti del regime sparare ed uccidere a  photo P1000148_3308x2481_zpsc574a820.jpgsangue freddo i manifestanti, ma anche perché convinto che una città da sola non avrebbe potuto autogestirsi e che Port Said avrebbe richiesto l’intervento del governo per sedare le probabili rivolte. Invece la realtà è molto diversa e mostra che una città senza le “forze dell’ordine” è più sicura e vive meglio. 

Vi è poi un tacito accordo che permette all’esercito (maggiormente rispettato dal popolo in quanto tradizionalmente meno legato al regime rispetto alla polizia, emanazione questa del potere e dei servizi segreti) di presidiare i punti nevralgici della città, ma senza potere di intervento.

Dunque la realtà è questa: militari inermi a presidiare luoghi come il tribunale e l’importantissimo porto (adesso in sciopero) e la “polizia popolare” che si occupa della sicurezza nella città.
Il rifiuto di tutto ciò che rappresenta l’autorità si ritova nella pratica di non pagare tasse governative e bollette, rifiutando anche qualunque comunicazione con il governo sia centrale che locale.

La chiusura del governo centrale e l’autorganizzazione di mezzi e modi di produzione, rendono l’esperienza di Port Said una realtà senza precedenti ed una sperimentazione di un nuovo modo di vivere, di produrre, di esistere.

Le fabbriche sono chiuse, il traffico marino è bloccato, si produce ciò solo che serve e rimangono aperti solo i servizi necessari.
 photo P1000156_3308x2481_zpsd8cf9433.jpgSi produce il pane (nella foto a destra un negozio che vende pane a prezzi popolari; i cartelli indicano le ragioni della protesta); gli alimentari, gli ospedali e le farmacie rimangono aperti. In ogni fabbrica, sono gli operai a decidere se continuare la produzione o meno e la risposta generale adesso è NO. Prima giustizia, prima completamento della rivoluzione e poi, semmai, ripartirà la produzione.

Una nuova forma di autorganizzazione si sta sperimentando anche nelle scuole. Queste rimangono aperte ma le stesse famiglie di Port Said rifiutano di mandare i propri figli nelle scuole del governo. Proprio in queste ore insegnanti e comitato popolare stanno cercando di organizzare scuole popolari nella piazza centrale, rinominata la Piazza Tahrir di Port Said, in cui, accanto alle materie scolastiche si vorrebbero insegnare la giustizia sociale e i valori della rivoluzione egiziana.

Una realtà che può sembrare impossibile. Anche sulle pagine di questo portale abbiamo in passato raccontato l’esperienza di Port Said con altri occhi. Ma dopo la condanna a morte dei 21 imputati per la mattanza dello stadio, una nuova coscienza popolare è sorta in questa città, probabilmente in passato molto tradizionalista. Infatti, ad essere condannati sono stati 21 giovani, prevalentemente studenti, mentre la colpa della mattanza va ricercata in ambito politico; la sentenza sembra essere stata più un contentino dato a chi cercava giustizia. Nessuno degli imputati proviene dalle fila della polizia o dello stato e dei suoi servizi segreti. Questo Port Said l’ha capito e, appena le condanne a morte sono state emesse, sono scoppiati forti proteste che hanno portato all’uccisione di una quarantina di manifestanti, alcuni dei quali addirittura durante i funerali delle vittime degli scontri di piazza. Da qui è iniziato lo sciopero, la disobbedienza civile.

Una realtà che anche noi stessi, prima di vederla con i nostri occhi, non avremmo mai immaginato.

Una rabbia, inizialmente nata da una voglia di giustizia per le condanne a morte e per le successive 40 vittime, ma che poi è cresciuta ed è diventata politica. Il forte protagonismo operaio, la crescita di coscienza della popolazione di Port Said hanno reso questa protesta una lotta senza precedenti che tanto fa tremare il regime di Morsi. Una lotta che, se realizzata anche in altre città, potrebbe veramente mettere il regime in ginocchio.

Adesso non si chiede più, come era appena una settimana fa, di non punire i cittadini di Port Said per colpe che invece ha commesso il regime. Adesso si chiede una giustizia per tutte le vittime della rivoluzione, adesso si chiede a gran voce la caduta del regime. 

Nella giornata di lunedì una grande manifestazione si è tenuta nelle strade di Port Said: photo P1000180_3308x2481_zps582517b6.jpg sindacato indipendente dei lavoratori, studenti, movimento rivoluzionario, in molti sono scesi in piazza, in molti sono partiti dal Cairo per portare solidarietà ai lavoratori ed alla città in lotta. Un grande corteo ha invaso le strade della città, appellandosi ad uno sciopero generale in tutto il paese. 

Intanto altre città egiziane hanno in queste ultime settimane sperimentato grandi scioperi: a Mahalla, Mansoura, Suez gli operai di molte fabbriche hanno incrociato le braccia per settimane. Allo stesso modo in centinaia sono scesi in piazza per invocare lo sciopero generale in tutto il paese, molte le scuole e le università che hanno annunciato un prossimo sciopero generale. Molti i lavoratori ed i settori sociali che stanno scioperando senza però riuscire – per adesso – a generalizzare lo sciopero e la lotta, come avvenuto invece a Port Said.

Non si sa quanto quest’esperienza, chiamata “la comune di Parigi egiziana”, possa continuare. Sicuramente è difficile portare avanti una lotta di questo genere in un momento in cui il potere centrale potrebbe staccare acqua ed elettricità e, per ora, se non lo fa è solo perché teme maggiori espolosioni di rabbia. Inoltre, il proseguimento o meno dello sciopero dei lavoratori, è fortemente legato alla possibilità che questo si generalizzi e si riproduca anche in altre città.

Inizialmente gli abitanti di Port Said avevano annunciato di voler continuare lo sciopero fino al 9 prossimo marzo – data in cui verranno confermate le 21 condanne a morte – adesso, con il protagonismo dei lavoratori, il futuro si presenta incerto, ma sicuramente ricco di potenzialità.
Le difficoltà al momento potrebbero sembrare tante, ma la presa di coscienza di tutto il popolo (dunque non solo operaia), la pratica del rifiuto del regime, l’autorganizzazione, sono tutti elementi che sembrano dare delle prospettive positive a queste lotte.

La corrispondente di Infoaut dall’area mediorientale

Leggi anche: Lo stupro del branco come arma politica

Sciopera, lotta, blocca, riprenditi TUTTO! #14Nit

14 novembre 2012 2 commenti

A Roma per ora una sola cosa è più che palese: le piazze gentilmente richieste alla Questura sono mezze vuote…i cortei spontanei, non autorizzati e molto determinati stanno bloccando la città in più punti.
Mobilitazioni e focolai di desiderio di rivolta spuntano come funghi,
a Piazza Esedra un po’ de bandierine che attendono che gli studenti arrivino.

Il desiderio è palesato: le strade son nostre, non le chiediamo a nessuno,
E andiamo dove vogliamo !

Daje! To dromos! Tutti per la strada! Toma la calle!
Riprendiamoci quel che c’hanno tolto, con gli interessi!

 

#14N un sciopero “per udire i passi del tiranno che se ne va”

13 novembre 2012 3 commenti

Ringrazio la bella Slavina per questo dono,
ringrazio la mia cara Slavina perché ha permesso a queste righe di entrare dentro di me con la forza di una slavina vera e propria, come solo Goliarda  Sapienza sa fare.

E allora grazie ancora e leggete il suo blog ( e il suo libro!!),
e soprattutto: DOMANI NON LAVORATE, INCROCIATE LE BRACCIA, SCENDETE IN PIAZZA, STRAPPATE IL FUTURO A MORSI.

SCIOPERO GENERALE, SCIOPERO EUROPEO,
TUTTI INSIEME CONTRO IL CAPITALE, LO SFRUTTAMENTO, I PADRONI

fotografia di Willy Ronis: 1938, occupazione della fabbrica Citroen-Javel. Rose Zehner arringa le compagne

Sciopero

Voglio uno sciopero dove andiamo tutti.
Uno sciopero di braccia, gambe, di capelli,
uno sciopero che nasca in ogni corpo.
Voglio uno sciopero
di operai di colombe
di autisti di fiori
di tecnici di bambini
di medici di donne.
Voglio uno sciopero grande,
che raggiunga anche l’amore.
Uno sciopero dove tutto si fermi,
l’orologio le fabbriche
il personale i collegi
l’autobus gli ospedali
le strade i porti.
Uno sciopero di occhi, di mani e di baci.
Uno sciopero dove non sia permesso respirare,
uno sciopero dove nasca il silenzio
per udire i passi del tiranno che se ne va.

(Gioconda Belli – tratta da un articolo del blog di Coral Herrera Gomez e tradotta da Silvia Corti)

I mineros e le pallottole di gomma: immagini di una piazza

12 luglio 2012 1 commento

L’incredibile forza del corteo dei mineros, che in piena notte ha raggiunto Madrid dopo la lunga marcia….

Questa la risposta dello stato poco dopo..
QUANDO PARLATE DI VIOLENZA,
PENSATE AL PORTELLONE DI QUESTO BLINDATO,
PENSATE A LUI CHE ESCE E SPARA IN FACCIA A CHICCESSIA,
PALLETTONI DI GOMMA PERICOLOSISSIMI,
CAPACI DI CREARE LESIONI GRAVISSIME, SOPRATTUTTO AGLI OCCHI.
(Tra i feriti, ieri, da queste pallottole anche una bimba di 11 anni)

In questo sito molte informazioni sull’uso di questi armamenti nelle piazze spagnole:
STOPBALESDEGOMA.ORG 

Minatori asturiani: arrivano a Madrid, insieme alle pallottole di gomma

11 luglio 2012 2 commenti

Sono arrivati a Madrid, dopo la lunga marcia, in piena notte, accolti da migliaia di persone.
Tutti i minatori delle Asturie, di Aragona, Castilla y Leon, Castilla-La Mancha e Andalusia, ma anche molti solidali da ogni punto del paese, si son ritrovati oggi nella capitale del potere politico ed economico spagnolo,
per combattere contro la chiusura delle miniere di carbone, unica fonte di reddito per tutta quella zona del paese.
Un taglio del 63% degli aiuti al settore: questo il piano killer del governo che passerà così da 310 a 111 milioni il finanziamento preciso, anche in barba all’accordo strategico precedente firmato tra sindacato e padronato.
Un vero e proprio attentato al lavoro di migliaia e migliaia di persone, tra miniere e indotto,
che infatti stanno difendendo a denti stretti il loro salario, con ogni mezzo a disposizione.
Dall’uso sistematico e continuo dei blocchi stradali, delle barricate, agli scontri senza remore con gli apparati speciali delle forze di sicurezza,
che da settimane militarizzano le regioni ad altra concentrazione mineraria.
Più di 500 autobus, accolti da una grande ovazione della piazza.

L’accoglienza è stata decisamente diversa da parte della polizia che dopo le prime cariche non ha esitato ad usare anche proiettili di gomma;
El Pais parla già di 7 arresti ed una 40ina di feriti, avvenuti quasi tutti su Paseo de la Castellana, grande arteria del centro città, sede del ministero dell’industria, dove è partita la prima sassaiola contro le forze dell’ordine che ha fatto poi partire le cariche della polizia antisommossa.

Ci aggiorniamo tra poco.
SOLIDARIETA’ AI MINATORI SPAGNOLI!

UNA CRONACA DELLA GIORNATA: QUI
PER SEGUIRE LA DIRETTA DALLA PIAZZA: QUI

[Leggi: la repressione si abbatte sulla lotta dei minatori]

Asturie: la repressione si abbatte sull’insurrezione dei mineros

10 luglio 2012 3 commenti

La repressione spagnola tenta di abbattersi sulla lotta dei minatori, che più che una lotta in difesa del proprio posto di lavoro e del proprio salario
sembra prendere le forme dell’insurrezione.
Di quelle che non si fermano davanti a nulla.
I blocchi stradali e autostradali vanno avanti da settimane, con una forza impressionante e con una solidarietà diffusa in tutta la provincia autonoma della spagna settentrionale, zona ricca di giacimenti e impianti di estrazione mineraria.
E’ proprio sull’autostrada A-66, all’altezza dei tunnel di El Padrun (che dire, il nome ispira di suo una dinamitarda lotta di classe) che gli scagnozzi dello stato spagnolo, truppe speciali della Guardia Civil, si sono abbattuti sui manifestanti che stavano costruendo una barricata incendiata, una delle tante che rendono impossibili gli spostamenti nella zona.
Il pestaggio è stato compiuto soprattutto su tre minatori, uno dei quali ferito in modo grave e poi lo scontro è andato avanti, fino all’arresto di tre persone, poi rilasciate dopo poche ore.
Anche nelle caserme, nei blindati e nei luoghi di detenzione la repressione spagnola non ha esitato ad abbattersi pesantissima sui manifestanti: dei tre arrestati, uno è stato ricoverato successivamente per le gravi lesioni riportate.

