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Archive for giugno 2014

Il morso che portò via il sorriso e i colori…

26 giugno 2014 4 commenti

Amo la mozzarella, la mangio socchiudendo gli occhi come fosse un piccolo orgasmo ad ogni suo sfiorare le mie papille gustative:
è una delle poche cose che nei mesi all’estero mi mancava di casa. Le sue varie consistenze, il gioco di sapori, la goccia che cerchi di non far scappare…
poi nella vita ho incontrato due mozzarelle che han cambiato tutto.

Ora la mangio lo stesso, ma ogni volta che il mio occhio si sta per socchiudere godurioso penso a Giulio e Patrizia e l’orgasmo si blocca prima di partire,
godo del sapore in modo un po’ più gelido, il mio corpo non vibra come aveva sempre fatto al sol pensiero di quel latte.
Ora nell’assaggio sento il pianto di Giulio, ora nell’assaggio vedo Patrizia che arriva sul suo passeggino posturale e la sua lingua sempre fuori e rigida, portata da una delle sue sorelle…
Giulio e Patrizia erano due bimbi sani di un po’ meno di due anni, entrambi, (vi ho già detto che nei reparti di neuroriabilitazione pediatrica incontri quasi sempre bimbi che eran nati sani, che fino ad un qualcosa accaduto, erano bimbi sorrisi corse manine baci parole suoni gioia) … Giulio e Patrizia erano semplicemente in vacanza, con le loro famiglie, lontani da casa, la scorsa estate.
Giulio e Patrizia avranno provato quella mia stessa goduria nell’assaggiar quella mozzarella forse, magari si saranno messi il ditino sulla guancia per dire quanto era buona, avranno fatto uscire qualche consonante confusa per tentare di averne ancora.

Peccato che lo scorso anno in puglia c’è stata un’epidemia di Escherichiacoli (LEGGI) ,
peccato che quel morso di mozzarella qualche giorno dopo avrebbe cambiato la vita di tutti,
avrebbe tolto a loro la possibilità di muovere il loro corpo, di parlare e riconoscere la propria mamma.
Un morso e niente più voci, niente più sorrisi, niente più gambe che iniziano a correre: vi descrivo quel che si perde, quel che han “acquistato” ve lo risparmio…
Quel maledetto batterio ha attaccato i loro reni e poi è salito fin dove ha potuto.
E ancora se ci penso parole non ne ho per dirvi quel che si prova a sentire questi racconti, a viverci accanto, a vederli crescere vicino a te, che se sei lì vuol dire che qualche altra incudine dal cielo ti si è sfranta in testa (in quella di tuo figlio, che è peggio)…
quando mangio la mozzarella penso che è riuscita anche a mangiarsi un nervo ottico, che ha tolto i colori,
che non ha tolto la vita per un soffio ma l’ha lasciata amputata e dolorante, che ha storto tendini muscoli vita

E allora odio tutto,
odio quel batterio maledetto,
odio chi mi ha dato un figlio di 2 kg, senza la minima coscenza,
odio quella macchina che ha preso in pieno Rudy,
odio la morte che ogni tanto si scorda che potrebbe essere un favore,
odio la vita che quando vuole sa essere proprio infame,
odio il vostro Dio perchè è cattivo,
perchè loro dovevano continuare a sorridere, perché la voce di mio figlio era bellissima e mi manca.
Perchè mi mancano tutte le mamme che ho incontrato e le vorrei stringere tutte. Ora.

La disabilità è una montagna impervia tutta da scalare,
con un predatore che ti insegue affamato: quindi va scalata per forza.
Gambe in spalla, bava sempre presente, continuo a scalare e vi porto tutti dentro,
in un amore infinito.

Maledetta mozzarella maledetta.
Maledetta fretta di dimissioni. Siete tanti ad esser maledetti.

(i nomi son tutti inventati)

Pillole nosocomiali:
Il monitor
Il pianto neurologico
La caduta degli angeli
Gianicolo e desideri
Verso il ritorno
Calabroni in neuroriabilitazione

4 licenziati per un manichino appeso: la FIAT è quella di una volta ( e noi? )

25 giugno 2014 1 commento

La lettera di licenziamento

Alcune cose un conto è sentirle dire in una rassegna stampa o leggerle riassunte su un articolo di giornale,
un altro è vederle così, nero su bianco, così come 4 dei 500 cassaintegrati dello stabilimento Fiat di Mirafiori lo hanno ricevuto.

E’ una lettera di licenziamento, inviata a 4 persone già in cassaintegrazione:
licenziamento causato dalla partecipazione a due manifestazioni organizzate davanti al polo di Nola il 5 e il 10 giugno, manifestazione che chiedeva il rientro di 300 operai distaccati da 6 anni e in cassa integrazione.
La protesta non è stata gradita dal lingotto: un manichino impiccato con il volto di Marchionne e una finta bara son bastati per un licenziamento per motivi disciplinari.
Ci son suicidi e molti tentati suicidi, ci sono morti sul lavoro e in quella stessa azienda che aumentano: ma la vera violenza per la Fiat era un manichino con una fotografia incollata, “un’intollerabile (sic) incitamento alla violenza” e oltretutto “costituiscono una palese violazione dei più elementari doveri discendenti del rapporto di lavoro”.
E poi è straordinario coma la Fiat, oh la Fiat eh!, riesca a scrivere che una protesta di una manciata di operai abbia “provocato gravissimo nocumento morale all’azienda ed al suo vertice societario”: il nocumento morale poveri assassini sfruttatori balordi.
Invece la cassaintegrazione, la continua richiesta di flessibilità, l’assenza di garanzie e il blocco della trattativa per il rinnovo del contratto (bloccato proprio sull’una tantum di aumento richiesto dai lavoratori).

Oltre alle 4 lettere di licenziamento è stata inviata una lettera di contestazione anche a Mimmo Mignano, che il 17 luglio è in attesa di sentenza al tribunale di Nola per un’altra causa con la Fiat inerente ai licenziamenti di qualche anno fa.
La lettera da lui ricevuta parla chiaro: se anche il giudice dovesse riconoscergli il diritto al reintegro, l’azienda lo lascera comunque fuori dai cancelli,
a causa delle proteste di giugno e di quel manichino. (Ascolta la corrispondenza di RadioOndaD’urto con Mimmo : QUI )

Belli e cari i tempi in cui avevate paura di tornare a casa la sera,
padroni maledetti.

Oggi dalle ore 12 presidio ai cancelli di Mirafiori,
mentre dalle 13 ci saranno due ore di astensione dal lavoro.

Leggi: MIRAFIORI E LA DIALETTICA DEL SANPIETRINO

 

Quanto vale la vita di uno sfrattato suicida…

23 giugno 2014 1 commento

Sette righe vale la vita di un disoccupato 63enne.
sette righe la vita di un uomo che si è lanciato da una finestra perché non poteva pagare l’affitto di casa sua, in Via dei Fratelli Rosselli a Reggio Emilia.
Non ha fatto alcuna resistenza, ha aperto la porta agli ufficiali giudiziari e poi si è lanciato nel vuoto, mentre loro lo aspettavano giù: sapeva chi era al citofono, lo sfratto per morosità era concordato da più di un mese.
A lui non restava altro che saltare giù.

L’articolo di repubblica.it , così come l’ansa, concludono con un “indagano i Carabinieri” e chiudono.
Notizia breve terminata, coscienza rimessa a posto.

Le righe che mancano son quelle sui suoi assassini.
Le righe che mancano non parlano dell’articolo 5, non parlano del “piano casa” del governo Renzi,
non parlano della repressione che sta colpendo chi lotta per il diritto all’abitare.

Vi scordate sempre, in questi casi, di parlare dell’assassino: che è lo Stato.

