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Posts Tagged ‘migranti’

Nuova rivolta al CIE di Bari

16 dicembre 2009 Lascia un commento

Nuova rivolta, ieri pomeriggio, dentro al Cie di Bari-Palese. Sembra che tutto sia nato dal pestaggio effettuato dalle guardie, non si sa per quale motivo, di un recluso del modulo 6. I suoi compagni hanno reagito bruciando alcuni materassi e spaccando i vetri della struttura. Contro i ribelli sono accorsi “militari di tutti i tipi” – secondo le testimonianze da dentro – che sono riusciti ad isolarli nel loro modulo. Non si sa bene cosa sia capitato successivamente, ma sembra non ci siano stati arresti. In realtà è dall’altroieri che la tensione al 6 si è rialzata: i reclusi degli altri moduli avevano sentito urla e casino provenire da lì e da allora tutti i moduli sono isolati e i pasti vengono serviti tra le sbarre.
QUI SOTTO IL VOLANTINO DISTRIBUITO DURANTE LA MANIFESTAZIONE  IL GIORNO SUCCESSIVO

Benvenuti nella democrazia dei lager

M. ha una trentina d’anni, e, come dicono i suoi compagni di cella, “sta morendo piano piano”. Da circa quattro mesi è rinchiuso nel C.I.E. di Bari-Palese e da più di 40 giorni porta avanti, nel silenzio e nella disperazione, uno sciopero della fame: non parla e rifiuta il cibo, mangia solo un po’ di  pane ogni quattro-cinque giorni, e perciò le sue condizioni di salute sono gravi; è rimasto “solo ossa”. Da quando i suoi compagni di cella chiedono insistentemente agli operatori sanitari di fare qualcosa, la risposta è sempre la stessa: questi operatori dicono che se M. non si reca autonomamente in infermeria, loro non possono fare niente e non sono responsabili della sue pessime condizioni; evidentemente non gli importa se M. sta così male che non riesce neanche ad alzarsi dal suo materasso, e quindi l’assistenza medica gli viene di fatto negata. In poche parole: la sua vita non ha nessun valore per gli operatori sanitari del C.I.E.

Una cosa simile, probabilmente, deve averla pensata dei suoi carcerieri quel recluso che per disperazione ha tentato di impiccarsi, circa un mese fa, ed è vivo solo perché i suoi compagni di cella gliel’hanno impedito; fosse stato per gli addetti alla sorveglianza, “avrebbe anche potuto impiccarsi, se ne era così convinto”. Neanche la vita di S. deve aver molto valore, secondo gli operatori del C.I.E. in cui è rinchiuso: è ammalato di diabete, ma si vede negare una cura adatta e la possibilità di fare delle analisi. E un parere non molto diverso sugli operatori sanitari l’avranno forse quei reclusi che sanno che alcuni di loro hanno malattie come l’epatite c, e vedono che nessun tipo di precauzione viene presa dagli addetti all’assistenza per evitare il contagio: la barba, ad esempio, la fanno tutti con lo stesso rasoio. Anche questo, si capisce, è una cosa che pare non importi agli operatori del C.I.E.
A quanto dicono questi operatori, neanche la pessima qualità del cibo dipende da loro: è quindi inutile che i reclusi si lamentino se nei piatti trovano vermi o roba andata a male, o se dopo pranzo sono in uno strano stato di torpore
come se nel cibo fossero stati messi psicofarmaci e “sostanze calmanti”.
Forse si tratta delle stesse “pillole” che vengono somministrate quotidianamente all’ora della cosiddetta “terapia”: tutte le altre cure mediche richieste dai reclusi vengono quasi sempre negate. Gli operatori sanitari devono aver stabilito, a quanto pare, che gli psicofarmaci sono un ottimo espediente per tenere a bada i migranti che si trovano nel C.I.E; per poterli tenere rinchiusi per mesi nelle celle col pretesto che non hanno un documento valido, come ha stabilito il recente “Pacchetto Sicurezza”. Per impedirgli di protestare, di fare baccano, di tentare la fuga. E se gli psicofarmaci non dovessero bastare, ci sono i militari addetti alla sorveglianza: sempre col manganello in mano. Ai militari, dicono i migranti, è inutile chiedere qualunque cosa: non è possibile mandare un fax, e neanche avere una penna per scrivere, non ti danno nulla, ti dicono che quello che chiedi non c’è, o non è possibile, o loro non ne sono responsabili.
Ma allora chi sono i responsabili di tutto questo? Saranno gli ex-ministri Turco e Napolitano, che nel 1998 hanno deciso la costruzione di strutture simili? Sarà il ministro Maroni, che ha fatto approvare una legge che allunga i periodi di detenzione nei C.I.E.? Sarà l’O.E.R. (Operatori Emergenza Radio), la “onlus” che ha vinto la gara d’appalto per la gestione del C.I.E. di Bari-Palese? Saranno forse le ditte Medica Sud srl o Ladisa, che partecipano alla gestione di questo centro, in “raggruppamento temporaneo di impresa” con la suddetta O.E.R.? Saranno i militari del battaglione S. Marco, che sono addetti alla sorveglianza? La risposta pare ovvia: sono tutti responsabili.

Responsabili dell’attuazione di una legge razzista, responsabili della macchina delle espulsioni, responsabili dell’esistenza dei  C.I.E., responsabili delle pessime condizioni di vita al loro interno, responsabili della disperazione di chi vi viene “ospitato”.

Ma forse neanche psicofarmaci e manganelli bastano a tenere la situazione sotto controllo, se spesso nel C.I.E. di Bari-Palese ci sono proteste e rivolte rumorose: dentro le celle, con gli scioperi della fame, o cercando di inghiottire qualunque cosa pur di uscire dal centro, per essere portati in ospedale; e all’interno della struttura, quando i migranti spaccano vetri e bruciano materassi chiedendo di essere liberati, o almeno rimpatriati, per sfuggire all’inferno del C.I.E.
L’ultima protesta si è verificata la settimana scorsa: due migranti sono stati arrestati e probabilmente rimarranno in carcere per molto tempo, senza che si sappia più niente di loro.
Una cosa simile è successa ai venti algerini che sono stati arrestati l’anno scorso, nella notte di Natale, per aver tentato la fuga. Sono rimasti in carcere con l’accusa di devastazione e saccheggio, da cui sono poi stati assolti,
dopo un anno, perché la corte d’appello ha deciso che, in effetti, come condanna era decisamente esagerata. Dopo un anno di carcere.

Considerando tutto questo, non è difficile capire perché le leggi sull’immigrazione che vigono in Italia non possono che essere definite razziste, e non ci si stupirà più di tanto se questi C.I.E. vengono sempre più spesso chiamati lager. Perché di lager si tratta.

E allora benvenuti nella democrazia del razzismo, della violenza contro i migranti, della xenofobia, della repressione dei “clandestini” e degli “indesiderati”. Benvenuti nella democrazia che ha costruito i nuovi lager.

Funerali di SherKhan

16 dicembre 2009 Lascia un commento

Giovedì 17 Dicembre alle ore 17:00 saremo a Piazza Vittorio per la veglia pubblica per Mohammed Muzzafar Alì, detto Sher Khan.

Sher Khan

 

Ci saremo per ricordarlo e ricordare insieme a tutti gli antirazzisti le battaglie portate avanti insieme.
Ci saremo per ricordarci che ancora molto da fare se c´è ancora chi muore, di freddo, per strada…
Saremo insieme anche per denunciare pubblicamente le colpe di chi non lo ha assistito durante la detenzione nel C.I.E. di Ponte Galeria e fuori, quando è stato lasciato al suo destino.
Chiediamo a tutti di partecipare a questo momento di lutto che vuole anche essere un momento di riflessione collettiva sul da farsi affinchè le battaglie per i diritti dei migranti siano ogni giorno nelle strade e nella vita di questa città, nella vita di tutti noi così come lo è stato per Sher Khan.

Per chi voglia contribuire alle spese per il funerale e per il trasporto in Pakistan si può utilizzare il conto dell’associazione Senzaconfine, specificando nel bonifico “per Sher Khan” e mandando contestualmente una mail a senzaconfine@libero.it.
Conto n° 111215 intestato a Associazione Senzaconfine
Banca Popolare Etica – Roma
IBAN: IT91W0501803200000000111215

Associazione Senza Confine 

Addio Sher Khan, “tigre” dei diritti dei migranti

10 dicembre 2009 4 commenti

Sher Khan è morto stanotte ! 
Morto di freddo e di patimenti (fuori dal CIE-Ponte Galeria solo da 3 giorni , “ perché privo di permesso nonostante il soggiorno in Italia da almeno 20  anni”) in quella multietnica P.za Vittorio divenuta anche il sacello della  tragica storia del riscatto degli immigrati. 
Morire di freddo nella metropoli della storia è un infamia da gridare ai  quattro venti.

Sher Khan

Con oltre 600 chiese,centinaia di palazzi monumentali e di luoghi pubblici al coperto, 20000 appartamenti sfitti, una decina di occupazioni di case, oltre 30 spazi-centri sociali occupati , svariate sedi sindacali confederali e di base , circoli e sezioni di partito : morire di freddo a Roma è una bestemmia, 
un controsenso, l’indice barbaro della modernità che continua ad uccidere per cattiveria, qualunquismo, indifferenza.
Ne portiamo tutti la responsabilità, quella di non aver fatto abbastanza per lenire la sofferenza !
Sher Khan era parte di noi. Lo abbiamo conosciuto tra i primi, per la prestanza irriverente con cui affrontava e tutelava i bisogni-diritti negati ai suoi simili. Per l’assillo che metteva ovunque ci fosse un sopruso : con quel fiero volto, simpatico e sorridente; con quelle manone calorose e gesticolanti; con quel cipiglio da capopopolo , arringante e ritmante fluviali slogan da megafono.
Lo abbiamo aiutato e sostenuto; cazziato per alcune ingenuità ed errori , dovuti per lo più allo stato di esclusione programmata a cui le istituzioni  costringono gli immigrati per far ricadere su di loro le colpe e i misfatti della politica.
Sher Khan Addio ! Addio al tuo – di tanti – sogno di emancipazione e liberazione , di cui avvertiamo e sentiamo il peso per non essere riusciti a  soddisfare : prendiamo rinnovato impegno perché il tuo sacrificio non sia stato inutile, così che altri tuoi-nostri fratelli e sorelle potranno realizzarlo !

Addio Sher Khan , la terra ti sia accogliente .
Un saluto a pugno chiuso.

 Vincenzo Miliucci per la Confederazione Cobas

Comunicato stampa dalla nuova occupazione di Roma; Via del Policlinico 137

4 dicembre 2009 Lascia un commento

Ecco il comunicato stampa dell’occupazione / presidio permanente avvenuta questa mattina in Via del Policlinico, a Roma.

GIORNATA CONTRO GLI SFRATTI E GLI SGOMBERI. A ROMA I MOVIMENTI PRESIDIANO UNO STABILE IN VIA DEL POLICLINICO 137

Questa mattina, nella giornata nazionale contro gli sfratti e gli sgomberi, a Roma i movimenti per il diritto all’abitare hanno stabilito un presidio permanente in uno stabile pubblico vuoto in via del Policlinico 137.
Si tratta di uno delle migliaia di luoghi abbandonati al degrado e alla rendita, mentre oltre 40mila persone attendono risposte che non arriveranno dal Piano casa del comune di Roma. All’orizzonte, nei prossimi mesi, il dramma dell’insolvenza e degli sfratti, con migliaia di nuclei familiari e di singoli inquilini stressati dalla rata del mutuo o dal canone aumentato e dall’incombente arrivo dell’ufficiale giudiziario pronto ad eseguire pignoramenti e sfratti.
La risposta del governo delle regioni e del Comune di Roma consiste nella vendita del patrimonio residenziale pubblico, nell’avvio di un piano di “housing sociale” all’insegna anche stavolta degli interessi privati con case che non arriveranno mai e comunque troppo costose, e nella liberalizzazione delle procedure edilizie. A fine dicembre scade la copertura per le categorie protette che ormai riguarda pochissimi casi e così come il bonus per l’affitto, sta diventando uno strumento parziale, quasi inutile. Per opporci a tutto questo, iniziamo un presidio permanente all’interno dello stabile in Viale del Policlinico 137 per chiedere il blocco generalizzato degli sfratti e degli sgomberi, un vero piano abitativo con case popolari e il rilancio dell’edilizia residenziale pubblica.

 Oggi pomeriggio, alle ore 17, ci concentreremo a piazza Vittorio, per dire ad Alemanno che Roma è di chi la abita, mentre altre città, da Napoli a Firenze, da Bologna a Milano e a Torino vedranno iniziative di lotta per chiedere il blocco degli sfratti per morosità che oggi rappresentano nella nostra città più del novanta per cento delle esecuzioni.