Sono diversi i punti della zona dove le autostrade vengono ripetutamente bloccate, con code e rallentamenti che da  mesi ormai hanno variato tempi e spostamenti degli abitanti:
che, ripetono, malgrado i grossi disagi si son sempre rivelati solidali ed uniti alla lotta dei minatori, nelle Asturie come in León e Aragona.

ispirano infinito affetto…

Basta vedere quanti, tra i fermi e gli arresti, appartengano a tutt’altre categorie:  dagli studenti ai pensionati, dai dipendenti pubblici ai metalmeccanici.
Venerdì scorso è stata forse la giornata di scontri più pesanti: la contrapposizione tra lavoratori e reparti speciali della Guardia Civil alza il tiro giorno dopo giorno, con una rabbia e una determinazione a noi sconosciute, ormai.

Il territorio poi gioca la sua parte, e la conoscenza dei tunnel permette ai minatori in lotta e ogni tanto in fuga dalla repressione, di sparire e apparire qua e là, come spettri che si aggirano per cunicoli e città:
ormai impossessatisi dei pozzi, i mineros riescono spesso a sfuggire agli arresti entrando nei pozzi che, come quello di San Antonio comunicano direttamente con il centro della città.
Si impara sempre dal passato, e loro tra tunnel ed esplosivi partono già avvantaggiati:
PIENA SOLIDARIETA’ AI MINATORI IN LOTTA!

Leggi: I minatori sardi solidali con quelli delle Asturie

Su questo blog: La rabbia dei minatori sbarca a Madrid

 

In Grecia è crisi umanitaria: dei suicidi e dei vaccini impossibili

5 aprile 2012 9 commenti

Il luogo dove si è ucciso Dimitris e dove dopo si son radunate centinaia di persone che si son poi scontrate con la polizia

“Il governo di occupazione di Tsolakoglou*   ha letteralmente annullato la mia capacità di sopravvivere con una pensione dignitosa, per la quale avevo già pagato  (senza aiuti pubblici) per 35 anni.
La mia età mi impedisce di dare una risposta decente individuale (senza ovviamente escludere la possibilità di essere la seconda persona a prendere le armi se  qualcun altro dovesse decidere di farlo), non trovo altra soluzione che una fine dignitosa, prima di dover ricorrere alla spazzatura per sopperire alle mie esigenze nutrizionali.
Un giorno, credo, i giovani senza futuro prenderanno le armi e appenderanno i traditori del paese a piazza Syntagma, proprio come gli italiani hanno fatto con Mussolini nel 1945 (a Milano in Piazzale Loreto)
-Dimitris Christoulas, Syntagma, Athens, 4 aprile 2012
[* Georgios Tsolakoglou era un ufficiale militare greco che divenne il primo Primo Ministro del governo greco collaborazionista durante l’occupazione dell’Asse nel 1941-1942.]

Dimitris, pensionato ex farmacista si è sparato in testa in piazza Syntagma,
sede del parlamento greco e ormai luogo simbolo della rivolta ateniese contro la crisi economica e lo smantellamento dello stato sociale greco,
piazza delle grandi manifestazioni, degli scioperi generali, degli scontri e della violenta repressione.
Appartenente al movimento “IO NON PAGO”, aveva messo in ordine tutto prima di andare via, pagando ogni suo debito.
Ora è successo anche questo in piazza Syntagma, è successo che un uomo, da sempre attivo nella vita politica del suo paese,
da sempre in piazza a lottare, s’è sparato per non lasciare debiti ai suoi figli, e per andarsene con la stessa dignità con cui era vissuto e aveva lavorato tutta la sua vita.
Anche qui in Italia ci si comincia a suicidare, anche qui le pensioni tagliate, i lavori che non si trovano, sembrano portare facilmente alla strada del suicidio, una fuga timida da una realtà sconcertante.

Da giorni volevo raccontarvi di quel che accade in una località greca che si chiama Perama, che è in realtà una zona di Atene nei pressi del Pireo che ha vissuto momenti fiorenti grazie ai molti cantieri navali e che poi ha pagato il prezzo più caro a causa delle delocalizzazioni.
Ora il 60% di quel territorio è invaso dall’assenza di lavoro, dall’assenza delle più minime garanzie, in assenza di possibilità di sopravvivenza.
E’ vera e propria crisi umanitaria.
Due anni fa, in questa zona ha aperto la clinica Medecins du Monde, ambulatorio gratuito esistente in zone di calamità, che solitamente offre assistenza sanitaria ai rifugiati: nel territorio greco fino ad una manciata di mesi fa assisteva migranti, ma ora l’80% della sua clientela è greco.
Un ambulatorio di un’importanza incredibile, visto che arrivano decine di bambini che non hanno nemmeno i vaccini di base , o che non possono permettersi le dosi di richiamo..cosa che avveniva solo nel terzo mondo.
Si vive con 200 euro al mese, quella è la media a Perama, tanto che quando i medici dell’ambulatorio consigliano ai genitori di far curare i propri figli proprio dentro un ospedale, la risposta che più spesso si presenta al loro ascolto è che non hanno la disponibilità nemmeno dell’ 1.40€ necessario per comprare il biglietto dell’autobus che arriva fino all’ospedale.
Nulla, con 200 euro al mese non si mangia: i bambini mangiano dalla spazzatura, l’energia elettrica ormai manca in quasi tutte le case da più di sei mesi, tanto che l’inverno è passato a fatica, con quel po’ di calore che può offrire il bruciare pezzi di legno in casa.
Ci son famiglie che vivono in auto, ed anche il cimitero della città si sta popolando di persone che vanno a dormirci, come al Cairo, come in alcune zone della più povera Asia.
Per chi ancora ha un tetto ed ha la fortuna di avere la luce il terrore più grande è quello della corrente: staccata quella, vola via anche l’ultimo pezzetto di dignità .

A noi manca poco per tutto ciò…
a noi, Italia, che al contrario del popolo greco non abbiamo nemmeno avuto la forza di alzare la testa riempiendo le piazze o fermando la produzione con decine di scioperi generali. Noi nulla, noi concertiamo, noi facciamo finta che tutto ciò sia lontanissimo.
Mentre in Grecia iniziano a pensare che non basta più manifestare, che non basta più scioperare…
mentre in Grecia chi si spara vorrebbe sparare in testa al capitalismo,
noi dormiamo, concertiamo, siamo vomitevoli.

Egitto: sciopero generale !

12 febbraio 2012 1 commento

Così come lo scorso anno la caduta del regime non è stata frutto solamente dello spontaneismo e dell’imponenza di Tahrir,
ma dell’enorme lavoro portato avanti in anni di lotte sui posti di lavoro, nei campi, negli scioperi generali, nel canale di Suez e nelle fabbriche…
Così ora è nelle loro mani l’avanzata di un processo rivoluzionario.
Nessuna altra strada esiste se non il portare il conflitto e la lotta nella quotidianeità dei posti di lavoro, tutti; con la nascita costante di organizzazioni capaci di canalizzare le energie e creare una coscienza di classe e operaia in grado di spazzar via gli anfibi del regime, così come quelli dell’esercito che dovrebbe garantire la transizione,
e che ovviamente sta garantendo solo la repressione, il terrore, l’annullamento del processo rivoluzionario.
LUNGA VITA ALLA RIVOLUZIONE EGIZIANA… TAHRIR IN OGNI POSTO DI LAVORO!

Vi allego, come sempre 😉 un articolo di Infoaut

Secondo gli organizzatori è stato “un vero successo!” lo sciopero generale del movimento rivoluzionario egiziano. E a parlare sono anche le cifre, come sempre ridotte all’impossibile, che sono state costrette a rendere note le fonti ufficiali: “almeno il 60% dei lavoratori”. La grande iniziativa di lotta era stata lanciata in un percorso politico e sociale tutto in salita perché se è vero che sabato scorso era il primo anniversario delle dimissioni di Mubarak non era affatto scontato che l’occasione da farsa celebrativa (per il potere) si tramutasse in giornata di lotta in continuità con il processo rivoluzionario.
Gli Imam e gli esponenti politici di spicco del movimento islamista moderato dei Fratelli Musulmani si erano sgolati tutta la settimana per sabotare lo sciopero
condannandolo duramente e invitando gli egiziani a non prendere parte all’iniziativa che avrebbe potuto trascinare nel caos l’economia egiziana. In perfetta sintonia con la fazione islamista anche i rappresentanti politici e clericali della comunità cristiana che si sono uniti al coro del ritorno all’ordine e alla pace sociale.
Eppure lo sciopero c’è stato e ha fatto male alla controparte individuata dal movimento nella giunta militare, lo Scaf, che venerdì in una nota si era detto molto preoccupato per i complotti in corso contro lo stato e per uno sciopero che a dir loro avrebbe messo a repentaglio gli esiti della rivoluzione.

Foto di 3arabawy

All’indomani della strage dello Stadio di Port Said il movimento ultras di Piazza Tahrir aveva fatto appello alla vendetta contro la giunta militare ritenendola responsabile della punizione contro una delle tifoserie più attive della piazza rivoluzionaria. Ne erano seguiti giorni di scontri violentissimi nei pressi del Ministero degli Interni in cui erano stati uccisi dalla polizia anche numerosi manifestanti. Lo sciopero generale di sabato era stato indetto proprio in questo contesto altamente conflittuale anche con l’obiettivo di dare uno sbocco alla forza politica che il movimento stava esprimendo sulle barricate. Solo venerdì decine di migliaia di manifestanti erano riusciti a raggiungere il Ministero della Difesa scandendo lo slogan delle ultime settimane “il popolo vuole giustiziare il federmaresciallo” esortando a continuare la lotta e a costruire per il giorno dopo (il sabato dello sciopero) una importante iniziativa.

Allo sciopero generale, oltre a settori del pubblico e del privato, hanno preso parte anche diverse università e moltissimi studenti medi che fin dalle prime ore del mattino hanno presidiato gli edifici dei propri istituti per poi muoversi in corteo scandendo slogan contro lo Scaf. In questo modo il processo rivoluzionario si è mostrato per quello che è: radicatissimo nel cuore dei rapporti sociali del paese, tra fabbriche, università e quartieri.

Lo sciopero generale di sabato è riuscito a raggiungere i suoi obiettivi: ha mostrato la completa autonomia del movimento, è riuscito a dare sbocco politico e sociale all’alta conflittualità raggiunta negli scontri di piazza degli ultimi giorni, e, elemento decisivo, sta continuando a provocare le controparti (Scaf, potere esecutivo, e Fratelli Musulmani, potere legislativo) facendole emergere per quello che sono: il blocco reazionario in marcia. Viste le cifre di adesione allo sciopero c’è da chiedersi quanti elettori del movimento islamista vi hanno preso parte non curanti degli appelli ad andare al lavoro ripetuti dalla fratellanza, e come avranno digerito le dichiarazioni dei propri eletti all’assemblea parlamentare che per alcuni giorni hanno parlato in sintonia con le dichiarazioni della giunta militare evocando complotti contro lo stato di chissà quale potenza oscura.

Un nuovo goal per il movimento rivoluzionario egiziano, che c’è da crederlo fino a quando non raggiungerà l’obiettivo minimo di scacciare i militare dal potere non lascerà la piazza, ma anzi sembra proprio ben attrezzato per raggiungere anche ben altri e importanti grandi scopi.

LEGGI IL RESTO SULL’ EGITTO: QUI

Paghiamo caro e tutto: uno slogan tanto caro… ci si rivolta contro

8 febbraio 2012 3 commenti

La situazione greca sta degenerando al punto che anche la forza delle piazze inizia a scemare,
esausta, triturata da una politica economica che sta spingendo un paese a rovistare nell’immondizia.
Lo sciopero generale è stato partecipatissimo, l’astensione dal lavoro continua ad essere incredibile, la piazza sarebbe stata certamente più imponente se vento e pioggia gelida non si fossero riversati con tanta irruenza sui manifestanti.

Lui sghignazza....

Al quinto anno consecutivo in recessione il paese è praticamente raso al suolo: gli stipendi degli impiegati pubblici continuano ad esser tagliati (c’è chi due anni fa prendeva 1400 euro, che ora ne prende a malapena 800), le pensioni fanno preferire di morir giovani,
i giovani sanno che ormai il lavoro è quasi inutile cercarlo, anche perché non è più definibile tale.
Il lavoro in Grecia? E che cos’è? Con quello che Merkozy e la BCE stanno chiedendo al (arriverà anche il nostro turno, ne siamo consapevoli?), con l’annullamento dei contratti collettivi nazionali, con le paghe che diminuiscono a blocchi del 20% ogni volta,
dire che in Grecia i giovani siano privi di lavoro è una presa in giro.
Perché quello non è lavoro è medioevo.
Quello non è lavoro, è sfruttamento, è capolarato, è quanto di più inaccettabile ci stiano proponendo,
a loro come a noi, solo più velatamente.
E’ una guerra, hanno ragione sull’editoriale di oggi comparso sul sito di Infoaut: ci siamo arrivati al “pagherete caro pagherete tutto”, il problema è che ci sono arrivati loro. Non la nostra guerra a stato, capitale e lavoro, ma quella che i nostri stessi padroni e sfruttatori stanno muovendo contro di noi,
per piegarci ancora di più, per terrorizzarci, per renderci silenziosi schiavi del loro capitalismo ormai morto.
Pensano che in questo modo si salveranno dal colpo di coda del capitale morente, pensano che magari si salverà l’ultimo a morire…
intanto noi paghiamo caro, paghiamo tutto fino all’ultimo.

