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Posts Tagged ‘Palestina’

Della scherma e del boicottaggio allo Stato d’Israele: Sarra Besbes

11 ottobre 2011 7 commenti

Sarra Besbes è una giovane donna tunisina, una delle migliori spadiste africane;
ieri in pedana ai mondiali di scherma di Catania contro un’ avversaria israeliana di nome Noam Mills.
Ha scelto di non gareggiare, ma non di ritirarsi.
Ha deciso volutamente di rimanere ferma e di subire le cinque stoccate che valgono per la sconfitta, perché certo di vittoria non si può parlare.
Una forma di boicottaggio allo stato di Israele, lo stesso che persevera scientificamente nella pulizia etnica della terra di Palestina e nel mantenimento di un regime di Apartheid all’interno dei suoi confini, in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.
Una forma di boicottaggio che deve essere costata molto ad una donna che ha costruito una vita per combattere su quella pedana, e che immobile ha deciso di  lasciare la vittoria a chi, da più di 60 anni, è abituato a vivere in uno Stato che abitualmente infierisce su un corpo disarmato per poi chiamarla vittoria.
على راسي

Aggiornamenti dalle carceri israeliane: DIFFONDIAMOLI

7 ottobre 2011 3 commenti

Il 27 settembre è iniziato uno sciopero della fame dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane, per chiedere la fine delle condizioni di detenzione che in migliaia vivono, per chiedere la fine dell’isolamento per Ahmad Sa’adat e la fine delle politiche repressive nei confronti dei familiari e dei visitatori dei prigionieri, costretti a subire costanti vessazioni che spesso rendono impossibile anche solo un’ora di colloquio al mese con i propri cari in regime di detenzione, nelle carceri di un paese occupante.
Chiedono la fine degli abusi durante le traduzioni da un carcere all’altro e molto altro, oltre che la solidarietà internazionale e la diffusione delle notizie sulla lotta che stanno portando avanti, sul proprio corpo, l’unica cosa a loro disposizione.

Ovviamente le autorità israeliane e i funzionari del dipartimento che gestisce le carceri nel paese dell’Apartheid hanno risposto aumentando la violenza psicologica e le condizioni dei detenuti: dal carcere di Nafha i detenuti politici palestinesi raccontano delle minaccie subite sulla negazione dei colloqui con i familiari. Per ogni giorno di partecipazione allo sciopero della fame ci sarà un mese di divieto di incontro con i propri cari. In molti sono stati trasferiti in altri carceri, di cui ancora non si riesce a conoscere il nome.
I membri del F.P.L.P hanno subito tutti il trasferimento in celle di isolamento e la confisca di tutti i loro beni personali, compresi i propri vestiti.
Durante una visita con le famiglia le autorità delle prigioni dell’occupante israeliano hanno sequestrato i documenti di identità di tutti i loro familiari dando come motivazione proprio la partecipazione allo sciopero della fame, che li precluderà per mesi a qualunque incontro, compreso quello con il proprio avvocato.
Nella prigione di Asqelan infatti è stato vietato l’accesso ad un’avvocato che doveva visitare i prigionieri Ahed Abu Ghoulmeh, Allam Al-Kaabi e Shadi Sharafa: gli è stato comunicato che in quanto partecipanti all aprotesta, non potranno incontrare i loro avvocati, non si sa fino a quando.

Oltre ai prigionieri militanti del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina, che hanno iniziato questa mobilitazione in nome del loro rappresentante Ahmad Sa’adat (detenuto a Gerico) si stanno unendo molti altri prigionieri, come alcuni componenti di Fatah, tra cui quelli che hanno il triste primato di essere da più tempo in regime di detenzione: Fakhri Barghouti entrato nelle carceri israeliane 34 anni fa, ed Akram Mansour,malato di cancro, detenuto da 33 anni.
Anche molte donne prigioniere stanno partecipando alla lotta: Sumoud Kharajeh, Linan Abu Ghoulmeh, Duaa Jayyousi e Wuroud Kassem sono state trasferite in isolamento totale mentre Linan Abu Ghoulmeh è stata messa in regime di detenzione amministrativa in modo totalmente arbitrario.

PER SEGUIRE GLI AGGIORNAMENTI: The Campaign to Free Ahmad Sa’adat

DIFFONDIAMO QUESTA NOTIZIA, CREIAMO SOLIDARIETA’ ANCHE PER I PRIGIONIERI PALESTINESI, PROPRIO ALLA LUCE DELLE DISCUSSIONI SULLO STATO PALESTINESE.
NON PUO’ ESSERCI STATO SENZA LA LIBERAZIONE DI TUTTI I PRIGIONERI,
SENZA IL DIRITTO AL RITORNO DI TUTTI I PROFUGHI,
SENZA LA FINE TOTALE E DEFINITIVA DEL REGIME DI APARTHEID,
SENZA LA CANCELLAZIONE DELL’OCCUPAZIONE MILITARE E L’ABBATTIMENTO DEL MURO DI SEPARAZIONE E DEGLI INSEDIAMENTI.
PALESTINA LIBERA.

I prigionieri palestinesi in sciopero della fame chiedono solidarietà

26 settembre 2011 2 commenti

SOLIDARIETA’ AI PRIGIONIERI PALESTINESI IN SCIOPERO DELLA FAME

Domani, marted’ 27 settembre 2011 inizierà uno sciopero della fame dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane, per chiedere la fine del regime di isolamento per Ahmad Sa’adat, la fine dell’isolamento per tutti i prigionieri politici palestinesi, la fine delle politiche di repressione e umiliazione nei confronti dei parenti e dei visitatori dei prigionieri, incluso la fine del blocco ai colloqui con i familiari, cercata ed impedita già ai checkpoint israeliani.
I prigionieri chiedono anche la fine degli abusi e delle umiliazioni ai prigionieri durante le traduzioni tra carceri.
La campagna per la liberazione di Ahmed Sa’adat è solidale con tutti i prigionieri palestinesi in sciopero della fame e chiede alle persone di tutto il mondo di partecipare a questa campagna per i prigionieri.
Sotto il flyer che racconta la situazione dei prigioneri e poi quella specifica di Sa’adat.

Ahmed Sa’adat, il detenuto segretario generale del Fronte popolare di liberazione della Palestina , è stato catturato dalle forze d’occupazione israeliane il 13 marzo del 2006 e dall’attacco israeliano alla Striscia di Gaza dell’inverno del 2009, quando chiamò alla resistenza popolare, vive in regime di isolamento. Ha una condanna a 30 anni.
Ma è solamente uno dei circa 10.000 prigionieri politici nelle mani di Israele, tra cui ci sono molti minorenni, donne e leader delle organizzazioni politiche.

IL SITO DELLA CAMPAGNA PER LA LIBERAZIONE DI SA’ADAT

Dai giovani palestinesi, contro uno Stato palestinese come quello proposto: PER IL DIRITTO AL RITORNO E LA LIBERAZIONE

18 settembre 2011 10 commenti

Ottimo, importante, coraggioso, pienamente condivisibile.
Contrari a questo ridicolo riconoscimento dello Stato Palestinese che a breve sbarcherà alle Nazioni Uniti, i giovani palestinesi chiedono a gran voce la fine dell’occupazione, il ritorno dei profughi, chiedono di dimenticare la parola Nakba, di mutarla con Hurriyya (libertà).

NOI, DEL MOVIMENTO GIOVANILE PALESTINESE (PYM), SIAMO FERMAMENTE CONTRARI ALLA PROPOSTA DI RICONOSCIMENTO DI UNO STATO PALESTINESE BASATO SUI CONFINI DEL 1967 CHE DEVE ESSERE PRESENTATA ALLE NAZIONI UNITE QUESTO SETTEMBRE DA PARTE DELLA LEADERSHIP PALESTINESE UFFICIALE.

Un manifesto del Fronte popolare, sul diritto al ritorno!


NOI CREDIAMO E AFFERMIAMO CHE LA DICHIARAZIONE DELLA STATALITA’ VUOLE ESSERE SOLO IL COMPLETAMENTO DEL PROCESSO DI NORMALIZZAZIONE, CHE INIZIO’ CON I PROBLEMATICI ACCORDI DI PACE.

L’INIZIATIVA NON RICONOSCE IL FATTO CHE NEL NOSTRO PAESE LE PERSONE CONTINUANO A VIVERE IN UN REGIME COLONIALE BASATO SULLA PULIZIA ETNICA DELLA NOSTRA TERRA, SULLA SUBORDINAZIONE E SULLO SFRUTTAMENTO DELLA NOSTRA GENTE.

Questa dichiarazione serve come meccanismo per salvaguardare il falso quadro del processo di pace e depoliticizzare la lotta per la Palestina rimuovendo la lotta dal suo contesto storico coloniale. I tentativi di imporre una falsa pace con la normalizzazione del regime coloniale ha solo portato a cedere quantità crescenti della nostra terra, i diritti del nostro popolo e le nostre aspirazioni, delegittimando ed emarginando la lotta del nostro popolo, rendendo sempre più intensa la frammentazione e la divisione tra la nostra gente.

Questa dichiarazione mette in pericolo i diritti e le aspirazioni di oltre due terzi delle persone palestinesi che vivono come rifugiati in esilio in altri paesi, che dalla Nakba  del 1948 (Catastrofe) aspettano per tornare alle loro case da cui sono state sfollate.
Si compromette così anche la posizione dei/delle palestinesi che risiedono nei territori occupati nel 1948, che continuano a resistere dall’interno quotidianamente contro la pulizia etnica e le pratiche razziali del regime coloniale. Inoltre, rafforza e potenzia i/le palestinesi e i partener arabi ad agire come i portinai dell’occupazione e della colonizzazione nella regione, all’interno di un quadro neo-coloniale.

Il fondamento di questo processo serve niente di più che ad assicurare la continuità dei negoziati, la normalizzazione economica e sociale e la cooperazione per la sicurezza. La dichiarazione dello Stato solidificherà solo falsi confini su un frammento della storica Palestina e continua a non affrontare le questioni fondamentali: Gerusalemme, gli insediamenti, i/le rifugiati/e, i/le prigionieri/e politici/che, l’occupazione, le frontiere e il controllo delle risorse. Crediamo che una tale dichiarazione di Stato non garantisce né promuovere la giustizia e la libertà per i/le palestinesi, il che significa di per sé che non ci sarà pace duratura nella regione.

Inoltre, l’iniziativa di dichiarazione di uno Stato viene presentata alle Nazioni Unite da una leadership palestinese che è illegittima e che non è stata eletta per essere in grado di rappresentare la popolazione palestinese nella sua totalità, attraverso tutti i mezzi democratici per la sua gente. Questa proposta è un prodotto politico progettato da loro per nascondersi dietro la l’incapacità di rappresentare i bisogni e i desideri della propria popolazione. Affermando di compiere la volontà palestinese di autodeterminazione, questa leadership sta abusando e sfruttando la resistenza e i sacrifici del popolo palestinese, in particolare  dei nostri fratelli e sorelle a Gaza,  dirottando inoltre la base di lavoro di solidarietà internazionale, come il  Boicottaggio Disinvestimento e Sanzioni e gli sforzi e le iniziative della flottiglia. Questa proposta serve solo a sperperare tutti gli sforzi fatti per isolare il regime coloniale e renderlo responsabile.

Se la proposta per il riconoscimento statale è stata accettata o no, chiediamo ai/alle palestinesi all’interno del nostro paese sotto occupazione e in paesi di rifugio e di esilio, a mantenere l’impegno e la convinzione della dignità della nostra lotta e, ispirati dai loro diritti e responsabilità, a difenderla.
Facciamo appello al popolo libero del mondo e agli/alle alleati/e della popolazione palestinese, di praticare veramente la solidarietà con i/le palestinesi in una lotta anti-coloniale, quindi di non prendere una posizione sulla dichiarazione dello Stato, ma piuttosto di continuare a ritenere Israele responsabile per mezzo del Boicottaggio in tutte le forme economiche, accademiche e culturali, del Disinvestimento e delle Sanzioni.

Fino al Ritorno e alla Liberazione
International Central Council
Palestinian Youth Movement

RINGRAZIO IL SITO FREEPALESTINE.NOBLOGS.ORG PER LA TRADUZIONE E DIFFUSIONE DI QUESTO TESTO, SECONDO ME IMPORTANTISSIMO.
PER CHI VOLESSE LEGGERLO IN LINGUA ORIGINALE O IN INGLESE ECCO I LINK: arabicenglish

Esercito israeliano: magliette e foto ricordo di un genocidio

11 settembre 2011 3 commenti

The New Abu Ghraib

Aprite questo link, ma apritelo con calma.
Sappiate che vedrete una pagina che fa male, dalla prima all’ultima foto.

il certosino lavoro dei soldati israeliani: puntare agli occhi e alle ginocchia dei bambini...li addestrano così

In questo blog avevamo già parlato delle magliette ordinate e poi orgogliosamente indossate da un paio di reparti dell’Israel Defence Force ( il titolo del post parla da solo: “Una donna incinta? con un colpo DUE morti!“) , magliette che nemmeno le S.S. avrebbero ostentato con tanta soddisfazione.
Nel link che invece vi ho lanciato oggi, che in pochi secondi potrebbe rovinare la vostra domenica, ce ne sono delle altre: nuovi modelli, slogan simili.
Ma anche una collezione di immagini “ricordo” scattate dai soldati israeliani durante le loro incursioni nei Territori Occupati come a Gaza,
sono foto scattate dentro gli appartamenti rastrellati, sopra i cadaveri di persone e bestiame.
Dei massacri dei precedenti secoli non abbiamo immagini, lo Stato di Israele ci “dona” la possibilità di averle comunque davanti agli occhi.
E ogni tanto, per quanto male faccia, bisogna ricordarlo.

Più son piccoli, più è complicato

difficile anche solo pensare ad una didascalia...

per le altre immagini potete andare sul link ad inizio pagina.
A me la rabbia e la nausea non mi permettono di più … però le metto anche come commento a tutti quelli che in rete dicono che l’assalto all’ambasciata israeliana al Cairo è stato un atto INCIVILE. Fatela finita, abbiate il buon gusto di non parlare di civiltà.