Roma, 4 dicembre 2009

Coordinamento Cittadino di Lotta per la Casa
Blocchi Precari Metropolitani
http://abitarenellacrisi.noblogs.org

Dal sito Macerie, un po’ di aggiornamenti da Parigi, Torino e Milano

4 dicembre 2009 Lascia un commento

Parigi Torino e Milano, in breve
Diario

 @ Si è tenuta, il primo dicembre scorso al Tribunale di Parigi, la prima udienza del processo per l’incendio di Vincennes. Intanto, la domanda di scarcerazione di Nadir, l’ultimo dei ribelli in carcere, è stata respinta, come è stata respinta la richiesta degli antirazzisti di potergli far visita. E sono

L'incendio dopo la rivolta. Vincennes, France

state respinte pure le richieste degli avvocati di prendere visione di tutte le videoregistrazioni della rivolta e non solamente della sintesi preparata – ad arte – dalla polizia. In aula erano presenti un bel numero di solidali, alcuni dei quali hanno occupato, successivamente, l’ufficio che concede i permessi di visita. Il processo continuerà il 25, 26 e 27 gennaio prossimi, e per la settimana precedente sarà indetta una settimana internazionale di solidarietà con gli arrestati.

 @ A Torino, al processo per i fatti di piazza Rebaudengo, sono stati ascoltati i testimoni della difesa. Nulla da segnalare, se non l’astio evidente e incontrollato del Pubblico ministero Padalino nei confronti degli imputati e di alcuni dei testimoni. Astio oramai quasi maniacale, che lo ha portato a richiedere preventivamente alla Digos di analizzare i tabulati telefonici del cellulare di uno dei testimoni proposti dalla difesa, per scoprire esattamente dove il testimone fosse al momento dei fatti: peccato che quel cellulare, in quel momento, fosse spento. Anche questo procedimento continuerà nel 2010.

 @ Al Tribunale di Milano, per finire, il processo per la seconda rivolta di Corelli, quella del 7 novembre. Udienza lunga, con molti solidali in aula. Sono stati interrogati alcuni testimoni e alcuni degli imputati. A metà udienza è emerso un particolare inedito: i quattro arrestati non sarebbero stati arrestati totalmente “a caso”, come si sospettava all’inizio. Al contrario: si è trattato di una ritorsione per aver tentato di fuggire, soltanto un paio di giorni prima. La prossima udienza sarà il 17 dicembre, e a testimoniare ci sarà l’oramai famosissimo Vittorio Adesso, ispettore capo del Centro.

Finalmente testimonianze dirette di ciò che avviene nel Mediterraneo, cimitero liquido

2 dicembre 2009 Lascia un commento

Importante, necessario, obbligatorio far girare queste testimonianze raccolte da Fortress Europe

ROMA – Picchiati dai militari italiani e deportati nel Sahara. Parlano i respinti. Per la prima volta. Dalle celle di un carcere in mezzo al deserto libico, mille chilometri a sud di Tripoli, dove sono finiti dopo essere stati respinti in Libia dalle navi militari italiane. Li abbiamo raggiunti telefonicamente. Sono 38 somali. Tutti uomini. Parte dell’equipaggio di 81 somali partiti da Tripoli lo scorso 27 agosto 2009 e respinti dalle autorità italiane dopo tre giorni in mare, il 30 agosto
A. è uno di loro. Ha 17 anni. “Siamo partiti la notte del 27 agosto – racconta -. Con noi c’erano 17 donne, 7 bambini e una donna anziana, eravamo tutti somali”. Dopo due giorni di navigazione verso nord, il gommone incontrò una motovedetta maltese. “Ci dettero acqua e giubbetti di salvataggio. Chiedemmo la direzione per Malta, non volevamo andare in Italia, per paura dei respingimenti. Ci indicarono la rotta e ripartimmo. Fu solo dopo cinque ore di navigazione che capimmo che stavamo andando verso la Sicilia”. M., un compagno di cella di 29 anni, conferma. 
Il racconto di quelle ore coincide con la cronaca delle agenzie di stampa del 30 agosto. A 24 miglia di distanza da Capo Passero, in provincia di Siracusa, l’imbarcazione viene intercettata dalle unità italiane. Quattro passeggeri, tra i quali una donna e un neonato, vengono trasferiti in ospedale alla Valletta. Un quinto uomo viene ricoverato a Pozzallo, in Sicilia. Gli altri passeggeri vengono trasbordati su un pattugliatore di altura della Guardia di Finanza che parte in direzione di Tripoli, dove arriverà il giorno dopo. Fin qui la cronaca ufficiale. Ma cosa successe davvero a bordo?

“Quando ci presero a bordo non ci dissero dove ci stavano portando – racconta A. -, ma a un certo punto era chiaro che tornavamo in Libia, perché eravamo in mare da troppo tempo, ci abbiamo messo 28 ore a raggiungere Tripoli”. Fu allora che sul ponte scoppiò una dura protesta. “Ci avevano diviso. Le 17 donne con i 7 bambini stavano da una parte. Gli uomini dall’altra. Le donne piangevano, gli uomini gridavano. Per fortuna c’erano tre uomini che parlavano inglese e facevano da interpreti con gli italiani. ‘No life in Libya’ dicevano. Gli abbiamo spiegato che eravamo somali, che in Somalia c’è la guerra e che non potevamo tornare in Libia. Piuttosto, dicevamo, potevano rimandarci in Sudan, dove non avremmo corso rischi, ma non in Libia”. 
Inizialmente – racconta A. – i militari italiani sembravano comprendere le loro ragioni. A. ricorda il più anziano a bordo. “Era un signore con i capelli bianchi. Piangeva, era commosso a vedere le donne e i bambini in lacrime, e la signora anziana, al pensiero di rimandarci in galera”. A. sostiene che quell’ufficiale abbia contattato il comando, per sapere cosa fare. Ma la motovedetta non ha mai invertito il timone. E a metà rotta ha incontrato la motovedetta libica su cui doveva trasbordare i respinti. Lì le proteste sono aumentate. “Alcuni uomini minacciavano di buttarsi in mare, gridavano, i militari italiani sono dovuti intervenire con la forza, si sono accaniti a manganellate contro un ragazzo. Finalmente hanno deciso di non trasbordarci e siamo rimasti a bordo fino al porto di Tripoli”. Appena a terra, sul molo, le proteste sono immediatamente finite, racconta A. “Chi parlava veniva subito picchiato dai libici”.
Da lì sono stati trasferiti nel carcere di Tuaisha, vicino all’aeroporto di Tripoli. E dopo un mese sono stati smistati in diversi centri di detenzione. Trentotto di loro – tra cui nessuna donna – sono finiti a Gatrun. Mille chilometri a sud di Tripoli. Vicino alla frontiera con Chad e Niger, in pieno deserto. Il viaggio da Tripoli è durato tre giorni, chiusi dentro un container. Qui si trovano al momento 245 detenuti, tutti somali. Stipati in tre camerate, dormono a terra, senza coperte e senza materassi, di notte fa freddo, alcuni si sono presi la scabbia. Una delle camerate è per le donne, che sono 54 e stanno insieme ai quattro bambini, uno dei quali ha solo pochi mesi ed è nato in carcere, a Benghazi. Già perché la maggior parte dei detenuti di Gatrun proviene proprio dal centro di Benghazi, a Ganfuda. 
Rircordate? Ne avevamo parlato in un’inchiesta a settembre, quando avevamo pubblicato le foto dei somali feriti a coltellate dalla polizia libica durante la durissima repressione di un tentativo di evasione di massa dal carcere, il 9 agosto scorso, concluso con l’uccisione di sei somali. 
Anche a Gatrun hanno tentato la fuga in massa. È successo venerdì scorso. Hanno sfondato la porta della cella e sono fuggiti in 91. La polizia libica è riuscita a riprenderne solo 32. “Sono stati picchiati duramente – racconta M. – e poi riportati qua. Per noi e per loro non c’è nessuna soluzione. Siamo qui da mesi, non abbiamo ancora visto l’Onu. Ma all’Onu e all’Europa a questo punto chiediamo di rimpatriarci. Piuttosto che rimanere chiusi in questa galera, preferiamo morire in guerra a Mogadiscio”.

Rivolta al CIE di Bari

1 dicembre 2009 Lascia un commento

Tocca al Cie di Bari Palese chiudere degnamente questo mese di rivolte che hanno segnato i Centri di tutta Italia.
La dinamica dei fatti non è ancora chiarissima, ma da quel che hanno potuto ricostruire fino ad ora i compagni baresi tutto sarebbe nato questa mattina da un litigio tra un recluso e i funzionari dell’ufficio immigrazione.
Litigio culminato con il lancio di una sedia e con il fermo del recluso.
Solo a quel punto, per difendere il fermato, un’intera sezione del Centro sarebbe insorta: vetri spaccati e materassi bruciati.
Non si sa quanto siano stati ingenti i danni, ma alla fine i soldati del Battaglione San Marco hanno trasferito in carcere due prigionieri, forse tre, mentre altri due sarebbero in ospedale. Secondo un lancio di agenzia, inoltre, tre poliziotti e due soldati sarebbero stati leggermente feriti negli scontri.

Ascoltate la ricostruzione fatta da una compagna barese: http://www.autistici.org/macerie/?p=23183

macerie @ Novembre 30, 2009

MO BASTA! Manifestazione contro sfratti e sgomberi

30 novembre 2009 Lascia un commento

Alemanno sfratta e sgombera? Mo basta!
La città è di chi la abita

Lo sgombero militare dell’Horus Liberato di piazza Sempione, avvenuto lo scorso 19 novembre, è solo l’ultima tappa dell’offensiva contro i diritti e le libertà promossa dalla giunta di destra negli ultimi mesi. Il Campidoglio pensa di gestire la crisi economica colpendo quel pezzo di società che si organizza nei territori per difendere il diritto alla casa, liberare spazi dalla speculazione, rivendicare un reddito garantito contro la precarietà, costruire accoglienza e inclusione sociale.
Nella capitale degli sfratti e dell’emergenza abitativa, sono i movimenti per il diritto all’abitare ad offrire le uniche risposte a sostegno dei senza casa, degli inquilini, dei precari.
Nella capitale della speculazione e dei tagli alla cultura, alla scuola, all’università, sono i centri sociali, le reti studentesche e le associazioni di base che, attraverso l’autogestione, danno spazio a nuove forme di welfare, servizi di mutuo aiuto, sport popolare, formazione e soprattutto a un ricco tessuto di produzioni culturali indipendenti.
Nella capitale delle espulsioni, sono le reti antirazziste e dei migranti che organizzano l’accoglienza difendendo quei diritti di cittadinanza violati dal pacchetto sicurezza.

Per queste ragioni scegliamo la giornata della mobilitazione nazionale contro gli sfratti per promuovere una manifestazione cittadina che dice no a questa strategia di paura, per difendere le occupazioni e sostenere la battaglia per garantire un nuovo spazio all’Horus, per aprire una nuova stagione di lotte e vertenze per il recupero degli spazi abbandonati, per la cultura, per un nuovo welfare dal basso.
Partiremo da piazza Vittorio, cuore della città multiculturale, e arriveremo davanti alla prefettura. Vogliamo incontrare il prefetto Pecoraro per richiedere la fine della politica degli sgomberi, il blocco generalizzato degli sfratti e la riapertura di un confronto sull’emergenza abitativa e sulla tutela degli spazi sottratti alla speculazione.

VENERDI’ 4 DICEMBRE, ore 16,00 piazza Vittorio
MANIFESTAZIONE CITTADINA
Centri sociali e movimenti per il diritto all’abitare

ore 11 del 4 Dicembre: OCCUPATO POCO FA UN PALAZZO DEL C.N.R. IN VIA DEL POLICLINICO 137 DAL COORDINAMENTO DI LOTTA PER LA CASA. L’OCCUPAZIONE PERMANENTE E’ ANCHE IN RISPOSTA A QUELLO CHE STA AVVENENDO AL VITTORIO OCCUPATO QUESTA MATTINA.
PER AVERE AGGIORNAMENTI ASCOLTATE RADIO ONDA ROSSA
CI SI VEDE TUTT@ IN PIAZZA OGGI! 

La polizia italiana nella giornata mondiale contro la violenza sulle donne…le manganella!