L'ingresso del parlamento greco

Noi che lo urlavamo e lo urliamo pensando di veder prima o poi LORO a pagare caro, stiamo andando consapevoli verso il baratro dei grandi diritti conquistati. Non sono cataclismatica, non penso che ciò che viene distrutto non possa essere ricostruito:
credo nella distruzione, sono sempre stata per il distruggere TUTTO e poi ricostruirlo nuovo…
lo stanno facendo loro, tocca rimboccarsi le maniche che prima o poi dovrà arrivare il momento in cui saranno loro a pagare tutto.
Ma tutto, senza il minimo sconto!

Vi allego le righe di Infoaut

Pagherete caro, pagherete tutto! Questa volta non è una scritta a bomboletta tracciata su un muro durante la notte. E neanche il titolo di qualche giornale di movimento. Questa volta tutti possono stare tranquilli perchè ad essere minacciato è un popolo intero, per cui tutto è normale.
Non di notte, e non con le mani sporche di vernice, ma il senso delle minacce, in questo caso “dichiarazioni”, di Merkel e Sarkozy verso il popolo greco è proprio questo: pagherete caro, pagherete tutto.
“Insieme al cancelliere, dico che i nostri amici greci devono assumersi le loro responsabilità votando le riforme su cui si sono impegnati” . “Siamo entrambi d’accordo – ha fatto eco la cancelliera Merkel – nel volere che la Grecia rimanga nell’euro. Tuttavia io dico anche che non ci sarà nessun nuovo programma di aiuti per la Grecia se non verrà raggiunto un accordo con la troika, tutti quelli che condividono la responsabilità in Grecia devono sapere che non devieremo da questa posizione. Voglio che sia chiaro ancora una volta che non potrà esserci un accordo se le proposte della troika non saranno implementate. Sono sul tavolo e il tempo sta scadendo.”
Le misure di austerity che la popolazione greca ha subito sino ad adesso non bastano: Fondo Monetario, Unione Europea, e Banca Centrale Europea vogliono di più. Naturalmete questo di più riguarda il lavoro: nuovi tagli agli stipendi e alle pensioni, la chiusura di Enti statali con il conseguente licenziamento dei dipendenti in esubero e un certo numero di insegnanti che resteranno senza lavoro.
La ricetta Europea per la Grecia però fino ad adesso ha portato ad una recessione del -5,5% nel 2011, un potere d’acquisto dei salari crollato del 40% e il tasso di disoccupazione vicino al 20%.  In questo scenario la richiesta della Trojka è di interventi per un ulteriore 1,5% del Pil.
I nodi, per la tenuta delle istituzioni europee, stanno venendo al pettine. L’esplosione della situazione sociale in grecia è ad un passo visto, e la risposta alle dichiarazioni della Markel di ieri, è arrivata non dal premier Papademos, ma dalla piazza a suon di bandiere tedesche bruciate.

Bada Nasciufo

SULLA GRECIA:  LEGGI QUI

La Siria e lo sciopero della dignità

12 dicembre 2011 1 commento

Idrab al-Karamah
Lo sciopero della dignità: hanno deciso di dargli questo nome.
Ieri è stata una giornata importantissima per chi si ribella in Siria: importante perché per la prima volta sono riusciti a convocare un qualcosa che a livello nazionale è riuscito a bloccare tutto.
Per la prima volta si è lasciato da parte lo spontaneismo che fa uscire per le strade con le teste esposte senza alcuna difesa al mirino dei cecchini, con i propri corpi, spesso svegliati nel sonno da retate e quindi da arresti, torture e spesso sparizioni.
Questa ultimamente è stata la fine di molti giovani uomini e donne, uomini con nomi che alle nostre orecchie sembrano tutti uguali: ma che son contadini, pastori, nomadi, mercanti, ma anche professori, docenti, intellettuali e quant’altro.

Ma parliamo di ieri.
Il primo sciopero generale in questi mesi di rivolta, quotidianamente sedata in un bagno di sangue, ma che ogni giorno ricomincia, senza sbocchi che sembran decenti, senza minime vie d’uscita positive, come è stato per Egitto e Tunisia. La sorte peggiore tocca a chi esce a manifestare in Siria, oltretutto abbandonati dalla solidarietà internazionale, perché accusati di esser strumenti dell’imperialismo.
Quante stronzate si leggono e si scrivono: ci si lava le mani parlando di ingerenze, senza pensare a quanto (se pure fossero vere) è la gente comune che sta morendo per le strade e nelle celle..è chi non sostiene più il regime che da decenni priva di ogni forma di libertà.
Ma noi siamo tutti impegnati a fare i grandi esperti di geopolitica mediorientale: sparando stronzate, e abbandonando qualche milione di persone esasperate al punto di non badare nemmeno più a morte e tortura.
Ieri lo sciopero è andato benissimo: ieri lo sciopero ha visto intere città senza alcuna vetrina aperta, senza un solo carretto che vendeva pomodori o melograni: niente.
Tutto chiuso, tutto in silenzio, tutto deserto: lo sciopero della dignità è riuscito.
Tanto che questa è stata la reazione degli scagnozzi del regime: in questo video si vede una strada di Dara’a, città capoluogo dell’Hawran, dove partì la rivolta a marzo…guardate con i vostri occhi quel che fanno ai negozi chiusi…

Se conoscete un po’ di inglese invece, vi consiglio questa pagina, dove è riportata una lettera di una persona che conosco bene e che conosce meglio di me quella dolce terra… Apples and oranges?

“Io sono come un bullone. Ecco, io sono una vite” … Lulù Massa, dal cottimo allo sciopero selvaggio

1 novembre 2011 7 commenti

“Lo studente, lo studente, lì, fuori, ha detto che noi entriamo qui dentro di giorno, quando è… è buio. E usciamo di sera, quando è buio. Ma che vita è la nostra? Questo, pro forma. Allora io dico, già che ci siamo, perché non lo raddoppiamo questo cottimo? Eh? Così lavoriamo anche la domenica. Magari veniamo qui dentro anche di notte… Anzi: magari portiamo dentro anche i bambini, le donne… I bambini li sbattiamo sotto a lavorare, le donne ci sbattono a noi un panino in bocca e noi via che andiamo avanti senza staccare. Avanti, avanti, avanti…avanti, per queste quattro lire vigliacche, fino alla morte. E, così, da questo inferno, sempre senza staccare, passiamo direttamente a quell’altro inferno!

Dov’è che ero? Facevo il cottimista, seguivo la politica dei sindacati! Lavoravo per la produttività, incrementavo io, incrementavo. E adesso? Adesso cosa sono diventato? lo studente dice che siamo come le macchine. Ecco, io sono come una puleggia, come un bullone. Ecco, io sono una vite. Io sono una cinta di trasmissione , io sono una pompa! E non c’ho più la forza di aggiustarla, la pompa adesso! Io propongo subito di lasciare il lavoro. Tutti! E che non lascia il lavoro è un crumiro e un faccia de merda!”

Lulù Massa, l'operaio Massa di Gianmaria Volontè

NOTAV verso il 15 ottobre: Que se vayan todos!

9 ottobre 2011 4 commenti

Scriviamo queste righe dalle nostre montagne, sperando che dalle Alpi possano arrivare a tutto lo stivale, da Cortina a Lampedusa. La nostra valle vive un momento di lotta intensa, di resistenza: ogni giorno è qui, ormai, un giorno decisivo. Dai nostri presidi, dalle nostre baite, dai nostri paesi, dalle strade e dai sentieri che li collegano, attorno al fortino militarizzato creato dal governo a difesa del non-cantiere dell’Alta Velocità, stiamo resistendo. Ed è da resistenti che ci rivolgiamo a voi, che ci rivolgiamo all’Italia. La lotta No Tav è una lotta per la difesa della salute e del territorio, ma non solo: è una lotta contro la consegna della ricchezza prodotta collettivamente, in tutto il paese, nelle mani di pochi. È una battaglia contro l’alleanza strategica tra stato e mafia, ma è anche l’idea di un mondo diverso, costruito insieme attraverso nuove pratiche di decisione dal basso. È un movimento in difesa della nostra valle, che amiamo ora come non avevamo mai amato, ma è anzitutto un grido che si leva da un luogo nel mondo, rivolto a tutto il mondo.

Foto di Valentina Perniciaro _La battaglia (vinta) di Venaus, dicembre 2005_

Il 15 ottobre, in Europa e non solo, migliaia di persone risponderanno all’appello che giunge dagli indignados spagnoli: da coloro che, a partire dal marzo scorso, hanno deciso di trasformare, a modo loro, la vita politica del loro paese. Persone comuni – non eroi! – proprio come noi e voi, che hanno invaso le piazze delle loro città, parlando alla Spagna della società che vorrebbero costruire, sulle ceneri della classe politica che governa il loro paese. Come la Val Susa non può vincere senza l’Italia – e, lo diciamo con convinzione, un’Italia migliore non può nascere senza la vittoria della Val di Susa – così i ragazzi spagnoli non possono vincere senza l’Europa. Che cosa vogliono? Una politica e un’economia al servizio di tutte e tutti, il rispetto per l’essere umano e per l’ambiente, la morte definitiva dell’accentramento del potere mediatico, dell’abuso sistematico di quello politico, della corruzione, del commissariamento globale da parte della grande finanza. Ogni volta che ripetiamo questi stessi, identici concetti nelle nostre assemblee popolari, ogni volta che li gridiamo lungo le vigne o sotto le reti della militarizzazione, sentiamo di portare avanti una lotta che è la loro stessa; ma è la stessa degli studenti greci e tunisini, dei ragazzi che vengono arrestati sul ponte di Brooklyn e di quelli che cambiano la storia in piazza Tahirir.

Allora che aspettiamo? Il tiranno che ci governa è a Roma! A Roma è il mandante politico dell’invasione militare della Valle, a Roma è il mandante politico del Tav: decrepito, vergognoso e trasversale, proprio come in Spagna, proprio come in Grecia. A Roma sono i palazzi che hanno partorito una manovra di assassinio di due o tre generazioni, e mentre con una mano rapinano gli italiani di 20 miliardi di euro, con l’altra firmano gli accordi con la Francia per regalarne 22 al malaffare, distruggendo con il Tav le nostre vite e la nostra vallata. Mentre già discutono la necessità di una manovra bis per attaccare ancora più a fondo, in nome dei diktat della BCE, la società italiana, spendono 90.000 euro al giorno per gasarci al CS e reprimere in ogni forma il nostro dissenso, per la sola colpa di esserci ribellati al loro decennale strapotere. Questo è ormai la Val di Susa, del resto: un pericoloso esempio per tutte e tutti, da sradicare con la forza. Cosa aspettate? Cosa aspettiamo? Se vogliamo un futuro, un futuro qualsiasi, non abbiamo scelta: dobbiamo sfidare la casta – tutta la casta! – e dobbiamo vincere. A Roma ci saremo per sentire ancora il vostro abbraccio, dopo mesi difficili in cui abbiamo sofferto, ma anche sognato; e tra i nostri sogni ci sarà sempre quello in cui vi vediamo marciare fin sotto i palazzi del potere, e lanciare tutti insieme il grido che arriva, forte e chiaro, dalla Spagna: Que se vayan todos!

NoTav.info

SCIOPERO GENERALE: il desiderio compulsivo di bloccare un paese!

6 settembre 2011 2 commenti

E' proprio così!, Cippa!

Io sciopero.
Sciopero malgrado i Cobas non lo facciano,
sciopero malgrado vorrei arrivare alla giornata del 15 ottobre con più forza possibile e partecipazione,
sciopero malgrado ci sia un concetto di lotta di classe in questo paese che mi innervosisce, mi fa venir voglia di eremi e solitudine,
mi sconcerta.
Ieri è stata occupata la Borsa, e poi il piazzale difronte: un palco montato poco dopo, molte tende, ma una strana atmosfera che nel resto d’Europa non s’è vista: sembra che abbiamo sempre bisogno di essere eterodiretti, guidati, pompati.
Poca spontaneità, zero rabbia malgrado gli attacchi che subiamo.
Ma tant’è.
Io sciopero; sciopero perché manco più il premio di produzione ci danno ( e so’ quei 1000 euri più l’anno che contavano non poco per il mio budget familiare); sciopero perchè non potrei fare altrimenti, e vorrei solo aver conferma che quel merdoso posto di lavoro dove passo 36 ore a settimana sia fermo, vuoto, silenzioso.