 

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Questo è il tweet di risposta al mio articolo, da parte di una giornalista della Gazzetta di Reggio.
Lavorano da questa mattina a quanto pare, forse per il desiderio di raccontarci qualche dettaglio sulla vita del suicida… Perché non servono otto ore di lavoro per capire chi è l’assassino

La punizione collettiva: continua l’operazione Brother’s Keeper

23 giugno 2014 2 commenti

Basta appena aprire gli occhi, quel minimo che permette alla luce e alle immagini di entrare,
basta quel minimo di fessura per capire che l’operazione Brother’s Keeper che Israele sta portando avanti in Cisgiordania e con i raid su Gaza,
è qualcosa di pianificato da tempo, e che il rapimento è solo una scusa.

Nel quartiere di Beit Hanina (gerusalemme est) 12 macchine e uno scuolabus sono state vandalizzate, così come ad al-Ashqariya dove non si era mai verificato prima un fatto simile. L’incursione dei coloni è avvenuta intorno alle 3 di notte. Sulle macchine le parole “vendetta” o “Morte agli arabi”…

Nell’intervista rilasciata al giornale ultra Ortodosso “Hadrei Haredim” (solo in lingua ebraica) da un ufficiale dell’IDF impiegato nella zona di Jenin, si parla di intenzionalità di alzare la tensione della popolazione provocando lanci di pietra, con cecchini pronti a sparare al primo lancio.
“C’era un gruppo di cecchini su un tetto, un intera unità si è mossa nella periferia di Jenin per crear problemi ed alzare la tensione. Questo è il principale obiettivo: provocarli per poi accusarli di aver causato i disordini.

L’IDF dichiara che l’operazione Brother’s Keeper ha due obiettivi: riportare a casa i tre coloni e infliggere un duro colpo ad Hamas in Cisgiordania; l’operazione durerà tutto il tempo che Israele lo riterrà necessario.

Una punizione collettiva, l’ennesima che il popolo palestinese si trova ad affrontare, non a subire, malgrado la sproporzione.
Lo ripeto, lo ripeterò fino alla nausea: un colono non è innocente.
Un colono deve sentirsi in pericolo ogni secondo della sua vita perché ha scelto di essere un corpo in guerra, occupante, stupratore di terra e cultura.
Un colono è un soldato, è il peggiore dei soldati,
un colono è un mercenario assetato di terra altrui e sangue.
Un colono non può essere considerato un civile, perché ha scelto di non esserlo.
E in Israele son 500.000, cinquecentomila persone che scelgono di vivere così (ogni tanto poi succede che ne pagano le conseguenze, ogni tanto)

Poi, anche non fossero coloni,
anche fossero i più pacifici cittadini del più pacifico dei popoli,
la proporzione qui non è nemmeno il 10 a 1 di Via Rasella, ma è molto più alta.
(non si può dire altrimenti siamo antisemiti nazisti blablablablablablablabla)
Ma sì, riempitevi la bocca: è la più grande democrazia del Medioriente.
5 morti, 410 arrestati durante i rastrellamenti casa per casa (38 nelle ultime ore), occupazione di interi villaggi col posizionamento dei cecchini,
coprifuoco, distruzione di case e infrastrutture…

Leggi: 3 rapiti, un popolo sotto assedio

Ogni casa, in ogni rastrellamento, in ogni villaggio e campo profughi…

Hebron… e l’arrivo di Tsahal

 

 

I “Limiti” della dietrologia…

20 giugno 2014 2 commenti

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La signora Stefania Limiti mi cita perchè mi mette tra virgolette ma cade in alcuni errori e allora inizio ad elencarglieli.
Lei sostiene che la smentita di Raffaele Fiore, in un’intervista rilasciata a Paolo Persichetti e Marco Clementi rechi un’avvertenza, e ci tiene a citarla con il virgolettato “Si astengano complottisti e dietrologi da quattro soldi”, quando invece quelle righe le ho scritte io.
La signora Limiti forse non ha capito che io l’articolo l’ho solo condiviso e che su di quello ho messo un mio cappello, che lei invece prova ad addebitare ai due intervistatori: forse è una cosa troppo complicata per lei, non si chiamarebbe “limiti” altrimenti.
Definisce invece “intervista” quell’aberrazione giornalistica frutto di vari copia incolla più che smerdati in rete, che trovate nelle edicole all’interno del settimanale Oggi, che Fiore ha prontamente smentito.

Il problema di fondo, e mi dispiace per la signora Limiti, è che non ha proprio capito il fulcro della conversazione.

Il mistero dell’Honda di Via Fani è mistero solo per chi le cose non le vuole trovare, per i maestri della dietrologia, per quelli che amano fare il gioco delle tre carte: a bordo dell’Honda in Via Fani c’erano Giuseppe Biancucci (23 anni) e Roberta Angelotti (20 anni) , che abitavano in Via Stresa e rientravano a casa ignari di tutto.
Da sempre conosciuti a Roma Nord come “Peppo” e “Peppa”, militavano nel Comitato proletario di Primavalle (quello che portava il nome di Mario Salvi), erano sulla loro moto, con una targa regolare, a due passi da casa ( a questo link potete leggere e documentarvi).
Tutto ciò è stato messo sotto inchiesta dalla magistratura nel lontano 1998, “Peppo” è stato interrogato e tutto si è archiviato.

Quindi signora Limiti, forse non ha capito che non c’è nulla da smentire ne’ da confermare: i due sull’Honda erano compagni di un’altra organizzazione ( erano dell’area dell’autonomia e abitavano in Via Stresa) che nulla c’entrava nel rapimento Moro. Raffaele Fiore oltretutto non poteva saperlo ne’ conoscerli perché faceva parte di un’altra colonna, abitava in un’altra città e si trovava a Roma per l’azione in Via Fani.
Insomma signora Limiti e banda cianciante di dietrologi: imparate almeno a leggere l’italiano.
Il complottismo non si è mai fatto scrupolo dei mezzi impiegati: mancanza di riscontri, conclusioni affrettate, incongruenze logiche, acquisizioni parziali, ricostruzioni lacunose, errori, invenzioni e manipolazioni, ma soprattutto una totale mancanza d’intelligenza.
Tant’è, come qualcuno ha scritto, l’ossessione cospirativa è una sorta di disciplina divinatoria in grado di “prevedere il passato”,
insomma, una dottrina buona per gli imbecilli.

 

 

 

Un intero popolo sotto assedio per 3 ragazzi dispersi : si chiama Apartheid (o Israele)

20 giugno 2014 2 commenti

La verità è che ci son tre ragazzi scomparsi, probabilmente rapiti. La verità è che son coloni israeliani, giovani coloni israeliani: e questo comporta che siano degli occupanti per scelta. Comporta la decisione di vivere in un territorio occupato e in una guerra permanente da loro guerreggiata a cemento armato, insediamenti, muri e ovviamente piombo.
Essere coloni, ovviamente per scelta come tutti lo sono, comporta (dovrebbe comportare, se il mondo fosse più giusto e razionale) un elevato rischio quotidiano: d’altronde vivi in terra d’altri, bevi acqua d’altri, espropri case d’altri, seghi colline d’altri, sradichi alberi d’altri e così via,
fino al loro quotidiano tuffo in piscina. E’ l’abuso degli abusi, la violenza delle violenza: l’esser coloni israeliani.

Ieri, ucciso nel villaggio di Dura (Hebron)

Ma torniamo ai fatti: ci son 3 ragazzi scomparsi mentre facevano l’autostop.
C’è il precedente storico di Shalit, che però era un soldato, che rimase anni nelle mani dei suoi rapitori palestinesi, nella Striscia di Gaza.
Un ragazzo tornato a casa comunque, non ce lo dimentichiamo.