26 novembre 2009 Lascia un commento

Su Indymedia ci sono diverse pagine ormai che parlano di quello che è accaduto a Milano.
Insomma io riesco poco a commentare , perchè che cosa ci dobbiamo raccontare?? Nella giornata mondiale contro la violenza sulle donne, un presidio di

Lo striscione esposto oggi a Milano

donne, di femministe e lesbiche, migranti e non, è stato caricato e picchiato: il messaggio è arrivato più che chiaro.
Prendo da Femminismo a Sud questo resoconto, visto che riporta anche il volantino che le compagne stavano distribuendo, volantino che, insieme al comportamento avuto dalla polizia in piazza, è più che emblematico.
——————————— 

Dalla lista antirazzista milanese riceviamo e giriamo: “Inviamo questa nota urgente per informare tutti che è in corso una pesante carica della polizia contro il presidio organizzato a Milano in occasione della giornata nazionale contro la/e violenza/e sulle donne. Non c’è modo allo stato attuale di restituire l’esatta dinamica degli avvenimenti. Ma è certo che si trattava di un presidio pubblico di contro-informazione e sensibilizzazione su quanto accade, in particolare all’interno dei CIE con un riferimento esplicito alle ultime proteste-rivolte e alle denunce delle donne immigrate contro il responsabile del CIE, Vittorio Addesso. La carica è di per sè un segnale allarmante ed inquietante del clima poliziesco che punta a zittire ogni forma di lotta, protesta e finanche contro-informazione.Saremo più precisi nelle prossime ore sugli avvenimenti e sulle sue conseguenze. […]” 

E menomale che era la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Le cariche della polizia cosa sono? Carezze? Alla faccia della “sicurezza” in difesa delle donne…

Foto di Valentina Perniciaro

L’appuntamento per il presidio indetto da femministe e lesbiche e tenuto contemporaneamente in altre città italiane era stabilito sulla frase “Noi non siamo complici”. Da quello che sappiamo la polizia ha caricato violentemente a più riprese il presidio di donne dopo che le donne si sono rifiutate di chiudere lo striscione su cui c’è scritto “In Corelli la polizia stupra”. Ci sono un po’ di contus* e due ferit* gravemente alla testa. Al presidio in Cadorna (organizzato Mai state zitte, Vespe, le donne di Conchetta, alcune del comitato antirazzista…) erano presenti circa settanta persone, non di più, quasi tutte donne, appunto. Causa scatenante sembra essere stato lo striscione, come riportato. E poi il problema è stato il megafono, perché la seconda carica è partita perché le donne megafonavano contro la polizia, denunciando alla gente che passava (e chiedeva) quello che era successo. 

 

Questo il testo del volantino diffuso oggi a Milano alle 18.30 in piazzale cadorna:

25 novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne

Care signore e signorine,
tutte saprete che il problema della violenza sulle donne è di impellente attualità e si articola sotto svariate forme, dalla più cruenta alla più sottile e quotidiana.
Tutte avrete letto i dati ISTAT e scoperto che la maggior parte delle violenze si consuma tra le mura domestiche e viene compiuta da uomini italiani.
Tutte, una volta nella vita, vi sarete interrogate sull’influenza dell’immagine mediatica su ognuna di noi e sulle vostre bambine, scoprendo quanto il nostro corpo venga sfruttato e mercificato.
Tutte avrete affermato che non basta il 25 novembre, sarete uscite dal silenzio, urlando che è proprio questo a legittimare i sprusi.
Tutte, in questa giornata, avrete chiesto a gran voce più sicurezza, per poter essere libere di agire, senza dipendere dalla paura.
Tante di voi avranno cantato vittoria quando è stato approvato il decreto anti stupri, perchè facilita la denuncia da parte di ogni donna: dovrà essere creduta e, solo in un secondo tempo, smentita. Vittoria!
Oppure quando è stato approvato il pacchetto sicurezza, sono stati messi i militari a pattugliare le strade, hanno approvato le ronde cittadine, hanno aumentato a sei mesi il tempo di permanenza all’interno dei Centri di Identificazione ed Espulsione(CIE). Vittoria?
Eppure alcune non erano d’accordo ed hanno gridato che, in nostro nome, lo stato sdoganava una politica di razzismo e repressione passando senza scrupoli sui nostri corpi, altro che tutela delle sue donne!
Care signore, signorine, ora vi raccontiamo ciò che vi ostinate a non conoscere, rendendovi complici.
Vi ricordate i CIE, quei luoghi nei quali, anche per proteggerci, hanno rinchiuso per sei mesi immigrati ed immigrate, rei di non avere il permesso di soggiorno, grazie all’approvazione del pacchetto sicurezza?
Vi ricordate che, anche a Milano ne esiste uno? (Per chi fosse un po’smemorata e non si orientasse un gran che ricordiamo che si trova in via corelli. )
Ebbene, in questi luoghi vengono rinchiuse anche delle donne. Donne che conoscete: spesso lavorano nelle vostre case, accompagnano i figli nella stessa scuola dei vostri, o magari battono sotto le vostre finestre. Sono accomunate dal reato di non possedere il permesso di soggiorno.
Solitamente, dopo un controllo dei documenti(che non hanno) vengono prelevate dalla polizia e rinchiuse nelle gabbie di qualche Cie. Sono quelle che, d’un tratto, spariscono.
E che vita conducono le donne nei CIE? Questa non la ricordate proprio mai: violenze, soprusi, stupri, botte e minacce.
C’è il caso di Joy ed Hellen, che quest’estate hanno respinto il tentato stupro compiuto proprio dall’ispettore capo nel CIE di via Corelli,Vittorio Addesso, il quale poi, in occasione di una rivolta, le ha arrestate e picchiate, insieme alle altre. Joy ed Hellen hanno denunciato la violenza: Massimo Chiodini, responsabile crocerossa nel CIE, ha coperto Vittorio Addesso e la PM ha chiesto di mettere agli atti le loro dichiarazioni per poter procedere ad una denuncia per calunnia. La giudice ha accolto la richiesta.
E poi c’è Daniela, tuttora rinchiusa nel centro di Corelli: l’ispettore capo Vittorio Addesso, finchè lei non cederà alle sue richieste, la terrà per tutto il tempo che gli è consentito. Daniela, qualche settimana fa, per farsi rilasciare ha tentato di darsi fuoco.
E ce ne sono altre, signore e signorine. Le loro storie non sono giunte fino alle vostre orecchie? Non vi siete mai occupate di loro. Il vostro silenzio si è fatto complicità.
Eppure, tutto questo avviene in nostro nome, questo lo sapevate. Vi siete dimenticate che a uomini come Vittorio Addesso abbiamo delegato la nostra difesa: polizia, carabinieri, soldati. Lo Stato.
Ora lo sapete, signore e signorine. Non ci sono scuse: d’ora in avanti la vostra indifferenza sarà complicità. Scegliete da che parte stare.

Evasioni e lotte in Francia contro i C.I.E.

23 novembre 2009 Lascia un commento

Evasioni senza frontiere dal sito “MACERIE

 

 Intanto, un lancio d’agenzia dalla Francia:
«Otto stranieri in situazione irregolare sono evasi nella notte tra giovedì e venerdì dal Centro di Detenzione Amministrativa di Palaiseau, in Essonne. Dopo mezzanotte, sono riusciti a scappare dal primo piano, da dove sono scesi grazie ad un lenzuolo, dopo aver smontato le griglie di una finestra. Si tratterebbe di due rumeni, due marocchini, tre algerini e un burkinabé. Secondo una fonte vicina all’amministrazione, il responsabile del Centro avrebbe allertato molto recentemente la Prefettura in merito alla sicurezza del centro, chiedendo di effettuare lavori di ammodernamento.»

E poi, visto che ci siamo,  vi pubblichiamo qui sotto la versione elettronica di un opuscole che sta circolando oltralpe e che racconta delle lotte intorno ai Centri di lassù durante l’ultima estate. Alcuni passaggi riguardano proprio gli interventi negli aeroporti, che qui in Italia mancano del tutto. Chi mastica un po’ il francese, dunque, gli dia una occhiata.
Récits de révoltes et de solidarité

       macerie @ Novembre 22, 2009

25/11 Giornata internazionale contro la violenza sulle donne: TUTT@ DAVANTI AI C.I.E.

21 novembre 2009 Lascia un commento

NELLA TUA CITTÀ C’È UN LAGER
È IL CIE (centro di identificazione ed espulsione) DI PONTE GALERIA

 NOI NON SIAMO COMPLICI!

SIAMO TUTTE CON JOY
LA DONNA CHE HA DENUNCIATO IL TENTATIVO DI STUPRO
DA PARTE DEL SUO CARCERIERE NEL CIE DI MILANO

NON VOGLIAMO ESSERE COMPLICI DI UNA VIOLENZA LEGALIZZATA
NON VOGLIAMO ESSERE COMPLICI DI UNA LEGGE RAZZISTA FATTA IN NOME DELLE DONNE
NON VOGLIAMO ESSERE COMPLICI DI UN SISTEMA CHE CONSIDERA LE PERSONE IMMIGRATE COME DEI CRIMINALI SOLO PERCHÉ NON HANNO I DOCUMENTI
 NON C’È RISPOSTA ALLA VIOLENZA CHE NON SIA AUTODETERMINAZIONE:
L’AUTODETERMINAZIONE DI UNA È L’AUTODETERMINAZIONE DI TUTTE

MERCOLEDÌ 25 NOVEMBRE 2009
GIORNATA INTERNAZIONALE CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE
 PRESIDIO ITINERANTE DI DONNE,
FEMMINISTE E LESBICHE, MIGRANTI E AUTOCTONE
VERSO IL CIE DI PONTE GALERIA

alle 16:00: appuntamento alla stazione Ostiense
per un volantinaggio sul treno che porta verso il Cie
 dalle 17:00: presidio davanti al Cie di Ponte Galeria
(via Gaetano Rolli Lorenzini angolo via Cesare Chiodi)
musica e parole, voci, denunce e testimonianze di femministe e lesbiche

CONTRO LA VIOLENZA SESSISTA E RAZZISTA,
NOI SIAMO TUTTE CON JOY E HELLEN!

http://noinonsiamocomplici.noblogs.org

Nella tua città c’è un lager. Alle porte di Roma, tra il Parco Leonardo e la Fiera di Roma, c’è il centro di identificazione ed espulsione (Cie, ex Cpt) di Ponte Galeria, dove vengono rinchiuse, in condizioni disumane, le persone immigrate prive di documenti o che hanno perso il lavoro. Con l’approvazione del “pacchetto sicurezza” e il prolungamento della detenzione fino a sei mesi, lo stato vorrebbe privare le persone immigrate di ogni dignità e costringerle a vivere in un regime di violenza quotidiana e legalizzata. Nel corso dell’estate, sono scoppiate numerose rivolte, da Lampedusa a Gradisca. Noi ci sentiamo vicine e vogliamo sostenere le lotte delle recluse e dei reclusi contro questi “lager della democrazia”. In particolare vogliamo farvi conoscere la forza e l’autodeterminazione di Joy.

Martedì 13 ottobre si è chiuso il processo di primo grado contro i reclusi e le recluse accusate dalla Croce Rossa di aver dato vita, ad agosto, alla rivolta contro l’approvazione del pacchetto sicurezza nel Cie di via Corelli a Milano. Nel corso del processo una di queste donne, Joy, ha denunciato in aula di aver subito un tentativo di stupro da parte dell’ispettore-capo di polizia Vittorio Addesso e di essersi salvata solo grazie all’aiuto della sua compagna di cella, Hellen. Inoltre, entrambe hanno raccontato che, durante la rivolta, con altre recluse, sono state trascinate seminude in una stanza senza telecamere, ammanettate e fatte inginocchiare, per essere poi picchiate selvaggiamente prima di essere portate in carcere. Dopo essere state condannate a sei mesi di carcere per la rivolta, ora Joy e Hellen rischiano un processo per calunnia, per aver denunciato la violenza subita.
 Sappiamo bene che questo non è un caso isolato: i ricatti sessuali, le molestie, le violenze e gli stupri sono una realtà che le donne migranti subiscono quotidianamente nei Cie, ma le loro voci sono ridotte al silenzio perché i guardiani, protetti dalla complicità della Croce rossa, in quanto rappresentanti dell’istituzione, si sentono liberi di abusare delle recluse.
Sappiamo bene quanto sia aggravante essere prigioniera e donna: la violenza che si consuma nei luoghi di detenzione ad opera dei carcerieri, che viene sistematicamente occultata, si manifesta anche e soprattutto attraverso forme di violenza sessuale sulle prigioniere donne: perchè la violenza maschile sulle donne è un fatto culturale, e si basa sulla sopraffazione che sfocia nell’abuso del corpo e nell’offesa della mente.

Per questo pensiamo che sia importante sostenere Joy e Hellen, assieme a tutte le migranti che hanno avuto – e che avranno in futuro – il coraggio di ribellarsi ai loro carcerieri.
 Per questo il 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, assieme ad altre compagne femministe e lesbiche che si stanno mobilitando in diverse città, saremo a Ponte Galeria. Per affermare che noi non vogliamo essere complici, né delle campagne mediatiche costruite sull’equazione razzista “clandestino uguale stupratore”, né delle leggi razziste, securitarie e repressive varate in nostro nome; per gridare che tutti i centri di detenzione per migranti devono essere chiusi; per dire che rifiutiamo ogni forma di controllo e ogni tentativo di usare i nostri corpi per giustificare gli stereotipi e le violenze razziste e sessiste.
 Ma soprattutto saremo lì per esprimere la nostra solidarietà a tutte le recluse e i reclusi nei Cie e per far sentire a Joy e Hellen che non sono sole, che il loro gesto rappresenta un atto estremamente significativo di resistenza e di autodeterminazione, che rovescia il ruolo di vittima assegnato alle donne immigrate, dando forza a tutte le lotte e i percorsi contro la violenza sulle donne, dentro e fuori dai Cie.