Vi incollo però il comunicato dei Cobas , sull’iniziativa Cgil e sulla giornata del 15 ottobre.

LA CRISI VA PAGATA DA CHI L’HA PROVOCATA
Con le “piazze indignate” verso la manifestazione nazionale del 15 ottobre 

La devastante manovra economica del governo Berlusconi-Tremonti-Napolitano è il culmine di tre anni di attacchi alle condizioni di vita e di lavoro dei salariati/e e dei settori più deboli della società. Avevamo detto: “Noi la crisi non la paghiamo” e invece sono proprio le fasce più disagiate ad pagarla mentre coloro che l’hanno provocata, i grandi gruppi finanziari e industriali, sono stati sostenuti dai principali Stati europei che per questo hanno dissanguato le casse pubbliche. Essendo l’attacco generalizzato e continentale, la risposta va sviluppata a livello europeo e in ogni  paese deve coinvolgere tutti i settori popolari colpiti. In Italia la manovra é condivisa nella sostanza da governo e opposizione, Confindustria e sindacati concertativi, Napolitano e Draghi. Le polemiche riguardano i dettagli: ed è stato addirittura il PD a denunciare la “pochezza” della precedente manovra che rinviava il grosso dei tagli al 2013-4, chiedendo che essi venissero operati tutti subito. La manovra avrà tempi parlamentari rapidi ma sarà una manovra-monstre permanente, su cui rimetteranno mano ogni volta che i “mercati” vorranno altro sangue popolare.

A manovra permanente va contrapposta lotta permanente, raccordata a livello europeo e coinvolgente non solo i lavoratori/trici “stabili”, ma il vasto mondo del precariato, gli studenti, i giovani senza lavoro, il popolo che ha difeso i beni comuni trionfando ai referendum e quello della Val di Susa e gli altri che lottano contro gli scempi ambientali, e tutti i settori disagiati colpiti. L’Italia deve seguire i grandi esempi delle piazze “indignate” egiziane e tunisine, spagnole e greche,  cercando un raccordo europeo di massa, di grande visibilità e impatto politico in difesa dei beni comuni, dei salari, dei servizi sociali, con un messaggio unificato, “La crisi va pagata da chi l’ha provocata”: e stavolta sul serio.

Per questo proponiamo che venga raccolta la proposta degli “indignados” spagnoli affinché il 15 ottobre scendano in piazza in tutta Europa milioni di personecon parole d’ordine comuni. E dai prossimi giorni dobbiamo organizzare in tutta Italia tante “piazze indignate” in permanenza mobilitate contro l’intera politica economica e sociale del governo, che mantengano viva la protesta al di là dei tempi parlamentari, e preparino la giornata del 15 ottobre, a partire a Roma dalle piazze della Camera (Montecitorio) e del Senato (P.Navona). Questa mobilitazione, se coinvolgerà tutta l’opposizione sociale, potrà poi costruire un maggioritario sciopero generale sociale, che non riguardi solo fasce del lavoro “stabile” e sindacalizzato. 

Non va in tale direzione quello convocato per il 6 settembre dalla Cgil. Rispettiamo la scelta di chi vi parteciperà sperando come tante volte in passato in una conversione della Cgil al conflitto. Ma ricordiamo che proprio la sottoscrizione del “Patto per lo sviluppo” con la Confindustria e Cisl-Uil del 28 giugno ha dato via libera alla manovra e alla demolizione degli ultimi diritti dei salariati. La Cgil sciopera perché quel Patto sia recepito nella manovra, cancellando l’interpretazione che il governo ne ha dato nell’art.8: e lo fa in una data e con modalità che impediscono la formazione di un vasto fronte sociale, con scuole e Università di fatto chiuse, con i lavoratori/trici appena tornati dalle ferie, senza preparazione, anche come atto di resa dei conti con le minoranze interne, con una piattaforma in linea con lo sciagurato Patto, in supplenza politica del PD, non per contrapporsi al governo ma per interloquire con esso. E non va verso la costruzione di un fronte alternativo alla manovra l’adesione affrettata allo sciopero Cgil di strutture del  “sindacalismo di base” per nulla in grado di influenzare la piattaforma della giornata.

Dunque, i Cobas non parteciperanno allo sciopero Cgil e si concentreranno nelle iniziative sopra indicate, verificando anche nella giornata del 6 la possibilità di costruire “piazze indignate” o iniziative alternative in luoghi e con alleanze che lo consentano.  

                                Confederazione COBAS

Atene: è aria di rivolta! “LA DEMOCRAZIA E’ NATA QUI E QUI LA SEPPELLIREMO”

15 giugno 2011 9 commenti

REUTERS/Pascal Rossignol

Alle dieci di sera, orario in cui apro finalmente questo blog, le persone presenti a Syntagma, la piazza del parlamento greco ad Atene si aggirano intorno alle 30.000. Una piazza che da questa mattina non ha vissuto un secondo di tregua, una piazza che alle 8 già vedeva i manifestanti iniziare ad ammassarsi e dodici ore dopo ( di cui molte di scontri pesanti e un lancio di lacrimogeni a tappeto difficile da dimenticare) sono ancora lì.
La giornata dell’ “ora parliamo noi”, dell’ennesimo sciopero generale paralizzante in un paese non piegato ma spezzato dalle riforme d’austerity decise dai grandi killer della finanza globale, come il Fondo Monetario.
Un paese piegato e incazzato, che non intende piegarsi più, che si definisce esausto ma contemporaneamente dimostra di avere delle energie che noi ci sogniamo. Perché sono anni che il movimento greco si struttura e si espande: dall’assassinio di Alexis, nel dicembre 2008, il livello di consapevolezza, di organizzazione e di scontro s’è alzato vertiginosamente cambiando forme e colori continuamente.
Dalle proteste radicali di studenti e migranti, che per un mese hanno bruciato Atene e Salonicco, le lotte operaie e dei portuali, così come di molte altre categorie hanno insegnato alla popolazione tutta cosa vuol dire riappropriarsi almeno della propria dignità.
Gli apparati della repressione oggi si sono mossi come son soliti fare ad Atene: normali reparti celere affiancati ai M.A.T., ma soprattutto al gruppo DIAS/DELTA, gli scagnozzi in motocicletta, che oggi hanno bastonato e caricato continuamente, per poi prenderne comunque tante.
Difficile fermare tanta rabbia e determinazione.

REUTERS/Pascal Rossignol

“PANE, EDUCAZIONE, LIBERTA’: LA GIUNTA NON E’ FINITA NEL 1973”, scandito da migliaia di persone, dopo un MPATSI, GOURUNIA, DOLOFONI (GUARDIE MAIALI ASSASSINI), lo slogan che dalla morte d’Alexis non ha mai smesso di rimbombare per le strade dell’ellade.
La piazza è stata territorio di guerra per molte ore, tanto che anche dentro la fermata della metropolitana sono stati lanciati moltissimi lacrimogeni e ancora non si riesce ad avere idea del numero di feriti.
La cosa che sembra apparire chiara è che la Grecia ha voglia di cambiare, ha voglia di prendere in mano il proprio futuro, ha voglia di parlare di RIVOLUZIONE.
Ha voglia di farla.

LA DEMOCRAZIA E’ NATA QUI E QUI LA SEPPELLIREMO!

REUTERS/John Kolesidis

Grecia, 10°sciopero generale. “Facciamo come a piazza Tahrir!”

23 febbraio 2011 Lascia un commento

Foto di Valentina Perniciaro _Il Cairo, piazza Tahrir, MAI PIU' COME PRIMA_

Trasformare Syntagma in Piazza Tahrir…avendo camminato e vissuto momenti indimenticabili in entrambe quelle piazze, non posso non sentire un brivido incredibile attraversarmi. Più di due anni fa durante gli scontri di Atene era difficile immaginare un Mediterraneo in questa situazione; tornata ora da una settimana per le strade che hanno vissuto le “giornate della rabbia” di piazza Tahrir mi sembra un po’ più possibile di prima. Che qualcosa si possa veramente muovere: che ci sia il desiderio esplosivo di migliaia e migliaia di persone, soprattutto giovani e giovanissimi, che hanno voglia di dire la propria in questo mondo di merda, voglia di scegliere, di autodeterminarsi, di essere parte attiva della propria vita e di quella della storia che abbiamo tra le mani.

Oggi le strade della Grecia hanno vissuto il decimo sciopero generale dall’inizio della crisi economica, pochi mesi fa: si è fermato il traffico aereo, i trasporti urbani, marittimi e ferroviari, uffici pubblici, scuole, ospedali, negozi, banche. Il paese è fermo, a braccia conserte, ancora una volta e con la proposta di alcune componenti della sinistra greca parlamentare e non di non lasciare Syntagma, la piazza di fronte al parlamento greco, fino alle dimissioni di Papandreou, come in Egitto!
La manifestazione ad Atene è stata da subito imponente; una delle più grandi tra le tantissime di questi mesi e sicuramente una delle più variegate per sigle e livello di rabbia.

Foto di Valentina Perniciaro, Il Cairo, piazza Tahrir _LA MISSIONE NON E' CONCLUSA_

La testa ha raggiunto Syntagma quando la coda del corteo doveva ancora iniziare ad incolonnarsi. Subito dopo l’arrivo nella piazza simbolo della protesta, la polizia e i reparti speciali hanno fatto largo uso di gas lacrimogeni per disperdere la piazza dove erano confluiti il corteo indetto dai sindacati e massicci gruppi e componenti del movimento studentesco ed anarchico. Si contano una quarantina di arresti fino a questo momento e un ragazzo rimasto colpito seriamente da un lacrimogeni, trasferito con urgenza in ospedale. Le cariche a Alexandras Avenue si avvalgono di numerosi gruppi di poliziotti in motocicletta, come spesso abbiamo visto ad Atene.

Anche a Salonicco migliaia di persone sono scese in piazza già da mezzogiorno riempiendo le strade e trovandosi quasi subito ad affrontare gli attacchi della polizia che ha tentato più volte di spezzare il corteo con granate assordanti e molti lacrimogeni. Dopo un pesante numero di arresti, il commissariato di polizia di Ano Polis è stato attaccato con bottiglie moltov, mentre gli scontri proseguono sulla strada principale.

Grecia: anche le autostrade sono in lotta!

12 gennaio 2011 Lascia un commento

Una notizia interessante viene dalla cittadina greca di Stylida, in rivolta contro l’arresto, avvenuto ieri, del suo sindaco Apostolos Gletos (rinviato poi a giudizio, a piede libero, nel corso di questa mattina). Ex attore, è salito alla ribalta in politica proprio dopo esser diventato simbolo del movimento contro i pedaggi autostradali, causa dell’arresto di ieri mattina e della solidarietà della sua cittadina.

REUTERS/Yiorgos Karahalis

La sorte di Stylida è la stessa di molte altre località greche, che non hanno alcuna alternativa all’autostrada per spostarsi dal proprio territorio: a Gletos è contestato proprio l’aver agito con alcune ruspe per aprire una strada gratuita ai suoi concittadini, e poter garantire il libero movimento delle persone senza il pagamento di esosi pedaggi. Nella giornata di domenica il Movimento per la liberalizzazione dei pedaggi autostradali ha occup.ato diversi caselli in tutti il paese sia contro gli aumenti sia contro l’isolamento di interi paesi, costretti alla rete autostradale per ogni minimo spostamento

Nel frattempo, dai palazzi, il premier greco Giorgio Papandreou ci “assicura” che il governo andrà avanti con il piano di risanamento e riforme, anche per quel che riguarda i trasporti pubblici. Lo conferma proprio oggi, alla vigilia dell’ennesimo fermo di 24 ore annunciato da tutti i lavoratori di metro, autobus e tram, da settimane in lotta e in continui scioperi. Lui continua a parlare di giusta ristrutturazione e razionalizzazione del trasporto pubblico nell’Ellade e preannuncia che il 2011 sarà un anno chiave per il cambiamento del paese che malgrado le dolorose misure prese “è rimasto in piedi”. Sembra una barzelletta, ma non lo è.

 

Terzo dicembre greco!

15 dicembre 2010 1 commento


Siamo a quota tre…è il terzo dicembre che piove benzina di molotov dai cieli greci, è il terzo dicembre che una generazione si scontra con la polizia, per ore ed ore, quasi quotidianamente.
Oggi è stato il settimo sciopero generale ravvicinato, una giornata campale per la piazza che ha ripetutamente attaccato la polizia dopo il voto in Parlamento che ha fatto passare la pesante manovra di austerity riguardante il mondo lavorativo del paese.

qui direbbero che è un infiltrato!