Dai cuccioli di Rafah, “guastatori bambini” a quelli di Bosra…

17 giugno 2011 2 commenti

Foto di Valentina Perniciaro _la casa dell'imperatore Adriano, e il profilo dell' "imperatore " di Bosra _

Una poesia scritta da mano palestinese e rivolta ai bimbi di Rafah e della Palestina tutta.
Oggi però la dedico a chi da quella terra non dista molto: dedico queste righe ai bimbi di Bosra, la mia unica oasi di pace al mondo dopo gli occhi di mio figlio e l’abbraccio di chi amo. La dedico a quei bambini, la dedico ai miei amici, a coloro che come nessun altro m’ha fatto sentire a casa.
Ripetutamente. La dedico a te, che sei sangue mio, fratello beduino.

A colui che scava nella ferita di milioni la sua strada
A colui che sul carro armato schiaccia le rose del giardino
A colui che di notte sfonda le finestre delle case
A colui che incendia l’orto, l’ospedale e il museo
e poi canta sull’incendio.
A colui che scrive con il suo passo il lamento delle madri
orfane dei figli,
vigne spezzate.
A colui che condanna a morte la rondine della gioia
A colui che dall’aereo spazza via i sogni della giovinezza
A colui che frantuma l’arcobaleno,
stanotte i bambini dalle radici tronche,
stanotte i bambini di Rafah proclamano:
noi non abbiamo tessuto coperte da treccia di capelli
noi non abbiamo sputato sul viso della vittima
(dopo averle estratto i denti d’oro)
Perché ci strappi la dolcezza
e ci dai bombe?
E perché rendi orfani i figli degli arabi?
Mille volte grazie.
Il dolore con noi ha raggiunto l’età virile
e dobbiamo combattere.
Il sole sul pugnale di un conquistatore
era nudo corpo profanato
e prodigava silenzio sul rancore delle preghiere,
intorno facce stravolte.
Urla il soldato della leggenda:
“Non parlerete?
Bene! Coprifuoco tra un’ora”
E dalla voce di Ala’uddin esplode
la nascita dei guastatori bambini:
io ho buttato una pietra sulla jeep
io ho distribuito volantini
io ho dato il segnale
io ho ricamato lo stemma
portando la sedia
da un quartiere…a una casa…a un muro
io ho radunato i bambini

e abbiamo giurato sulla migrazione dei profughi
di combattere
finché brillerà nella nostra strada il pugnale di un
conquistatore.
(Ala’uddin non aveva ancora dieci anni)

_Samih al-Qasim, poeta palestinese_

Foto di Valentina Perniciaro _lasciateci ancora giocare, Bosra, Syria_

PALESTINA: l’obiettivo deve essere il diritto al ritorno

1 giugno 2011 3 commenti

Nel campo profughi più grande di Betlemme, nel cuore della West Bank, ci si prepara alla commemorazione della Naksa. “Una casa a Deisha è come una tenda in Libano”, dicono i rifugiati del 1948. L’obiettivo è scuotere la leadership palestinese e riportare il diritto al ritorno al centro della lotta.

DI EMMA MANCINI, Nena News

Deisha Camp (Betlemme), 1 giugno 2011, Nena News – “Erano anni che la Nakba non veniva celebrata con un tale movimento di popolo. Il 5 giugno, anniversario dellaNaksa, faremo lo stesso”. L’annuncio di nuove marce e manifestazioni per il diritto al ritorno arriva dalle parole di Mohend, giovane del campo profughi di Deisha, a Betlemme. Nel cuore della Cisgiordania, come in Libano e Siria, i rifugiati palestinesi si preparano ad una nuova mobilitazione.

Se a Nord sono previste marce simili a quelle dello scorso 15 maggio, in West Bank pare tirare la stessa aria. La voce corre tra i 15mila profughi di Deisha, che promettono di fare la loro parte: “Sappiamo che il 5 giugno 2011 non torneremo nelle nostre case – dice Khalil, 23enne nato e cresciuto tra le strade strette di Deisha – ma è l’inizio della nostra lotta. Non libereremo la Palestina con qualche manifestazione, ma potremo ritrovare l’unità perduta. I morti alla frontiera hanno rappresentato tutto questo: la ritrovata voglia di lottare insieme, dentro e fuori la Palestina storica. Si tratta di atti puramente simbolici, ma di una forza estrema: dimostriamo al mondo che i palestinesi che lottano per la liberazione non sono solo quattro milioni e mezzo. Sono quattordici milioni”.

Foto di Valentina Perniciaro _nei dintorni del camp profughi di Dheishe_

Per  domenica si attendono marce verso i confini del 1967 ed oltre, la Linea Verde è l’obiettivo. Da Qalandiya ad Al Walaje, i comitati popolari stanno raccogliendo adesioni via web e durante incontri pubblici. In mancanza di una leadership forte, il popolo si “arrangia” e manda messaggi chiari al governo di Ramallah: il diritto al ritorno è il cuore del conflitto. “I danni peggiori alla causa palestinese sono stati inferti dalla debolezza della nostra leadership – attacca Khalil –. Troppe fazioni, troppa divisione e l’incapacità di capire i bisogni della gente. La maggiorparte dei membri dell’Autorità Palestinese hanno studiato all’estero per anni, alcuni hanno un’altra cittadinanza. Nessuno di loro è un rifugiato. Non ci rappresentano più”.
Difatti, alcune statistiche ufficiose danno al 50% la quota di palestinesi che ormai non si riconosce in alcun partito politico. “Nella Prima Intifada c’erano dei leader locali rispettati e carismatici – riprende Mohend – mentre oggi i leader della PA sono lontanissimi dai sentimenti popolari. E il problema è anche la mancanza di una strategia a lungo termine che includa il diritto al ritorno”.

Il campo profughi di Deisha

Un diritto che pare vivere della stessa speranza sia in Libano, Siria e Giordania che nei campi profughi della West Bank. Un anziano seduto fuori da una minuscola drogheria dice che una casa a Deisha è uguale ad una tenda in Libano, nessuna differenza. Quello che manca è la patria, una patria spesso sognata, immaginata, idealizzata all’estremo e concretizzata nella chiave della vecchia casa in Palestina. II sentimento è tanto forte, ci spiegano, anche perché all’estero è impossibile vivere una vita normale, integrarsi in un’altra società araba. “Qualche tempo fa sono stato in Libano – racconta Moeaed – in un campo profughi palestinese. Assomigliava moltissimo a Deisha, con le sue case ammassate e le strade strettissime. Ma le case sono di legno e alluminio e non c’è alcuna integrazione con la popolazione libanese. I palestinesi non possono sposare donne arabe, non possono uscire con la propria auto dal campo e per legge non possono svolgere 83 professioni, come l’avvocato o l’insegnante. Possono fare solo i muratori, o poco più”.

Foto di Valentina Perniciaro _gli sguardi di Dheishe_

Stesso dicasi per la Giordania: i palestinesi, oltre il 60% della popolazione, non possono servire nell’esercito né svolgere incarichi nella pubblica amministrazione. Ma le rivoluzioni del mondo arabo e l’accordo di unità nazionale tra Hamas e Fatah ha ridato qualche speranza alla gente di Deisha: “Se è caduto Mubarak, se è caduto Ben Ali, significa che c’è una possibilità anche per i rifugiati – sorride Samer –. È stato emozionante vederne qualcuno passare la frontiera con il Libano. Un’immagine che ha dato più forza di andare avanti di qualsiasi negoziato o processo di pace. Ma che razza di negoziato può essere quello tra PA e Israele? È una resa e infatti non si parla mai di rifugiati. E intanto, noi a Deisha affrontiamo quotidianamente gli stessi problemi: acqua, elettricità, mancanza di scuole, di spazio per vivere una vita normale, per parcheggiare l’auto o piantare un albero”.
Una leadership lontana anni luce dalla quotidianità della gente come spiega Naji Owdah, direttore del Phoenix Center di Deisha, centro che regala a uomini, donne e bambini del campo progetti teatrali, laboratori di pittura e musica, libri, film, workshop. “Quello che temo di più non è tanto la reazione dell’esercito israeliano – spiega Owdah – quanto il tentativo dell’Autorità Palestinese di bloccare le manifestazioni sul nascere. È successo spesso negli ultimi tempi: i militari palestinesi sono stati mandati a fermare le marce pacifiche dei giovani verso il checkpoint. Sicuramente accadrà ancora”. A guidare la mano della PA è la paura di perdere il poco consenso rimasto o il controllo di simili manifestazioni di volontà popolare. “Il nostro nemico è Israele, non la PA, non Hamas o Fatah – continua Naji – I nostri leader devono capire che il popolo non cerca il conflitto con loro, ma vuole solo sostegno alle proprie battaglie. Ma se la PA continuerà a ostacolare le nostre azioni, arriveremo davvero alla rottura”.

Sarà difficile per i rifugiati che dopo anni sono scesi di nuovo in strada accettare una nuova resa: “Come popolo non abbiamo un’agenda politica – conclude – ma una cosa è certa: la Palestina non accetterà mai la soluzione dei due Stati, perché significherebbe abbandonare la lotta per il ritorno dei rifugiati. Marceremo ancora per fare pressione sulla nostra leadership”.

Nuova pubblicazione di nomi e passaporti di attivisti ISM. L’ultima volta era stato Vittorio…

26 Maggio 2011 5 commenti

Quello che riporto qui, senza tradurlo perché non riesco ad averne la minima voglia, è quello che ora è visibile sul sito stoptheism   di cui più volte abbiamo parlato. Sulle pagine di questo sito erano già comparsi nomi e fotografie di alcuni attivisti dell’International Solidarity Movement: un macabro elenco di persone di cui si richiedeva nemmeno la cattura ma l’uccisione immediata, perché nemici dello stato d’Israele e vicino alle formazioni armate estremiste palestinesi. Il primo volto, il primo nome e cognome di cui si auguravano la morte quella volta era proprio Vittorio Arrigoni, di cui ora non possiamo leggere i commenti del suo blog, purtoppo. Quella volta le polemiche che sorsero in rete dopo la loro pubblicazione li portò a cancellare quell’elenco…
ma eccoci di nuovo.
Questa volta niente foto, ma l’elenco che appare sotto il testo che vi metto qui, è inquietante e vergognoso.
Decine di nomi e cognomi, date di nascita e numero di passaporto: quelli che loro definiscono “coloro che hanno interferito con le attività anti-terroristiche dell’esercito israeliano in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.Un appello a segnalare queste persone ovunque si trovino alla polizia locale o all’FBI. Fatico anche a mettere questa parte del loro testo, ma non essendo possibile linkarla (è possibile mettere solo il link dell’homepage del sito)è meglio farlo, visto che magari sparirà tra qualche giorno come accadde quella volta con la foto di Vittorio e degli altri.  (Sotto l’ignobile lista è riportato un articolo su Vittorio pubblicato da Il Giornale a firma di Fiamma Nirenstein)
The following names and passport numbers are members of the ISM who have interfered with anti-terrorism activities of the Israel Defense Forces in the West Bank and Gaza. If you want to make a real effort for peace in the world, note these names and individuals. In the US or UK, if you recognize them as from your area or neighborhood, contact your local law enforcement, local police, FBI and Homeland Security and advise them that these people have functioned as human shields for Hamas in Judea and Samaria or in Gaza and should be regarded as  national security risks at home. If they are foreign nationals from Germany or Sweden, notify your local FBI. Write your local newspapers and tell them about these people. These are not “peace activists”, not “human rights” workers. These are people who want terrorist organizations to succeed in their efforts to destroy the democracies of Israel, the UK and the Untied States. Today they operate in the shadows, but let their families, their associates and local law enforcement know who they are and where they can be found. Alert the TSA if they attempt to fly. Contact the US Diplomatic Security Service in your US city to void their passports for assisting as human shields the terrorists in Hamas and Fatah. If they attend your college, alert the administration. The deaths of Osama Bin Laden and Vittorio Arrigoni show how evil will eventually be conquered by good people. Both Hamas and Fatah have expressed grief at the demise of Bin Laden and the ISM also has said nothing about the killing of the murderer of thousands of Americans and Israelis because they support the terrorists who supported and worshipped Bin Laden. Arrigoni will not be the only ISM idiot taken out by Hamas or Fatah. These people below function as a fifth column within our democracies to help the allies of Bin Laden and Hamas. Together, we can all STOP THE ISM!!! If you have information of value to US, British or Israeli law enforcement, feel free to email us details at StoptheISM@att.net  or info@StoptheISM.com .

Israele e le maschere grossolane

22 Maggio 2011 Lascia un commento

Golan: terra di altoparlanti e ora di abbracci

17 Maggio 2011 1 commento

Foto di Valentina Perniciaro _Golan, la terra degli altoparlanti_

I melograni e i fichi più buoni che io abbia mai assaggiato venivano da quella terra.
Il Golan è un pezzetto di medioriente che racchiude in se tante tragedie e meraviglie, una terra che non può essere ospitale perché in parte porta il bollino di “no man’s and” e per l’altra grand parte vive sotto occupazione militare israeliana.
Per poter attraversare quella terra e vedere la sua quotidianità di zona fantasma del pianeta ( mi riferisco ovviamente al lato siriano ) bisogna chiedere autorizzazioni alle U.N. e fondamentalmente esser scortati quasi passo passo da quei contingenti inutili, in stallo lì da quasi 4 decenni.
Interi villaggi sono stati strappati alla Siria, intere famiglie sono separate dalle tre reti che formano quel confine illegale: lo stratagemma, il solo, per poter comunicare sono degli enormi altoparlanti, istallati nei punti più alti, da dove potersi urlare le novità, i matrimoni, le nascite, il raccolto o un funerale.
O solo la rabbia di non potersi riabbracciare.
Da quei megafoni enormi istallati su quelle torrette un po’ sbilenche escono conversazioni tra figli e vecchi genitori, tra nonni e nipoti che non si sono mai incontrati, tra sconosciuti innamorati solo per la distanza ridicola ma infinita che li divide.
Da quei megafoni passa una quantità di vita che sorprende, che scalda il cuore, che fa salire quella rabbia interiore che solo un sopruso come l’occupazione militare di una terra e l’annientamento di un popolo può far provare. Sentire le voci provenire dalla collina di fronte, filtrate dal vento che dalla Palestina arriva violentissimo e orgoglioso è stata un’emozione che mai abbandonerà il mio sangue.