Volantinaggio al San Camillo: contro i CIE, contro tutte le gabbie, in solidarietà con FAID

19 novembre 2009 2 commenti

LO STATO UCCIDE: NEI CIE, NELLE GALERE, NELLE QUESTURE
I suoi servi negano, insabbiano, nascondono

 C’è tensione nel CIE di Ponte Galeria. Da quando i reclusi non hanno più notizie di un loro compagno, di nome FAID, che nella notte tra venerdì 13 e sabato 14 novembre è stato portato all’ospedale per problemi cardiovascolari. Sembra che l’uomo lamentasse dolori da giorni e che dopo l’ennesima richiesta di soccorso l’abbiamo ricoverato all’ospedale S.Camillo. Già da domenica si era diffusa dentro al CIE la voce che FAID fosse morto ancor prima di arrivare all’ospedale, notizia che era stata confermata anche da un avvocato in contatto con due reclusi, mentre la Croce Rossa, davanti alle domande dei solidali e dei reclusi, ha continuato a negare tutto, come al solito, rifiutandosi di fornire informazioni sulle sue condizioni di salute e sul motivo del suo ricovero.

 All’alba di domenica 15 novembre, invece, un altro recluso tunisino, di nome MOHAMED BACHIR, è stato ricoverato all’ospedale Forlanini perché probabilmente affetto da influenza A. E’ quanto hanno ipotizzato i reclusi ascoltando i crocerossini che l’hanno prelevato e che infatti indossavano mascherine su viso e naso. La cosa ha ovviamente diffuso il panico tra i reclusi all’interno del centro, che sono rimasti a contatto per giorni con il virus, al freddo, in spazi angusti e senza alcuna precauzione.
A Ponte Galeria infatti dall’inizio dell’inverno non funziona il riscaldamento e l’acqua calda sembra sia tornata in funzione solo da qualche giorno.
Solo oggi, martedì 17 novembre, apprendiamo che FAID è ancora ricoverato in ospedale in seguito a un’ischemia cerebrale e che fortunatamente, a quanto pare, non sarebbe in pericolo di vita, mentre BACHIR è riuscito a scappare dall’ospedale, ma non ci è dato sapere se sia davvero affetto da influenza A, né se vi sia un reale rischio di contagio all’interno del centro.
Tutto questo non fa altro che mettere nuovamente in risalto la complicità dei crocerossini nella gestione di questi lager e nello stendere un velo d’omertà e di silenzio su quanto succede al loro interno. Insabbiare e negare – che si tratti di torture, stupri o violenze – è quanto fanno la Croce Rossa e chi gestisce questi centri, complici di militari, governi e servi al loro seguito. Diffondere paura – dell’immigrato, del diverso, dell’emarginato – e sventolare il mito della sicurezza è quanto fa lo Stato per legittimare questi lager. La loro panacea è sempre la stessa: repressione e reclusione.

 Così, per il silenzio che si stende sulla situazione di FAID e di BACHIR, per protestare contro le condizioni che si vivono in questi lager e contro il prolungamento a sei mesi della detenzione, buona parte dei reclusi della sezione maschile domenica scorsa è entrata in sciopero della fame. Anche se da ieri sera lo sciopero è stato sospeso, da dentro ci chiedono di mobilitarci dall’esterno, visto che loro la lotta la stanno già portando avanti, come ogni giorno, per la libertà.
Per questi motivi l’assemblea cittadina che si è tenuta mercoledì 18 novembre all’Ex Snia ha deciso di lanciare una mobilitazione di fronte all’ingresso principale dell’ospedale Forlanini,(p.zza Carlo Forlanini), per venerdì 20 novembre alle ore 17.00, per un volantinaggio in solidarietà con Faid.

Libertà per tutte e tutti
Contro tutte le gabbie
Chiudere i lager di stato, chiudere i CIE!
Nella tua città c’è un lager!
Chiudiamo il CIE di Ponte Galeria!

4 migranti palestinesi affogano … quanti ne nasconde il nostro maledetto mare?

6 novembre 2009 Lascia un commento

barcone_sbarco_NC’è poco da dire di più, bastano le parole battute dall’agenzia stampa.
ANKARA, 6 NOV – I cadaveri di quattro emigrati di origine palestinese sono stati ripescati oggi dalla guardia costiera turca al largo della località turistica di Bodrum dopo che il barcone sul quale viaggiavano ha fatto naufragio. Lo rende noto l’agenzia Anadolu precisando che sull’imbarcazione si trovavano 18 persone, tra cui anche dei bambini, e che 13 di esse sono state tratte in salvo mentre una risulta ancora dispersa. (ANSAmed)
Il nostro mare è sempre più un cimitero liquido, un pozzo senza memoria profondo quanto lo sguardo di chi prova a salpare cercando un nuovo mondo.

Sei ore di rabbia in corso Brunelleschi

5 novembre 2009 Lascia un commento

Una crepa in Corso Brunelleschi
Diario

Sei ore di rabbia in corso Brunelleschi. Eccovele, minuto per minuto.

no_cptAlle 20,00 di questa sera uno dei reclusi che l’altro giorno era stato trasferito da via Corelli è esploso. La lunga detenzione, il trasferimento inatteso, le condizioni di detenzione, la lontananza da sua figlia appena nata, lo portano a tagliarsi le mani e le braccia e ad ingoiare un accendino e vari altri ferri. Dice che vuole morire, accusa la polizia di averlo trasferito da Milano per punirlo di aver denunciato la situazione dei Centri tramite le radio di movimento e tramite il nostro sito, //Macerie//. I suoi compagni di cella vedono subito che la situazione è abbastanza grave: il sangue è ovunque e la Croce Rossa si rifiuta di intervenire. Così chiamano i solidali che conoscono all’esterno e da subito – dai microfoni di Radio Blackout e dai siti di movimento – parte un appello a telefonare al Centro perché i responsabili chiamino l’ambulanza e lo facciano curare.

Parte un vasto giro di telefonate di protesta. Da dentro al Centro i responsabili negano, affermano che “la situazione è sotto controllo”, che provvederanno… alla fine il recluso ferito viene portato in infermeria e poi riportato subito nelle gabbie.

Intorno alle 22,30 i prigionieri riferiscono entusiasti di sentire un gran baccano fuori dalle mura: “c’è una manifestazione” – dicono. Sono gli antirazzisti, veloci e rumorosi come al solito. Da quel momento in poi la situazione si scalda: i reclusi continuano a protestare rumorosamente, alle 23,00 inizia una breve sommossa, e i prigionieri delle due aree maschili danneggiano il danneggiabile. Alle 23,20 il ferito si taglia di nuovo, questa volta alla gola. Dopo un attimo di silenzio sgomento, riparte la protesta. Solo intorno alle 23,40 i responsabili del Centro chiamano un’ambulanza, che recupera il ferito e lo porta al Pronto Soccorso.

Intorno alla mezzanotte la polizia circonda le gabbie e minaccia di caricare, i reclusi si barricano dentro accumulando le panchine di cemento contro le porte. Dentro ad una delle aree, i reclusi riescono a buttare giù il muro della saletta interna. La polizia un po’ minaccia un po’ cerca di calmare la situazione: arrivano i capi dell’ufficio immigrazione e del Centro. “Se non vi rispondiamo al telefono domani mattina, vuol dire che siamo in carcere o all’ospedale” – dicono i reclusi.jpg_1696888

Alle 0,45 il recluso ferito è in chiurgia all’ospedale Martini. Fuori dall’ospedale due volanti e la Digos, che ferma e identifica alcuni solidali.

Nello stesso tempo la polizia comincia a provare a sfondare le porte, ma non ci riesce. Arrivano i vigili del fuoco e altri rinforzi. Ci sono più o meno 50 carabinieri e 100 poliziotti. I capi dell’ufficio immigrazione parlamentano con i reclusi e intorno all’1.05 trovano un accordo: via la celere e i poliziotti armati, nelle gabbie potranno entrare soltanto i pompieri a raccogliere le macerie del muro demolito, scortati da due donne dell’ufficio immigrazione.

Alle 1,15 sembra tornata la calma. Alle 2.10, quando oramai i pompieri hanno terminato il proprio lavoro, due volanti riportano al centro il prigioniero ferito. Sei ore di rabbia, e il Cie di Torino ha un muro in meno.  

Aggiornamento 5 novembre.

Intorno alle 11,25 è iniziata una perquisizione nelle gabbie del Centro. La polizia è arrivata in massa, con i cani ed è riuscita ad entrare: come sapete, ieri sera era dovuta rimanere fuori, grazie alla determinazione dei reclusi.

Ore 15.00. La perquisizione è finita velocemente ed è stata tutto sommato pacifica. Il recluso ferito continua la sua lotta: ha mangiato varie lamette e sta facendo lo sciopero della fame. In mattinata, poi, sono state portate via dal Centro una decina di persone, quasi esclusivamente donne – non coinvolte nella sommossa di ieri. Non sappiamo se si sia trattato di una deportazione o di un trasferimento per alleggerire il Centro e iniziarne la ricostruzione.

Ore 16.00. Notizie dalla Tunisia: è uno dei deportati di stamattina, ed è nel posto di polizia dove l’hanno trasferito appena sceso dall’aeroporto. Sta bene e dovrebbe uscirne a breve, c’è suo fratello fuori ad aspettarlo. Si tratta di uno dei protagonisti della sommossa di ieri sera nell’area rossa, ma probabilmente non si tratta di una ritorsione: è stato svegliato alle 5 del mattino, e ci sembra difficile che gli uomini di Maroni riescano ad organizzare un viaggio burocraticamente tanto complesso in tre ore soltanto. Le altre deportate di questa mattina sono donne, forse 5, e ieri non avevano partecipato alle danze.

macerie @ Novembre 4, 2009

Qui la corrispondenza di Radio onda rossa

Israele e i progetti di “deportazione”

22 ottobre 2009 Lascia un commento

Eppure ad intuito uno avrebbe pensato che lo Stato ebraico d’Israele provasse repulsione per la parola DEPORTAZIONE!
E invece:

Mille duecento bambini nati negli ultimi anni in Israele da genitori immigrati rischiano di essere deportati.

“I loro genitori li stanno usando per guadagnarsi uno status legale in Israele Israele – ha dichiarato il ministro degli Interni Eli Yishai – Se non li deportiamo i lavoratori immigrati continueranno a sfruttare la gentilezza dello stato di Israele”. Molti immigrati sono costretti a firmare contratti di lavoro in cui si impegnano a non avere figli in Israele e impongono alle donne incinta di lasciare il Paese. Nonostante questo, si calcola che almeno duemila bambini siano nati negli ultimi dieci anni in Israele. Di questi, seicento erano riusciti a rientrare in un sanatoria offerta dal governo nel 2006.
In giugno OZ, la nuova unità anti-immigrazione, aveva lanciato una campagna volta ad espellere trecento mila immigrati irregolari. Critiche da parte della società civile e di numerose organizzazioni non governative avevano spinto il primo ministro, Benjamin Netanyahu, a sospendere l’operazione per tre mesi. Il 21 ottobre le autorità hanno iniziato a rimpatriare settecento lavoratori adulti, mentre una commissione parlamentare ha stabilito di incominciare ad espellere i bambini a partire dalla metà del 2010, quando si chiuderà l’anno scolastico.

La vendetta di Via Corelli ora passa per Gradisca.

13 ottobre 2009 Lascia un commento

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Immagini dal processo contro i rivoltosi di Via Corelli

I rivoltosi di Via Corelli sotto processo a Milano

I rivoltosi di Via Corelli sotto processo a Milano

Dopo le espulsioni e i massicci trasferimenti di Roma, il vento della vendetta ministeriale arriva anche a Gradisca dove, lunedì scorso, è stato arrestato uno dei presunti protagonisti della tentata fuga del 21 di settembre. È un ragazzo di 21 anni ed è accusato di aver fatto cadere giù dalle scale d’emergenza un carabiniere che stava cercando di tirarlo giù dal tetto. Il carabiniere ruzzolato è finito subito al pronto soccorso ed ha avuto i soliti dieci giorni di prognosi: quello che è successo dopo ai reclusi potete vederlo invece sul video che sta circolando in rete da tre settimane. L’arresto è avvenuto a due settimane dai fatti, giusto il tempo che si calmassero un po’ le acque, ed è stato richiesto – a detta del  capitano Sutto del comando dei Carabinieri di Gradisca – a causa dell’«atteggiamento particolarmente sfrontato dell’immigrato». Sembra quasi, insomma, che quello che pesa non siano tanto i fatti specifici dei quali è accusato l’arrestato ma la sua presunta mancanza di rispetto verso i proprio carcerieri: fatto indicativo di un clima, senza dubbio. È indicativo anche che, dall’arresto in poi, le autorità parlino dei fatti del 21 come di una «doverosa e regolare reazione alla resistenza a pubblico ufficiale». Se per una settimana intera hanno fatto finta di niente e se tutta la settimana successiva hanno messo in dubbio l’autenticità delle foto e del video, ora invece rivendicano l’accaduto e lo giustificano. Finalmente si parla chiaro.