Tagli terrificanti sugli stipendi degli impiegati pubblici per una media del 26% , riduzione quasi totale degli indennizzi di licenziamento, l’allargamento delle forme di flessibilità:  il paese è veramente in ginocchio.
La piazza è bella, è forte, è travolgente, è così poco accondiscendente!!
Centomila persone hanno marciato oggi ad Atene e altre migliaia a Salonicco, con scontri anche in questa seconda città dove il bilancio delle 6 del pomeriggio parlava di un solo manifestante ricoverato per le ferite riportate e di 18 fermi.
Gli arresti di Atene invece, sono veramente tanti.
Oggi per Keratea, in Attica, è la terza giornata di proteste contro la costruzione di una nuova discarica : la rabbia dei cittadini oggi ha conquistato almeno un temporaneo stop dei lavori deciso dal tribunale del luogo. Un probabile contentino dato alla popolazione per non togliere agenti da Atene e cercare di calmare un po’ gli animi: la scorsa settimana i reparti anti-sommossa erano stati letteralmente spazzati via dalla gente del posto a colpi di bastoni, pietre e bottiglie molotov. Il giorno dopo alcuni spari dalle colline vicine si sono avvicinati ad alcuni agenti.

Come me piace ‘sta Grecia, sempre di più!

FRANCIA: lo sciopero infinito!

30 ottobre 2010 2 commenti

LO SCIOPERO INFINITO

originale in francese http://nantes.indymedia.org/article/22087
traduzione da http://www.urgence.splinder.com/
TRADUZIONE DI ANUBI D’AVOSSA LUSSURGIU (mooooolte grazie)

E’ qualcosa di scontato. Il Partito dell’Ordine spera, con tutte le sue forze, di farci tornare a casa. Sindacati e governo riusciranno ad accordarsi. Lassù, almeno. Essi contano senza dubbio sull’attrazione fatale che avrebbe per noi l’insidiosa percezione del vuoto nel quale abbiamo così perfettamente disimparato a vivere e a lottare. In questo si sbagliano. Noi non torneremo a casa; noi che non ci sentiamo a casa da nessuna parte. Se c’è un solo spazio che abbiamo sentito come abitabile, è all’interno dell’evento grazie al quale viviamo, nelle intensità che si disegnano. In funzione, soprattutto, dei mezzi che ci sapremo dare.  È qualcosa di scontato. Un processo insurrezionale si rinforza a misura che le evidenze le quali, ai suoi occhi, compongono la realtà, divengono impercettibilmente delle verità lampanti agli occhi di tutti. Se il capitalismo è una menzogna universale, la forma della sua negazione, inversamente, sarà quella di una pluralità di mondi, mescolati solidarmente alle verità che vi si legano.   Le parole attraverso le quali una situazione si rende leggibile a sé stessa ne determinano direttamente le forme e lo spirito. Le oggettivazioni forzate non possono arrivare a conoscerne che, al massimo, i suoi contorni indecisi. La diversità delle analisi, provengano esse dal lessico sociologico o da quello del radicalismo militante, propagano di concerto un’identica confusione: quella dell’apologia asmatica o del pessimismo interessato. A tutti loro manca quel minimo di senso tattico attraverso il quale un discorso trova una reale leggibilità, un vero Comune, il solo che possa liberare i possibili aperti dalla situazione. E anche di scartare come altrettanti fantasmi gli scoraggiamenti programmati. La lama di questa voce risiede nella scelta delle parole come nella positività del loro orientamento. Per elevare l’intelligenza strategica degli avvenimenti in corso un primo gesto si rivela necessario. Quello di situarsi, di orientarsi. Parlare da qualche parte: non da un semplice punto di vista, ma da un partito.

1. Fin dall’inizio, ed è uno dei suoi meriti, il movimento ha preso le cose alla radice. Blocco economico generalizzato, organizzazione deliberata di una paralisi totale, rifiuto dei compromessi e delle negoziazioni. Così ha reso semplicemente effettive delle parole d’ordine abitualmente condannate all’attesa angosciata o al simulacro. Lo sciopero si è materializzato dentro dei corpi, delle determinazioni. Ed è per questo che è potuto apparire come una vera minaccia. In questo il movimento, dal punto di vista delle pratiche sociali messe in campo, si situa al di là di un semplice movimento sociale. In questo esso partecipa già di un processo insurrezionale. Ecco il nostro punto di partenza.

2. Facciamo una constatazione: non resta niente, oggi, dell’antico movimento rivoluzionario. E mentre questa rivelazione sembra conficcarsi sempre più nei meandri di un cittadinismo soddisfatto, noi possiamo avere, in certi momenti, la sensazione di un vuoto. Questo vuoto, bisognerà abitarlo. E farne una possibilità.

3. Una singolare supersitizione affetta, in Francia, una grande maggiornaza di corpi per altro così rigidamente laici: la credenza, tanto tenue come apparentemente incrollabile, nella realtà del “movimento sociale”. La sua debolezza consiste in questo: è una credenza nella quale nessuno ha più fede. Essa non fa che logorarsi, di “vittoria” in “sconfitta”, di ripresa sporadica in rinuncia finale, per infine consumarsi del tutto. L’oggetto di questa credenza non è altro che l’eredità di un naufragio: quella del movimento operaio classico. Questo non è stato sconfitto dal Capitale, come ha sottilineato Mario Tronti, bensì dalla Democrazia. Non è stato vinto sotto la forma di un pericoloso oggetto esterno: la democrazia lo combatteva dall’interno. Questa illusione pesa in modo ancora più forte perchè non è riconosciuta, da noi che combattiamo.

4. Un movimento si definisce negativamente in funzione dei suoi limiti. Il suo terreno d’azione è infatti circoscritto da ciò al di là del quale non vuole andare. La sua finitezza programmata lo condanna a non essere altro che l’isterico scongiuramento di una fine prevista. La sua vita stessa è guidata da un’unica idea, quella di una fuga in avanti sempre più disperata per ritardarne la conclusione, che ne era il suo motore. La sua fine è spaventosa perché non è null’altro che la sua morte. Una temporalità separata dal corso della Storia. Non ha vocazione a durare. È sempre da riprendere, laboriosamente, dall’inizio, a partire dal nulla stesso. Partendo da qui, non potremo far altro che ricominciare sempre di nuovo e non apprendere mai niente. Poiché non  resta che niente. Chiusa la parentesi.

5. Ma la vera azione non resta sospesa alla tristezza di questo canovaccio, non vi è nessun “ritorno alla normalità”. Vi è, in compenso, la persistenza di un processo rivoluzionario, con le sue fasi di accelerazione e i suoi rallentamenti sotterranei. Agli occhi di tale processo non esiste che un solo tempo. Un tempo nel quale non si dimentica nulla di ciò che non è successo. Vi sono, dunque, due campi: da un lato, quello di coloro che hanno intenzione di mettere in atto uno sciopero totale, un blocco irreversibile della circolazione dei flussi, dall’altro, quello dei crumiri e degli sbirri. La totalità dello spazio sociale è sottoposta a questa crudele divisione.  6.È nella misura in cui uno sciopero riconosce di partecipare a tale processo che esso resta uno di quei rari momenti in cui persiste una trasmissione di esperienze. Non si vuole affatto commemorare delle lotte passate, bensì rammentarle: ovvero ricordarle di nuovo. E questo, non solo per la memoria stessa, ma per la noncuranza di un mondo indaffarato a organizzarne l’oblio.

7. Occorre prestare attenzione al fatto che il campo in cui si esprime una situazione non sia esso stesso minato. E questo è il nostro caso. Gesto preliminare: disertare quello spazio preparato in modo che una cosa, un evento, venga considerato in quanto cosa. Una cosa non è mai per sé. Poiché nulla esiste al di fuori dalla comprensione che ne abbiamo. Potrebbe accadere che, a forza di usarlo, il vocabolo stesso di “movimento sociale” non cerchi di designare nient’altro che una impotenza. Operazione semantica operata da un certo tipo di sociologia. Accettare ciò significa paralizzare ogni elaborazione strategica e ogni intelligenza collettiva. Il fatto è che la stessa sociologia è stata interamente socializzata. Questa inquina ogni discorso con la sua ossessione per il calcolo statistico. Permettendo così solo una laboriosa oggettivazione del reale in categorie deprimenti. Ma ciò che forma i nostri mondi resta irrimediabilmente fuori dalla sua portata. Le nostre amicizie, per la sociologia, non sono altro che valori aberranti. L’ignoto non verificabile delle loro equazioni. L’infinito di uno sciopero.

8. Saint-Nazaire. Dei cortei sindacali sfociano sistematicamente in scontri che durano molte ore. Delle sassaiole eroiche e delle barricate erette con estrema rapidità. “Sarkozy, te lo mettiamo in culo” intonano in coro. Allo stesso tempo un tribunale viene preso a sassate da gruppi di rivoltosi. Un amico allora disse: “È bello vedere una città sollevarsi contro la sua polizia.”

9.Il senso della vera lotta non è tra le classi, tra il Capitale e il Lavoro, ma tra partigiani raggruppati in funzione del loro culto patologico del lavoro o del loro semplice disgusto. Da ora in poi non vi sono che quelli che vogliono ancora lavorare e quelli che non lo vogliono più.

10. Un’inquietante omertà regna all’interno del movimento. Questa consiste in un disconoscimento di ciò che gli eventi in corso non smettono di mostrare: l’espressione di un doloroso rifiuto del lavoro. Occorre comprendere che la posta in gioco non è solo una protesta localizzata contro un prolungamento del tempo di lavoro ma una piena condanna di come, ovunque, viene vissuto il lavoro. Come una calamità. E quest’ultima getta sul lavoro un discredito senza equivoci. É l’ombra della morte quella che vediamo profilarsi. È questo “furto di energie” che ammalia coloro che ne sono vittima. Assistiamo all’agonia del mondo classico del Lavoro, un’agonia che trascina con sé la figura che vi si collegava, quella del Lavoratore. Rovinando così la confortevole intimità che questi era riuscito a stabilire con il suo stesso male. Nel momento in cui il lavoro è vissuto sempre più come un prolungato supplizio, degli specialisti ufficiosi cercano ancora di determinare la soglia oltre cui diventerebbe intollerabile.

11. La politica classica si è costruita su molteplici assiomi presentati, da lei stessa, come insuperabili. Il principio di governamentalità, ovvero l’organizzazione di un bisogno sociale in virtù del quale «occorre che le cose siano governate», senza il quale tutto ricadrebbe inevitabilmente nel caos. E poi c’è quello del lavoro che, come un ricatto, non afferma niente di più che «occorre vivere bene», senza condizioni e in qualsiasi modo. Riguardo a ciò, una stretta solidarietà unisce l’apparente diversità delle concezioni politiche e delle paure paniche che a queste si collegano. E che derivano, in fin dei conti, da una stessa antropologia anemica. Da un lato, il progetto cibernetico di una governance generalizzata, e dall’altro, l’ideale anarchico di un auto-governo paradisiaco. Mito del pieno impiego a favore di uno sviluppo durevole e favola autogestita di un lavoro libero, suddiviso in modo egualitario. Da una parte e dall’altra troviamo la stessa disposizione alla gestione manageriale di ciò che costituisce la vita, un identico accanimento nel reprimere la parte migliore dei nostri istinti. Un eguale obiettivo di regolazione disperata. Mobilitazione e  Precettazione Totale designano, con uno stesso movimento, l’ideale etico e pratico della militanza più contestataria e del potere che questa finge di combattere.

12. Ritorno di questo paradosso: la contestazione di una riforma resta la prerogativa dei riformisti più avanzati. Muoversi nel calcolo di un avvenire al punto di perdere ogni presente, ogni presenza. Schizofrenia, per esempio, dell’anarco-sindacalista che codifica, a partire dal presente, la posterità della rivoluzione, legiferando sul dopo. Ora, legiferare sul doposignifica già dimenticare il tempo dell’adesso. Vuol dire perdere l’invincibile necessità di un presente che ci manca e per il quale siamo in sciopero. Lo spessore di un tempo che non potrà essere ridotto alla banalità di una tabella cronologica. La prevedibilità di un avvenire sarà sempre in guerra con la destinazione invisibile di un presente. La programmazione di un futuro farà sempre rima con l’impossibilità di un qui ed ora. «Produrre del tempo libero» in favore di una migliore gestione del tempo di lavoro, ecco ciò che offre il più sospetto degli utopismi. Opporre una certa quantità di lavoro morto all’apertura di un possibile operarevivente non fa che gettare un po’ più di discredito sui fautori di questo ottimismo. Non esiste un lavoro qualitativamente diminuito da una sottrazione quantitativa della sua durata. Non esiste una durata del lavoro, poiché il lavoro è la durata, il tempo subìto.

13. Il discorso mediatico s’ingegna ormai a parlare dello sciopero come se si trattasse di una branchia della scienza metereologica. Ci s’inquieta della scarsità di benzina come dell’imminenza di una canicola; si evocano le sommosse dei liceali alla maniera di improvvise nevicate; si chiacchiera a proposito dello sciopero come si farebbe di precipitazioni problematiche. Così, come fanno tutti dopo la pioggia, ognuno impreca su queste previsioni. «Che ricada su chi fa i blocchi la furia popolare». Ma, ovviamente, non funziona. Presentare ogni sera, oltre l’instancabile bollettino d’informazione, tutto il “malcontento”, le “prese in ostaggio”, i “disperati della pompa di benzina”, come si trattasse di turisti prigionieri delle inondazioni in India o di minatori cileni persi nel fondo della miniera, si rivela essere una strategia molto precaria da parte del potere.