Due giorni fa, 15 maggio, data della Catastrofe del popolo palestinese, quei confini hanno preso un altro colore. Per la prima volta.
Per la prima volta centinaia di persone, centinaia di profughi palestinesi vittime della Nakba e dell’eterno non-ritorno hanno trovato il coraggio di far quello che ancora non era stato mai tentato.
Scavalcare.
Tornare a casa.
Con quelle chiavi enormi che non troveranno più porta, con i colori della loro bella bandiera…e con la sola intenzione di realizzare il sogno scritto nel sangue, quello di tornare a casa, di assaggiare le arance del proprio giardino sconosciuto.
Ci sono stati dei morti: a Majed ash-Shams i cordoni israeliani hanno reagito con i loro soliti metodi, uccidendo due ragazzi.
Che almeno son morti in terra di Palestina, come dicono i loro parenti e amici.

Questo video invece lascia senza parole…
tutte quelle persone che dal confine siriano puntano le reti… i loro familiari e “compaesani” sotto occupazione israeliana che urlano prima d’emozione e poi di terrore… convinti che tra la prima e la seconda barriera il terreno fosse minato.
Si sentono solo urla di non fare altri passi, che è troppo pericoloso, ma la voglia di entrare in Palestina, di metter piede finalmente su quella terra è troppo forte e nessuno bada al pericolo di poter saltare in aria.
Nessuna mina.
Altra rete.
Sono nella Palestina Occupata, nel Golan, abbracciati alla loro gente e alla loro terra…la terra degli altoparlanti per una volta sente il calore della pelle che si tocca, delle labbra che si baciano.

Una giornata tutta nuova, una giornata indimenticabile, una giornata che vedrà crescere i suoi frutti, un nuovo fronte popolare arabo e palestinese che vuole marciare unito verso l’autodeterminazione.

Foto di Valentina Perniciaro _Le strade di Quneitra, Golan_

Pubblicato su Peacereporter

Mare di Gaza: Israele attacca nave d’aiuti malese

17 Maggio 2011 Lascia un commento

Prendo da Infopal, ma poi vi allego un po’ di altri link per capire meglio la situazione:
il concetto è però di facile comprensione. Una nave di aiuti (malese) diretta da Pireo a Gaza è stata attaccata militarmente dalle fregate militari israeliane a 400 mt dalla costa (quindi questa volta non in acque internazionali).
Sembrerebbe che fosse presente anche una nave da guerra battente bandiera egiziana, che ha poi scortato il cargo malese fino al porto di Al-Arish..
poco altro son riuscita a trovare.

 Questa mattina, i cannoni della marina da guerra israeliana hanno aperto il fuoco  contro la nave di aiuti umanitari malese, mentre si stava avvicinando alla Striscia di Gaza, obbligandola a far rotta verso l’Egitto.Hanno confermato la notizia sia gli organizzatori sia l’esercito israeliano.
“La MV Finch, che trasportava tubi per gli impianti fognari di Gaza, ha ricevuto colpi di avvertimento sparati dalle forze israeliane in una zona di sicurezza palestinese, questa mattina alle 6,54”, ha dichiarato Shamsul Azhar della Perdana Global Peace Foundation.
“La nave era nella zona di sicurezza palestinese, a circa 400 metri dalle coste di Gaza, quando è stata intercettata dalle forze navali israeliane”, ha dichiarato alla AFP, aggiungendo che ora si trova ancorata a 30 miglia nautiche dal territorio egiziano.  
La Perdana Foundation è diretta dall’ex premier malese, Mahathir Mohamad.
Secondo i co-organizzatori in Irlanda, a bordo della nave ci sono attivisti irlandesi, canadesi, malesi e indiani.
In un comunicato stampa, gli organizzatori irlandesi fanno sapere che la barca aveva lasciato il porto del Pireo, in Grecia, mercoledì, e che stava trasportando 7,5 chilometri di tubi di PVC che avrebbero dovuto servire per ristrutturare il sistema fognario di Gaza devastato dalla guerra israeliana del 2008-2009. 

(Altre fonti: Ma’an e AFP)
Dalla Malesia : leggi qui 

63 anni di Nakba: non ne possiamo più, ora si deve tornare a casa

15 Maggio 2011 7 commenti

Oggi sono 63 gli anni dal dramma, dalla tragedia del popolo palestinese.
Non un anniversario, perchè il dramma della Nakba è pane quotidiano per milioni di palestinesi: lo è per chi ha valicato quei confini nel ’48 e da quel momento fa la muffa in qualche sbilenco campo profughi di Siria, Libano o Giordania
e lo è per chi è all’interno della Palestina Occupata, in qualunque punto di essa si trovi, se ha sangue arabo.
Oggi però è stata una Nakba un po’ diversa…che ha fatto impazzire di “twittate” tutto il mondo telematico, che ha spalancato un nuovo orizzonte di conflitto, conflitto di massa.
Da tutti i confini oggi lo Stato d’Israele è stato contestato.
Gaza con il suo valico di Eretz, e poi ancora il King Hussein Bridge in Giordania, il Golan siriano,il confine libanese:
calcolare i numeri è quasi impossibile, ma a dozzine di centinaia si sono riversati ai border israeliani tentando di accedere o comunque di far pressione…accedere a quella terra sotto occupazione militare da 63 anni, la terra della segregazione razziale, la terra laboratorio di violenza e soprusi, il grande carcere del pianeta, dove si sperimentano tecniche di concentrazione umana come spesso armi non convenzionali.
Oggi per la prima volta lo stato d’israele che festeggia la sua nascita è stato “attaccato” da migliaia di persone che urlavano gioiose “Gerusalemme stiamo arrivando”, ” Stiamo tornando finalmente a casa”.
Morti ce ne sono stati…il Convoglio Restiamo Umani, all’interno della striscia di Gaza ha raccontato dell’uccisione di un 14enne con due colpi d’arma, uno al cuore e l’altro in testa…ma si parla, solo a Gaza, di un’ottantina di feriti.
Poi la repressione ha preso un po’ tutte le bandiere e divise: le forze di sicurezza e il Mukhabarat giordano, come quello libanese hanno fatto di tutto per impedire che la popolazione si avvicinasse troppo al confine. La repressione è stata pesante, ma penso lo sia più il terrore dello Stato d’Israele, che con le sue dimostrazioni di forza con metodologie da terzo Reich, s’è ritrovato oggi con tutti i suoi confini circondati da migliaia di persone urlanti.
Cavolo.
Che meraviglia.
Avrei solo voluto essere lì con voi, in Golan come sul Litani, a Gaza come in quel deserto giordano che separa la grande scatola di sabbia dalla fertile palestina…
63 anni di segregazione e pulizia etnica, questà è la Nakba, questo è Israele.

LEGGI STORIA DI UNA PULIZIA ETNICA
 Questo video invece è girato in Golan, e fa venir la pelle d’oca!

Finalmente Gaza

13 Maggio 2011 1 commento

Il sole del Cairo deve ancora finire di sorgere, quando il convoglio restiamo umani comincia a prepararsi per la partenza verso Gaza.
E’ un viaggio, quello che verrà intrapreso, denso di attesa e carico di speranza: c’è la consapevolezza di quanto sia importante attraversare il valico di Rafah in seguito alle rivolte che hanno abbattuto il regime di Mubarak; e c’è la volontà di ricordare Vittorio Arrigoni nella terra stessa per cui ha dato la vita. Il convoglio porterà tra la popolazione palestinese un messaggio da rivolgere a tutto il mondo: la Palestina non è sola, i sogni di Vik sono anche i nostri, la solidarietà verso chi lotta contro oppressione e sfruttamento non conosce frontiere.

Dieci check-point rallentano il cammino, uno in particolare lo costringe ad una sosta di 2 ore e mezza nel deserto del Sinai, vengono poste le questioni di sempre, le stesse riscontrate nei giorni precedenti circa l’impossibilità di oltrepassare Rafah . Questa volta, l’ambasciata italiana “premurosa e zelante” comunica che il convoglio non entrerà mai dentro Gaza ma evidentemente i fatti gli hanno dato torto: noi siamo qui!

Il Convoglio Restiamo Umani da oggi cammina sui passi di Vittorio, orme chiare, impresse nella terra di Gaza e rimarcate dall’affetto spontaneo delle palestinesi e dei palestinesi che hanno accolto il nostro arrivo.
Il Co.R.Um assorbe la determinazione, il coraggio e l’estrema umiltà di Vittorio, caratteristiche che riconosciamo nella lunga resistenza della popolazione palestinese.
Per molti di noi è la prima volta che si attraversa la frontiera della Striscia di Gaza, una vittoria per chi non si è mai arreso, via mare e via terra, al categorico Denied Entry: niente da vedere, nessuno da incontrare.
A sottolineare l’importanza storica del momento c’è stato il contagioso entusiasmo dell’accoglienza riservata al convoglio da numerosi palestinesi presenti, che ci hanno accompagnato fino a Gaza City. Una volta sul posto ripercorriamo i luoghi frequentati quotidianamente da Vittorio nella sua lunga permanenza a Gaza, dove ha conosciuto tutti quei compagni e quelle compagne che da oggi conosciamo anche noi.
Sulle note di Bella Ciao, Unadikom e del rap dei Gazawi, le immagini di Vittorio salutano il nostro arrivo;
ciao Vik, Palestina libera.

Territori occupati palestinesi: retate e arresti a Silwan, incursioni di coloni a Hawara

3 Maggio 2011 2 commenti

L’occupazione militare israeliana non si arresta mai nei suoi meccanismi multipli di repressione: da un lato le infinite ed noni presenti operazioni militari o gli arresti della polizia militare israeliana (come anche palestinese purtroppo), da un lato le azioni dei coloni, il lato più facinoroso, xenofobo e genocitario della società israeliana.Solo nelle ultime ore i Territori Occupati sono stati colpiti su diversi fronti, mentre Hamas e Fatah siglavano il loro accordo al Cairo e il mondo parla dell’ennesima e forse definitiva morte del n.1 della mostruosità planetaria (! bella battaglia ultimamente!) Silwan, quartiere arabo di Gerusalemme vedeva l’ennesima incursione dell’esercito. Sei arresti da quel che si dice per ora, cinque ragazzi e Suad al-Shoukhi, una ragazza di 24 anni, portata via dagli ufficiali israeliani “per un interrogatorio”. Suad è stata rilasciata due anni da da un’interrogatorio durato 18 mesi di detenzione amministrativa, per gli scontri avvenuti in quella zona tra abitanti palestinesi e le formazioni israeliane di estrema destra che hanno focalizzato le loro azioni in quel quartiere, prossimo alla città vecchia.

Altra bella notizia del giorno viene da poco distante, nella cittadina palestinese di Hawara, che questa mattina ha trovato il villaggio cosparso di scritte xenofobe contro arabi e musulmani e una moschea interna ad una scuola data alle fiamme.
Il villaggio di Hawara si trova nella zona meridionale della provincia di Nablus, circondata da 39 insediamenti.

Aggiornamenti Vik2Gaza dal Convoglio Restiamo Umani

29 aprile 2011 Lascia un commento

Reciviamo e diffondiamo:
Le assemblee organizzative del Convoglio Restiamo Umani [CO.R.UM] si stanno tenendo quotidianamente,  purtroppo la visibilità è rallentata da problemi tecnici con il sito ufficiale vik2gaza.org che resterà in ogni caso l’unico punto di riferimento.
La tempistica ci obbliga a diffondere via mail e attraverso blog e siti affini le seguenti informazioni pratiche e i seguenti aggiornamenti:
Se vuoi partecipare al Convoglio Restiamo Umani, comunica la tua volontà di aderire all’indirizzo mail vik2gaza@autistici.org entro lunedì 2 maggio 2001 esplicitando le seguenti informazioni:
– Precedenti esperienze in Palestina
– Appartenenza ad associazioni, realtà, collettivi
– Il motivo per il quale hai scelto di partecipare
– Competenze o conoscenze

Date del Convoglio Restiamo Umani: 11 maggio 2011 – 18 maggio 2011
Incontro al Cairo: la sera dell’11 maggio. L’appuntamento verrà comunicato unicamente ai/alle partecipanti.
Lasceremo il Cairo la mattina del 12 davvero molto presto, per entrare a Gaza da Rafah lo stesso giorno.
Torneremo indietro, passando da Rafah il 17 maggio, per arrivare al Cairo il 18 maggio.

Inoltre, entro le ore 14.00 di lunedì 2 maggio, per partecipare devi inviare a vik2gaza@autistici.org la seguente documentazione per l’adesione:
– oggetto della mail specifica la parola: “passaporto”
– Nome, cognome e data di nascita
– Il numero del passaporto, la data di scadenza ( la quale validità deve essere di almeno 6 mesi dopo la data del ritorno)
– La fotocopia delle prime 4 pagine del passaporto, possibilmente in formato pdf

Tutti questi elementi sono indispensabili per comunicare la lista dei/delle partecipanti all’ambasciata al Cairo e ottenere il coordination pass per l’ingresso a Gaza.
Stiamo consigliando di cercare immediatamente dei voli economici e qualcuno/a ha già scelto di comprare il biglietto individualmente ma allo stesso tempo ci stiamo informando per segnalare e confermare dei voli in due principali città: Roma e Milano.
Le indicazioni che vi stiamo dando riguardano la partecipazione dall’Italia perchè faremo la comunicazione di tutta la lista dei partecipanti all’ambasciata italiana al Cairo nella giornata di lunedì 2 maggio.
Il CO.R.UM si preoccuperà di dare conferma immediata alla richiesta di adesione.