Quelli che stanno ancora zitti, invece, sono i consiglieri d’amministrazione della “Connecting Peolple” che in altri tempi erano tanto loquaci. Del resto il consorzio che gestisce il Centro di Gradisca è in corsa per aggiudicarsi anche quello di Ponte Galeria e deve dare prova di fedeltà complice e silenziosa per rimanere nelle grazie del ministro Maroni
Macerie, 13 ottobre 2009 

QUESTA MATTINA INVECE CI SARA’ L’ENNESIMA UDIENZA DEL PROCESSO CONTRO I 14 RIVOLTOSI DEL CIE DI VIA CORELLI: oggi è il turno degli avvocati della difesa e potrebbe anche arrivare la sentenza.
I compagni di Milano stanno raggiungendo il Tribunale per portare una rumorosa solidarietà ai processati: i reclusi di Gradisca e di Via Corelli stanno iniziando uno sciopero della fame per dar maggior voce alla loro solidarietà con i loro compagni di prigionia e rivolte.
Proverò a dare aggiornamenti in maniera costante. 

La nuova trasmissione “Silenzio assordante” di Radio Onda Rossa, in onda tutti i venerdì pomeriggio sugli 87.900 FM a Roma e ascoltabile anche in streaming dal sito della Radio, nell’ultima puntata ha fatto un resoconto dell’ultima udienza del processo di Milano

 

Per una Roma antirazzista, per una città bene comune

10 ottobre 2009 Lascia un commento

Il Comitato di Quartiere Pigneto-Prenestino invita i cittadini ad una manifestazione con assemblea pubblica in cui verranno presentate le iniziative sul territorio, i progetti di riqualificazione, le rivendicazione dei diritti negati ai giovani e vecchi, a grandi e bambini in una città che oggi, purtroppo, si vuol far vivere nella paura.

Un’altra città è possibile.
Una città che riconosca il diritto alla casa e all’abitare. A luoghi dove i bambini possano giocare, i giovani ritrovarsi, gli anziani uscire dalla solitudine. A spazi sociali sottratti al profitto. Al reddito e ai servizi sociali. Una città bene comune. Vogliamo farlo a partire dalla nostra piazza, l’isola pedonale. Che vorremmo diventasse un’isola per i bambini, gli anziani, le donne e i giovani, un’isola della creatività, della cultura e dell’inclusione. Un’isola antirazzista. In una città che oggi, purtroppo, si vuol far vivere nella paural_isola-possibile_rid-2

Invitiamo tutte e tutti a partecipare alla manifestazione di sabato al Pigneto, a partire dalle 16.30, in cui verranno presentate le iniziative sul territorio, i progetti di riqualificazione, le rivendicazione dei diritti negati ai giovani e vecchi, a grandi e bambini. Alle 18 assemblea pubblica.

Lunedì 5 ottobre uomini delle forze dell’ordine hanno seminato il panico all’isola pedonale. In un’operazione che in teoria doveva solo contrastare il commercio di marchi falsi, uomini in divisa grigia e caschi neri, manganelli in mano, urlando contro chiunque si trovasse a tiro, hanno inscenato un vero e proprio rastrellamento.
raid_ridUna caccia all’uomo nero.
Hanno inseguito per lo più senegalesi che si trovavano in quel momento tra via Campobasso e via Macerata, li hanno picchiati, sono entrati nelle loro case, hanno divelto porte, sfondato vetri.
Hanno portato via 25 persone.
E hanno minacciato chiunque provasse a documentare la follia che stava avvenendo sotto i loro occhi. Chiedendo loro di cancellare le foto scattate. Pena l’arresto.

E’ questo il modello di città sicura che vogliamo?
E’ questo il modello di città sicura che hanno promesso?
Una caccia indiscriminata allo straniero?
Cosa giustificava un’azione del genere?

Alle richieste di spiegazioni hanno risposto che è un problema di legalità: ma chi decide cosa è più illegale tra vendere merce contraffatta, affittare al nero a prezzi alle stelle pochi metri quadrati e vendere droga alla luce del sole? Cosa rovina di più la vita delle famiglie?

Tutti i comportamenti illegali vanno censurati ma non abbiamo mai visto azioni contro gli affitti illegali. E le azioni messe in campo quest’estate per combattere lo spaccio ed evitare violenze sono miserabilmente fallite (tre accoltellamenti e tre morti per overdose).

I lavoratori immigrati che vivono al nostro fianco, al Pigneto, non amano spendere i propri soldi nei pub. Preferiscono mandarli alle proprie famiglie lontane e ritrovarsi tutti in strada finito di lavorare. Si stringono in tanti negli appartamenti, non possono accendere mutui sanguinari con le banche, ma vengono ugualmente spremuti dalla rendita immobiliare.

Che ci stanno a fare al Pigneto, nel bel mezzo dell’isola che si vorrebbe trasformare in una vetrina del commercio e del divertimento?
In un quartiere dove i prezzi degli immobili costringono alla fuga i vecchi abitanti – costretti dagli sfratti a rifugiarsi in una infinita, anonima periferia – a due passi da un immobile dove sta per nascere un albergo a 5 stelle, che ci fanno tanti stranieri?

Il quartiere-vetrina, dunque, va ripulito. Con ogni mezzo.
È questa la città che vogliono. Una Roma violenta verso i più deboli. Dove esistono cittadini con diritti di serie B, utili a far arretrare i diritti di tutti quanti.
È questo il Pigneto che stanno costruendo. A misura dei profitti, non dei suoi abitanti dove non esistono spazi pubblici destinati alla convivenza, al confronto, alla progettazione condivisa per risolvere i bisogni di tutti. Quello di lunedì non è un caso isolato.5252_101943474511_101672204511_1946277_476424_n_1

A Roma cinquantamila famiglie vivono in condizioni di disagio abitativo, 7.500 sfratti ogni anno. E 245.000 appartamenti vuoti, un monumento allo spreco e all’egoismo. Secondo i CONTRATTI A CANONE CONCORDATO un appartamento di 50 metri quadrati nel nostro quartiere dovrebbe costare circa 375 euro al mese. E invece costa il triplo. Roma è la capitale dell’emergenza casa, dell’emergenza rifiuti, del taglio dei posti letto, degli asili nido insufficienti, dell’esclusione sociale, del traffico cronico, dell’evasione fiscale, gli investimenti della mafia e il narcotraffico.
Dinanzi a una tale allarme scopriamo che il vero problema della città sono le merci contraffatte e chi si cerca di garantire il diritto ad una casa.

Negli ultimi due mesi il sindaco e il prefetto hanno messo in campo una vera e propria strategia di repressione.
Se la sono presa con gli immigrati, e con le case abitate da chi ha deciso di prendere con le proprie mani un diritto che gli veniva negato. Lo sgombero del Regina Elena e gli arresti alla ex scuola 8 marzo, due immobili occupati per l’emergenza abitativa, lo stanno a dimostrare.

Vogliamo dimostrare che un’altra città è possibile. Una città che riconosca il diritto alla casa e all’abitare. A luoghi dove i bambini possano giocare, i giovani ritrovarsi, gli anziani uscire dalla solitudine. A spazi sociali sottratti al profitto. Al reddito e ai servizi sociali. Una città bene comune.
Vogliamo farlo a partire dalla nostra piazza, l’isola pedonale. Che vorremmo diventasse un’isola per i bambini, gli anziani, le donne e i giovani, un’isola della creatività, della cultura e dell’inclusione. Un’isola antirazzista. In una città che oggi, purtroppo, si vuol far vivere nella paura.

Sabato 10 ottobre 2009 a partire dalle 16.30
Isola Pedonale Pigneto

Comitato di Quartiere Pigneto – Prenestino

Osservatorio Antirazzista Pigneto Torpignattara

Fastweb non vende ai cittadini rumeni

7 ottobre 2009 2 commenti

PeaceReporter è entrato in possesso di una circolare che la responsabile dei venditori di Fastweb a Bologna ha recapitato a tutti i rivenditori autorizzati dell’Emilia Romagna. 
Nel documento, datato 19 settembre 2009, si legge che l’azienda ha deciso di non stipulare più abbonamenti “Fastweb Mobile” a cittadini rumeni. 
Evidentemente l’avvertimento era già stato divulgato in precedenza perché nella circolare è scritto: “Ciao a tutti, mi raccomando a voi, da ora in poi non fate più abbonamenti a cittadini rumeni. Dite chiaramente che non è possibile da sistema caricare abbonamenti Fastweb”. Il testo continua: “Ieri sono entrate 70 pda (proposte di abbonamento ndr) quasi tutte di clienti stranieri!!! Forse il messaggio non è stato trasferito alla rete con la giusta enfasi: “BLOCCATE LE VENDITE AI CITTADINI RUMENI”. L’ultima frase è scritta in rosso e a caratteri cubitali, in modo da far capire anche al più reticente il carattere definitivo della circolare.

GUARDA LA MAIL

La mail ci è stata passata da una fonte – che ovviamente vuole rimanere anonima – che si occupa dell’inserimento dei dati dei clienti. Questa persona ci ha riferito anche che è stato suggerito loro, non appena si accorgono di aver a che fare con un rumeno, di fingere che il sistema si sia bloccato e di tornare un altro giorno o di rivolgersi a qualcun altro.
Il diktat telematico è stato scritto da Micaela Serenari, Dealer Manager per l’Emilia Romagna di Fastweb. Le abbiamo chiesto spiegazioni:


Signora Serenari, la direttiva che lei ha emanato è un’iniziativa bolognese o è stata decisa a livello nazionale?

Certo, a livello nazionale perché abbiamo avuto tantissime frodi. Tantissime persone che sono venute a prendere dei cellulari e poi li hanno rivenduti aprendo dei conti che duravano un solo giorno. Quindi noi abbiamo regalato un sacco di telefoni.

E queste persone sono state prese?

Alcune sì, anche dai carabinieri. Era un’organizzazione che andava sempre negli stessi negozi. Venivano buttate le sim e venduti i telefoni.

Quest’organizzazione era composta da rumeni?

Nella nostra area diciamo di sì.

Non le sembra strano che se le persone sono state prese e i negozi erano sempre gli stessi la direttiva sia stata emanata a livello nazionale?

No non mi sembra strano. Comunque noi facciamo anche tanti controlli, tante cose, anche sui conti bancari.

Prima di questa intervista, abbiamo contattato telefonicamente due rivenditori dell’area bolognese fingendoci rumeni interessati al contratto “Mobile”. Non appena la nazionalità saltava fuori, l’operatore rispondeva che “… no allora non si può fare”, senza dare ulteriori spiegazioni.
Questo dimostrerebbe che nessun controllo viene fatto sul conto corrente o altro, si tratta semplicemente dell’applicazione di quanto scritto nella circolare. Abbiamo allora provato a contattare la direzione centrale di Fastweb Italia, a Milano, ma dall’ufficio stampa ci hanno detto che avrebbero dovuto fare accertamenti prima di rilasciare commenti.
Il responsabile delle relazioni esterne di Fastweb, Sergio Scalpelli, contattato da PeaceReporter, ha dichiarato che “si è trattato solo di un eccesso di zelo di una pur bravissima manager della zona, dovuta al fatto che tra il 2008 e il 2009 proprio in quella zono si sono verificate numerose truffe ai danni della azienda”. “In realtà – ha precisato Scalpelli – si tratta di un sistema di credit management che è in grado di verificare in tempo reale la solvibilità dei nuovi clienti e, essendo digitale, non fa distinzioni di razza, di sesso o di religione, proprio come l’azienda”.
Evidentemente, questo sistema deve essere così evoluto da essere in grado di verificare la solvibilità di un potenziale cliente, al telefono, anche solo dal tono della voce o dall’accento.

Marcello Brecciaroli

RASTRELLAMENTI AL PIGNETO

6 ottobre 2009 Lascia un commento

Un rastrellamento in piena regola ha sconvolto ieri pomeriggio la vita di un quartiere multietnico di Roma, il Pigneto.

Alle 18,30 numerose volanti e blindati della Guardia di finanza hanno circondato l’isola pedonale.  Decine di agenti in assetto antisommossa, creando il panico tra i cittadini, hanno violentemente percosso e arrestato chiunque avesse la pelle scura. Le forze dell’ordine hanno fatto irruzione in alcuni appartamenti, all’angolo tra via del Pigneto e via Campobasso, dove hanno divelto porte, sfondato finestre, sequestrato merci e beni degli abitanti.

MIgranti in corteo per le strade del Pigneto

MIgranti in corteo per le strade del Pigneto

La retata si è conclusa con 25 arresti di cittadini senegalesi e nigeriani, persone che vivono da anni nel nostro quartiere, lavoratori immigrati che mai hanno fatto male a nessuno. Con la scusa della sicurezza, la nostra città sta respirando in questi  mesi un clima di violenta repressione: blitz contro immigrati, sgomberi di centri sociali e di spazi occupati in risposta all’emergenza abitativa.