14. In un mondo in cui la circolazione dei flussi si estende a livello globale, il partito del blocco, che è del resto quello dell’insurrezione, non può logicamente sperare di vincere se non tesse, anche a livello globale, le solidarietà necessarie alla sua durata. Il suo campo d’azione non conosce limiti. Così come l’estensione e la portata delle sue pretese.

15. Barcellona, 29 settembre 2010. Una giornata di sciopero generale. Una giornata per dieci anni di rumoroso silenzio. Ciò che si pensava di aver accuratamente rinchiuso nel ghetto di un milieu «anti-sistema», al limite osservabile da una periferia sotto controllo, si risveglia, di nuovo si illumina, e finalmente si infiamma. Dieci anni di democrazia socialista alla fine non sono stati all’altezza di quarant’anni di fascismo. L’ordine che quel giorno è stato sabotato aveva in effetti l’aspetto irreale di un falangista impaurito. Tutti si sono ritrovati in strada, a forza di getti di pietre e di vetrine infrante. E quando la polizia è stata messa in fuga le risate e gli applausi la hanno quasi inseguita.

16. Di nuovo il risorgere dei casseurs. Non c’è nessuno, tuttavia, che potrà essere ancora ingannato da questa figura retorica. Tutto questo clamore non commuove più molta gente. Solo l’UNEF ( Unione nazionale dei sindacati degli studenti francesi) e l’Unione Francese dei Vecchi Combattenti gli si mostrano ancora sensibili. Di che si tratta, allora, oggi? Si potrebbe parlare di un certo ritorno, del nostro ritorno: ritorno della violenza operaia, ritorno della violenza dei ragazzi nelle strade, ritorno della violenza degli “anziani”, che tirano le pietre fuori dalle loro tasche per offrirle ai giovani come fosse un omaggio a quello che non hanno smesso di desiderare. Questa frase, di un vecchio uomo di Lione ai giovani rivoltosi che incontra: «vi diamo le pietre che non possiamo più lanciare». Tutto ciò che è stato così perfettamente dimenticato riappare oggi con la violenza del rimosso. La magia legata alla figura del casseur non sembra più molto efficace dal momento che il banlieusard, l’immigrato, l’anarchico, in breve colui che è al-di-fuori,non vuol dire più granché. Poiché di quale esteriorità, di quale margine si potrebbe seriamente discutere, in un mondo che non conosce più alcun fuori? La questione della violenza non si pone più: essa s’impone a tutti.

17. Infatti, le pratiche di rivolta che continuano a disseminare il movimento meriterebbero di essere riconosciute come un’altra forma, più specifica e più sorprendente, di blocco economico. Una paralisi completa dei centri delle città attraverso il susseguirsi incontrollabile di molteplici giornate di scontri e di saccheggi. I Groupes d’Intervention de la Police Nationale (GIPN) in armi, di fronte a folle disarmate. Da tutto ciò occorre imparare una lezione: la strategia del blocco economico non può dissociarsi in alcun modo dall’imperiosa necessità di annientare e/o di sconfiggere la totalità delle forze di polizia.

18. Non ci si pone mai solo all’interno di un movimento, ma anche in rapporto, di fronte e forse anche contro di esso. Contro quello che, al suo interno, mantiene un’inconsistenza. Il riflusso del suo vuoto e della sua disperazione. Si tratta di mettersi in contatto con le condizioni materiali e affettive che ci legano a questo mondo. Di rendere non solo impossibile ma anche indesiderabile ogni ritorno alla normalità. Per questo occorre costruire una cartografia di ciò che ci lega: flussi, poteri, affetti, logistica e approvvigionamento. Acquisire, sul filo delle amicizie cospirative, i saperi insurrezionali attraverso cui sconfiggeremo questo mondo. Abbiamo appena appreso le prime lettere dell’abecedario della sedizione. Sappiamo come paralizzare le raffinerie, i depositi petroliferi, le autostrade, i porti. Lasciar riempire le strade di rifiuti per farne delle barricate. Rompere le vetrine che riflettono la nostra assenza. Le domande che si impongono potrebbero dunque essere: come bloccare, definitivamente, le centrali nucleari? Come convertire lo sciopero in diserzione? Come nutrirsi, curarsi, amarsi, senza lasciare questo mondo in pace.

“La sola salvezza per i vinti è quella di non aspettarsi nessuna salvezza”
Francia, 27 ottobre 2010

Grecia: carcere per chi non rispetta la precettazione

29 settembre 2010 1 commento

Siamo proprio alla frutta nell’Ellade.

AP Photo/Petros Giannakouris

Il governo greco oggi ha usato la mano pesante; proprio nel giorno dell’ennesimo sciopero che ha paralizzato il paese, è stato approvato un DDL che prevede fino a cinque anni di carcere per chi rifiuti di obbedire all’obbligo di precettazione.
Un disegno di legge tutto dedicato alla categoria degli autotrasportatori che da settimane bloccano il paese con le loro manifestazioni,  gli incolonnamenti alle porte della citta e il continuo blocco del centro di Atene. L’ennesima rivoluzione legislativa che devasta i diritti dei lavoratori e mina le forme di lotta delle categorie in sciopero. I camionisti sono in sciopero da 16 giorni contro la liberalizzazione del settore: la loro protesta ormai sta creando ingenti danni all’industria, al commercio e anche alla normale distribuzione di benzina e generi alimentari.
L’articolo di legge, celato dietro un ddl sull’evasione fiscale, che verrà votato entro domani, prevede un minimo di tre anni e tre in caso di recidiva per chiunque violi l’ordine di precettazione: a tutto ciò è inclusa la revoca della licenza. Vedremo domani come reagirà la categoria, che già s’è scontrata ripetutamente con le forze dell’ordine greche davanti al parlamento greco e a Salonicco

Ancora Atene bloccata dai camionisti in lotta: corrispondenza

22 settembre 2010 Lascia un commento

La risposta degli autotrasportatori greci non s’è fatta attendere.
Già in presidio per tutta la notte davanti al parlamento, hanno aspettato sul piede di guerra il voto di questa mattina della legge sulle liberalizzazioni del loro settore, approvata in tarda mattinata in un’aula quasi completamente deserta (erano presenti 99 deputati su 300) .

REUTERS/Yiorgos Karahalis

Foto REUTERS/Yiorgos Karahalis

Dopo aver bloccato le principali arterie del Paese, questa mattina i camionisti dell’Ellade, in una giornata già scossa dalla paralisi creata dallo sciopero dei ferrovieri, hanno assediato il Parlamento ateniese scontrandosi ripetutamente con le forze dell’ordine e rispondendo attivamente al fitto lancio di lacrimogeni.
Ancora intorno al Parlamento gli autotrasportatori stanno aspettando l’arrivo del corteo dei ferrovieri che si unirà alle loro proteste contro il piano di austerità del governo, che sta piegando da mesi il paese.
Anche a Salonicco le mobilitazioni stanno paralizzando la mobilità con una lunga fila di camion che si sta dirigendo verso il centro città.

In mattinata, dai microfoni di Radio Onda Rossa, un piccolo approfondimento sulla situazione greca in vista del prossimo sciopero generale, confermato ieri pomeriggio.

Quarto sciopero generale in Grecia. Arresti ad Exarchia

20 Maggio 2010 3 commenti

Arresti a “scopo preventivo”, questo ha dichiarato la polizia greca mentre teneva sotto assedio l’intero quartiere di Exarchia e il Politecnico. Sgomberati due spazi sociali: il Nosotros Social Centre e la sede dell’archivio anarchico.
Tutto il quartiere è ancora sotto assedio e nessuno può raggiungere l’enorme corteo che sta attraversando la città.
Si perchè oggi è un’altra mastodontica giornata di sciopero generale in Grecia, un rabbioso sciopero di 24 ore, il quarto in pochi giorni. Migliaia di persone stanno marciando ad Atene e Salonicco per chiedere la cancellazione della riforma delle pensioni.
Tante le iniziative e i cortei che stanno attraversando la giornata: alcuni componenti del sindacato comunista Pame hanno occupato da questa mattina il ministero del lavoro: poi i cortei.
Il Pame da Piazza Omonia è stato l’unico a rimanere fuori dall’altra grande piazza dominata dallo striscione d’apertura “INSIEME, POSSIAMO” e destinata a raggiungere Syntagma, la piazza del Parlamento.
A questo grande corteo hanno confluito i dipendenti pubblici dell’ADEDY e quelli del settore privato della GSEE, oltre che all’intero movimento che da più di un anno e mezzo inonda Atene costantemente.
Tutti sono fermi, ancora una volta: traffico marittimo, ferroviario, stradale interurbano, e parzialmente quello urbano e aereo per le isole. Gli unici che questa volta non hanno aderito sono i controllori che permetteranno i voli internazionali.
Ora tutti assediano il Parlamento: un mare di persone ancora una volta a fronteggiare il Parlamento e i suoi servi in divisa, ancora una volta.
Nel frattempo molti resistono ad Exarchia e nel Politecnico dove sono stati effettuati già 98 arresti: dalle pagine di Occupiedlondon leggiamo che anche ieri c’erano stati scontri con la polizia in quella zona.

Comunicato dell’assemblea anarchica sui 3 morti nella filiale di Banca incendiata!

8 Maggio 2010 Lascia un commento

Dichiarazione degli Squat Skaramanga e Patision in Atene sulla morte dei tre impiegati della Marfin Bank

*Gli assassini “piangono” le loro vittime*
(sulla tragica morte oggi di tre persone)

Gourouni

La manifestazione per lo sciopero generale che si è svolta oggi, 5 maggio, si è trasformata in un’esplosione sociale di rabbia. Almeno 200.000 persone di tutte le età si sono riversate nelle strade (impiegati e disoccupati, nel settore pubblico o in quello privato, locali o migranti) cercando, durante diverse ore e in ondate consecutive, di circondare e assaltare il Parlamento. Le forze di repressione sono arrivate a gran regime, per giocare il loro solito ruolo – che è quello di proteggere le istituzioni politiche e finanziarie. Lo scontro è stato lungo ed intenso. Il sistema politico e le sue istituzioni hanno raggiunto il culmine.
Comunque, in mezzo a tutto ciò, un tragico evento, che nessuna parola può descrivere efficacemente, è accaduto: 3 persone sono morte nell’agenzia della Marfin Bank di Stadiou Avenue, che è stata data alle fiamme.

Lo stato e tutto il tam-tam mediatico, con nessun rispetto verso la morte dei loro prossimi, parlano fin dai primi momenti dei “giovani assassini incappucciati”, cercando di approfittare del momento per calmare l’ondata di rabbia sociale che era esplosa e di recuperare l’autorità che era stata strappata; per imporre ancora un volta l’occupazione poliziale delle strade, per estirpare le fonti di una resistenza sociale e di una disobbedienza contro il terrorismo di stato e la barbarità del capitalismo. Per questa ragione, nel corso delle ultime ore, le forze di polizia hanno marciato attraverso il centro di Atene, hanno arrestato centinaia di persone e devastato – con spari e flash-grenades – le occupazioni anarchiche “Spazio di azione unita multiforme” di Zaimi Street e il “ritrovo dei migranti” di Tsamadou Street, causando danni elevati (entrambi i posti sono nel quartiere di Exarchia ad Atene). Allo stesso tempo, la minaccia di un violento sgombero cade sul resto degli spazi auto-organizzati (occupazioni e ritrovi) dopo il discorso del Primo ministro, che parla dei prossimi raid per arrestare gli “assassini”.

Fuoco al Parlamento

I governi, gli ufficiali del governo, il loro personale politico, quelli che parlano in televisione, gli scribacchini salariati, cercano in questo modo di purificare il loro regime criminalizzando gli anarchici e ogni voce di lotta non patronalizzata. Come se chi ha attaccato la banca, chiunque esso sia (ammettendo che regga lo scenario ufficiale), abbia potuto essere minimamente a conoscenza della presenza di persone all’interno, e abbia comunque deciso di appiccare il fuoco. Sembra che stiano confondendo le persone in lotta con loro stessi: loro, che senza esitazione conducono l’intera società alla più profonda depredazione e schiavitù, che ordinano ai loro pretoriani di attaccare senza esitazione e di sparare con l’intenzione di uccidere, loro che hanno portato al suicidio tre persone per debiti finanziari solo nelle scorse settimane.
La realtà è che il vero assassino, il vero istigatore delle tre tragiche morti di oggi, è il “signor” Vgenopoulos, che ha usato il solito sistema per ricattare gli impiegati (la minaccia di licenziamento), e forzato così i suoi impiegati a lavorare nelle filiali delle sue banche durante un giorno di sciopero generale – e addirittura in una agenzia come quella di Stadiou Avenue, dove la manifestazione sarebbe passata. Questo tipo di intimidazione è perfettamente conosciuta da chiunque abbia avuto esperienza con il terrorismo della schiavitù salariata di ogni giorno. Stiamo aspettando quali scuse tirerà fuori Vgenopoulos per i familiari delle vittime e per la società intera – alcuni potenti suggeriscono che questo ultra-capitalista sarà il prossimo Primo Ministro, in un futuro “governo di unità nazionale”, dopo il completo collasso politico del sistema attuale che stà per arrivare.