CHI SIAMO

Il COnvoglio Restiamo UMani nasce da singoli, associazioni e movimenti da sempre vicini alla popolazione palestinese, come reazione necessaria all’uccisione di Vittorio Arrigoni.
Nei primi momenti abbiamo scelto di ricordare Vittorio ognuno a suo modo, raccontando chi era, cosa faceva e cosa lo aveva spinto a vivere per anni nella prigione a cielo aperto che è la Striscia di Gaza.
L’idea del convoglio prende forma da un senso di vuoto e impotenza che si è trasformato in una risposta collettiva, determinata, organizzata dal basso: tornare a Gaza.
Il sogno di Vittorio è anche il nostro sogno.
Dare voce a Gaza, soffocata dall’assedio e dal silenzio internazionale.
Riportare a Gaza Vittorio attraverso le idee che ispiravano il suo agire quotidiano.
E che sono anche le nostre.
“E alla fine sono tornato.
Non sazio del silenzio d’assenzio di una felicità incolta
accollata come un cerotto mal riposto su di una bocca che urla.”
Vittorio Arrigoni, Gaza 25 dicembre 2008

OBIETTIVI

Essere a Gaza il 15 maggio a un mese dall’assassinio di Vittorio Arrigoni nell’anniversario della Nakba, passando dal valico di Rafah.
Perché vogliamo gridare forte e chiaro quello che la voce di Vittorio ci ha detto tante volte: Restiamo Umani!
Per ribadire che la solidarietà internazionale verso la popolazione palestinese non può essere fermata.
Per dare nuove energie e continuità al lavoro di informazione indipendente che Vittorio, insieme agli uomini e alle donne palestinesi, stava portando avanti da una Gaza sotto assedio.
Per sostenere la popolazione palestinese e i giovani che lottano quotidianamente per la liberazione dall’occupazione israeliana.

COSTI

Per coprire le spese dei documenti necessari, per i trasporti, il vitto e il pernottamento si prevede una spesa complessiva di circa 250 Euro. Speriamo di poter ridurre questa cifra il piu’ possibile.
Sono già in calendario, e inizieranno da oggi, le iniziative di autofinanziamento per gli obiettivi del convoglio.
Il costo del viaggio fino al Cairo e’ escluso da questa cifra, cambiando notevolmente a seconda del paese di provenienza.

COME PARTECIPARE
Si dovranno soddisfare delle condizioni minime per poter partecipare al CO.R.UM., questo è necessario per garantire la sicurezza e la riuscita del convoglio.

CONTATTI PER L’ITALIA
e-mail : vik2gaza[at]autistici[.]org
phone : 0039.333.3666713

DONAZIONI

Se vuoi contribuire economicamente ai progetti che verranno sostenuti da CO.R.UM. sia durante la permanenza a Gaza che successivamente, puoi fare una donazione sul seguente conto:
NAME: Giovanni Lisi
BIC: BAECIT2B
IBAN: IT 94 k 03127 03241 0000000001237

Siria: carriarmati in città

26 aprile 2011 3 commenti

Foto di Valentina Perniciaro _periferie siriane_

Da ieri il confine tra Siria e Giordania è chiuso.
Una situazione un po’ surreale per la mobilità mediorientale, come giustamente raccontava ieri il corrispondente di Al-Jazeera: non c’è possibiltà di entrare in Libano se si proviene dalla Palestina.
L’unico border disponibile tra Israele e Libano è proprio il confine siro-giordano, chiuso da ieri.
La strada che da Amman porta a Damasco, strada che taglia a metà la regione dell’Hauran, oltre alla chiusura del border, ha posti di blocco militari ogni manciata di kilometri.
La popolazione siriana vive in una sorta di coprifuoco non ufficiale, mentre Daraa sta vivendo ore di guerra vera e propria.
I tanks sono dispiegati alle porte della città e pattugliano il centro della città cannoneggiando contro qualunque cosa si muove:  tagliata la corrente elettrica, le linee telefoniche e la connessione internet in tutta la zona, arrivano notizie di una “mattanza” di cisterne d’acqua, quelle posizionate sopra ogni tetto, come in tutto il medioriente.
I video che circolano in rete ci raccontano una cittadina sotto pesante attacco delle forze speciali e di quelle dell’esercito: i morti nella giornata di ieri sembrano essere 25.
La tv di stato siriana da questa mattina manda immagini dei funerali di soldati e poliziotti: il resto è carne da macello.

25 APRILE? LIBERAZIONE?

25 aprile 2011 Lascia un commento

A Vik, tornato a casa dalla sua amata Palestina

24 aprile 2011 7 commenti

Operazione "piombo fuso"

Oggi pensavo che mi piacerebbe assaggiare la terra come la assaggiano i musulmani, quando muoiono.
Oggi pensavo che vorrei esser cremata, questo si, che vorrei diventare un nulla, ma che probabilmente in questo modo toglierei la “gioia” ai miei figli di potermi augurare una terra lieve, come sepoltura.
E allora ho pensato che i musulmani in questo son più fortunati: solo un lenzuolo e poi, faccia a terra, si lasciano abbracciare dalla grande mamma, riempire ogni buco, tappare ogni sospiro proprio dalla terra, filtrata solo da un po’ di stoffa.
Bello, mi mette un senso di relax pensarlo, un senso di totale appartenenza alla vita stessa.

Pensieri che facevo proprio oggi, pensando al tuo corpo che iniziava ad assaggiarla questa terra perenne.
E tu Vik? Chissà come volevi entrare nel suolo, chissà come immaginavi la tua morte che così tante volte hai sfiorato, andando a “ballare il rock ‘n roll” -come dicevi tu – quando salivi sulle ambulanze palestinesi, durante i bombardamenti della Striscia di Gaza.
Sei morto a casa tua, malgrado quella vera il tuo corpo l’ha rivista solo ora.
Sei morto a casa tua, tra la gente che avevi scelto come famiglia, questo è il solo pensiero che rende tutto ciò meno straziante.
Il peggiore dei pensieri è che la mano che ti ha ucciso, quella che ha stretto a morte il tuo respiro, è palestinese.
Io penso fermamente che il colpevole, il solo colpevole reale della tua morte sia l’occupazione militare e il sionismo;
penso fermamente che le responsabilità siano israeliane di quel che accade dentro quel carcere che è Gaza, ma non riesco a darmi pace un secondo nel pensare che i tuoi assassini parlavano la lingua che tanto amo.
Ciao Vik, che la terra ti sia lieve.

Non fiori per Vittorio, ma donazioni per la Palestina: richiesta dalla famiglia Arrigoni

23 aprile 2011 1 commento

La famigliia di Vittorio avrebbe piacere che gli amici e i compagni di Vik non inviassero fiori ma donazioni per la Palestina sul seguente conto, riportando nella causale che si tratta di un contributo per la causa palestinese.
Successivamente la famiglia deciderà a quali progetti saranno devolute le donazioni pervenute.
La famiglia di Vittorio ci tiene a sottolineare che questo è solo un suggerimento ma che ognuno ovviamente può omaggiare Vittorio nel modo che ritiene più opportuno.
Di seguito le COORDINATE:

  • Iban      IT16Y0542851000000000000791
  • BIC        BEPOIT21
  • Intestato ad Egidia Beretta
  • Banca Popolare di Bergamo Filiale di bulciago

Restiamo Umani. Stay Human.

Vittorio’s family would invite friends and comrades of Vik not to send flowers but donations on the following account to support Palestine, reporting in the Payment Reason that it’s a contribution to the Palestinian cause. Afterwards Vik’s family will decide which projects want to fund.
Vittorio’s family would like to underline this is just a suggestion but of course everyone can pay homage to Vik as he thinks proper.
BANK DETAILS as follows:

  • IBAN NO            IT16Y0542851000000000000791
  • SWIFT NO         BEPOIT21
  • HOLDER            Egidia Beretta
  • BANK NAME      Banca Popolare di Bergamo Branch of Bulciago

Restiamo Umani. Stay Human.

Ultimo saluto dei compagni romani a Vittorio

21 aprile 2011 Lascia un commento

Camera ardente per Vittorio Arrigoni oggi giovedi dalle 16 alle 19 a Piazzale del Verano. Alle 19 assemblea cittadina al csoa Forte Prenestino.

Dopo 6 giorni di presidio permanente al centro della città, l’appello dei e delle solidali:

Hanno ucciso Vittorio ma non possono uccidere la solidarietà internazionale. Invitiamo le compagne e i compagni di Roma a partecipare ad un’assemblea cittadina da tenersi giovedì 21, alle ore 19.00 al Forte Prenestino, per immaginare insieme la costruzione di una carovana internazionale che possa rompere l’assedio di Gaza passando per il valico di Rafah.

Breve report del presidio di questi giorni:
Dal 14 aprile, appena saputa la notizia del rapimento di Vittorio, è nato un presidio spontaneo e arrabbiato davanti il parlamento.

Nonostante le provocazioni continue delle forze dell’ordine e i tentativi di sgombero a qualsiasi ora del giorno e della notte, il presidio si concluderà solo questa sera, con il saluto a Vik della Rete romana di solidarietà con la PalestinaIl presidio permanente vive di momenti di scambio e d’incontro tra solidali, ci unisce la rabbia per la perdita di un compagno e l’amore per la libertà e per Palestina. Abbiamo scelto di stare per strada tutte e tutti insieme mantenendo un continuo flusso di comunicazione con Gaza e la Palestina intera perchè nessuno/a voleva sentirsi solo/a nel dolore e nella voglia di sradicare l’oppressione che rende disumano tutto il mondo.
Nel pieno della notte tra il 14 e il 15, saputa la notizia che non avremmo mai voluto ricevere, è stata convocata una conferenza stampa da parte degli amici e dei compagni di Vittorio.

Durante la conferenza stampa una delegazione ha voluto incontrare un membro della presidenza del consiglio, per porre con forza delle questioni irrinunciabili prima che la morte di Vittorio venisse strumentalizzata da governanti e pennivendoli di tutto il mondo.
Riportiamo parte del comunicato della delegazione sui punti principali presentati:
1)    Che il governo italiano si renda garante di qualsiasi richiesta la famiglia di Vittorio Arrigoni avanzerà riguardo al rientro della salma;
2)    Che il governo italiano, attraverso un’interlocuzione diretta con il governo della Striscia di Gaza, chiarisca cos’è successo dal momento del sequestro all’uccisione di Vittorio Arrigoni, spiegando cosa è stato fatto per evitare il peggio;
3)    Che il governo italiano garantisca la possibilità di entrare nella Striscia di Gaza attraverso il confine egiziano a chi nei prossimi giorni si recherà là per omaggiare Vittorio e dare un segno di continuità al lavoro che svolgeva a Gaza;
4)    Che il governo italiano garantisca di partire con la prossima Flotilla internazionale diretta a Gaza.
5)    Che il governo italiano riveda le proprie posizioni di appoggio incondizionato alle politiche di occupazione israeliana, contro le quali Vittorio si batteva da tempo a fianco dei palestinesi e per le quali ha pagato con la vita.
Se chi governa l’europa sceglie di fare accordi economici, militari e politici supportando l’occupazione assassina d’Israele ed ogni forma di dominio, NOI RESTIAMO UMANI, BOICOTTIAMO ISRAELE E RIFIUTIAMO L’APARTHEID.

STOP OCCUPATION, FREE PALESTINE!

per salutare VITTORIO ARRIGONI

20 aprile 2011 1 commento

Il rientro del corpo di Vittorio Arrigoni è confermato per domani, mercoledì 20, alle 19.50 all’aeroporto di Fiumicino, al terminal Cargo City situato in piazza Caduti italiani di Bosnia del 1992. Da lì sarà trasferito all’Ospedale Umberto I presso il reparto di Medicina Legale, in via Cesare de Lollis a S. Lorenzo.
L’appuntamento per chi vorrà essere a Fiumcino è alle ore 19 al terminal del trenino che da Roma porta all’aeroporto. Da lì prenderemo insieme il bus shuttle per Cargo City.
Portiamo kefiah, bandiere e cartelli.
A partire dalle 21, e per tutta la notte di domani, ci sarà una fiaccolata al piazzale del Verano, di fronte all’ospedale Umberto I.

La data dei funerali, che si svolgeranno a Bulgiago in provincia di Lecco, è stata fissata per domenica 24 alle 16.30. Sono stati organizzati due pullman per chi vorrà essere presente. Cerchiamo di essere in tanti perchè si sappia che il suo testimone è nelle mani delle decine di migliaia di attivisti che l’hanno apprezzato e amato in questi anni.

Per info e prenotazioni telefonare ai numeri: 347.6090366 oppure
339.6641600 oppure scrivere a p.cecconi@inwind.it
ceciliadallanegra@gmail.com

Ricordiamo inoltre l’assemblea cittadina di giovedì sera per confermare la solidarietà internazionale al fianco di chi vive sotto assedio a Gaza e in tutta la Palestina. Rompiamo l’assedio, fermiamo l’occupazione:
Hanno ucciso Vittorio ma non possono uccidere la solidarietà internazionale. Invitiamo le compagne e i compagni di Roma a partecipare ad un’assemblea cittadina da tenersi giovedì 21, alle ore 19.00 al Forte Prenestino, per immaginare insieme la costruzione di una carovana internazionale che possa rompere l’assedio di Gaza passando per il valico di Rafah.

[Ci vediamo nel profondo nord, Vik]

CHE NESSUNO PIANGA! Una dedica a Vittorio Arrigoni e a Gaza tutta

16 aprile 2011 5 commenti

La dedico a te, compagno nostro, la dedico a te la ballata per Tell al-Zaater,
perché so che queste parole erano scolpite nel tuo sangue.
Mi manchi già fratello mio,  la terra ti sarà lieve, il mio cuore non lo sarà mai.
Ciao Vittorio

Ma che nessuno nessuno dico che nessuno pianga!
Non una lacrima dalle terre segrete del nostro dolore non una lacrima!
Perché in piedi in piedi sono morti Che nessuno pianga!
In piedi accanto al pozzo e alle radici del pane Che nessuno pianga!
In piedi fra le stagioni testarde del loro lavoro Che nessuno pianga!
In piedi con le scarpe indosso e con fucili Che nessuno pianga!
In piedi da barricate parlando alle stelle Che nessuno pianga!
In piedi con gli occhi fissi ai fiumi di Palestina Che nessuno pianga!
In piedi tracciando strade immense verso il ritorno Che nessuno pianga!
In piedi con doni di speranza ai bimbi del futuro Che nessuno pianga!
In piedi Ahmed Fathma Ibrahim in piedi Mervath Abeth Leila in piedi Youssef il nonno e il piccolo Fadh che aveva tre anni
in piedi ognuno dei trentamila di Tall el Zaatar e che nessuno nessuno dico che nessuno pianga!
Non una lacrima! Perché vedete?
Li hanno scacciati dalla loro terra e dal loro sogno li hanno dispersi
li hanno rinchiusi nei campi gli hanno messo un numero chiamandoli profughi
li hanno venduti su tutti i mercati e quando hanno preso il fucile “Banditi!” hanno gridato e
li hanno uccisi torturati massacrati divisi e
gli hanno detto “Tu non avrai patria!”
ed essi in piedi con la loro statura
abitano il mondo
abitano il mondo
abitano il mondo!