Dal momento in cui questi ragazzi son scomparsi la Cisgiordania è tornata ai tempi di Sharoniana memoria: sembra di essere nel 2002.
Le retate son costanti, gli arresti son ovunque: i campi profughi vivono continue scorribande e occupazioni dell’esercito israeliano.
I numeri parlano chiaro e fanno venire una grande impotente rabbia:
Ci sta Ammar Arafat (19 anni) del campo profughi di Jalazon (Ramallah) e poi c’è Mahmoud Jihad Muhammad Dudeen che di anni ne aveva 13 e che ieri è stato ucciso, colpito in pieno petto, nel villaggio di Dura (in questo caso vicino ad Hebron).
L’operazione “brother’s keeper” ha già fatto due giovanissimi morti e centinaia di arresti.
IL campo profughi di Dheishe ha visto l’irruzione anche nel centro culturale Ibdaa dove a decine son stati portati via incapucciati e da dove è stato sequestrato tutto il materiale tecnologico e l’archivio cartaceo. Hanno arrestato anche chi era stato appena liberato dopo 30 anni di detenzione, come Isa Abdel Rabbo, che fino a poco tempo fa aveva il triste record di esser il palestinese più anziano nelle mani degli israeliani. E’ stato rilasciato dopo un lungo interrogatorio.
Ovviamente nel frattempo siamo al quinto raid aereo su Gaza, che quelli non fanno mai male no?

Ci son tre ragazzi rapiti, tre coloni rapiti in pieno regime di Apartheid:
e c’è un intero popolo sotto scacco, con i cecchini fuori la porta, con la porta che salta con l’esplosivo, con arresti di massa senza senso, con devastazione di case, centri culturali e tutto quel che passa sotto i loro anfibi o cingoli. Sarà la solita storia per molti, ma noi non smettiamo di urlarvela in faccia,
che almeno la verità buchi le vostre orecchie.
FUORI TSAHAL DAI CAMPI, LIBERTA’ PER TUTTI I PRIGIONIERI.
LIBERTA’ IMMEDIATA PER I 196 BAMBINI PALESTINESI DETENUTI NELLE CARCERI ISRAELIANE
PALESTINA LIBERA!

(leggi: Is Israel trying to force a third Intifada? )

L’insediamento di Gush Etzion, da dove provenivano i tre ragazzi e sotto la strada che solo gli israeliani possono percorrere… c’è chi lo chiama Apartheid, chi la grande democrazia del Medioriente: fate voi…

“un’ordinanza equilibrata e innovativa”: il Medioevo ci sta mangiando.

20 giugno 2014 2 commenti

Certe notizie non riescono a rosicchiare nessun spazio nemmeno online.
Perchè, d’altronde, è solo la notizia di un arresto di tre anarchici, accusati di aver resistito ad uno sgombero di uno stabile occupato nella periferia bolognese: peccato che dietro questa notizia si celi ben altro,
cela il potere totale sui nostri corpi, cela un codice penale che permette ad un procuratore di scrivere nero su bianco certe cose.

Ricominciamo: c’è uno sgombero, a questo sgombero c’è chi oppone resistenza lanciando oggetti ed escrementi contro i vigili del fuoco (beati i tempi in cui il corpo dei Vigili del Fuoco si rifiutava di compiere sfratti e sgomberi!) intenti ad aiutare le forze dell’ordine nello smantellamento di alcune barricate per impedire l’accesso all’edificio. Le accuse sono: invasione di edificio, danneggiamento aggravato, resistenza e lesioni a pubblico ufficiale.
Il tutto avviene in Via Beverara, a Bologna, all’interno di proprietà dello stesso comune.

Qual’è la conclusione?
Gli arrestati hanno il divieto di dimora a Bologna, dove son stati arrestati e dove probabilmente risiedono… e già qui sembra il confino di altri tempi.
La cosa surreale è che questo divieto viene esteso anche a Chiomonte, a qualche centinaio di kilometri di distanza, sede dei cantieri dell’alta velocità.
Secondo il procuratore aggiunto di Bologna, Valter Giovannini, è “un’ordinanza equilibrata e innovativa”.

A me fate schifo.
E tutti i millantatori difensori della Costituzione ora li vorrei veder sbraitare davanti allo schifo di questa ordinanza,
a tutti i blateratori della legalità, venitemi a raccontare cosa c’è di “legale” in un foglio di via da un comune che magari i tre fermati non hanno mai visto in vita loro. Dove siete, urlatori della democrazia?
Ah no scusate, so’ 3 anarchici, che ve frega.

 

Un’intervista che ci racconta il carcere di Santo Stefano degli anni ’50

19 giugno 2014 Lascia un commento

Il panoptico di Santo Stefano dall’alto in una foto abbastanza recente

Quella che leggerete è l’intervista ad un maestro, Stefano di Filippo, che per un paio di mesi della sua vita si trovò sullo scoglio di Santo Stefano, ad insegnare ai detenuti dell’ergastolo che dal periodo borbonico, rimase aperto e stracolmo fino all’aprile del 1965.
L’intervista è di Melania Del Santo, compagna di Liberi dall’ergastolo, che lo scorso anno è venuta con me in Sicilia ad intervistare chi quel carcere l’aveva fatto ai ferri, il mitico bandito dell’Isola di Milano, Ezio Barbieri
da qualunque parte lo si racconti quel carcere si sente lo stesso odore di zuppa di piselli o fave, da qualunque parte lo si guardi, non si può non sentire la violenza della segregazione in un luogo mangiato dai mari e dai venti.
Un luogo che noi abbiamo scelto come simbolo per parlare dell’indecenza della segregazione e dell’aberrazione del Fine Pena Mai.
Anche quest’anno, il 14 giugno, siamo salpati: 60 persone da ogni dove, per raggiungere quel carcere e quel cimitero degli ergastolani.
Ancora una volta un’esperienza grande, ricca e infinitamente eterogenea: ancora una volta abbiamo portato i nostri fiori, le nostre voci, i nostri sorrisi sulla tomba di Gaetano Bresci e dei suoi 46 compagni di riposo.

CONTRO OGNI CARCERE.

M.: Professo’, raccontatemi un poco di questa esperienza. Quanto tempo siete stato a Santo Stefano?

Pr.: Ci stetti solo 3 mesi a S. Stefano, da ottobre a dicembre, fino alle vacanze di Natale.Gli ultimi giorni in carcere mi ammalai di tifo. Mi venne la

L'interno del panoptico, prima della costruzione del cordolo di cemento al terzo piano. (Che proteggeva i detenuti del terzo anello dal sole, ma che sta ora distruggendo col suo peso le arcate sottostanti)

L’interno del panoptico, prima della costruzione del cordolo di cemento al terzo piano. (Che proteggeva i detenuti del terzo anello dal sole, ma che sta ora distruggendo col suo peso le arcate sottostanti)

febbre alta, a 41 C.Mi ricordo quando avevo la febbre che sono stato chiuso un po’ di giorni nella cella… una notte mi sono alzato che mi mancava l’aria perché la cella era piccola e si era consumato l’ossigeno.Aspettavo ogni giorno il “vapore” (la barca) che non veniva da qualche giorno perché c’era il mare agitato. Ad un certo punto venne un carcerato: <<Professo’, professo’, la barca. La barca è arrivata!>>. E così finalmente me ne andai a Ventotene dove c’era mia moglie che abitava là perché insegnava nella scuola elementare di Ventotene. Il comune aveva messo a disposizione una barca che faceva servizio per chi lavorava al carcere. C’era un barcaiolo che lavorava per il comune che la guidava. Dopo qualche anno morì perché prese il tetano a causa di un chiodo arrugginito con il quale si ferì proprio mentre puliva la barca.A Ventotene a quel tempo non si stava bene. Era come andare ai lavori forzati per i maestri, come per mia moglie. Era una sede troppo disagiata.Quando il mare era mosso era pericoloso attraccare a Santo Stefano. Dalla barca bisognava fare un salto, tant’è vero che qualcuno era pure caduto in acqua… qualche guardia (ride).A volte anche per 4 o 5 giorni non arrivava la barca. Come quella volta che ebbi la febbre io. Tant’è vero che non attraccammo neanche al porto di Ventotene quando mi portarono via, ma dietro.