Operazioni eclatanti, che colpiscono proprio i più deboli con l’obiettivo di aprire nuovi spazi agli interessi economici che governano la città. Come accaduto al Pigneto, un quartiere che si vorrebbe “ripulire”, per renderlo una ricca vetrina dedita al commercio. Forse, dietro lo sgombero, si nascondono gli interessi legati al mercato degli immobili in una zona che vive una gravissima emergenza sfratti e dove il prezzo delle case è in costante ascesa. Noi, cittadini del quartiere siamo preoccupati di questa grave spirale di violenza dello Stato. Vogliamo che il Pigneto sia un quartiere dell’accoglienza, non della repressione e della speculazione.

Organizziamo a questo scopo il 10 ottobre un pomeriggio e serata di incontri con il quartiere, sui problemi di case, scuole, e del razzismo, che si concluderà alle 21 con 5252_101943474511_101672204511_1946277_476424_n_1un’assemblea per preparare insieme la manifestazione del 17 ottobre contro il razzismo e il pacchetto sicurezza.

Oggi 6 ottobre, ore 12, conferenza stampa, Via del Pigneto angolo via Campobasso

Comitato di quartiere Pigneto- Prenestino
Osservatorio antirazzista Pigneto
Per info: 3386034789
per info foto: 3384171445

 qui un link con un sacco di sbirraglia che commenta, per chi non soffre di nausee : http://www.pigneto.it/news.asp?id=776

Ancora con il diario dai CIE

6 ottobre 2009 1 commento

Sciopero della fame oggi al Cie di corso Brunelleschi a Torino. Quasi tutti i reclusi hanno rifiutato la colazione questa mattina e intendono proseguire almeno per tutta la giornata. Un recluso è in sciopero addirittura da sei giorni. Nel frattempo, continuano gli atti di autolesionismo e le denunce di condizioni di vita insopportabili, minacce, maltrattamenti continui e pestaggi brutali da parte dei militari. I reclusi sono molto determinati e consapevoli che in tutti gli altri Cie la situazione è calda.pinar

Ieri c’è stata una protesta molto forte al Cie di Crotone, cominciata con grida e battitura delle sbarre. Quando è intervenuta la polizia i reclusi hanno spaccato i mobili per difendersi. E quando la polizia è riuscita a portarsi via due ragazzi, l’effetto è stato quello di prolungare la protesta fino al loro rilascio. Alla fine, nonostante fosse domenica, sono arrivati di corsa quelli dell’Ufficio Immigrazione della Questura, con la promessa di fare il possibile per migliorare la situazione e sbrigare le pratiche di chi può essere rilasciato.

Brindisi, invece, otto reclusi se ne sono andati dal Centro. È la seconda fuga da quando,questa estate, il Cie di Restinco è stato riaperto per “accogliere” i reduci della sommossa di Milano. I prigionieri sono fuggiti alle cinque del mattino, ma le guardie si sono rese conto della loro assenza solo alle otto: auguriamo loro buon viaggio. Ora dentro al Centro sono rimasti soltanto in quindici, ed otto di loro – come ricorderete – sono in sciopero della fame e della sete dalla settimana scorsa.

Roma la situazione è più tranquilla, a parte quattro rimpatri oggi all’alba e qualche scarcerazione in mattinata. Alcuni consiglieri regionali stanno facendo una visita dentro le gabbie e i detenuti hanno raccontato loro del pestaggio contro l’aspirante evaso di tre giorni fa: vedremo cosa dichiareranno i politici una volta usciti. Ieri sera le voci di alcuni reclusi sono finite nei titoli di testa del Tg3, insieme all’annuncio dello sciopero della fame… della settimana passata.
 

macerie @ Ottobre 5, 2009

In Italia da decenni: tra le sbarre dei CIE

5 ottobre 2009 Lascia un commento

PRENDO UNA SERIE DI STORIE DAL SITO FORTRESS EUROPE. SONO STORIE MOLTO DIVERSE TRA LORO; AD UNIRLE E’ LA DETENZIONE E IL FATTO CHE SONO QUASI TUTTI “ITALIANI” DA DECENNI O PARECCHI ANNI.
LA VERGOGNA DI QUESTO PAESE PASSA ATTRAVERSO LE STORIE DI CHI VIVE TRA LE GABBIE.
CHISSA’ SE I PARTECIPANTI ALLA MANIFESTAZIONE DI PIAZZA DEL POPOLO HANNO MAI DEDICATO UN MINUTO DELLA LORO VITA A TUTTO CIO’, INVECE DI LEGGERE IL TUTTOLOGO SAVIANO CHE PIANGE I CADUTI DEL SUD, QUELLI DELLA FOLGORE.

C’erano una volta gli sbarchi. E chi non faceva domanda d’asilo veniva smistato nei centri di identificazione e espulsione (Cie) d’Italia in attesa del rimpatrio o del rilascio con un ordine di allontanamento. Ma adesso che gli sbarchi sono diminuiti del 90% negli ultimi cinque mesi (dati del Viminale), chi è che finisce dentro i Cie? Per scoprirlo stiamo girando i Cie di tutta Italia. Cominciando da quello di Roma, a Ponte Galeria.

foto di Gabriele del Grande _Ponte Galeria_

foto di Gabriele del Grande _Ponte Galeria_

Lì abbiamo scoperto che, oltre a un terzo circa di ex detenuti trasferiti direttamente dal carcere, le vittime del giro di vite sulla clandestinità sono soprattutto “italiani”. Italiani tra virgolette, perché non hanno la cittadinanza, ma in Italia vivono da quindici, venti o trent’anni. Gente che ha avuto il permesso di soggiorno con le sanatorie del ‘93 e del ‘95, e che il permesso se l’è visto ritirare per scadenza termini, essendosi trovato senza datore di lavoro al momento del rinnovo. In vent’anni però in Italia uno si costruisce una vita. E allora c’è chi fuori ha moglie e bambini piccoli. Ci sono famiglie che rischiano di essere spezzate in due. In nome della sicurezza degli italianisenzavirgolette. Drammi che hanno portato alcuni a tentare il suicidio, bevendo la candeggina o tagliandosi i polsi. Oppure a imbottirsi di psicofarmaci per non impazzire. Fortress Europe ha raccolto per voi le loro storie. Ogni giorno ve ne racconteremo una

 

– Quando gli azzurri di Bearzot vinsero i mondiali di calcio del 1982 in Spagna, Z. Jacob viveva in Italia già da due anni. Era arrivato all’età di 19 anni, nel 1980, dal Camerun. Negli ultimi tempi a Roma lavorava al locale Jogodo, in via di Torre spaccata 127. Tutto in nero perché non aveva il permesso di soggiorno. Gli era scaduto durante la lunga convalescenza seguita a un grave incidente stradale di cui porta ancora le cicatrici sul cranio. A Roma aveva anche un magazzino di strumenti musicali. Li affittava per serate e concerti per guadagnarsi la vita. E aveva addirittura una associazione culturale, registrata a nome della moglie, l’associazione “Black and White”. La moglie già. Perché dopo 29 anni in Italia uno ha tutta la vita nel nostro paese. Jacob oltre alla moglie ha un figlio. Un bambino di 10 anni, a cui ancora la madre non ha spiegato dove sia finito il papà da quando lo ha fermato la polizia, lo scorso 31 agosto, per un banale controllo dei documenti. Rinchiuso da 29 giorni al centro di identificazione e espulsione di Ponte Galeria, a Roma, Jacob adesso teme il rimpatrio. Soprattutto per la sorte della sua famiglia e del figlio.

C’è un altro particolare tragicomico. Il 18 aprile del 2009, quattro mesi prima di essere fermato dalla polizia e portato al Cie per essere espulso, il signor Jacob aveva partecipato a Frascati a una giornata di studi sui diritti umani, intitolata “Dai prigionieri di guerra ai nuovi privati della libertà”. Mi mostra l’attestato di partecipazione. C’è scritto il suo nome. Indovinate chi organizzava l’evento? La Croce rossa italiana. Gli stessi che ora gestiscono la sua di privazione della libertà, all’interno del Centro di identificazione e espulsione di Ponte Galeria, dove ha già passato 33 giorni e da dove rischia di essere rimpatriato quanto prima.

immagine-7-49d9e304b8c7a– Su un piazzale di cemento sono piantate le sbarre di ferro alte quattro metri che delimitano i moduli della sezione femminile del Centro di identificazione e espulsione di Ponte Galeria, a Roma. I posti a disposizione sono 172, sei per ogni camerata. Di notte i cancelli di ogni modulo si chiudono. Nella prima sezione ci sono le ragazze nigeriane, molte sono vittime del racket della prostituzione. Più avanti si trova la sezione delle cinesi. Massaggiatrici da spiaggia e madri di famiglia detenute in nome della sicurezza degli italiani. H. è una di loro. È dentro da 45 giorni. Ma nella sua stanza ci sono quattro donne che sono qui da più di 60 giorni e chiedono che cosa sarà di loro con questa nuova legge. “Dopo tle mesi fai come passo” dice nel poco italiano che conosce. Accanto a lei, si alza dal letto, dove era seduta sulle lenzuola di carta stropicciate, Sunchi. Lei vive a Roma da sei anni. È una dottoressa di medicina tradizionale cinese. A Roma si guadagnava da vivere con l’agopuntura e i massaggi, in un appartamento a Piazza Vittorio. Ha 53 anni. La polizia l’ha fermata due mesi fa a Fregene, sulla spiaggia, mentre faceva massaggi ai bagnanti. In Cina ha un figlio di 25 anni, che si sta per laureare a Pechino. Tra sette giorni scadono i primi due mesi del trattenimento. Ancora non ha ricevuto la notifica della proroga del trattenimento, che potrebbe durare fino a sei mesi secondo le nuove disposizioni. Tuttavia è quasi sicura che non sarà rimpatriata. E come lei le altre donne. Un ispettore di polizia del Cie conferma. L’ambasciata cinese non collabora con le identificazioni. Insomma, sei mesi di detenzione e poi tutto ricomincia come prima. Sunchi lo sa. E per questo – tramite amici che ha fuori – sta continuando a pagare l’affitto del suo posto letto in un appartamento sulla Casilina.

C. segue la nostra conversazione. Non vuole che scriva il suo nome, ma ci tiene a far sapere la sua storia. Perché è una di quelle storie che non possono essere taciute. Questa donna di 42 anni vive in Italia dal 1999. E non è da sola. A Forlì la aspettano il marito e i due figli, di 18 e 19 anni. Il suo permesso di soggiorno è scaduto tre anni fa, perché non aveva un contratto di lavoro al momento del rinnovo. Ha provato anche a metterci un avvocato, ma sono stati soldi sprecati. L’hanno fermata a Forlì durante un banale controllo dei documenti, lo scorso 13 agosto. Da allora sente i suoi figli soltanto al telefono. Soltanto tra quattro mesi potrà riabbracciarli e tornare al lavoro, nella fabbrica dove era impiegata in nero.

Torino, Parigi, Teramo… dal sito Macerie

2 ottobre 2009 Lascia un commento

Giusto all’ora di pranzo di giovedì, una decina di antirazzisti è entrata nella mensa del Politecnico di Torino, esponendo uno striscione con la scritta “La Sodexho ingrassa sui lager” e distribuendo volantini ai presenti. Studenti, cassiere e cuochi sono così stati informati che la grande multinazionale del catering Sodexho, oltre a gestire questa mensa, ha anche l’appalto per la fornitura dei pasti ai reclusi dei Centri di identificazione ed espulsione di via Corelli a Milano e di Roma Ponte Galeria.
buongiorno-sodexhoReclusi che da sempre si lamentano per la pessima qualità del cibo e per la presenza di vermi e scarafaggi cotti. Reclusi che spesso, come da quattro giorni proprio al Cie di Roma, sono in sciopero della fame contro le condizioni di detenzione e contro l’estensione a sei mesi del tempo massimo di permanenza, per la libertà. Reclusi che spesso si ribellano e distruggono questi lager, come hanno fatto i quattordici rivoltosi di via Corelli, sotto processo per la grande rivolta dell’agosto scorso. Reclusi che spesso evadono da quelle gabbie, come è successo al Cie di Torino nella notte tra domenica e lunedì. Detto questo, il gruppetto si è dileguato prima dell’arrivo della polizia, chiamata da un’inviperita funzionaria amministrativa della Sodexho.

Scarica, stampa e diffondi il comunicato della Sodexho e il menu della giornata.