Ciao Vik … un ricordo di Jeff Halper

16 aprile 2011 1 commento

Dopo aver perso un altro amico e compagno meno di due settimane fa, Juliano Mer-Khamis, mi tocca piangere e ricordare il mio compagno di viaggio di nave Free Gaza, Vittorio (Vik) Arrigoni, brutalmente assassinato ieri notte da estremisti religiosi a Gaza. In realtà; Vik ricordava fisicamente Juliano, per la personalità esuberante e la sua insistenza nell’”esserci” quando gli oppressi avevano bisogno di lui.
Vik era davvero una persona che non potevi non notare. Era così pieno di energia, un misto di gioia, goliardia e impazienza entro i confini di barche e prigioni come Gaza, che all’improvviso ti avrebbe sollevato in aria, o si sarebbe messo a fare la lotta con te – era un ragazzo grosso, forte, bello, vivace e sorridente anche nelle situazioni più pericolose e oppressive, come a dirti: Yaala! A noi e ai pescatori palestinesi, queste navi israeliane che ci sparano, non possono prevalere sulla solidarietà, indignazione e la giustizia della nostra causa! (Vik fu ferito in uno di questi scontri). Ti arrivava da dietro dicendoti: L’occupazione cadrà esattamente così! (lottando con te fino a gettarti a terra, ridendo e giocando con te mentre lo faceva).
Vik, che come me ha ricevuto la cittadinanza palestinese e un passaporto quando abbiamo rotto l’assedio di Gaza salpando nel porto di Gaza nell’agosto 2008, era un esempio supremo di portatore di pace. Nonostante avesse una famiglia in Italia, si è dedicato ai palestinesi col cuore intero, come era solito fare. Sulla sua pagina facebook ha scritto: “Vive a Gaza”. Era conosciuto soprattutto perché accompagnava i pescatori che cercavano di fare il loro lavoro, nonostante gli spari quasi quotidiane della marina israeliana, che li confina alle acque già pescate fino all’esaurimento e sporche di fogna delle cose di Gaza. Almeno diciotto pescatori sono stati uccisi nell’ultimo decennio e circa 200 feriti, molte barche sono state distrutte e molto equipaggiamento danneggiato. Ma era intimamente coinvolto ovunque ci fosse bisogno di lui a Gaza, fra i contadini come fra i bambini traumatizzati, in tempi difficili – il suo libro, Gaza Stay Human, documenta le due esperienze fra la gente durante l’offensiva israeliana di tre settimane nel 2008-09 – e anche essendo semplicemente a contatto con la gente nelle caffetterie e nelle loro case.
Quando è stato appreso che era stato rapito sono spontaneamente sorti centinaia di appelli non solo dalla comunità pacifista internazionale, ma soprattutto dalla popolazione palestinese affranta di Gaza. Un memoriale sarà tenuto oggi a Gaza City e altre parti dei territori occupati.

Vik lavorava nella West Bank come a Gaza, ed è stato imprigionato tre volte prima di essere stato espulso da Israele. Ma il suo lavoro di pace non era solo sotto forma di attivismo. Vik era un maestro della comunicazione – fisica, verbale, scritta (il suo blog, Guerrilla Radio, era uno dei più seguiti in Italia), mischiando con naturalezza esperienze personali, reportage e analisi.
Vik era quello che chiamiamo un “testimone”, qualcuno che fisicamente si mette dalla parte degli oppressi e condivide con loro trionfi, tragedie, sofferenze e speranze. Eppure era uno che attraverso l’azione sperava di influenzare dei veri cambiamenti. Lui, come  Juliano, Rachel e molti altri che si sono sacrificati per la pace e la giustizia in Palestina e in tutto il mondo, lasciano un grande vuoto nei nostri cuori, le nostre vite e nella lotta.
Mi mancherai, ragazzo mio. Ma ogni volta che mi sento stanco o scoraggiato, ti sentirò sollevarmi su in alto e sopra la tua testa e, col tuo enorme sorriso e la tua risata, minacciare di gettarmi fuori bordo se solo esito a coinvolgermi in una lotta. Tu eri e sei la forza terrena della lotta contro l’ingiustizia. Ci solleverai sempre su e ci ispirerai. Come i pescatori palestinesi che amavi tanto, noi e tutti gli altri che lottano per le fondamenta della vita in tutto il mondo ci impegneremo per realizzare la tua visione.

Ciao, amico.
Jeff Halper

Juliano Mer Khamis, ucciso a Jenin

5 aprile 2011 2 commenti

L’attore e attivista israeliano Juliano Mer Khamis (جوليانو مير خميس), direttore della scuola di teatro Freedom Theatre a Jenin, è stato ucciso oggi da un uomo armato con il volto coperto che l’ha atteso all’ingresso del campo profughi e lo ha freddato con diversi colpi di arma da fuoco. Juliano era figlio di Arna, ebrea israeliana, iniziatrice e fondatrice di una scuola di teatro nel campo profughi palestinese di Jenin e di un palestinese di Haifa Saliba Khamis.
Nel 2003 aveva prodotto e diretto il suo primo documentario, “I bambini di Arna”, sul lavoro di sua madre volto a creare laboratori di teatro per bambini palestinesi nel campo profughi, durante gli anni ’80. Nel 2006, Juliano, aveva aperto una scuola di teatro per ragazzi e adulti, nel campo profughi di Jenin, chiamato il “Freedom Theatre”.
Quando Mer-Khamis e’ stato assassinato era in auto con la tata che si prende cura del figlio, che è rimasta ferita. Il governatore di Jenin ha immediatamente condannato l’accaduto e provveduto a far arrivare il corpo di Juliano alle autorità israeliane, presso il checkpoint più vicino. Zakariya Zubeidi, l’ ex comandante locale delle Brigate dei martiri di Al Aqsa, che con Juliano aveva aperto il Teatro della Liberta’ha ipotizzato il coivolgimento di una “grossa organizzazione” dietro l’assassinio. Nena News

Qui anche un articolo di Hareetz, giornale israeliano, sull’assassinio avvenuto ieri

 

La detenzione interminabile: storie di donne di Palestina

3 aprile 2011 1 commento

Le autorità giudiziarie israeliane hanno deciso di prorogare la detenzione amministrativa (senz’accusa e rinnovabile ad oltranza) per la prigioniera palestinese Hana Yahya Saber ash-Shalabi, proveniente da Jenin. Per Hana non è il primo episodio di questo tipo: la donna è stata arrestata il 14/09/2009 e, da allora, le autorità israeliane hanno proceduto allo stesso modo. Puntualmente, alla scadenza dei sei mesi, hanno esteso la detenzione amministrativa nei suoi confronti. Attualmente, le prigioniere palestinesi in detenzione amministrativa sono tre: Hana, Kifah ‘Awni Qatash, ‘Aliya’ al-Ja’bari. Decisioni come l’ultima ai danni dei diritti di Hana ash-Shalabi rientrano tra quelle pratiche “legali” di Israele che le prigioniere palestinesi hanno annunciato di voler denunciare attraverso forme di protesta. L’appello è stato lanciato dalle prigioni israeliane di Hasharon e Damon e le azioni si svolgeranno nei prossimi mesi.

Riportiamo dal sito Infopal:

Di fronte al caso di Hana e per ribadire la loro protesta per il rispetto di propri diritti, le detenute palestinesi hanno scritto al ministero palestinese dei Prigionieri chiedendo di intervenire affinché le autorità d’occupazione israeliane sulle quali ricade la competenza per gli affari carcerari garantiscano le visite mediche e forniscano le cure richieste necessarie e permettano alle prigioniere i cui coniugi sono a loro volta detenuti da Israele di incontrarsi. Inoltre richiedono di consentire  alle prigioniere palestinesi di proseguire all’interno delle carceri gli studi universitari, di svolgere gli esami e ricevere regolarmente i libri di testo. Le prigioniere palestinesi chiedono anche il rispetto e una maggiore attenzione per esigenze personali come quella di avere i ricambi di vestiario e calzature. Le richieste continuano per porre fine ai divieti sulle visite dei loro familiari e per pretendere che i militari non assaltino regolarmente le loro celle con ispezioni umilianti. Infine, le prigioniere hanno chiesto al proprio ministero di seguire con particolare attenzione il caso delle compagne detenute nella sezione “Nahshon”, dove le aggressioni da parte degli ufficiali carcerari israeliani e i metodi di umiliazione sono frequenti e si consumano in vari contesti, anche durante il loro trasferimento verso i tribunali.

Fabrizia Falcione,dirigente dei progetti di Unifem, agenzia Onu per i diritti delle donne, intervistata da Infopal racconta che…
La situazione di donne e minori palestinesi nei centri di detenzione israeliani è davvero critica, in termini numerici, perché di fronte alle centinaia di migliaia di prigionieri politici palestinesi maschi, sembrano inesistenti. Tuttavia, la condizione delle prigioniere è peggiore degli uomini: la situazione delle violazioni nei loro confronti, infatti, va affrontata nel complesso e in una prospettiva di genere. Sebbene inferiori numericamente, donne e ragazze continuano ad essere arrestate, tra necessità ignorate e diritti violati.
Sia ex le detenute che sono rimaste incarcerate in quelle strutture sia i familiari di quanti restano in prigione, hanno raccontato di celle infestate da insetti, scarafaggi e ratti.
Le detenute incinte vengono ammanettate durante il parto e lasciate così nel periodo successivo. C’è una assoluta assenza di cure e trattamenti, in particolare nel periodo di gravidanza. Una volta compiuti due anni, i bambini vengono allontanati dalle madri.

Le donne patiscono oltraggi e offese al proprio retaggio culturale e ai diritti religiosi. Un’ex detenuta ha raccontato: “Mi hanno privata del velo dandomi un’uniforme di colore marrone, a maniche corte e quando ho chiesto di avere una maglia a maniche lunghe da poter indossare di sotto, me l’hanno negata. Costretta a spostarmi tra le celle tra gli occhi di guardie uomini…mi sono sentita umiliata e sono stata insultata”.

La privacy nei confronti delle donne è violata anche nel corso delle perquisizioni all’interno delle celle, condotte da guardie uomini. Non viene preso in considerazione alcun rispetto per l’aspetto religioso. Ogni giorno, anche al mattino presto, si fa la conta delle detenute e, tra le forme di punizione vi è anche quella svegliare bruscamente le detenute che, dal sonno, non rispondono al momento. Inoltre, a prigioniere e detenute palestinesi vengono vietati la detenzione e l’utilizzo di oggetti come le penne: non possono leggere e non viene loro riconosciuto il diritto ad alcuna pausa ricreativa.

Ayyat, una storia di Palestina scolpita nel mio cuore

27 marzo 2011 5 commenti

La piccola Ayyat

Poco dopo aver messo piede in Palestina, nel marzo del 2002, che ancora non avevo vent’anni ho imparato a pronunciare il tuo nome.
Una bella faticata percorrere quei 14 km che ci dividevano: non avevo mai percorso un tragitto in quella martoriata terra di Palestina e non pensavo ancora, senza averlo provato sulla mia pelle, cosa significa superare i check point israeliani…per noi fu una passeggiata. Ricordo che i soldati israeliani ci sorrisero, ricordo ancora quel “Italian? Hi friend”…e il mio/nostro silenzio.
Ricordo che un secondo dopo nacque in me una rabbia che non mi ha mai lasciato…quando quello stesso soldato parlò con i due ragazzi dietro di me,
che ancora li immagino lì, in perenne attesa di poter tornare al proprio villaggio, città, o campo profughi.
Noi dovevamo solo raggiungere la periferia di Betlemme da Gerusalemme…una cosa veramente breve, in teoria…anche perchè ancora non esisteva lo scempio per eccellenza: il maledetto muro dell’Apartheid che circonda e spezza il territorio palestinese, quello che ne è rimasto.

Arrivati nel campo profughi di Dheishe dimenticammo subito tutti i check point, i tank, il confine con la Giordania (passare quello non è proprio piacevole). L’accoglienza di quelle persone fu indimenticabile … circondati da centinaia di bambini curiosi, ancora ignari di quel che sarebbe accaduto poche ore dopo.
Che tempismo noi nell’arrivare nei Territori Occupati: nemmeno 24 ore dopo sarebbe scoppiato tutto, la seconda Intifada (quella in larga parte caratterizzata dagli uomini/donne bomba) sarebbe arrivata al culmine e con lei la rappresaglia israeliana, che poco dopo ci tagliò fuori dal mondo, circondando la basilica della natività e poi, compiendo (tra i tanti) il massacro di Jenin, una pagina di genocidio. Ma ora voglio parlare di altro; scrivo queste righe solo per ricordare Ayyat, la diciottenne del campo profughi di Dheishe, proprio quello che ci ospitava.


La prima donna nella storia dei kamikaze che si fece saltare in aria, che oltre a quello porta un altro triste primato: la più giovane.
Aveva solo diciottanni la bella Ayyat e, ferita dall’assassinio del suo futuro marito (ucciso sul colpo da un missile israeliano che colpì la macchina dove viaggiava, un paio di settimane prima). Il giorno successivo al nostro arrivo ci fu il funerale di Jihad, il ragazzo che era a bordo con lui, che per due settimane aveva lottato contro ferite ed ustioni, invano (ci son diverse foto in questo blog del suo funerale).

Ayyat, poco prima di morire

Ayyat non resse a tutto ciò, il suo amore, giovane ingegnere del campo, era stato strappato a lei con la più infame delle azioni, lei non voleva esser da meno. Per noi fu un esperienza incredibile…io la sua famiglia non la dimenticherò mai, così come non dimenticherò mai il corteo a cui partecipò tutto il campo, pochi minuti dopo la notizia della sua morte. Tutto il campo, sparando in aria, andò ad omaggiarla…tutti noi andammo sotto casa sua.
E molti di noi ci rimasero a dormire dentro, noi internazionali, per evitare che la sua casa fosse immediatamente bombardata e rasa al suolo dall’aviazione israeliana, com’è tradizione: non accadde infatti.
Ma solo 18 ore dopo iniziò l’assedio di Dheishe, con noi dentro…e furono solo tank e cecchini, coprifuoco e isolamento…
Questo solo per ricordare te, piccola Ayyat, di cui abbiamo anche una foto da bimba…che è un’altra lunga storia.