M.: Quanti maestri eravate?

Pr.: Nel carcere eravamo due insegnanti, io e un collega di Gaeta perché c’erano 2 sezioni. Si faceva scuola dal lunedì al venerdì, dalle 7.30 alle 11. La barca che faceva servizio da Ventotene a Santo Stefano arrivava tutti i giorni alle 7.30 per portare le guardie carcerarie. Ma poi alle 9 andava via e quindi dopo le 11 non c’era più il servizio del “vapore” che ci poteva riportare indietro. Allora io e il collega di Gaeta stavamo là tutta la settimana, come i carcerati, ma solo dal lunedì al venerdì.

M.: Professore, dove dormivate?

Pr.: Nella cella. Nel carcere c’erano gli appartamenti per il direttore e per gli impiegati della direzione. Alcune guardie carcerarie, quelle che avevano famiglia, vivevano là, sempre negli appartamenti. Invece i giovani scapoli che lavoravano nel carcere dormivano nelle celle vuote, adibite ad alloggi per i lavoratori più giovani. Come noi.

M.: Quanti erano i carcerati a quel tempo?

Pr.: Un centinaio, o forse meno.

M.: Che tipo di lezioni facevate?

Pr.: Facevamo lezioni di italiano, matematica, storia e geografia. Nella mia classe c’erano 3 o 4 di quelli della banda Giuliano. Il vice di Giuliano, si chiamava Terranova, e poi ‘On Pisciotta (ndr. Don Pisciotta. Da un po’ di ricerche fatte poteva essere Salvatore, padre di Gaspare il quale nel ’57 era già morto). Poi c’erano diversi altri detenuti che avevano fatto varie cose, dall’omicidio alla… strage di persone! Questi della banda Giuliani erano ben istruiti, preparati, “scafati”. Con loro si potevano fare discussioni più alte rispetto agli altri detenuti. Anche quelli che sapevano leggere e scrivere, venivano lo stesso a scuola, per perdere un po’ di tempo. Parlavamo anche di argomenti di attualità, ragionavamo di cose come lo sbarco sulla Luna che in quel periodo era un dibattito molto acceso (ndr: Sputnik 1, sovietico, 4 ottobre 1957; Sputnik 2, 3 Novembre 1957). Ti ricordi il cane Laika? Soprattutto i siciliani erano assai interessati. Avevamo materiale didattico. Si facevano compiti scritti, ma anche dibattiti su argomenti che leggevamo sul giornale. Era bello.

M.: C’erano le guardie in classe?

Pr.: Quando insegnavo c’era sempre una guardia di piantone per difendermi, ma non ce n’è stato mai bisogno. Era un ambiente tranquillo.

M.: E di pomeriggio che facevate?

Come appariva l'ingresso del cimitero degli ergastolani prima che il carcere fosse dismesso e poi abbandonato

Come appariva l’ingresso del cimitero degli ergastolani prima che il carcere fosse dismesso e poi abbandonato

Pr.: Anche di pomeriggio continuavamo le discussioni iniziate in classe, oppure andavamo a parlare in direzione o col ragioniere. Parlavamo sempre nella piazzetta quando c’era il sole, chi diceva una cosa, chi un’altra, era un ambiente non pericoloso. Ognuno aveva i propri compiti e là dentro erano liberi. Mo’ ti racconto un aneddoto. Quando stavamo liberi (fuori dall’orario scolastico) passeggiavamo per il cortile circolare con qualcuno di questi della banda Giuliani. Quando incontravamo una guardia, il detenuto la chiamava con un soprannome che era uno storpiamento del cognome. Io chiedevo, ma se tu sai il cognome, perché la chiami così? E loro dicevano: noi abbiamo la matricola, veniamo chiamati con un numero, allora per dispetto cambiamo il nome pure noi alle guardie. Però erano “contranomi” senza cattiveria.

M.: Che facevano i carcerati durante la giornata?

Prof.: Alcuni lavoravano in un laboratorio, un bel laboratorio di tessitura. Cotone, seta… stava al piano terra. L’attività principale era proprio nel laboratorio tessile, ma questi prodotti erano gestiti dalla direzione. Altri facevano i muratori e altri erano addetti alla manutenzione del carcere. Alcuni detenuti poi lavoravano alla casa colonica che stava fuori. In questa casa abitava una famiglia di affittuari o mezzadri. Coltivavano le lenticchie che erano prodotti locali, nella fattoria che stava fuori. I prodotti però là (nel carcere) non arrivavano. Quelli che lavoravano la terra fuori percepivano la mercede.

M.: Come era tenuto il carcere a quel tempo?

Prof.: Il carcere era tenuto bene, i detenuti lavoravano per tenerlo pulito e facevano tanti lavoretti di manutenzione.

M.: Come era organizzato logisticamente?

Prof.: A piano terra, vicino al cortile, c’era la direzione e un vano che era un centro di commercio dove venivano gli ambulanti che portavano scarpe, pantaloni ecc. per i detenuti. Alcuni detenuti lavoravano l’uncinetto, facevano cose tipo sciarpe, centrini mantelline che vendevano in questo centro agli ambulanti per fare un po’ di soldi da mandare alle famiglie.

M.: I detenuti percepivano una paga?

Prof.: Sì, i detenuti percepivano la mercede, uno stipendio dato dallo stato per i lavori che facevano. Una parte di questi soldi li mandavano alle famiglie, una parte invece serviva a loro.

M.: Professore, si ricorda di qualche detenuto?

Prof.: Prima di prendere servizio a Santo Stefano io non avevo mai visto un detenuto. Quando arrivai il primo giorno fui accolto da un signore vestito a righe. Questo era un ergastolano che faceva il segretario, l’uomo di fiducia del direttore. Era lui che riceveva quando il direttore non c’era.

M.: Si ricorda chi era questo signore?

Prof.: Era un alunno d’ordine delle ferrovie. Una notte mentre era di servizio con il capostazione cercò di scassinare la cassaforte per prendere i soldi. Mentre stava facendo questa operazione arrivò il capostazione e allora lui… lo ammazzò (sussurrato). Era un bel giovanotto. Poi c’era un altro, il nipote del ministro Spadaro. Prima era stato un ufficiale dell’aeronautica ed aveva un’amante, una signora ricca, più anziana. Una notte la ammazzò per prendersi tutti i gioielli. Questo ragazzo faceva l’operatore della televisione perché ne capiva. Infatti nella mensa c’era la televisione.

Un fiore contro il Fine Pena Mai, Santo Stefano 2014

M.: C’erano detenuti politici?

Prof.: Quando stavo io non c’erano detenuti politici, ma prima, soprattutto durante il fascismo erano tutti antifascisti. Mi hanno raccontato che c’era stato Settembrini. Lo sai che all’inizio del Novecento c’erano i briganti che vivevano a Ventotene nelle grotte?

M.: Avevate dei rapporti migliori con alcuni detenuti piuttosto che con altri?

Prof.: Non c’erano detenuti preferiti per noi, ma sicuramente c’erano detenuti più colti, alcuni erano ingegneri. Quelli più importanti erano quelli della banda Giuliano. Gli altri detenuti li chiamavano “i nobili”. Quindi le differenze tra i detenuti erano evidenziate da loro stessi. Riconoscevano quelli della banda Giuliano, diciamo, come intellettuali va.