Parigi, invece, martedì sera una decina di solidali si sono auto-invitati a due dibattiti inseriti nel forum degli istituti culturali stranieri il cui tema di quest’anno è, pensate un po’ che pretese, “Sublimiamo le frontiere”. Il loro intento era quello di ricordare al pubblico dell’Istituto culturale olandese e di quello italiano che la parola stessa “frontiera” fa rima con controlli, lager, prigionia e morte per milioni di persone. Soprattutto ora, dentro alla moderna Europa di Schengen. Bisogna dire che l’accoglienza del pubblico che assisteva alla conferenza all’Istituto culturale olandese non è stata particolarmente calorosa: i presenti sul posto hanno cominciato molto presto a dare in escandescenze ed insultare i contestatori, e i volantini sono stati distribuiti e letti nonostante il loro gesticolare e il loro baccano. Al contrario, all’Istituto culturale italiano l’accoglienza è stata molto più cortese e comprensiva: i contestatori hanno letto la testimonianza di un recluso di Ponte Galeria ed hanno reso edotto il pubblico su quest’ultimo mese e mezzo di rivolte nei Centri italiani e del processo in corso contro i 14 di Corelli. “Sopprimiamo le frontiere” – così terminava il volantino distribuito in entrambe le occasioni.menu-sodexho

A Teramo, invece, nella notte tra martedì e mercoledì sono stati imbrattati due mezzi della Misericordia. I quotidiani locali riportano le due scritte che sarebbero state vergate con lo spray nero sui portelloni: “Assassini” e “Complici dei lager”. La Digos, come al solito, indaga, e sospetta che a muovere gli autori delle scritte sia il disprezzo verso l’istituzione della Misericordia che, come sapete, gestisce i Cie di Bologna e Modena.

macerie @ Ottobre 1, 2009

Espulso Miguel: prosegue lo sciopero della fame a Ponte Galeria

30 settembre 2009 Lascia un commento

Questa mattina, alle 7, Miguel è stato svegliato dai poliziotti dell’ufficio immigrazione del Cie di Ponte Galeria. L’hanno accompagnato nel loro ufficio e gli hanno annunciato che è arrivata l’ora della deportazione. Ora è in viaggio verso l’aeoporto. Non sappiamo se questa svolta nella sua storia sia il normale avanzare della macchina delle espulsioni oppure una rappresaglia contro la sua voglia di lottare ed una intimidazione rivolta anche a tutti i suoi compagni del Centro che da due giorni stanno scioperando.460_0___30_0_0_0_0_0_1_1

A proposito, lo sciopero della fame. Durante tutta la giornata di ieri lo sciopero è proseguito compatto: solo alcuni abbandoni, ma il grosso dei reclusi dell’area maschile ha continuato nella protesta. In tre sono svenuti per la spossatezza, due nel pomeriggio e uno la sera. In tutti e tre i casi i loro compagni hanno dovuto urlare a lungo per farli soccorrere, ed un poliziotto si è prodotto in una di quelle scene delle quali soltanto i portatori di divisa riescono ad essere protagonisti: si è avvicinato alle gabbie mentre dentro la gente urlava disperata, con il ragazzo svenuto in mezzo, ed ha cominciato a sputare oltre le sbarre, verso i reclusi, borbottando qualcosa. 
Poi la situazione è diventata ancora più tesa, nel tardo pomeriggio. Alle gabbie si sono presentati alcuni dei funzionari che governano il Centro (sicuramente il capo della polizia e quello della Croce Rossa, più altri ancora) per parlamentare con i reclusi. Quando hanno appreso che la rivendicazione principale della protesta è l’abolizione della norma del “pacchetto sicurezza” che ha allungato a sei mesi i tempi di trattenimento hanno risposto che non è cosa di loro competenza e che avrebbero potuto soltanto fare qualcosa per migliorare un po’ le condizioni di vita. Hanno anche affermato che avrebbero fatto tacere la protesta “con le buone o con le cattive”. Durante tutto il colloquio almeno tre pulman dell’antisommossa sono entrati nel Centro, a dare forza alle parole dei funzionari. Intorno alle 19,30, i funzionari se ne sono andati e i reparti della celere si sono ritirati. Al posto loro, però, sono entrati in campo i fabbri che – almeno fino alle undici di sera – hanno lavorato per rafforzare le gabbie: nuovi lucchetti per tutti.

Ascolta la testimonianza raccolta da Radio Blackout su http://www.autistici.org/macerie/?p=20363

Immagini del dopo pestaggio: Cie di Gradisca

26 settembre 2009 1 commento

«Ci furono tempi felici in cui si poteva scegliere liberamente: meglio morti che schiavi, meglio morire in piedi che vivere in ginocchio. E ci furono tempi infami in cui intellettuali rincretiniti hanno dichiarato che la vita è il sommo dei beni. Oggi sono arrivati i tempi terribili in cui ogni giorno si dimostra che la morte dà inizio al suo governo del terrore esattamente quando la vita è diventata il sommo bene; che chi preferisce vivere in ginocchio, muore in ginocchio; che nessuno può essere ucciso più facilmente di uno schiavo. Noi viventi dobbiamo imparare che non si può nemmeno vivere in ginocchio, che non si diventa immortali se si corre dietro alla vita, e che, se non si vuole più morire per nulla, si muore nonostante non si sia fatto nulla.»

H.A., 1942

 

Lettera a Maroni dalla redazione di Macerie : contro i lager di Stato

26 settembre 2009 Lascia un commento

Prendo questa lettera, per intero, dal sito Macerie. Sito che questo blog “frequenta” costantemente per il suo ottimo lavoro virtuale e reale che fa sui Cie, i Centri di Identificazione ed Espulsione per migranti. I nostri lager, per dirla in parole più semplici, quelli che dall’approvazione del “pacchetto sicurezza” del ministro Maroni stanno scoppiando, in una rivolta dopo l’altra. Sedate tutte nello stesso identico modo, dalla polizia e dall’incredibile “buon lavoro” della Croce Rossa.
Due redattori di Macerie sono sotto processo: un processo da tenere molto sotto controllo.
Con gli occhi ben aperti.

Signor Ministro,

Non sa più che pesci prendere, vero? È chiaro che la società che Lei pretende di controllare Le sta scoppiando tra le mani. Lo vede con i Suoi stessi occhi, e lo vediamo anche noi. Da qualunque parte la si guardi, la situazione è fuori controllo, e più Lei ripete i suoi «tutto va bene» sorridendo teso alla televisione, più alle sue spalle si vede il fumo delle macerie che sale.
sorvegliateciSignor Ministro, è inutile nasconderlo. Se i padroni alla fine ingrassano come sempre, gli sfruttati sono ormai finiti talmente sul lastrico da essere disposti a far letteralmente di tutto. In primavera un gruppo di disoccupati napoletani è arrivato a dar fuoco ad un autobus per protesta, ed ora non si conta più la gente arrampicata sui tetti dei capannoni e dei monumenti. E se un mattino all’alba sgomberate decine di famiglie da una casa occupata abusivamente, la sera stessa ne avete altre dieci a cui pensare. E tutto questo, per un semplice posto di lavoro o per una casa, mica per la giustizia o per un mondo migliore. Si figuri, signor Ministro.Guardiamoci in faccia e diciamoci la verità: a parte parlare ossessivamente di sicurezza, Lei e i Suoi colleghi non sapete che pesci prendere. E dire che le state provando proprio tutte, ma i risultati sono quelli che sono. Basta vedere il gran casino che ha provocato l’approvazione del Suo amato “pacchetto sicurezza”. I Centri di Identificazione ed Espulsione per “clandestini” stanno letteralmente scoppiando: di rabbia, non di reclusi, giacché da quando sono state introdotte le nuove norme la macchina delle espulsioni è inceppata e funziona più lentamente di prima. Persino i poliziotti di guardia e i crocerossini si lamentano di Lei, signor Ministro. Ma questo non le importa, «non c’è nessuna emergenza», perché Lei si consola con le immagini dei barconi respinti in Libia. E questo la fa sentire importante, la fa sentire potente, signor Ministro. E le ronde che Lei tanto ha voluto si risolvono in pagliacciate scortatissime dalla Sua polizia, che brontola per dover far da balia a questi gendarmi dilettanti, quando non finiscono in rissa con chi di squadracce in giro non ne vuole vedere neanche l’ombra. E sono sempre i Suoi prodi ad aver la peggio. Per non parlare poi del “reato di clandestinità” di Sua invenzione, che sta intasando i Tribunali e non lascia ai Giudici neanche più il tempo per condannare a mesi o anni di galera chi ruba un pezzo di formaggio al supermercato. Dall’aeroporto di Kabul fino a Porta Palazzo, non si può certo dire che Lei e il Suo governo stiate vincendo su tutti i fronti. Ma i morti e i feriti vi rimarranno sulla coscienza per sempre.

No, Signor ministro, così proprio non va, se è davvero l’Ordine che Lei vuole gestire. Se invece, così come pare a molti, è solo il Potere che Le interessa, allora bisogna dire che Lei e i suoi compari siete stati bravi a conquistarlo. Saperlo mantenere, questo Potere, è tutt’altra cosa. O potreste ritrovarvi un bel giorno a regnare sul nulla. matteotti-finale-49c26e63277a1Ma sappiamo anche qual è il vostro asso nella manica, la risorsa estrema, l’ultima carta da giocare. Che è poi il progetto politico preciso Suo e del movimento che Lei così degnamente rappresenta: scatenare una guerra civile permanente, che possa permetterLe di organizzare le masse in schiere pronte ad obbedire ai Suoi ordini con fervore e dedizione totali, assoluti. Pronte a tutto, pronte anche ad uccidere e stuprare in nome di un Capo e di una etnia, di una lingua o di una religione. Voi dite Padania, noi capiamo Bosnia. Voi dite Italia, noi capiamo Jugoslavia. Bisogna anche dire che in questo ambizioso progetto Lei non è affatto solo, signor Ministro. Non è lavoro da cospiratori questo, non ci sono trame segrete. C’è pure il rischio che Lei stia proprio “dalla parte della Storia” e del suo flusso osceno. Quando le macchine dentro alle fabbriche si fermano e sembrano non voler ripartire; quando i campi sono bruciati da guerre, pesticidi e carestie, le città devastate dagli affari delle Società per Azioni; quando la gente scappa e scappa in massa e valica le frontiere in lunghe file disperate; quando i Figli del mondo sono troppi, troppo rumorosi e troppo inutili; quando tutto si mescola e si confonde – allora quello stesso Capitale che in altri tempi si concede delle brevi e circoscritte apparenze di benevolenza tira fuori i denti e si prepara al totalitarismo. Servendosi proprio di uomini come Lei.

E, a proposito di uomini, signor Ministro, c’è ancora uno scoglio da superare prima di raggiungere il Suo ultimo obiettivo. Per rendere accettabile, desiderabile, buono e giusto l’incubo che state preparando, e di cui ci state facendo assaggiare qualcosa di più di un’anteprima, non basta la semplice propaganda, per quanto martellante e ossessiva. No, signor Ministro, Lei ha bisogno di una vera e propria mutazione antropologica, di un uomo nuovo. Di un uomo su cui la coscienza dell’ingiustizia scivoli via senza lasciare tracce, in cui la capacità di sentire su di sé le sofferenze altrui – da alcuni chiamata com-passione – sia un ricordo lontano. Un uomo che non individui come tali i sentimenti più odiosi e meschini, che non senta il bisogno di nasconderli o per lo meno di giustificarli ideologicamente, ma che li viva, al contrario, come la più placida delle normalità. Un uomo che, insomma, rendaantiquata anche l’ultima delle prerogative che un tempo erano proprie degli umani: l’ipocrisia.

Esagerazioni farneticanti? No, signor Ministro, se Lei pensa a quell’informatico leghista di Gallarate, amico del figlio stupido del suo Capo, che trovava, e immaginiamo trovi tuttora divertente giocare su internet a respingere barconi di “clandestini”. Mentre lei lo faceva sul serio, e donne, uomini e bambini morivano disidratati, affogati o torturati in Libia: essenzialmente assassinati da Lei, signor Ministro. Ecco, quell’informatico di Gallarate è proprio il prototipo dell’uomo nuovo che Lei sta costruendo. L’uomo che ride di fronte alla morte di gente che non ha mai neanche visto e che nulla gli ha fatto. migranti_sicurezzaUna persona orribile, senza ombra di dubbio, una persona orribile proprio come Lei, signor Ministro, talmente orribile che l’ultimo dei papponi della Pellerina sembra San Francesco in confronto. Ed è proprio per non soccombere di fronte a questo orrore, di fronte a questo baratro in cui precipitano gli ultimi residui di umanità che qualcuno, noi compresi, ha deciso di reagire, di rispondere, e di risponderLe.