GAZA: pubblicato il rapporto Goldstone in italiano

11 marzo 2011 4 commenti

Le parole “missione d’inchiesta” come anche “nazioni unite” sanno di ridicolo ormai, a maggior ragione se parliamo di Medioriente o di qualunque cosa abbia a che fare con lo stato d’Israele… ma insomma… questa è la traduzione in italiano del rapporto Goldstone, redatto dopo la guerra mossa dallo Stato ebraico contro la Striscia di Gaza tra dicembre 2008 e il gennaio successivo, quella detta dall’esercito israeliano “Operazione piombo fuso“. Di quell’operazione non possiamo dimenticare l’uso costante di armi vietate dalle convenzioni internazionali come il fosforo bianco, le bombe a frammentazione, le munizioni Dum Dum, le bombe D.I.M.E e tanto altro, che hanno portato alla morte di più di 1400 persone e che avvelenano il suolo di Gaza e tutti coloro che lo popolano.
Grazie ai traduttori, che ci rendono più facile la lettura

Israele e le sue scuole di “genocidio”

23 febbraio 2011 1 commento

SCONCERTANTE! NON SI FINISCE MAI DI IMPARARE E RIMANERE SENZA PAROLE!!!
Come penetrare in un territorio arabo, i briefing con Mossad e Shin Bet..una settimana a contatto con l’apartheid, dalla parte dei carnefici. Ecco quello che produce Israele, la cosiddetta democrazia del medioriente.
Qui il programma della settimana, tranquilli: tutto cibo kosher!
Maledetti.

An Israeli Adventure of a Lifetime
The Ultimate Mission to Israel
May 16-23, 2011

“A military, humanitarian, historical, judicial, religious, and political reality check.” Experience a dynamic and intensive week exploration of Israel’s struggle for survival and security in the Middle East today:

 

 

Inside Tour of the IAF Unit Who Carries Out Targeted Killings
 

Visit to the Military Court
Watch Hamas Terrorist Trial
 

ATVs Tour on the Syrian Border
 

Israel From the Air:
Small Airplanes Flight
 

Visit to Erez Crossing
on the Gaza Border
 

Visit to Forward Position on the Lebanees Border
 

Shabbat in the Western Wall

 

  • Briefings by Mossad officials and commanders of the Shin Bet.
  • Briefing by officers in the IDF Intelligence and Operations branches.
  • Inside tour of the IAF unit who carries out targeted killings.
  • Live exhibition of penetration raids in Arab territory.
  • Observe a trial of Hamas terrorists in an IDF military court.
  • First hand tours of the Lebanese front-line military positions and the Gaza border check-points.
  • Inside tour of the controversial Security Fence and secret intelligence bases.
  • Meeting Israel’s Arab agents who infiltrate the terrorist groups and provide real-time intelligence.
  • Briefing by Israel’s war heros who saved the country.
  • Meetings with senior Cabinet Ministers and other key policymakers.
  • Small airplane tour of the Galilee, Jeep rides in the Golan heights, water activities on Lake Kinneret, a cook-out barbecue and a Shabbat enjoying the rich religious and historic wonders of Jerusalem’s Old City.

For Full Itinerary.

“I now understand why the Mission is called “The Ultimate Mission”. It is indeed the ultimate mission, the name is not just marketing. The Mission has exceeded ALL my expectations in every possible area. The speakers were amazing and, even though they are very busy people, they actually showed that they found it important to be with us. The sites we saw were impressive, what an excellent choice!” .

Geraldo Lima Filho, Sao Paulo, June 2010.

First Class Accommodation:

  • Five-star accommodations at the Leonardo Plaza (formerly Sheraton) Jerusalem (Glatt Kosher);
  • Three meals a day (all Kosher);
  • Luxury bus transportation and knowledgeable tour guide;
  • A dedicated Executive Communications Center at the hotel;
  • Personal cell phone for each participant.


I have visited Israel about 15 times (since 1968). I have joined Shurat Hadin on three missions. Before my first mission, I checked references. One of the references happened to be a friend who has traveled to Israel 25 times. She told me it was the best trip she ever had, and she was repeating it also. The trip promises many interesting experiences, and delivers in spades. I would recommend this to anyone, especially someone who has visited Israel before. Outstanding program, I guarantee you won’t be disappointed!”


Howard Feldman, Del Mar, CA, June 2009

 

Costs:


Cost of the Mission is US $2,835 per person.

  • Not including air fare.
  • Based on double occupancy.
  • A mandatory donation of $500 – $5,000 per person is required. Donations are needed to assist in the funding of the terror victim litigation against the Palestinian terrorist organizations, their leaders and financial patrons. The donations will permit the survivors of the hundreds of killed and injured to seek justice and compensation through the court systems around the world. All donations in the US are tax-deductible.Shurat HaDin – Israel Law Center is a fully independent non-profit organization, unaffiliated with any political party or governmental body. Shurat HaDin’s budget relies entirely on the generosity of donors.


Contact Us:

US Phone: 212-591-9347
Israel Phone: 972-3-7514175
Israel Fax: 972-3-7514174
email: mission@israellawcenter.org

Palestina: i “Fiati sprecati” a Bil’in

25 gennaio 2011 Lascia un commento

Morire in Palestina, una giornata particolare di normale quotidianità

I Fiati Sprecati alla manifestazione contro il muro a Bil’in, 31 dicembre 2010

Vista la diffusione rapida di video ed anche di informazioni poco chiare o addirittura errate sulla manifestazione del 31/12/2010 a Bil’in, vogliamo raccontare quella che è stata la nostra esperienza diretta.

Il 31 dicembre eravamo a Bil’in per la consueta manifestazione dei Comitati popolari di resistenza non violenta. Dal 2005, per reagire alla costruzione del muro che sta divorando i terreni agricoli del villaggio di Bil’in con l’obiettivo di permettere l’espansione della vicina colonia israeliana, centinaia di persone, palestinesi, internazionali e israeliani contrari all’occupazione, si ritrovano ogni venerdì per manifestare contro questo muro dell’apartheid e contro gli insediamenti che Israele continua a costruire sottraendo terre alla Palestina. Sapevamo dei rischi che potevamo correre partecipando a questa manifestazione, ci avevano raccontato dei lacrimogeni e dei gas dell’esercito israeliano, ma volevamo portare la nostra solidarietà, attraverso la musica, alla popolazione di questo villaggio. Da Ramallah siamo saliti su un pulmino in direzione Bil’in. A circa 2 Km dal villaggio di Bil’in abbiamo trovato le camionette dell’esercito che bloccavano la strada.

In Palestina funziona così: l’esercito israeliano arriva, dichiara un pezzo di territorio Palestinese “area militare chiusa” e lo militarizza. Quel giorno il motivo dell’appostamento era bloccare le vie d’accesso alla manifestazione (addirittura era stato chiuso il check point di Kalandia, unica via d’accesso per la West Bank e Ramallah per chi proviene da Gerusalemme e passaggio obbligatorio per i palestinesi autorizzati che devono raggiungere i loro territori). Non ci siamo fatti scoraggiare, siamo scesi dal pulmino e ci siamo incamminati nei campi di ulivi per raggiungere Bil’in. Abbiamo trovato un villaggio ingabbiato tra mura, insediamenti e recinzioni. Lo Stato di Israele, sta annettendosi le terre di Bil’in per la costruzione della Barriera di Separazione e l’ampliamento degli insediamenti dei coloni; distrugge le proprietà degli abitanti di questo villaggio ogni giorno di più, e li confina in una prigione a cielo aperto. Gli abitanti cercano di resistere e di far continuare ad esistere il loro villaggio. Lottano per salvaguardare la loro terra, i loro uliveti, le loro risorse e la loro libertà.

Il breve percorso della manifestazione, che si diparte dalla moschea, percorre una stradina in discesa circondata dai secolari uliveti palestinesi. Scendendo per la stradina, di fronte a noi, dove la strada risale, il reticolato della barriera e i militari con giubbotti antiproiettile, caschi, fucili, lancia lacrimogeni e blindati.
Una strada divisa a metà, da una parte della collina i palestinesi, dall’altra l’esercito schierato a 50 metri di distanza dai manifestanti e comunque al di là della loro stessa linea di confine a tutela della colonia. Alcuni ragazzi hanno tagliato un pezzo di recinzione e lo hanno messo a terra di fronte ai soldati come a dire “è roba vostra, riprendetevela, riportatela a casa vostra”. Un gesto simbolico di liberazione della propria terra dall’occupazione.
L’esercito spara lacrimogeni ad altezza uomo mirando direttamente ai manifestanti. Delle palle nere di 8 centimetri di diametro con attaccato un cilindro in metallo. Alcune persone sono colpite e sono portate in ospedale. I lacrimogeni israeliani se centrano organi vitali, per il metallo con cui sono fatti, possono uccidere.

A Bil’in il 31 dicembre una donna si è ritrovata avvolta dal fumo dei lacrimogeni. E’ stata portata all’ospedale di Ramallah dove è morta durante la notte per asfissia polmonare dovuta ai componenti tossici presenti nel gas lacrimogeno usato dai militari israeliani. Si chiamava Jawaher Abu Rahmah. Era sorella di Bassem Abu Rahmah, morto nell’aprile del 2009, colpito all’addome da un lacrimogeno sparato dai soldati israeliani. Il contrasto è evidente. Da una parte i Palestinesi armati solo del loro desiderio di libertà e qualche sasso, dall’altra gli Israeliani armati fino ai denti.
Abbiamo cominciato a suonare, il nostro muro del suono avanzava verso l’esercito. Quasi subito è arrivata una scarica di lacrimogeni e di proiettili di gomma. Ci siamo ritrovati avvolti nel fumo, con il respiro bloccato. La tosse ci dava convulsioni, voglia di vomitare. Non si riusciva a vedere niente e gli occhi bruciavano e non riuscivamo a tenerli aperti. Qualche palestinese riesce a raggiungere i soldati con una bandiera in mano. Niente di più. Si va avanti così per qualche ora. Alla fine della manifestazione ripercorriamo in salita la stretta stradina in mezzo agli uliveti. Una famiglia di palestinesi con la casa di fronte alla moschea ci invita ad entrare. Ci preparano succo dei pompelmi del loro orto. Suoniamo e cantiamo con loro “Bella ciao”.

La manifestazione di Bil'in del 31 dicembre 2010

Dopo essere stati a Bil’in ci rimane difficile accettare le parole di Saviano che parla di Israele come di uno stato democratico. Centinaia di israeliani hanno manifestato il 1 gennaio a Tel Aviv contro le azioni dei militari a Bil’in e in solidarietà alla famiglia di Jawaher . Molti di loro sono stati arrestati dalla polizia israeliana e portati in carcere. Ci rimane difficile pensare che tutte le nazioni, compresa la nostra sostengano questa indegna occupazione, e il lento massacro di un popolo. Abbiamo visto uno stato che agisce con la violenza, la sopraffazione, che nega ogni rispetto per i diritti umani, che imprigiona le persone anche senza avere un motivo. Uno stato dove non c’è uno stato di diritto, dove vige il libero arbitrio nei confronti dei non-ebrei in barba ad ogni accordo internazionale. Uno stato troppo ricco e troppo armato.
Abbiamo dovuto rivedere le nostre idee su una pace fatta di mani israeliane e palestinesi che si stringono, per non parlare poi dei tavoli degli accordi internazionali. Se Israele non smetterà di occupare la Palestina ogni accordo sarà impossibile. Solamente restituendo ai palestinesi la sovranità sulla propria terra e il diritto all’autodeterminazione, intesa come libero governo del territorio e gestione di una propria giustizia e solamente di fronte a due popoli liberi, aventi gli stessi diritti sui propri territori, si potrà cominciare a parlare di pace. Dove continua la sopraffazione e la violenza, dove c’è una forza che si impone con carri armati e soldati ed una che può solo resistere con bandiere e qualche fionda nessuna pace sembra possibile. Per molto meno di quello che succede in Palestina, la comunità internazionale avrebbe reagito inviando eserciti e armamenti, ma non lo fa, e questo pone seri interrogativi. A tal proposito vogliamo ricordare che:

• L’occupazione israeliana della Palestina è condannata dalla risoluzione 242 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (1967) e dalle successive (336, 338, 446, 452, …..);
• La costruzione del muro e la conseguente annessione delle terre palestinesi, sono condannate dall’Onu e dalla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja (2004);
• La presenza armata in territorio straniero, come a Bil’in, è una situazione che dovrebbe essere ritenuta illecita dall’Onu e dovrebbe essere perseguibile addirittura con un intervento armatointernazionale (v. Kuwait 1991);
• La prassi dell’Occupazione è una continua violazione degli articoli della quarta Convenzione di Ginevra (1949);
• La repressione armata durante le manifestazioni a Bil’in è vietata da tutte le Corti e le procedure internazionali in quanto viola i diritti umani;
• Tutte le forme di “punizioni collettive” sono punibili secondo la Quarta Convenzione di Ginevra e considerate crimini di guerra dall’Onu.
• Le stesse disposizioni militari israeliane vietano, nel caso di uso di lacrimogeni, di mirare direttamente alle persone.

I Fiati Sprecati – Banda Popolare di strada (Firenze)
Progetto delle bande popolari italiane “MURO DEL SUONO”

LINK:

Foto Fiati Sprecati in Palestina
http://www.flickr.com/photos/murodelsuono/sets/

ALTRI VIDEO

Video Manifestazione a Tel Aviv del 1/01/2011 contro le azioni dell’esercito a Bil’in il 31/12/10

Ucciso nel suo letto ad Hebron e altre storie quotidiane della terra di Palestina

20 gennaio 2011 3 commenti

Il letto di Amr Qawasme

Ucciso nel suo letto, nella sua camera da letto, senza avere vicino a lui alcuna arma da fuoco. Si chiamava Amr Qawasme, aveva 65 anni e risiedeva ad Hebron, fino alla sua morte, due settimane fa. Oggi un’agenzia ci racconta che il suo assassino, soldato dell’esercito israeliano è stato espulso dal corpo, malgrado abbia espresso il suo profondo rammarico per quello che aveva compiuto.
Avrebbe dovuto compiere un arresto in una casa, dentro la città palestinese di Hebron di cinque presunti membri di Hamas: “per errore” il soldato (di cui non ci viene fornito nessun dato) sarebbe entrato nell’abitazione di Qawasme (un piano sopra all’appartamento sospetto) uccidendolo dopo pochi secondi per una “mossa sospetta”, però non confermata dall’esercito, che infatti ha chiesto la sua espulsione.