M.: Dove mangiavate?

Prof.: C’era il refettorio e la cucina dove cucinavano stesso i detenuti. Però il cibo buono non c’era.

M.: Che mangiavate?

Prof.: Per esempio pasta e polvere di piselli. Pasta e polvere di fave. Roba secca. Mangiavamo tutti insieme: guardie, detenuti e maestri, sia a mezzogiorno che la sera. Qualche guardia qualche volta si portava cibo da Ventotene e se lo faceva preparare. Allo spaccio però cibo buono non ne arrivava.

M.: Quindi i detenuti non erano rinchiusi .

Pr.: No no, i detenuti, erano “liberi”, non stavano chiusi nelle celle. Invece le famiglie delle guardie stavano sempre chiuse dentro casa perché, soprattutto i detenuti muratori che spesso stavano in giro, era facile che andassero a bussare alle porte delle mogli delle guardie per… (ride). Mi ricordo un muratore che stava sempre arrabbiato, stizzoso.

M.: I parenti dei detenuti venivano?

Pr.: I parenti dei detenuti non venivano mai, erano come dimenticati. Le guardie ci dicevano che non dovevamo fidarci dei detenuti perché se ne potevano approfittare per far uscire delle lettere fuori dal carcere. C’era la censura, la posta non poteva uscire. Alcuni ci tenevano a farsi ben volere da noi per poter far uscire fuori le lettere indirizzate ai parenti. Il capo reparto del laboratorio tessile stava sempre vicino a me, mentre le guardie (o il direttore) mi dicevano di stare attento. Usavano la tattica di avvicinarsi e raccontare la loro storia, dicendo <<sì abbiamo sbagliato>>, ammettendo il loro errore, però sempre giustificando la causa e dando una spiegazione a quello che avevano fatto. Avevano un’arte nel farsi ben volere.

M.: Ma voi sapevate i loro reati?

Pr.: In direzione c’erano le schede con i reati dei detenuti, ma erano riservate. A volte qualcuno ci diceva qualcosa, ma noi non le potevamo leggere. I detenuti non ci parlavano mai di quello che avevano fatto gli altri. Il detenuto che ne parlava, al massimo parlava del suo reato, ma soprattutto per giustificarsi. Per dire “je nun so’ malament’. Nun so’ cattivo”. Voleva dimostrare che era una brava persona, e quello che avevano fatto aveva una spiegazione, che c’era una ragione alla causa, diciamo così. Invece quelli di Giuliani non ne parlavano mai di quello che avevano fatto, del perché stavano là dentro. Erano quelli “più spiccioli” che ne parlavano.

M.: Si ricorda del cimitero?

Pr.: Quando facevamo le passeggiate, in un certo punto, prima del cimitero, c’era un’immagine che chiamavano l’incompiuta, vicino al muro. L’avevano fatta un paio di detenuti che chiesero al direttore il permesso di dipingere questa immagine. Lo scopo però era quello di scappare. Un giorno che andarono a dipingere si tuffarono e scapparono a nuoto fino a Ventotene. Presero una barca per scappare a Ischia, però poi furono presi. E quindi l’immagine rimase incompiuta. Il cimitero era chiuso, non si poteva entrare. C’erano due colonne con la scritta: “Qui finisce la giustizia umana, qui comincia la giustizia divina”.Ci sono andato una sola volta. Poi non ci sono mai più tornato.

M.: E al carcere ci è mai più tornato?

Prof.: Dopo le vacanze natalizie tornai là per dare le consegne e andai a salutare i ragazzi dicendo che mi dispiaceva, ma che me ne dovevo andare. Proprio quelli della banda di Giuliani mi dissero: “Professore, ci dispiace che ve ne andate perché siete una brava persona, però siamo contenti che ve ne andate da questo luogo schifoso che non è per voi”. Alla fine posso dire che si stava bene comunque là, anche il mio collega di Gaeta lo diceva, e lui stava da due anni. Se non mi fosse venuta la febbre sarei rimasto. E poi era conveniente stare nella scuola carceraria, venivamo pagati dallo Stato, dal Ministero di grazia e giustizia e dal provveditorato. Nei confronti del maestro c’era un gran rispetto. E l’ambiente era gioioso perché si discuteva molto. Nella vita mi è piaciuta questa esperienza che ho fatto. E’ stata breve a causa di quella febbre, però bella.

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Raffaele Fiore smentisce la rivista Oggi: “a Via Fani c’erano solo le BR”

19 giugno 2014 3 commenti

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Raffaele Fiore in un’intervista rilasciata a Paolo Persichetti e Marco Clementi, smentisce le righe apparse sulla rivista Oggi che la Procura di Roma vorrebbe addirittura acquisire.
Si astengano complottisti e dietrologi da quattro soldi.

«In via Fani quella mattina del 16 marzo 1978 c’eravamo solo noi delle Brigate rosse e il convoglio di Moro. Punto». Raffaele Fiore al telefono è perentorio. Operaio, dirigente della colonna torinese, era tra i nove che quella mattina neutralizzarono la scorta e rapirono il presidente della Democrazia cristiana, il “partito regime” per una buona parte dell’opinione pubblica di allora. Condannato all’ergastolo, dopo 30 anni di carcere ha ottenuto la liberazione condizionale. Ora lavora in una cooperativa.
Quando gli telefoniamo sta scaricando un furgone: «sentiamoci tra una mezz’oretta – mi dice – che mi siedo in ufficio e parliamo con più calma».
La dietrologia sulla vicenda Moro è tornata alla carica negli ultimi tempi con la storia della moto Honda guidata dai Servizi, della presenza (presunta) del colonnello Guglielmi, ufficiale del Sismi, in via Fani e ancora prima, poco più di un anno fa, con il libro dell’ex giudice istruttore Ferdinando Imposimato che riprendeva le rivelazioni di un ex finanziere sulla mancata liberazione dell’ostaggio in via Montalcini, e subito dopo per le dichiarazioni di un artificiere sul ritrovamento del corpo del presidente democristiano. In questi due ultimi casi è già intervenuta la magistratura che ha fatto chiarezza incriminando per calunnia sia  Giovanni Ladu (l’ex finanziere) che Vitantonio Raso (l’ex artificiere). Nonostante ciò, a riprova della sordità e della separatezza del ceto politico, una nuova commissione d’inchiesta parlamentare è stata appena varata.

 

Raso indagato
Ora giungono le dichiarazioni (presunte) di Fiore, uno che a via Fani c’era, apparse sul numero di “Oggi” in edicola: un’intervista di tre pagine realizzata da Raffaella Fanelli che raccoglie, come recita l’occhiello, «la clamorosa confessione di un capo delle BR».
Il pezzo riprende un vecchio leit motiv della dietrologia, ossia che le Br in via Fani non erano da sole: «C’erano persone che non conoscevo», avrebbe detto Fiore, «che non dipendevano da noi […] Che erano altri a gestire».
Clamoroso. Se fosse vero andrebbe riscritta almeno la verità giudiziaria [la storia, si sa, è un work in progress]. Ma il problema è che Fiore quelle parole non le ha mai dette. L’intervista è stata “confezionata” in modo da far dire all’ex brigatista proprio quelle parole, che invece si riferivano ad altro, senza retropensieri e sottintesi. Per questo motivo abbiamo chiamato Fiore.
«Raffaele, insomma, ci spieghi cosa è successo con la giornalista? Che cosa vogliono dire quelle frasi?».
Sentiamo che Fiore non è nemmeno arrabbiato, eppure avrebbe tutte le ragioni al mondo per esserlo.
«In via Fani quella mattina eravamo in nove [Fiore non prende in considerazione la staffetta indicata nelle sentenze processuali nella persona di Rita Algranati, condannata all’ergastolo e attualmente in carcere]. Di questi ne conoscevo sei, i regolari: Mario, Barbara, Valerio, Baffino, Prospero e Bruno (1). Gli altri, due irregolari romani, non li conoscevo ed ancora oggi farei fatica ad identificarli. La giornalista mi ha chiesto se i due situati nella parte superiore di via Fani fossero Lojacono e Casimirri. Ho risposto che non li conoscevo. Che i due che stavano sulla parte alta della via erano della colonna romana e dunque erano altri a gestirli».
Se la domanda sul cancelletto superiore manca nel testo, la risposta può assumere qualsiasi senso. Ed è questo il sotterfugio impiegato dalla giornalista che ha fatto l’intervista, l’origine della “rivelazione”, quell’impasto di livore e odio contro chi ha condotto una lotta in armi in questo paese, cotto da sempre nel forno della dietrologia.
Raffaele Fiore ha semplicemente riposto la propria fiducia nella persona sbagliata. Gli ha parlato a viso aperto, tentando di spiegare ragioni e motivazioni del proprio passato e delle proprie azioni, in generale, non solo su via Fani. Conversando, ha anche provato a ragionare su quella complessa vicenda che è stato il rapimento di Moro. Forse pensava di essere a un convegno di storici, ma non era neanche giornalismo. E alla fine è stato trafitto alle spalle, ripagato col veleno peggiore della menzogna: la manipolazione delle sue parole. E lo chiamano ancora giornalismo.