Se uno sciopero senza precedenti può essere considerato assassino…
Se una manifestazione senza precedenti, in una crisi senza precedenti, può essere considerata assassina…
Se gli spazi sociali aperti che sono vivi e aperti possono essere considerati assassini…
Se lo stato può imporre un coprifuoco e attaccare i manifestanti con il pretesto di arrestare degli assassini…
Se Vgenopoulos può trattenere gli impiegati dentro la sua banca – che è un nemico sociale primario e un obiettivo per i manifestanti…

…è perchè l’autorità, questo serial-killer, vuole massacrare da quando è nata, una rivolta che mette in discussione la supposta soluzione di un attacco sempre più duro [del governo] nei confonti società, di una sempre più larga depredazione da parte del capitale, di un succhiare sempre più assetato del nostro sangue.
…è perchè il futuro della rivolta non include politicanti e capi, polizia e media di massa.
…è perchè dietro alla sua molto pubblicizzata “soluzione unica”, c’è una soluzione che non parla di livelli di sviluppo e disoccupazione, ma invece di solidarietà, auto-organizzazione e relazioni umane.

Quando si chiedono chi sono gli assassini della vita, della libertà, della dignità, i fermenti dell’autorità e del capitale, loro e i loro cacciatori devono solo guardare in faccia a se stessi. Oggi e ogni giorno.
*GIU’ LE MANI DAGLI SPAZI SOCIALI LIBERI*
*SONO LO STATO E I CAPITALISTI GLI ASSASSINI, I TERRORISTI E I CRIMINALI*
*TUTTI IN STRADA*
*RIVOLTA*

dall’assemblea aperta della sera del 05/05/2010
Per la versione originale questo è il link

“Smettetela”…da un dipendente della banca incendiata ad Atene dove sono morte 3 persone

6 Maggio 2010 Lascia un commento

Sento l’obbligo, riguardo i miei colleghi che sono morti ingiustamente oggi, di parlare chiaro e di dire delle verità oggettive. Sto inviando questo messaggio a tutti i media. Qualcuno che mostri ancora un po di coscienza potrebbe pubblicarlo. I restanti possono continuare a tenere gioco al governo.

I pompieri non hanno mai rilasciato alcuna licenza operativa per l’edificio in questione. L’accordo per operare era sottobanco, come praticamente succede per ogni azienda e compagnia in Grecia.
L’edificio in questione non ha nessun meccanismo di sicurezza anti-incendio, nè pianificati nè istallati, non ha spruzzatori a soffitto, uscite d’emergenza o idranti. Ci sono solo degli estintori che, naturalmente, non possono essere d’aiuto quando hai a che fare con incendi estesi in un edificio che è stato costruito con standard di sicurezza ormai obsoleti.
Nessuna filiale della banca Marfin ha membri dello staff addestrati per casi di incendio, e nemmeno all’uso dei pochi estintori presenti. La dirigenza usa addirittura come un pretesto l’alto costo di un simile addestramento e non prende le misure basilari per proteggere il suo staff.
Non c’è mai stata una singola esercitazione di evacuazione in nessun edificio da parte dei lavoratori, nè c’è stata alcuna sessione di addestramento da parte dei pompieri per dare istruzioni su come comportarsi in situazioni come queste. Le uniche sessioni di addestramento che hanno avuto luogo alla Marfin Bank riguardano scenari di azioni terroristiche e specificatamente la pianificazione della fuga dei dirigenti della banca dai loro uffici in situazioni del genere.

L’edificio in questione non ha speciali stanze per ripararsi nei casi di incendio, nonostante la sua struttura sia veramente vulnerabile in simili circostanze e nonostante fosse riempita di materiali dal pavimento al soffitto. Materiali che sono molto infiammabili, come carta, plastica, cavi, mobili. L’edifcio è oggettivamente non idoneo ad ospitare una banca proprio a causa della sua costruzione.

come corre.... __AFP PHOTO / ARIS MESSINIS__

Nessun membro della sicurezza ha alcuna conoscenza di primo soccorso o di spegnimento di incendi, nonostante siano praticamente sempre incaricati della sicurezza dell’edifcio. Gli impiegati della banca devono trasformarsi in pompieri o security in base ai capricci del signor Vgenopoulos [padrone della banca].
La dirigenza della banca ha diffidato gli impiegati dall’andarsene oggi, nonostante lo abbiano persistentemente chiesto autonomamente fin da questa mattina presto – mentre hanno anche costretto i dipendenti a bloccare le porte e hanno più volte confermato al telefono che l’edificio sarebbe rimasto chiuso tutto il giorno. Hanno anche bloccato l’accesso a internet per evitare che gli impiegati comunicassero con il mondo esterno.
Da diversi giorni c’è stato un completo terrorizzare gli impiegati riguardo alle mobilitazioni di questi giorni con la “proposta” a voce: o lavori o sei licenziato!
I due poliziotti in borghese che sono in servizio nella filiale in questione per prevenire eventuali rapine non si sono fatti vedere oggi, nonostante la dirigenza della banca abbia verbalmente assicurato agli impiegati che sarebbero stati presenti.

E per concludere, signori, fate dell’autocritica e smettetela di delirare fingendo di essere scioccati. Voi siete responsabili di quello che è successo oggi e in ogni stato legittimo (come quelli che vi piace citare di tanto in tanto come esempio da seguire nei vostri show televisivi) sareste stati già arrestati per le questioni di cui sopra. I miei colleghi oggi hanno perso le loro vite per cattiveria: la cattiveria della Marfin Bank a del signor Vgenopoulos che ha affermato esplicitamente che chiunque non sarebbe venuto al lavoro oggi [giorno di sciopero generale] avrebbe fatto meglio a non presentarsi al lavoro domani.

Un dipendente della Marfin Bank

Tre morti ad Atene, un dramma che si doveva evitare

5 Maggio 2010 2 commenti

Tornata da poco dai dirupi e non per questo il cuore non è stato tra le strade di Atene, Salonicco e tutti i municipi.
Oggi altro giorno di sciopero generale e la Grecia sta letteralmente bruciando.
Il paese è bloccato, ma la notizia giunta da poco è pesante…pesante per chi è sempre stata dalla parte del “fuoco”.
Tre morti, tre corpi carbonizzati sono stati ritrovati all’interno di una banca di Atene…
era stata attaccata poco prima da un gruppo di manifestanti che ha lanciato molotov.
Un fatto di una gravità che ha un peso importante e che lo avrà sulle piazze greche, in rivolta contro un piano di austerità che ha dell’inimmaginabile.
Tre morti peseranno molto sui compagni, sulle piazze di lavoratori, precari, studenti e migranti.
Non ci voleva, non ci voleva: fuoco ai MAT, fuoco alla polizia, fuoco allo Stato!

Contro ogni forma di segregazione e gerarchia

26 aprile 2010 Lascia un commento

L’assemblea dei rivoltosi dell’isola di Salamina e dei quartieri  di Perama, Keratsini, Nikaia, Koridallos e Pireo ha fatto un volantino/manifesto veramente interessante sulla crisi. Poche parole, che fanno però capire molto bene il livello di conflitto che si aggira per le strade della Grecia: si parla di crisi e dei suoi responsabili, si parla di crisi inevitabile se si continua con il mantenimento di questo tipo di sistema.
Le loro proposte? Scioperi, solidarietà, occupazioni, sabotaggio, espropri e mutuo soccorso.
Chiari e tondi! 😉

The (financial) crisis shall become their crisis once we play with a full deck of playing cards
The crisis is not a natural disaster that simply happens; the crisis is the outcome of the choices of all those who want to maintain this system, in which we are exploited, repressed and governed. Their proposals on how to come out of the crisis do not differ from suggestions on how the existing situation could be reinforced and take root. Our propositions can be nothing less than strikes and solidarity, occupations and sabotage, expropriations and mutual help… in order to create the world that we choose for ourselves, against all kinds of segregations and hierarchy.

Assembly of the revolted in (the island of ) Salamina, (and the neighborhoods of) Perama, Keratsini, Nikaia, Koridallos, Piraeus

Lambros Foundas: altro compagno ucciso dalla polizia greca

12 marzo 2010 Lascia un commento

LA POLIZIA GRECA HA UCCISO ANCORA.

ANCORA UNA VOLTA IL PIOMBO GRECO HA COLPITO E L’HA FATTO TRA I COMPAGNI…UCCIDENDO UN ANARCHICO DI 35 ANNI DI NOME LAMBROS FOUNDAS.
IL FATTO E’ ACCADUTO NEL SOBBORGO DI DAFNI, NELLA ZONA MERIDIONALE DELLA CAPITALE GRECA: LA POLIZIA HA IMMEDIATAMENTE FATTO SAPERE CHE LAMBROS ERA UN “TERRORISTA”, COLPITO MENTRE TENTAVA DI RUBARE UNA MACCHINA; SECONDO LA VERSIONE DELLA POLIZIA  ERA ARMATO ED E’ STATO UCCISO DURANTE UN CONFLITTO A FUOCO
ERA UNO DEI 500 ANARCHICI TRATTI IN ARRESTO AL POLYTECNICO NEL 1995.
SONO ANCORA MISTERIOSAMENTE POCHISSIME LE NOTIZIE A RIGUARDO.

NEL FRATTEMPO, COME HANNO SCRITTO/DETTO ANCHE TUTTI I

Che favola!

MAINSTREAM, LO SCIOPERO GENERALE DI IERI -TERZO IN UN MESE- E’ PERFETTAMENTE RIUSCITO BLOCCANDO INTERAMENTE IL PAESE.
ENORMI SONO STATE LE MANIFESTAZIONI SOPRATTUTTO QUELLA CHE HA RAGGIUNTO IL CENTRO DI ATENE, COMPOSTA DA PIU’ DI 50.000 PARTECIPANTI.
DIVERSI MOMENTI DI TENSIONI CON SCONTRI TRA ANARCHICI E FORZE DELL’ORDINE, CON LA DISTRUZIONE DI MOLTE VETRINE E L’USO DI BOTTIGLIE MOLOTOV. SCONTRI SONO PROSEGUITI ANCHE DOPO LE MANIFESTAZIONI NELLA ZONA DELL’UNIVERSITA’ E NEL QUARTIERE DI EXARCHIA.

Sciopero generale in una Grecia piegata dalla crisi …

25 febbraio 2010 Lascia un commento

Ancora una volta un paese paralizzato e titoli che parlano di “anarchici”, di giovani facinorosi che fanno a botte con la polizia. In realtà è un paese allo sfascio, è un paese incazzato nero da mesi e mesi … che è arrivato alla crisi totale, alla banca rotta, alla svendita al miglior offerente.

Ieri era il giorno del grande sciopero generale indetto per urlare contro questa crisi che rischia di esser pagata solo dai lavoratori, dai cittadini, dagli studenti, dai migranti, non ovviamente dai padroni. I numeri della crisi lasciano senza parole e l’Europa sembra muoversi a rilento nel cercare di trovare una soluzione: si diceva che i paesi dell’Unione fossero pronti a stanziare circa 25 miliardi di euro per le vuotissime casse greche, ma non è rimasta che una voce. Tornare alla dracma, dopo averla svalutata? Si parla anche di questo mentre le piazze scoppiano e i lavoratori incrociano le braccia.

Ieri s’è fermato tutto: chi è sceso in piazza sa benissimo chi deve pagare la crisi, sa benissimo di vivere in un paese piegato da speculatori, da politici incompetenti e collusi (non ci fa pensare proprio a nulla tutto ciò a noi italiani, noi siamoimpegnati a far battaglie per “carcerare” i politici, non per “liberare” gli sfruttati). Ad Atene la manifestazione è stata imponente: più di 40.000 persone hanno occupato le strade della città contro le politiche anti-deficit del governo. A Syntagma sono iniziati gli scontri con uno spezzone di circa trecento manifestanti, che hanno attaccato la polizia con pietre e bottiglie molotov, in risposta alle pesanti cariche dei reparti speciali e al fitto lancio di lacrimogeni e spray urticanti.
Si parla di una sola ragazza in stato di fermo, che avrà un direttissima nel corso della giornata.(proveremo ad avere aggiornamenti a riguardo)

Oltre alle mobilitazioni per lo sciopero generale, le organizzazioni studentesche, il blocco anarchico e altre organizzazioni avevano un secondo appuntamento pomeridiano in piazza Amerikis: una manifestazione Antifascista e Antirazzista in un quartiere che sta subendo (dopo anni di pacifica convivenza con molte comunità migranti da), oltre ad un incremento costante della repressione poliziesca,  costanti attacchi da parte dei gruppi di estrema destra.
Ma poi nel leggere il volantino di convocazione si realizza immediatamente quanto il reale nemico sia lo Stato, più che di melma fascista, spesso solo utile strumento per propagandare odio e bisogno di “ordine” : è lo Stato a far la guerra ai migranti con le nuove leggi di cittadinanza. Lo Stato, ora con le poltrone occupate da un fantomatico partito di sinistra come il Pasok, a mandare avanti politiche di emarginazione sociale, di esclusione, di allontanamento dalla comunità per tutti i migranti. Uno Stato che, a braccetto con le politiche europee, demarca con sempre più netta violenza il confine tra legale e illegale: quello che può restare e quello che deve sparire.