Diverso il comportamento del Ministero dell’interno in un caso simile avvenuto a giugno dello scorso anno, a Gerusalemme Est.
Qui la vittima, ovviamente palestinese, Ziad Jilani è stata uccisa malgrado fosse già ferita e a terra: il ministero ha ammesso che la morte è avvenuta quando il sospettato era già a terra, ma giustifica il comportamento della polizia perchè gli agenti temevano di essere obiettivo di un attacco terroristico. Tutto normale insomma.

Da Jenin invece ci riferiscono oggi dell’uccisione di un palestinese che avrebbe aperto il fuoco contro un check point nei pressi dell’insediamento di Mevo Dotan. Sarebbe avvenuto intorno alle 11 di questa mattina: i colpi partiti da un soldato del Battaglione Netzah Yehuda, tristemente noto per aver reclutato un gran numero di giovani ortodossi e di coloni.
La “crema” di quel paese.

 

Intervista ad un militante del FPLP, detenuto per 18 anni in Israele

17 gennaio 2011 Lascia un commento

Intervista a Khaled Shahrour, militante del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, detenuto per 18 anni nelle carceri sioniste
tratto da rebelión.org
traduzione a cura del Collettivo Autorganizzato Universitario – Napoli

Ci puoi raccontare le cause della tua detenzione, le accuse in base alle quali ti incarcerarono?
In realtà le accuse furono tre. In primo luogo mi accusarono di cercare di infiltrarmi armato all’interno dello stato di Israele; in secondo luogo, di eliminare collaborazionisti e la terza accusa fu di appartenere, in Giordania, ad un gruppo illegale, l’FPLP (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina).

Ci sono tre tipi diversi di detenzione in Israele. C’è quella amministrativa, quella per precauzione o preventiva e una terza, dovuta alla appartenenza ad un gruppo terrorista. Noi fummo detenuti in base a questo terzo tipo di accusa.
Era la prima tappa della lotta palestinese nel 1967, la guerra dei 6 giorni: nella mia unità eravamo 19 persone capeggiate da Abu Ali Mustafa, che più tardi sarebbe diventato segretario generale dell’FPLP per essere poi assassinato nel 2002. Tutti gli appartenenti al nostro gruppo morirono; rimanemmo in quattro e fummo arrestati mentre cercavamo di dirigerci verso la Giordania. Eravamo in una fase di preparazione e immagazzinamento di munizioni. Torniamo al tema in questione. Fummo detenuti in quanto legati ad un gruppo terrorista, per cui fummo interrogati e sottoposti ad una tortura che assunse mille forme diverse. Sono torture che hanno l’obiettivo di estorcere un riconoscimento di colpevolezza, cercano di strapparti dichiarazioni che permetta loro di accusarti e farti condannare dai tribunali israeliani in maniera quasi automatica. Ci torturano fisicamente e psicologicamente in diversi momenti per estorcerci le confessioni che gli servivano. Una volta ottenuto ciò che è sufficiente per poterti accusare, anche se non hai fatto nulla di ciò che dichiari, ti accusano e danno per scontata la tua colpevolezza.

– Avevate qualche tipo di consulenza legale? Qualche tipi di garanzia? In che condizioni avvenne il processo?
In quei momenti la situazione era molto particolare. Ci sottoposero ad un tribunale militare e nominarono un avvocato d’ufficio. Rifiutammo l’avvocato: se lo avessimo accettato avremmo riconosciuto implicitamente il tribunale che ci giudicava. Obbligarono un avvocato arabo ad assumere la nostra difesa ma noi ci rifiutammo di farci difendere, gli dicemmo che eravamo combattenti per la libertà contro le forze d’occupazione e che quindi non riconoscevamo un tribunale delle forze dell’occupazione, né gli avvocati che avrebbero nominato. Noi, gli dicemmo, non ci pentivamo di nulla e avremmo continuato a lottare se ci avessero rimesso in libertà.
Israele ritiene importanti due criteri: la sicurezza, dalla sua ottica, e gli effetti politici. Quando c’è un picco nella lotta dei palestinesi, moltiplicano gli arresti e aumentano le condanne per dissuadere e demoralizzare. Quando invece la situazione è più calma, allora ci sono meno arresti e lo stesso vale per le condanne.
Rimasi in carcere per 18 anni, dall’8 dicembre del 1967 all’8 maggio del 1985.

– Come fu la liberazione? Perché ti scarcerarono? Intervennero organismi internazionali?
Fui parte di uno scambio tra Israele e l’FPLP – Comando Generale per liberare prigionieri israeliani detenuti dalla suddetta organizzazione, in cambio di prigionieri palestinesi.

– Ma questo in realtà non è un riconoscimento di uno stato di guerra, non di terrorismo, come dicono gli israeliani?
Sì, Israele non lo riconosce ufficialmente ma implicitamente riconosce di essere in uno stato di guerra. Solo dinanzi alla forza si vedono costretti a scambiare prigionieri e riconoscono in maniera indiretta l’occupazione. Invece, quando negozi con loro in una situazione di pace, non sono capaci di riconoscere nulla né di metterti in libertà.

Qual è stata la tua attività da quando ti rimisero in libertà?
Ora sono impegnato in una lotta su diversi fronti. Da una parte, come militante dell’FPLP, sono giornalista e scrittore. Sono anche presidente della commissione dei prigionieri nelle carceri israeliane e sono membro del comitato disciplinare dell’FPLP. Sono attivo anche come padre, a casa, con i miei figli.

– Quali sono i problemi più importanti dei prigionieri palestinesi in questo momento?
Israele ha due obiettivi in relazione ai prigionieri. Come essere umano, vuole trasformarti in un problema per la tua famiglia, per la società, vale a dire, renderti invalido fisicamente e psicologicamente. Noi in carcere vogliamo superare questa situazione cerchiamo di formarci, di trasformarci in una scuola di costruzione e coscientizzazione e di far fallire così questa strategia. Allo stesso tempo, non dobbiamo dimenticare la ragione per la quale veniamo incarcerati: mettere fine alla causa di liberazione della Palestina; per cui il nostro scopo è continuare questa lotta dovunque ci troviamo.
Però dovresti chiedermi del nostro apprendistato in carcere, le cose che abbiamo imparato e che ci aiutano a sopravvivere e a mantenere viva la causa.

– Va bene, allora parlami di questo apprendistato…
Uno degli strumenti della lotta che abbiamo sviluppato nelle carceri e che si è dimostrato molto efficace è lo sciopero per il miglioramento delle condizioni di vita, dato che consente di contrastare gli effetti dell’isolamento e della tortura. Lottare per il miglioramento delle condizioni fisiche e psichiche dei prigionieri è una delle armi più pericolose per preservare la nostra mente e il nostro corpo, per poter continuare la nostra lotta in futuro. Israele vuole trasformarci in cadaveri, vivi ma cadaveri; vuole annichilirci in vita, affinché non possiamo servire né alle nostre famiglie né alla nostra società, per renderci un peso per loro e per la nostra stessa causa.
– Che tipo di attività svolgi con i prigionieri che continuano ad essere in carcere?
Lo sciopero come forma di lotta ha diverse varianti. Una strada è rifiutarci di prestare servizi come la rasatura; un’altra è non accettare colloqui con la direzione delle carceri, rifiutare le mediazioni delle persone giuridiche che vogliono offrirsi come mediatori. C’è anche lo sciopero della fame, ed anche la ribellione contro i carcerieri. A volte abbiamo perso compagni perché l’esercito ha lanciato elicotteri contro le carceri. La lotta dei prigionieri è coordinata e ha un appoggio logistico dall’esterno per poter influenzare l’amministrazione e per poter negoziare, per obbligare gli uffici penitenziari a negoziare. Si tratta di una lotta che dipende da noi perché tutto ciò che facciamo qui parte dalla coscienza dei prigionieri, se non lo facciamo in questo modo non serve a nulla. Ciò che facciamo fuori per quelli che sono dentro deve essere il riflesso di quello che fanno loro.

– Che importanza dai a questo Forum arabo in appoggio ai prigionieri?
È una cerimonia, come una piccola luce che finirà per spegnersi, non mi pare che sia il metodo ottimale per lottare. Bisogna comprendere bene la fase di lotta in cui ci si trova.
Bisogna tenere in conto che il corpo della resistenza nel suo insieme sono i prigionieri, tanto quelli che stanno dentro come quelli che stanno fuori: sono loro il corpo della resistenza dal 1965. Siamo un tutto, con un’entità propria al margine delle organizzazioni cui apparteniamo e siamo la garanzia della continuità della lotta.
In primo luogo bisogna considerare le diverse tappe che ha attraversato la lotta palestinese. Nella prima la lotta era generica, si trattava di una causa nazionale che era al di sopra di tutto e indipendente dalle organizzazioni; a livello di coscienza superava le differenziazioni tra partiti, per tutti era una lotta di resistenza contro un nemico occupante. Poi c’erano le diverse categorie di prigionieri secondo il carcere in cui erano rinchiusi, poiché il grado di implicazione nella resistenza era differente. Il carcere in cui ero rinchiuso io era emblematico, il carcere di Ascalon. Avevamo le condanne più lunghe perché eravamo guerriglieri, rappresentavamo la lotta armata, l’avanguardia che, in qualche modo, forniva l’esempio agli altri prigionieri delle carceri israeliane. Eravamo in un momento precedente a quello delle militanza politica. Se non si fosse dato questo tipo di resistenza, la lotta dei prigionieri avrebbe finito per fallire.
Questa è la prima tappa, dal 1965 al 1973. La seconda tappa è quella in cui le contraddizioni della militanza politica, quelle relazionate all’età biologica, quelle che derivano dall’appartenenza all’uno o all’altro gruppo, si ripercuotono sui prigionieri. In quel momento Israele moltiplica l’utilizzo di collaborazionisti, offre privilegi agli uni contro gli altri per suscitare scontri all’interno del fronte palestinese. È una tappa molto negativa quella tra il 1973 e il 1976. Ti riassumo molto quello che è successo. La terza tappa è quella in cui cominciamo nuovamente a spostare le contraddizioni nel campo del nemico, contro Israele.
Queste tappe riassumono il nostro apprendistato. Abbiamo imparato nelle carceri a risolvere le differenze interne tramite il dialogo democratico e ad anteporre l’interesse generale dei palestinesi, la causa nazionale, la lotta contro il nemico, alle discrepanze tra di noi. Questo è quello che ha conseguito il movimento dei prigionieri.
A differenza di ciò che accade tra i palestinesi al di fuori, dove prevalgono le differenze, nelle carceri non avviene. La terza tappa di cui ti parlo è quella del superamento delle contraddizioni. Questo non vuol dire che non ci siano state divergenze arrivate dall’esterno: per esempio, gli accordi di Oslo generarono gravi tensioni tra i prigionieri, ma la linea prevalente è stata quella di raggiungere una maggior presa di coscienza politica, un maggior coordinamento e un dialogo democratico per contribuire alla causa. Da lì nacque il documento dei prigionieri che è stato tanto importante per definire la loro posizione e per chiedere l’unità nella lotta. Questo documento fu un’iniziativa dei prigionieri, non delle organizzazioni politiche. Venuto alla luce nel 2005, è conosciuto come il documento dei prigionieri e in esso si fa prevalere l’unità nella lotta contro l’occupazione su qualsiasi divergenza politica.
Oggi, dopo gli accordi di Oslo del 1993, siamo davanti ad una situazione molto difficile: ci sono 350 prigionieri arrestati prima di questi accordi e che non sono stati presi in considerazione. Israele ha separato i prigionieri di Fatah da quelli di Hamas, questi da quelli dell’FPLP, questi da quelli del 1948, gli arabi dai palestinesi…, e questo è un riflesso della realtà esterna, della frammentazione della resistenza. Si è prodotta una profonda ferita nello stato d’animo dei prigionieri. In questo senso, l’unità diventa un’arma fondamentale per poter superare questa situazione, affinché la lotta dei prigionieri continui e affinché non si arrivi ad una depoliticizzazione. Non si può consentire la separazione dei prigionieri della Cisgiordania da quelli di Gaza, di quelli di Fatah da quelli di Hamas e dal resto…

Che succede con i giovani? Anche i giovani palestinesi incarcerati mantengono quest’impegno?
Ci sono due generazioni in carcere. C’è la generazione della resistenza armata e ci sono i bambini dell’intifada. Mentre la coscienza della prima generazione è nazionalista globale e integrale, quella dei giovani dell’intifada ha una maggiore tendenza verso il particolare, verso il proprio gruppo, verso la propria forma di portare avanti concretamente la lotta. Noi apparteniamo ad una tappa che si vuole eliminare. Il sionismo si è applicato per cercare di aprire questa spaccatura generazionale. Viviamo una situazione simile a quella del Titanic: colui che è sulla nave affonda e colui che si getta in mare muore. È in atto un chiaro tentativo accelerato di liquidare la tappa rivoluzionaria palestinese. Purtroppo le nuove generazioni che sono incluse negli accordi di Dayton non sono coscienti di questa situazione si cerca di separarli dai ‘vecchi’ per evitare che abbiano una visione d’insieme della lotta.
L’altro giorno è accaduto un fatto utile a capire questa situazione. C’era un concentramento contro il processo di negoziazioni dirette e i giovani palestinesi hanno pestato i membri dell’esecutivo dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina). Quando abbiamo chiesto loro se conoscessero i dirigenti palestinesi che avevano attaccato, se conoscessero i loro nomi, non conoscevano nessuno, lo stesso Arafat sembra un ricordo lontano. Manifestavano contro i negoziati diretti e quando uscirono i membri del comitato esecutivo li hanno picchiati senza conoscerli. Manca la comprensione del significato storico della lotta palestinese.