Note  
1) Mario Moretti, Barbara Balzerani, Valerio Morucci, Franco Bonisoli (Baffino), Prospero Gallinari e Bruno Seghetti.

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Una chiacchiera tra mamme (alla mamma di Chiara,colpevole di resistere)

16 giugno 2014 Lascia un commento

Le prime righe che ho letto oggi son quelle della mamma di Chiara, una dei 4 arrestati a dicembre scorso, accusati di un assalto al cantiere dell’Alta Velocità a Chiomonte, in Val di Susa. Il carcere a loro riservato è il più duro possibile, il trattamento a loro riservato ha un accanimento privo di precedenti nella storia della lotta in Val Susa contro la Tav malgrado, oltretutto, l’azione di cui son accusati non abbia prodotto alcun ferito, ma il danneggiamento di un fottuto compressore.
Eppure si è arrivati a negare i colloqui con i conviventi, alla censura della posta,  all’Alta Sicurezza 2.
Oggi arrivano poche righe della mamma di Chiara e son belle che voglio condividerle con voi; alcune son prese in prestito da Saramago e dicono una grande verità sull’esser genitori.

Volevo ringraziare Maria Teresa allora, darle un bacio da mamma a mamma: lei ha una figlia in regime di Alta Sicurezza e quindi può abbracciare le parole di Saramago in pieno, può sentirsi in toto dentro delle righe, sentirne il calore.
Io questa catena l’ho spezzata, ho scoperto che non vale per tutti i figli, per il mio secondo figlio non valgono:
la disabilità di un figlio spezza la naturalità meravigliosa del “prestito”. Volevo un esserino in prestito per un pochino, per vederlo crescere e poi volar via libero come mi auguro che i figli di noi tutti possano fare: e invece la disabilità rende impossibile spiccare il volo ad ali aperte,
rende noi genitori compagni di vita contro natura, senza la possibilità di vivere la dolorosa gioia di “perderli” perchè alla conquista del loro mondo.
Il corso intensivo per imparare ad amare una vita diversa dalla nostra, quando c’è l’impossibilità all’autosufficienza, è estremamente diverso dal precedente: è un amore straziante e dolce, capace di fare grandi rivoluzioni e di spaccare in due il cuore, tutti i giorni, minuto per minuto.

Scrivo un accavallarsi di parole senza senso, ma volevo che arrivasse un po’ del mio calore a questa mamma la cui figlia combatte per la libertà in una cella,
un po’ del mio calore stanco, mentre cerco strumenti per imparare la mia nuova forma di amore,
e la ricerca di una libertà per mio figlio che forse sarà impossibile, ma che proverò comunque a costruire.
Un abbraccio a te grande mamma, e a tua figlia che combatte con tutte e tutti noi al suo fianco.

Sono la mamma di Chiara. Voglio ringraziare tutte le persone che ho conosciuto in Val Susa per la emozionante accoglienza. Fino ad ora non ho scritto niente da quel terribile nove dicembre. So di aver vissuto questo periodo chiedendomi tanti perché sulle scelte difficili di questa speciale e coraggiosa figlia. La risposta a queste mie domande mi è arrivata da questa poesia di Josè Saramago: “Un figlio è un essere che ci è stato prestato per un corso intensivo per imparare come si ama una persona diversa da noi stessi, cambiando i nostri peggiori difetti per dare i migliori esempi e imparare ad avere coraggio. Proprio così! Essere un genitore è il più grande atto di coraggio che si può fare, perché significa esporsi a tutti i tipi di dolore, in particolare, l’incertezza di agire correttamente e la paura di perdere qualcosa di così caro. Perdere? Come? Non è nostro, ricordi? Era solo un prestito!”
Un forte abbraccio a tutte le mamme e a tutti voi.

Maria Teresa Brazzelli

Quella vecchia storia sull’ “oppio dei popoli”, appena variata…

16 giugno 2014 1 commento

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Caldo a Roma? non dimenticate che il Lago dell’ex Snia è balneabile!

13 giugno 2014 Lascia un commento

Lo volevamo già prima il lago: ora che sappiamo che è anche balneabile e privo di qualunque tipo di batterio,
visto che l’acqua è sorgiva e pulita lo vogliamo ancora di più. Altro che fogna rotta: è acqua libera, viva e che ha voglia di esser lì!

Un patrimonio immenso sempre negato ad un territorio e a tutta la grande metropoli che lo circonda,
un patrimonio incommensurabile strappato via dalla speculazione e dallo scempio e lasciato nell’abbandono e nell’incuria se non fosse stato per il comitato che è nato. L’area è dal 2004 di proprietà del comune di Roma ma bisogna muoversi perchè il 14 agosto scadono i termini dopo 10 anni dall’esproprio a Pulcini e senza parco pubblico tutta l’aerea rischia di tornare nelle mani di Pulcini, compresa la zona dove sorge il lago: il progetto prevedeva la costruzione di 4 torri di 100 metri l’una.
I grattacieli di Roma.

Noi invece vogliamo tuffarci in un lago naturale e pulito,
vogliamo portarci i nostri figli, vogliamo scoprire un pezzo di Roma ai conosciuto prima e viverlo,
renderlo fruibile e aperto. Senza possibilità di discussione!
SEGUI IL SITO : lagoEXSnia

Mondiali in Brasile: la cerimonia di apertura gestita da Robocop

13 giugno 2014 Lascia un commento

La gestione dell’ordine pubblico è in mano a robocop…

A ritmo di samba..

Il mondiale di calcio più blindato della storia, questo ormai sembra esser chiaro:
Si parla di 200.000 uomini schierati ( di cui un terzo militari) , e a guardarli ne basterebbero molti meno.
Ma in realtà non bastano, non bastano nemmeno 200.000 robocop, non bastano i missili a proteggere il Maracanà,
non basta il terrore che sarà stato imposto:
le proteste continuano come nei giorni precedenti al fischio di inizio: senza casa, sem terra, indigeni, disoccupati, precari, studenti, abitanti delle periferie del grande mondo brasile, in piazza ci son tutti.
Io non vi guardo, io sono con la gente che sta prendendo le pallottole di gomma in pieno petto, per reclamare il diritto ad una vita altra, qualunque si desideri.
Però io non vi ho mai guardato, vi ho sempre boicottato:
l’industria del Calcio, la Fifa, e tutto lo schifo milionario che gira intorno a tutto ciò lo boicotto da sempre.
LA macchina repressiva che ruota intorno a Brasil2014 mi conferma solamente che devo continuare a farlo..