Chi ha tentato di raggiungere Piazza Amerikis è stato bloccato da fitti cordoni della polizia e dei reparti speciali che hanno bloccato qualunque accesso alla marcia anti-razzista e anti-fascista, dichiarando “non autorizzata” qualunque genere di manifestazione. E così ancora scontri, per poi convergere verso i giardini di Patision…

Anche a Salonicco la giornata è stata estremamente calda: grandi mobilitazioni e anche in questo caso scontri con la polizia, che ha violato l’asilo universitario per l’ennesima volta!

La Questura vieta il corteo dell’11 dicembre da P.le Aldo Moro

9 dicembre 2009 Lascia un commento

IL COMUNICATO DELLA SAPIENZA:
E’ di oggi la notizia che la Questura di Roma ha revocato l’autorizzazione del corteo indetto da tutto il mondo della formazione per l’11 dicembre. Partendo da piazzale Aldo Moro, passando per piazzale della Repubblica saremmo dovuti arrivare fin sotto il Ministero dell’Istruzione. Un corteo che in continuità con le mobilitazioni autunnali e con l’assemblea del 20 novembre, vuole rinnovare l’opposizione ai processi di trasformazione di scuola e università, dal D.D.L. Gelmini al D.D.L. Aprea, rivendicando un nuovo welfare per i soggetti precari e in formazione.

Ancora una volta, in tempo di crisi, si vuole limitare la libertà d’espressione e il diritto al dissenso, attraverso l’imposizione di un protocollo amministrativo, valido, quindi, solo per le parti contraenti. Ancora una volta viene agito il tentativo di limitare il protagonismo dei soggetti della formazione, studenti, ricercatori, insegnanti e genitori, che rifiutano di pagare una crisi che non hanno prodotto.
In un paese a democrazia bloccata crediamo invece sia fondamentale rivendicare il nostro diritto a manifestare, contro i processi di dismissione di scuola e università, contro ogni forma di precarizzazione del nostro lavoro e delle nostre vite. Per questo venerdì, in occasione dello sciopero dei lavoratori della conoscenza attraverseremo le strade della città riprendendoci la libertà d’espressione e il diritto a manifestare.

STUDENTI, PRECARI E LAVORATORI DELLA CONOSCENZA

CON VOI! Continua lo sciopero/occupazione della Ssangyong

27 luglio 2009 Lascia un commento

L’occupazione della fabbrica della compagnia automobilistica Ssangyong da parte dei suoi 800 dipendenti e’ 

entrata nel terzo mese.

I lavorati sud coreani in sciopero

I lavorati sud coreani in sciopero

La lotta si sta inasprendo con scontri giornalieri tra i lavoratori da una parte, dentro le aree occupate,

e polizia anti sommossa e milizie di destra dall’altra che tentano di sgombrare l’occupazione.

Una nuova tattica dalla polizia è l’uso di elicotteri che mentre sorvolano gli stabilimenti, bombardano i 

lavoratori con gas lacrimogeni ed altri prodotti chimici che bruciano la pelle al contatto.

La confederazione sindacale KCTU ha chiamato per uno sciopero generale a tempo indeterminato,
chiedendo azioni di solidarietà in tutto il mondo. I cortei e le marcie di simpatizzanti 

che tentano di rompere l’assedio della polizia sono oramai iniziative giornaliere.
Per fermare questi tentativi, la presenza della polizia è stata aumentata e si stima che adesso intorno alla fabbrica ci siano fino a 6.000 poliziotti anti sommossa.

Anche se la situazione dentro gli stabilimenti occupati è diventata durissima a causa della scarsità 

di cibo, acqua, e il continuo aumento nel numero di feriti, i lavoratori non danno segno di voler cedere.

Questo sciopero/occupazione è diventato una prova di forza cruciale tra il governo e il padronato 

contro i lavoratori.


A QUESTO LINK UN FANTASTICO REPORTAGE DI QUESTE GIORNATE!


Marce xenofobe in Israele contro la popolazione arabo-israeliana: che si incazza e si difende la città

25 marzo 2009 1 commento

Foto di David Silverman _Getty Images_  

Foto di David Silverman _Getty Images_

 

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Foto Getty Images _la marcia xenofoba inizia, i tetti brulicano di manifestanti_

Parlavamo, appena due giorni fa, di come s’era spostata verso l’estrema destra xenofoba e confessionale l’asse della politica israeliana. Politica non solo di palazzo, dopo le elezioni di febbraio e gli accodi per il governo di coalizione che da ieri procedono a passo di carica; anche politica di strada, con una manifestazione organizzata dall’estrema destra israeliana, ad Umm al-Fahm (città israeliana, importante centro arabo, situata nel distretto di Haifa, con una popolazione di 45.000 persone, la maggiorparte arabo-israeliani).
Una manifestazione che era stata più volte rinviata per i rischi sulla sicurezza, ma poi autorizzata dalla Corte Suprema, che aveva come obiettivo quello di ribadire la sovranità israeliana della città. Dalle stampa internazionale leggiamo la dichiarazione di Michael Ben-Ari, esponente del partito di estrema destra Unione Nazionale (appena eletto alla Knesset): “Se non isseremo la nostra bandiera a Umm al-Fahm, un giorno avremo uno Stato palestinese che arriverà fino a Tel-Aviv”.
Una marcia vera e propria per provocare la popolazione araba residente all’interno dei confini dello stato ebraico: manifestazione composta da militante provenienti soprattutte dalle colonie israeliane di Hebron (la zona caratterizzata da sempre dagli scontri più feroci tra coloni e popolazione palestinese) e del resto della Cisgiordania. Umm al-Fahm oltre ad essere roccaforte araba lo è anche del partito comunista, tanto che alla contro manifestazione annunciata e violentemente voluta da tutta la popolazione della città, si sono uniti attivisti israeliani appartenenti alla sinistra e al partito comunista. Immediatamente, per poter permettere a tutta la popolazione di partecipare alla contro-protesta, per evitare che la marcia potesse entrare in città, è stato dichiarato uno sciopero generale che ha avuto una partecipazione totale.

Foto di Awad _Getty Images_

Foto di Awad _Getty Images_

La provocazione è scoppiata immediatamente in scontri con i 3000 poliziotti anti-sommossa schierati a difendere le fila fasciste della manifestazione. Poco, molto poco è durata la marcia, all’incirca una mezzora, sufficiente a far scoppiare poi ore ed ore di duri scontri iniziati con un fitto lancio di oggetti dalle strade e dai tetti della città, contro la marcia sionista che avanzava sventolando decine di bandiere con la Stella di Davide. Lancio che come risposta ha ricevuto idranti, granate assordanti ed urticanti che hanno causato 16 feriti tra i manifestanti,15 tra i poliziotti schierati e l’arresto di tre manifestanti (arabi, ovviamente). David Cohen, rappresentante della Polizia israeliana ha dichiarato di aver reagito in difesa della democrazia. Gli scontri sono terminati dopo che diversi agenti hanno riportato ferite a causa del lancio di oggetti e dopo l’uso di vari mezzi per disperdere la manifestazione”.
L’estrema destra che ha marciato è la stessa che sta formando il governo di coalizione che tra una decina di giorni prenderà le redini del potere politico e militare nello stato israeliano: il probabile ministro degli esteri Avigdor Lieberman (un vero e proprio nazista dichiarato, fondatore del partito Yisrael Beitanu) ha già proposto l’obbligatorietà di un giuramento di “lealtà” allo Stato ebraico per tutti gli abitanti di etnia araba. Anfibi sempre più neri marciano sulla terra degli ulivi, sulla terra di Palestina

Foto di Uriel Sinai/Getty Images

Foto di Uriel Sinai/Getty Images

SI VIENE A SAPERE DA POCO DEL FERMO DI 22 ARABI-ISRAELIANI CHE AVEVANO PARTECIPATO AGLI SCONTRI DI IERI CONTRO LA MARCIA XENOFOBA ORGANIZZATA ALLE PORTE DELLA CITTA’ UMM AL-FAHM. ACCUSATI DI AVER FOMENTATO GLI SCONTRI

Ma quale sciopero virtuale!

27 febbraio 2009 1 commento

L’ATTACCO AL DIRITTO DI SCIOPERO E’ UN ATTACCO ALLA DEMOCRAZIA

Con le nuove norme previste dal Governo sul diritto di sciopero si sta andando rapidamente verso un nuovo e pericolosissimo capitolo del più 
vasto tema della limitazione delle libertà sindacali e costituzionali, della democrazia nel mondo del lavoro e nella società.
Dietro un linguaggio formalmente tecnicistico, presentato come un intervento per il solo settore trasporti, il governo predispone la legislazione per gestire la fase attuale e futura di grave crisi economica e le conseguenti risposte dei lavoratori al tentativo di farne pagare a loro il costo.
Ciò è confermato dal fatto che il governo ha annunciato norme che dovrebbero impedire di bloccare strade, aeroporti e ferrovie, forme di lotta utilizzate da tutti i lavoratori in casi particolarmente drammatici.

Foto di Valentina Perniciaro _Napoli, Marzo 2001 Lo spezzone dei COBAS_

Foto di Valentina Perniciaro _Napoli, Marzo 2001 Lo spezzone dei COBAS_

L’attacco al contratto nazionale, le nuove norme che si intendono introdurre sulla rappresentatività sindacale, la nuova concertazione tra governo,  confindustria e sindacati confederali che si è trasformata in una vera e propria alleanza neocorporativa, sono elementi finalizzati ad impedire le  rivendicazioni e la difesa dei diritti dei lavoratori.
Ciò avviene proprio quando più grave è la crisi economica, più pesanti le conseguenze per i  lavoratori e maggiore la necessità di risposte determinate.
Lo scopo del governo è quello di imporre per legge la pace sociale, vietando e criminalizzando il diritto di sciopero. Di ridurre al silenzio i lavoratori  mentre si celebrano i misfatti nel settore dei trasporti – Fs , Tirrenia,  Alitalia – con migliaia di esuberi, di messa in mobilità, di licenziamenti e il relativo aggravio sulla qualità del servizio e dei costi 
UN COLPO DI MANO CHE VA SVENTATO SUL NASCERE , INSIEME A TUTTI I TENTATIVI  PROTESI A METTERE AL BANDO LA COSTITUZIONE E I DIRITTI FONDAMENTALI. 
Illegittima e autoritaria l’ipotesi di consegnare lo sciopero, che è un diritto individuale sancito

Vincent Van-Gogh

Vincent Van-Gogh

dalla Costituzione, alla disponibilità gestionale  di sindacati che rappresentino il 50% dei lavoratori; assurdo perché in molte aziende la sindacalizzazione non arriva neanche al 50%. Nonché il referendum preventivo che tende a dilazionare e snaturare l’azione di sciopero, già oggi estremamente contrastata dalle limitazioni della Commissione di Garanzia e dai ripetuti divieti del governo. Altrettanto improponibile è l’adesione preventiva allo sciopero, un non senso giuridico che prevederebbe l’impossibilità del singolo di poter mutare il proprio atteggiamento rispetto ad un’azione sindacale indetta. Inaccettabile infine la forma di lotta virtuale che di fatto elimina il diritto di sciopero ed assegna alle parti la capacità/volontà di individuare la “penale” per l’azienda in caso di “sciopero lavorato”, mentre ai lavoratori si ritira l’intera giornata di lavoro: quindi la perdita secca della giornata per il lavoratore ed una impercettibile riduzione dei profitti per l’azienda.

A questo ennesimo tentativo di eliminare il diritto di sciopero rispondiamo con la mobilitazione immediata contro governo e padroni, cisl- uil – ugl ,e finalizzando a questo obbiettivo gli scioperi già programmati a partire da quello per il trasporto aereo del 4 marzo.

Il sindacalismo di base ha indetto una manifestazione nazionale a Roma il 28 marzo e uno sciopero generale per il 23 aprile anche per difendere il 
diritto di sciopero e la democrazia sindacale

CUB – CONFEDERAZIONE COBAS – SDL INTERCATEGORIALE
26 FEBBRAIO 2009