Quali credi siano i passi da fare, tanto per le organizzazioni che sono fuori quanto per quelle di appoggio ai prigionieri?
Non è facile dire quale sia la tappa in cui ci troviamo e quale debba essere la strategia da seguire. Credo che si debba seguire la massima di Gramsci quando parlava di pessimismo dell’intelligenza e ottimismo della volontà. Ci troviamo in un villaggio globalizzato e tutto è strettamente legato. La lotta non è tanto semplice da poter sapere in anticipo che una strada è migliore di un’altra, ma la cosa certa è che bisognerebbe iniziare ad agire e che questa situazione dovrebbe sboccare nella creazione di una serie di forze che sappiano cogliere il momento storico e tracciare una linea strategica determinata per una via di uscita globale, non solo in relazione alla questione palestinese. Dalla preistoria allo spazio c’è un lungo percorso che non è paino, ma in salita. Io continuo a credere che ci sia una via d’uscita. È come per le navi, bisogna procedere a zig-zag ma senza perdere d’occhio la meta.

– Che pensi di Hezbollah? Credi possa assolvere un ruolo nel processo di unità del mondo arabo e nella causa palestinese?
Gli Stati Uniti continuano ad essere un impero e vogliono farla finita con Hezbollah perché vogliono farla finita con la Siria, il Libano… Gli USA non cesseranno di impegnarsi per colpirli. Ma all’impero rimangono al massimo 25 anni per cercare di distruggere tutte le resistenze. Finché Hezbollah è parte dell’asse costituito dalla resistenza del mondo arabo sarà un alleato fondamentale contro l’occupazione; ha una grande influenza in tutto il mondo arabo ma non possiamo sapere quale sarà la sua evoluzione. L’assenza delle forze della sinistra laica aggrava molto le cose. Siamo intrappolati tra una destra collaborazionista e una sinistra incapace. Abbiamo molti anni di lotta alle spalle e non abbiamo raggiunto obiettivi concreti e questo ha portato al disincanto tra le masse che si sono rifugiate nella religione. Quando fallì la rivoluzione del 1905 molti appartenenti ai settori popolari russi si rifugiarono nella religione, esattamente come accade ora. Dovremmo studiare come superare questa situazione.

Quest’intervista è stata realizzata il 5 dicembre 2010 nel Forum arabo internazionale in sostegno ai prigionieri detenuti nelle carceri dell’occupazione, che si è tenuto ad Algeri.

 

Palestine: diario per immagini da Freepalestine

16 gennaio 2011 Lascia un commento

Per capodanno una delegazione di Freepalestine si è recata nei Territori occupati dall’esercito israeliano.
Questo un racconto-diario.

Siamo partit* in quattro di Free Palestine Roma ma all’aereoporto di Tel Aviv due di noi sono stati fermati e successivamente rimpatriati con un’espulsione per 5 anni. L’arbitrarietà e l’arroganza con cui questo è avvenuto sono tipici di Israele. La motivazione è stata che una dei due era stata già stata espulsa in aprile (cosa non vera perchè era stata fermata a casa di una signora sotto sgombero, ma aveva ricevuto solo un’ammonizione a stare fuori da quella zona per una settimana ma non un’espulsione) e per lui perchè viaggiavano insieme.

Con una buona dose di incazzatura siamo arrivate nella casa rimasta tagliata fuori dal muro che in quel punto separa la zona di Betlemme da quella di Gerusalemme, tutta la vita degli abitanto di questa casa la famiglia, il lavoro, sono al di là del check point. Questo chech point in 10 gg l’abbiamo passato tantissime volte, mettendoci ore o minuti a discrezione del soldato di guardia. Da una parte si esce a piedi e da una parte in macchina.

Dopo le 10 di sera, dalla parte pedonale, quasi sempre la guardia fa finta di non esserci, così aspetti un’ora chiamando inutilmente prima che qualcuno decida di premere il pulsante che apre il primo tornello e da’ accesso alla zona del metal detector, dove perdi almeno altri 10 minuti perchè continua a suonare e tu non sai più che cazzo devi toglierti .. I palestinesi devono infilare la mano in una gabietta e compare la loro faccia sul monitor della guardia, a noi basta mostrare il passaporto, ci rivestiamo bestemmiando e usciamo dall’altra parte.

Il centro Amal al Mustakbal di Aida Camp funziona bene, la mattina c’è la scuola per i bambini fino a tre anni, il pomeriggio i corsi di dabka (la danza tradizionale che si balla a tutte le età) e inglese per quelli più grandi. Con i soldi raccolti in italia si stanno facendo molti lavori di ristrutturazione e messa a norma, si pagano le bollette, si cerca di dare un rimborso alle volontarie che ci lavorano. Insieme ai bambini facciamo 2 murales

Radio Voce Unita è nata da pochi mesi a Deisheh Camp. Ci lavorano compagni con tanti anni di prigione alle spalle. La loro idea è fare una radio di tutti, lontana dalle influenze dei partiti, ma vicina ai bisogni dei palestinesi. E che dia un apporto culturale alla Palestina di oggi che invece vede sempre più nella religione le uniche risposte alle tante domande disattese. Tutti i venerdì in molti villaggi della Palestina i comitati di resistenza non violenta organizzano manifestazioni e azioni contro il muro che li isola e frammenta. Bil’in, 800 persone, un pezzo di terra rossa e ulivi, pietre, una rete lunga come l’orizzonte, dietro a questa una strada sterrata su cui passano solo mezzi militari, qualche altro centinaio di metri e il muro vero e proprio. Poi dietro ancora, in cima a una cava la colonia di Kiryat Sefer.

Venerdì 31 dicembre è anche il 6° anniversario del comitato del villaggio di Bil’in, la manifestazione si prevede più partecipata, i compagni sono organizzati per tagliare la rete con delle tronchesi. Sulla strada che congiunge Ramallah a Bil’in e altri villaggi, spunta un posto di blocco, un check point volante con tanto di spunzoni in mezzo alla strada per impedire il passaggio. Il nostro taxi viene fermato. Siamo 3 italiane un basco e un palestinese col documento verde (cioè che si può muovere abbastanza liberamente nei territori). Un ventenne con mitra molto più grosso di lui dice che la zona è chiusa per 2 o 3 ore. Non da spiegazioni e non sente ragioni. Proviamo l’altra strada, stessa scena. Niente corteo per noi. .

La manifestazione si è fatta però, con 800 persone, la rete è stata tagliata in alcuni punti. L’esercito ha reagito con lacrimogeni, bombe sonore e gas. A causa delle inalazioni due giorni dopo morirà Jawaher Abu Rahmah, sorella di Bassem, diventato un po’ il simbolo della resistenza di Bil’in, ucciso 2 anni fa da un lacrimogeno ad altà velocità. Siamo state a Bil’in qualche giorno dopo a portare la nostra solidarietà e abbiamo deciso di tornarci per il corteo del venerdì successivo

Il campo profughi di Balata è sempre particolarmente sofferente e segnato dalle numerose incursioni militari che ci sono state negli anni, ha un gran numero di morti ammazzati per mano israeliana di cui molti bambini. Abbiamo incontrato i volontari dell’Happy child wood club e con loro abbiamo immaginato la possibilità di tornare. Nablus rimane una delle città più belle e più accoglienti della Palestina. Consigliamo sempre una visita in questa città resistente circondata dall’alto da sempre più colonie. Sulla strada tra Balata e Nablus l’Autorità Palestinese sta costruendo uno dei più grossi carceri che la storia della Palestina ricorsi. Questo per rendervi l’idea di cosa si respira oggi in quella terra repressa anche da questo. Silwan è un quartiere palestinese di Gerusalemme Est dove ogni giorno ci sono sgomberi e demolizioni per insediare nuove famiglie di israeliani, poi costrette a vivere sotto scorta sotto lo sguardo giustamente ostile dei residenti. Abbiamo incontrato il comitato, che tra i molti problemi ha denunciato una fortissima repressione soprattutto verso i ragazzini che cercano di contrastare l’occupazione.

Abbiamo deciso di tornare a Bil’in il primo venerdi del nuovo anno. La comunità è molto piccola e ruota intorno a due famiglie. Sono tutti molto ospitali e gentili. E sorridono e scherzano nonostante la brutalità esistenziale a cui sono costretti. Cantiamo bella ciao, balliamo, mangiamo i felafel più buoni di tutto il viaggio. Al corteo c’è un sacco di gente, ci sono i comitati delle donne di diversi vilaggi e città. Si arriva come sempre fino alla rete che viene tagliata in alcuni punti. Poi i lacrimogeni, le bombe assordanti, delle palle di ferro che piovono dal cielo cambiando direzione grosse come un pugno che sprigionano gas, e un idrante tutto bianco che spara per centinaia di metri un liquido nauseabondo che fa immediatamente vomitare, liquido che poi si è rivelato essere acqua di fogna addizionato con agenti chimici. Un venerdì come tutti gli altri negli ultimi 6 anni a Bil’in.

Palestina: ancora un’intervista che si trasforma in testamento dopo 5 minuti.

12 gennaio 2011 Lascia un commento

Da Vittorio Arrigoni ci arriva questo testamento.
Doveva essere un’intervista, ma in pochi minuti è diventata un testamento. Accade spesso in terra di Palestina

Il mio nome è Mohammed Shaban Shaker Karmoot. Sono nato nel 1964.
Ho iniziato a lavorare come agricoltore quando ero giovane, prima di sposarmi, più di 35 anni fa.

MOHAMMED SHABAN SHAKER KARMOOT mentre rilasciava l'intervista

Mohammad Shaban Shaker Karmoot mentre rilasciava l'intervista il 10 gennaio 2010

Quanti figli hai?
Ho sei figli maschi, questo  è qui Kamal (indica il ragazzo), nato dalla seconda moglie. Ho quattro figli e tre figlie dalla mia prima moglie, e tre figlie e due figli dalla mia seconda moglie.
Ho comprato due dunam (un dunam equivale ad un chilometro quadrato)accanto alla via comunale più vicina alla buffer zone nei pressi Al Basayna. Qui ho desiderato e costruito una casa nella quale vivere con la mia famiglia.

Accanto a questo muro?
A 22 metri di distanza da quel muro. Queste due dunam sono mie, le ho comprate.

Quanto ti sono costate?
Le ho comprate per 7500 dinari giordani (circa 8 200 euro)

E dimmi, può raggiungere quei due ettari della tua terra?
Sì, certo, ma è molto rischioso, perché i soldati sparano.

Quindi non la puoi coltivare e neanche costruirci sopra?
Esatto, non posso fare nulla nella mia terra.

E’ stato così fin dall’inizio?
Una volta non era così. La mia terra era piena di alberi: palme, limoni, arance, clementine e altri frutti. Era piena di tutti i tipi di frutta possibili e immaginabili la mia terra. L’albero di mandorle che mi permetteva di riempire sacchi e sacchi di mandorle quando c’erano frutti,  (i soldati israeliani) me l’hanno sradicato proprio nel momento in cui ero pronto a raccogliere. Sono venuti di notte con i bulldozer e lo hanno sradicato.

Come è stata la tua vita? Come hai fatto per mantenere la tua famiglia?
Eravamo abituati a vivere una vita felice, lavorando su queste terre riusciamo a fare 650 NIS ogni mese (circa 150 euri), più il lavoro nei campi altrui, riuscivamo a cavarcela bene.

Questo  in che anno  è accadeva?
Prima che mi distruggessero le terre, credo nel 2003, all’inizio dell’ultima intifada.

Come ti sei sentito in quel momento?
Beh, come pensi che mi sia sentito? Mi sentivo come qualcuno a cui stavano strappando via il mio cuore,  mentre coi bulldozer gli israeliani distruggevano le mie terre. Ho assistito alla distruzione tutta una notte. Là c’era un grande albero di sicomoro,  quando è arrivato il bulldozer e ha distrutto e sradicati  tutto sono uscito con una torcia e ho visto che almeno mi avevano lasciato quell’albero dopo essersi ritirati. Era una notte di Ramadan, quando è successo, e poi le ruspe sono tornate di nuovo all’alba e hanno distrutto ciò che era rimasto dell’albero. Hanno impiegato solo tre ore per distruggere tutto la zona, utilizzando 8 bulldozer per distruggere tutta la zona.

E oggi continui a vivere in questa zona?
Quello che faccio qui o che si suppone io faccia, lo si può capire guardando questi alberi verdi qui. Sono io che lo ho coltivati, come ho coltivato il grano e l’orzo che al momento del raccolto è stato bruciato dall’esercito israeliano. Quest’anno quando siamo venuti a semonare i campi i soldati ci hanno sparato addosso.

5 MINUTI DOPO AVER RILASCIATO QUESTA INTERVISTA ALL’ONG ITALIANA GVC, UN CECCHINO ISRAELIANO A SPARATO E UCCISO MOHAMMED SHABAN SHAKER KARMOOT. Quest’ultimo assassinio è una sorta di avvertimento mafioso per quanti solidarizzano con i lavoratori palestinesi che resistono, gli ultimi veri uomini in questi tempi anonimi.

Mohammad Shaban Shaker Karmoot dopo cinque minuti

A Mario, dai muri della terra di Palestina

9 gennaio 2011 Lascia un commento

La resistenza palestinese colpisce a Kissifum

7 gennaio 2011 1 commento

La resistenza palestinese oggi s’è fatta sentire, vicino al kibbutz israeliano di Kissifum, a ridosso della Striscia di Gaza.
Le notizie per ora sono abbastanza contrastanti: inizialmente s’è parlato del ferimento di 4 soldati israeliani ( di cui due in maniera risultata immediatamente grave ) mentre cercavano di neutralizzare un gruppo di combattenti palestinesi scoperto mentre si avvicinava ai reticolati di confine. Le prime fonti israeliane parlano di un gruppo che voleva deporre ordigni esplosivi; una volta scoperti e iniziato lo scontro a fuoco il commando di Gaza avrebbe usato colpi di mortaio ai danni del gruppo di paracadutisti israeliani colpiti.
Poco dopo diversi elicotteri si sono alzati in aria e Vittorio Arrigoni ci racconta in diretta di diverse sirene della Mezzaluna rossa che urlano intorno al campo di Bureij….

ore 20.56 (italiane): secondo fonti militari israeliane uno dei due soldati che avevano riportato le peggiori ferite è appena deceduto, mentre è salito a 5 il numero dei feriti. Poco fa i media israeliani hanno tentato di parlare di “fuoco amico”… come sempre, gli brucia troppo dichiarare che i loro super soldati sono stati colpiti dal fuoco palestinese.