La Marina fa campagna per arruolamento: e c’è chi scrive la verità ;)

13 giugno 2014 1 commento

AMO!

La Marina Militare pensa bene di fare un po’ di pubblicità delle loro “grandi opere”
e la campagna di arruolamento quest’anno è dirompente e invade le nostre strade e città con cartelloni immensi:
VIENI IN MARINA, è scritto a caratteri cubitali sotto due fotografie.
Due volti, uno in divisa da cerimonia col classico berretto bianco e la baionetta ben in vista,
l’altra in versione da “missione”, con il volto mimetico e lo sguardo da marine!
D’altronde devono apparire belli e bravi, per tentar di riportare in “patria” i due Maro’ detenuti in India per l’assassinio gratuito di due pescatori…
devono salvare la faccia e dimostrare al mondo  quanto so’ bbbelli.

Queste mie righe solo per ringraziare chi ha messo nero su bianco il pensiero di molti nel guardare questi enormi invadenti cartelloni
Vieni in Marina è mutato in “VIENI IN INDIA A SPARARE AI PESCATORI”.
Si legge ben visibile nella zona di San Paolo, a Roma… e non potevo non condividere con voi la gioia nel vedere queste immagini!

Leggi anche:
Uh Marò, che risate
Marò: latitanza autorizzata

Serata Benefit per gli/le arrestat* di Torino: LIBERI TUTTI E TUTTE

13 giugno 2014 Lascia un commento

LIBERE TUTTE LIBERI TUTTI!

19 giugno: SERATA BENEFIT PER I COMPAGNI E LE COMPAGNE ARRESTAT* A TORINO IL 3 GIUGNO:

dalle ore 20 APERITIVO E DJSET ELECTRO\POP\TRASH\’80′S\90′S

DA ROMA A TORINO COMPLICI E SOLIDALI CON TUTT* GLI\LE ARRESTAT* E GLI\E INDAGAT*

BASTA SFRATTI
BASTA SGOMBERI

Sono invitat* a partecipare tutti i singoli e le realtà solidali!

 

Ancora, con il nostro pellegrinaggio libertario verso Santo Stefano

13 giugno 2014 Lascia un commento

Anche quest’anno parteciperò al nostro annuale pellegrinaggio libertario,
anche quest’anno, tra una manciata di ore, attraverserò quel tratto di mare che ci ha rubato il cuore e che ha fatto nascere l’affiatato gruppo di “Liberi dall’ergastolo”, ormai una grande famiglia a cui è sconosciuto il concetto di privazioni.

Foto di Valentina Perniciaro _ i gironi di Santo Stefano_

Dovrei usare altre forme verbali però, visto la vita che strada ha preso dopo che ho lasciato quello scoglio, ormai un anno fa.

E’ cambiato tutto,
tutto è cambiato dentro me e attorno a me,
ora con l’ergastolo ho una dimestichezza nuova, ora l’ergastolo mi è entrato nella vita,
un ergastolo che ha conosciuto altre sbarre ed altre istituzioni, ma senza liberarsi della sua violenza.
Ho conosciuto l’ergastolo della malattia, della disabilità, ho conosciuto quell’ergastolo che segue quando sbeffeggi la morte e rimani in vita malgrado tutto:
ho conosciuto un dolore nuovo e lacerante, che toglie il respiro come le scudisciate che risuonavano nel cortile di Santo Stefano quando il detenuto da punire veniva messo al centro,
così che tutti potessero vedere e sentire con i propri organi la lacerazione della pelle, le urla del dolore, la rabbia della dominazione.
Al centro di quel panoptico, sotto le cinghie dei carcerieri ci son stata, ci sono ancora,
ci sto costruendo la vita di mio figlio, sto cercando di insegnargli (in realtà è lui che lo insegna a me) come conquistare e costruire una libertà in ogni piccolo movimento muscolare… quest’anno a Santo Stefano vestirò la casacca del carcerato,
ma proverò a farlo con un sorriso, con lo stesso sorriso che quel posto mi ha sempre donato.

ADOTTA IL LOGO CONTRO L’ERGASTOLO

Vengo a trovarti nuovamente Gaetano Bresci, e mai come questa volta voglio che mi insegni ad “uccidere un principio” più che un re!
Mi devi insegnare come hai fatto, mi devi dar la tua forza e la mano ferma per affrontar questo futuro privo di arti per correre leggeri,
da te quest’anno vengo per imparare, non solo per portarti il profumo dei fiori freschi.
Quest’anno per me sarà come la prima volta: poggerò il cuore in quelle 99 celle, sulla ruggine e il cemento che cade pezzo pezzo,
lo poggerò su quelle tombe, sulla terra che smuoverò per piantare nuove vite in un luogo che volevano di morte e redenzione.

SI SALPA SABATO 14 GIUGNO,
alle ore 12 dal porticciolo di Ventotene. Alcuni gommoni ci porteranno verso la Marunnell, selvaggio approdo di un’isola che volevano solo intrisa di dolore, ma che noi vogliamo terra di libertà, libertà contagiosa.
Contro l’ergastolo, come ogni anno,
porta un fiore al cimitero degli ergastolani.

Vi lascio i molti link prodotti in questi anni di “pellegrinaggio” in quel magico luogo:

Adotta il logo contro l’ergastolo!!
L’ergastolo e le farfalle
Un fiore ai 47 corpi
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A 48 ore dall’inizio dei Mondiali: risuonano le proteste…

11 giugno 2014 Lascia un commento

Un po’ di musica dalle strade del Brasile a 48 ore dal fischio d’inizio del più grande degli eventi sportivi mondiali:
musica dalle strade in lotta e in sciopero, mangiate dalla repressione, dagli attacchi della polizia, dalla povertà

Qui da Infoaut:
A tre giorni dal fischio che darà il via ai mondiali i lavoratori della metropolitana in sciopero a oltranza ormai da sei giorni non demordono. All’indomani dell’inizio della mobilitazione a San Paolo si è creato un ingorgo di oltre 209 chilometri. Di fatto la metro è un servizio essenziale per gli spostamenti in città e sarà il metodo di trasporto più utilizzato dai turisti che stanno arrivando in città, dato che lo stadio Arena Corinthias, dove si terrà la cerimonia d’apertura, dista 20 chilometri dal centro. Le autorità locali però hanno deciso di usare il pugno di ferro contro i lavoratori, i quali ieri dalle prime ore del mattino, in circa 300, hanno bloccato con picchetti l’entrata delle stazioni Ana Rosa, Vila Mariana, Zona Sul.

Domenica il Tribunale regionale del lavoro ha dichiarato lo sciopero a oltranza intrapreso “illegale”, sentenziando che fosse garantito il 100% del servizio nelle fasce protette e 70% durante gli altri orari e multando il sindacato di 100 mila reais (circa 33 mila euro) per ogni giorno di astensione lavorativa, oltre ai 500 mila reais qualora i lavoratori non tornassero ai propri posti di lavoro. Questa provocazione però non ha scalfito la determinazione dei lavoratori, i quali hanno annunciato che lo sciopero proseguirà finché il governo non accetterà di concedere l’aumento salariale del 12,6% (per adesso l’offerta delle autorità è ferma al 8,8%: uno stipendio comunque troppo basso per una vita dignitosa).

Così lunedì alle 5 del mattino i dipendenti sono tornati nella metro ma per farvi dei picchetti. Circa un’ora dopo le unità della polizia militare hanno letteralmente invaso le fermate bloccate dai lavoratori, tentando di sgomberare i presidi. Circa 70 lavoratori sono stati fermati e di fatto chiusi nella metro dagli agenti, altri 13 lavoratori sono stati portati in questura per essere denunciati. La stazione Ana Rosa è stata aperta solo verso le otto, con le unità della polizia militare che sono rimaste in loco per tutta la giornata. All’esterno si è creato un presidio di solidarietà, al quale sono accorsi studenti e lavoratori del Movimento MTST: la fascia della popolazione che da oltre un anno si batte contro le espropriazioni, lo sperpero di denaro pubblico e la colonizzazione firmata FIFA, quella fascia accomunata dall’esigenza di mettere al primo piano i bisogni reali del paese. Ancora una volta la polizia militare ha aggredito i solidali, sparando gas lacrimogeni e granate stordenti. Oltre la violenza della polizia, le autorità locali hanno deciso di utilizzare la tattica del ricatto, annunciando il licenziamento di 60 lavoratori e la valutazione del licenziamento anche per i 13 lavoratori portati in questura. In tarda serata è stato organizzato un tavolo di dialogo tra il sindacato e le autorità locali, il quale è finito con un nulla di fatto: i dipendenti hanno dichiarato di continuare lo sciopero finché i loro colleghi non verranno reintegrati, il responsabile dei trasporti ha affermato con arroganza che i licenziamenti sono più che leciti dato che il servizio non è offerto.

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In questo clima di tensione, la presidente Dilma Rousseff non fa altro che gettare benzina sul fuoco, schierando nelle città decine di migliaia di soldati. Le foto che ritraggono le unità mobilitate dell’esercito ricordano più i preparativi per una guerra che i preparativi per una festa che ha il compito di dimostrare che il “Brasile è un paese all’avanguardia”. Lo confermano anche le parole del comandate della Difesa della regione Brasilia, il quale ha dichiarato che le forze armate controlleranno le linee elettriche, le riserve idriche, lo spazio aereo e garantiranno la sicurezza dei capi di stato. Stamani gli abitanti delle case vicino allo stadio Maracana si sono svegliati con missili e basi militari installati sui tetti delle loro case. Intanto in molteplici città brasiliane sono state lanciati cortei, mobilitazioni e iniziative in concomitanza con la cerimonia d’apertura.

Da leggere : In tanti senza un tetto…

Egitto: 15 anni di carcere per Alaa e compagni

11 giugno 2014 Lascia un commento

L’Egitto continua a marciare con passo pesante e anfibio lucidato sulla pelle di chi aveva ribaltato lo stato di cose presenti in quell’indimenticabile fine gennaio 2011, quando il popolo egiziano -tanto- rovesciò il potere di Mubarak.

Libertà!

Dopo quelle giornate ne abbiamo viste di tutti i colori, troppe: tante illusioni si son sfrante, tanti son stati uccisi nel passaggio repentino di poteri che da quell’inverno si è accavallato lungo le sponde del grande fiume.
Avevamo seguito con passione e solidarietà l’arresto ( primo di una lunga serie) di Alaa Abd el Fattah -militante comunista, blogger- nel periodo precedente al potere della fratellanza, prima che anche questa fosse di nuovo spazzata via da piombo ed ergastoli: processo, scarcerazione, arresti e altre scarcerazioni…
ma ecco che ora arriva una pesante condanna, quella che avremmo voluto non sapere mai, e che ovviamente coinvolge altre 24 persone tra attivisti e militanti, tutti condannati in contumacia dalla Corte Penale del Cairo a ben 15 anni di carcere.

 

Solamente due degli imputati, Abd el Fattah e Mohamed Nouby, sono stati arrestati al momento della lettura del verdetto questa mattina, per gli altri non credo ci vorrà molto: il tutto è avvenuto molto rapidamente, il verdetto è giunto immediato e quasi inaspettato.
Erano scesi in piazza contro una legge costruita a pennello per bloccare ogni tipo di protesta: fu il presidente ad interim Mansour (dopo il tentativo andato male di Morsi) a far passare una legge che rendeva impossibili anche le riunioni di partito. Parliamo di un divieto ad assembramenti di più di dieci persone se non previo autorizzazioni di ben 7 diverse autorità competente e con un lasciapassare definitivo che compete direttamente alla polizia.
Contro questa legge le proteste furono enormi lo scorso novembre, e tutti i coloro che oggi son stati condannati a 15 anni erano stati arrestati durante le mobilitazioni: solo Alaa fu arrestato nella sua casa il 28 novembre, dopo che aveva comunque annunciato di costituirsi.
Poi tutti erano stati scarcerati in attesa del verdetto finale, che oggi è calato come una mannaia sulle loro teste.

INFINITA SOLIDARIETA’.

Su Alaa abd el Fatteh: LEGGI
Sulle mobilitazioni in egitto: LEGGI

 

Annullato l’ergastolo all’attivista Pinar Selek

11 giugno 2014 Lascia un commento

Ogni tanto una buona notizia, ma di un buono che sembra quasi di sentirne il profumo.
L’11 giugno 2014 la Corte di Cassazione di Ankara ha annullato la controversa condanna all’ergastolo per Pinar Selek, militante per i diritti umani, sociologa e femminista, dal 2009 rifugiata in Francia.
Fu accusata di un attentato avvenuto ad Istanbul (che causò la morte di 7 persone e il ferimento di un centinaio) nel 1998, e quindi di esser membro del Partito dei Lavoratori Kurdi (PKK); nel 2003 fu rimessa in libertà dopo che una perizia attribuiva l’esplosizone ad una fuga di gas.
Malgrado questo è stata appellata come “terrorista” per più di un decennio fino alla condanna all’ergastolo avvenuta nel 2013,
di cui lei ha avuto notizia in Francia, dove è rifugiata e dove le mobilitazioni di solidarietà si sono accavallate numerose.
Un processo kafkiano, un processo farsa, un processo tutto politico verso una coraggiosa militante, che dimostra chiaramente le modalità della giustizia turca.
Un processo che ora si rifarà, ma almeno con l’ergastolo annullato.

 

I metronotte difendono la parata militare: realtà batte finzione

2 giugno 2014 6 commenti

Devo dire che le barzellette ormai non son più all’altezza: la realtà supera qualunque finzione ed immaginazione.
Oggi è 2 giugno: i tricolori, la patria, le frecce, i carriarmatini (ah no, quest’anno si risparmia sui mezzi pesanti), i pennacchi e le divise. Chiunque sia il presidente di turno, nano o meno nano, la retorica patriottica e militarista oggi arriva al suo apice annuale: son tirati a lucido, petti da pollai in fuori e tronfi, miliardi e miliardi buttati per una ridicola dimostrazione di forza armata, passo dell’oca e fanfare.

Al passaggio del Battaglione San Marco lo speaker ha detto: “Rivolgiamo il nostro saluto ai due marò”. PRRRRRR!!

Lo schifo supremo che ogni anno si ripete.
Ma parlavamo di barzellette, appunto.

Bhè oggi ci siam proprio superati: e mica per il lungo applauso commosso per i Marò. No, quello lo davamo per scontato.
Che aspiranti assassini difendano emozionati degli assassini mi sembra naturale, può passare in secondo piano.
Invece… facciamocela insieme questa risata:
Il ministero della Difesa ha appaltato ai metronotte (ai metronotte oh!) la sicurezza di tutta sta pupazzata di parata: 1 milione e 800mila euro.
1 milione e 800mila euro che il ministero della Difesa sborza a privati per la sicurezza dei nostri soldatini e del loro pubblico sventolante tricolore.
“la parata all’insegna della sobrietà” “niente mezzi pesanti per risparmiare”… e poi c’è st’appalto straordinario e pure un po’ ridicolo,
come se niente fosse.
Playmobil privati in difesa di esercito, polizia, carabinieri e ogni divisa immaginabile per un numero complessivo di 3500 marcianti: siamo alla follia.

 

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