Veniamo a noi, dunque, signor Ministro, a tutti noi che ci ostiniamo a non soccombere, e che per questo continuiamo a ribellarci, testardi, inguaribili guastafeste, una piccola parte di questo mondo che esplode, piccola ma non per questo disposta a rassegnarsi. Ebbene, come Lei saprà di sicuro, il Suo pupillo Spartaco Mortola – noto nel mondo intero per l’affaire delle molotov alla Diaz ed ora vicequestore qui a Torino – ha chiesto che si applichi a due di noi la misura di prevenzione della “sorveglianza speciale”. Se i Giudici di Torino lo riterranno opportuno, per quattro anni i due non potranno incontrarsi tra loro, non potranno uscire da Torino e neanche di casa la sera, non potranno partecipare a manifestazioni né chiacchierare per strada con gente di cui non possano certificare una fedina penale intonsa. Un bel castigo, non c’è che dire, un castigo per tutte quelle malefatte che la Sua polizia sostiene abbiano commesso e per le quali la magistratura non ha voluto o potuto infliggere condanne adeguate. Su questa lunghissima teoria di episodi che vengono loro contestati ci lasci dire solo questo, signor Ministro. Ad alcuni di questi i due hanno partecipato effettivamente, di altri invece ne ignoravano persino l’esistenza, ad altri ancora avrebbero partecipato volentieri. Perché di fronte all’accusa di essere stati in mezzo ad una folla che tenta di liberare dalle mani dei carabinieri un senza-documenti destinato alle gabbie di un Cie, nessun uomo che ama la libertà può dire null’altro che: «avrei voluto esserci anche io, se solo avessi saputo».

E qual è lo scopo di questo castigo chiamato “sorveglianza speciale”, Signor ministro? Spaventare, senza dubbio. E spaventare chi? Spaventare innanzitutto i due per i quali è stata richiesta la misura di prevenzione, con la minaccia di finire in galera se persistono nel vivere come hanno scelto di vivere. Spaventare i loro compagni, affinché la smettano di rompere i coglioni a Lei e a quelli come Lei. E spaventare, soprattutto, tutti quei pezzi di società, e sono tanti, che rischiano di intralciare il Suo progetto, affinché non si sognino neppure di poter alzare la testa e guardarLa dritto in faccia con tutto il disprezzo che Lei senza dubbio merita. E infatti, se pensiamo proprio a questi pezzi di società, scopriamo che la sorveglianza che la Sua polizia intende applicare a due di noi non è poi tanto speciale, comparata con i provvedimenti restrittivi che oramai è diventato normale applicare: agli stranieri, agli ultras, ai terremotati abruzzesi, per fare solo qualche esempio di tutti quei campi (siano essi campi di concentramento, campi da calcio o campi della Protezione Civile) in cui sperimentare meccanismi e dispositivi di compressione della libertà nel nome di una vera o presunta emergenza da agitare.

Ebbene, signor Ministro, si figuri se degli anarchici, che trovano intollerabile che la libertà degli altri sia messa in discussione, sono disposti a tollerare simili limitazioni della propria, di libertà. Si figuri se chi già di solito non è ben disposto a sottostare ai provvedimenti dell’Autorità può sottostare a misure come quelle che la Questura vorrebbe predisporre con il benestare del Tribunale. Si figuri se chi è abituato a non voltarsi dall’altra parte di fronte all’abisso dell’orrore a cui Lei e i Suoi simili ci costringono ogni giorno può aver paura di un simile provvedimento. Si figuri, signor Ministro, se qualcuno può smetterla proprio adesso che il mondo esplode e Lei non sa più che pesci pigliare. Noi no, no di certo.

                        La redazione di macerie (e storie di Torino)

(Dopo una prima udienza a giugno, il processo per la sorveglianza speciale a due redattori di macerie continuerà giovedì 1 ottobre. Se volete, potete scrivere a Maroni per dirgli quel che pensate di lui, usando queste cartoline: fronte e  retro)

macerie @ Settembre 25, 2009

I feriti della rivolta di Gradisca

24 settembre 2009 Lascia un commento

montaggioAncora un po’ di immagini che testimoniano dei pestaggi nel Cie di Gradisca d’Isonzo di lunedì mattina. Tra i feriti c’è chi ha avuto 60 punti di sutura, e in tanti denunciano la complicità del personale medico del Centro con la polizia. Ma non solo: i reclusi denunciano anche la sparizione di denaro e di altri oggetti (in particolar modo lettori mp3) durante la perquisizione che ha preceduto il massacro. La polizia sta cercando di insabbiare la vicenda, ricatta i feriti per evitare che questi denuncino i poliziotti e, per spezzare la resistenza, questa mattina ha trasferito una dozzina di prigionieri a Milano, in via Corelli. Come potete sentire dalla diretta che pubblichiamo qui sotto, però, la voglia di farsi sentire, dentro, è ancora alta. Sta a noi aiutarli.

Ascolta la diretta con un recluso di Gradisca d’Isonzo:

http://www.autistici.org/macerie/?p=19923

Sulla rivolta di Gradisca del 21 settembre leggi anche:

Rivolta al Cie di Gradisca

Sui pestaggi dentro ai Cie leggi anche:

Il tram

E sui furti nei Centri:

Sciopero della fame e della sete a Ponte Galeria

ospedale di Goriza, due giorni fa

ospedale di Goriza, due giorni fa

 

macerie @ Settembre 23, 2009

“Nella tua città c’è un Lager”: nasce un bollettino bisettimanale a Roma

23 settembre 2009 Lascia un commento

bollettino-roma-testataTra le tante cose che succedono nella capitale, qualche compagno ha anche trovato il tempo di raccogliere e mettere nero su bianco le notizie che arrivano dai centri di identificazione ed espulsione. “Perché nessuno dica che non sapeva” che c’è un lager nella sua città. Un piccolo regalo alla lotta contro la macchina delle espulsioni, che siamo lieti di mettervi a disposizione.
bollettino-roma-1

Sotto sgombero la “giungla” di Calais

22 settembre 2009 Lascia un commento

calais-camp-pic-getty-953062323Dalle 7.30 di martedi 22 settembre, l’insediamento irregolare di immigrati vicino a Calais, in Francia, è circondato dai CRS, la polizia anti-sommossa. La scorsa settimana il ministro per l’immigrazione Eric Besson aveva annunciato l’immediato sgombero, che sembra non si stia facendo attendere. 

Sono almeno 150 i migranti che vivono in quella baraccopoli, quasi tutti provenienti da Pakistan ed Afghanistan. 
“Abbiamo bisogno di riparo e protezione. Vogliamo l’asilo e la pace: questa giungla è la nostra casa”, recitano gli striscioni che circondano la zona.

Hanno aspettato l’intervento della polizia in silenzio, senza muovere un dito, con solo alcuni focolai per scaldarsi durante la notte e condividere un thè con i giornalisti arrivati a vedere. 
Quello di Calais è un luogo simbolo per tutti coloro che dal continente tentano di raggiungere le coste inglesi: la famigerata “giungla” è posizionata infatti a pochi metri dall’itinerario utilizzato dai tir per attraversare la Manica. Tir dove spesso si nascondono e dove ancora più spesso trovano la morte.
Centinaia di migranti avevano iniziato a lasciare la “giungla” proprio appena dopo l’annuncio dell’imminente sgombero fatto dal ministero, per sfuggire all’arresto.

Qui uno splendido documentario….

GLI AGGIORNAMENTI DALL’ANSA: L’operazione è iniziata poco dopo le sette del mattino e si è conclusa con il fermo di 278 migranti, 132 dei quali si sono dichiarati minorenni. Bulldozer sono poi entrati in azione per radere al suolo i rifugi di fortuna costruiti sulle dune. Lo smantellamento, anche su pressione di Londra, era in discussione da almeno un mese e molti migranti avevano già abbandonato il campo. I pochi rimasti hanno atteso l’evacuazione in silenzio, mostrando cartelli con scritte come: «abbiamo bisogno di alloggio e protezione», «vogliamo la pace», «la giungla è la nostra casa». Con loro c’erano decine di militanti di associazioni pro-immigrati, che hanno tentato di opporre resistenza all’evacuazione e due dei quali sono stati arrestati. Il ministro dell’immigrazione, Eric Besson, ha giustificato l’intervento affermando all’emittente radio Rtl che il campo era una «base di trafficanti di esseri umani» dove venivano richieste forti somme per un passaggio verso la Gran Bretagna. Ad ogni migrante, ha assicurato, verrà proposta «una soluzione individuale» con la scelta fra il ritorno volontario in patria, la richiesta di asilo politico o la deportazione forzata.

Rivolta al C.I.E. di Gradisca

21 settembre 2009 1 commento

Mentre il paese intero si raccoglie nel lutto per i sei soldati morti in Afghanistan, mentre la Croce Rossa piange sulla vernice versata sulla facciata della sede di Roma, scoppia una rivolta nel Cie di Gradisca di Isonzo, provincia di Gorizia. Non sappiamo come sia cominciata, per ora le notizie sono frammentarie e confuse. Quel che è certo è che in una sezione è stato appiccato un incendio, e che la polizia sta picchiando forte chiunque gli capiti sotto tiro. Al momento, si contano almeno 15 feriti tra i reclusi, portati in infermeria sanguinanti.

Ascolta una breve conversazione con un recluso: http://www.autistici.org/macerie/?p=19743

Aggiornamento. Piano piano stiamo riuscendo a ricostruire la dinamica di questa rivolta.

In foto la sede della Croce di Rossa di Roma, attaccata da lanciatori di palloncini ed escrementi questa mattina. La Croce Rossa è complice nella gestione dei Centri di identificazione ed Espulsione

In foto la sede della Croce di Rossa di Roma, attaccata da lanciatori di palloncini ed escrementi questa mattina. La Croce Rossa è complice nella gestione dei Centri di identificazione ed Espulsione

Tutto comincia questa notte, quando in 35 tentano la fuga dal Cie. Purtroppo il tentativo è sventato dalla polizia, che comincia a picchiare brutalmente i fuggiaschi. A questo punto gli altri reclusi, anche chi non aveva partecipato all’evasione fallita, iniziano a protestare e salgono sui tetti, rimanendoci fino alle 6 di questa mattina. Pare che siano anche giunti sul posto dei giornalisti, che forse hanno preferito mantenere il riserbo sulla vicenda (sono sempre giorni di lutto, questi…). All’alba, dietro la promessa della polizia di non fare rappresaglie, i reclusi scendono dai tetti, e la situazione ritorna tranquilla. Fino alle 13, quando scatta una perquisizione. I poliziotti si lasciano andare ad offese pesanti, strappando in due un Corano, e pare che durante il loro passaggio siano spariti anche dei soldi e dei cellulari. Di lì a poco, scoppia la rivolta.

 

Al momento, e sono le cinque di pomeriggio, la rivolta è ancora in corso. Il numero di feriti è salito a una ventina. La polizia continua a picchiare e tirare lacrimogeni nelle celle. Dall’altro lato, i reclusi tentano di spaccare i lucchetti per arrivare ai poliziotti, “tanto qui siamo morti lo stesso”.

Ascolta una conversazione con un altro recluso http://www.autistici.org/macerie/?p=19743

Un altro aggiornamento. Pare che ora, verso le sette di sera, la situazione sia tornata relativamente tranquilla. Certo bisognerà presto capire la situazione dei feriti, alcuni dei quali sembrano davvero in gravi condizioni.

macerie @ Settembre 21, 2009

PER LE IMMAGINI: UN VIDEO GIRATO DENTRO QUALCHE GIORNO DOPO, PER VEDERE ” I RESTI” DELLA RIVOLTA

“Non si spara sulla Croce Rossa”…sulla CGIL si può????

11 settembre 2009 3 commenti

Tratto da Indymedia Piemonte

Avremmo voluto raccontarvi la storia di un tentativo di evasione dal Cie di corso Brunelleschi a Torino. 01010098Così come avremmo voluto raccontarvi la storia di un pugno in faccia sferrato da un fuggiasco a un Alpino di guardia al Centro. Avremmo voluto, eccome, ma abbiamo chiamato dentro e siamo costretti a smentire le notizie de La Stampa. Pare proprio che la storia dell’evasione sia una bufala, per quanto versosimile di questi tempi, inventata di sana pianta dai militari o dalla Questura per giustificare un violento pestaggio da parte degli Alpini – ed è il primo caso documentato di violenza alpina all’interno di corso Brunelleschi – nei confronti di una quindicina di reclusi, esasperati dall’attesa della “terapia”, dagli insulti e dai maltrattamenti. E, ovviamente, tra militari e poliziotti c’era pure un crocerossino, di sicuro un “operatore precario che, nell’assolvere il suo compito, lotta per mantenere pubblica e civile l’assistenza a tutte le persone in difficoltà“: infatti è stato lui a portare i manganelli agli Alpini, evidentemente in difficoltà. E inoltre, è sicuramente vero che “lo spirito che anima gli operatori Cri non è certo quello dei carcerieri”. Infatti il giorno dopo il pestaggio gli Alpini hanno chiesto scusa, il crocerossino invece no.

Ascolta una conversazione con uno dei reclusi pestati di corso Brunelleschi: http://www.autistici.org/macerie/?p=19213

A proposito di crocerossini precari e sindacalizzati leggi il comunicato della Cgil-Funzione Pubblica:

Piemonte Torino

COMUNICATO STAMPA

NON SI SPARA SULLA CROCE ROSSA

Nella serata di ieri un gruppetto di sedicenti anarchici ha occupato la sede

della Croce Rossa Italiana di Torino, per contestare la funzione di assistenza

svolta dalla CRI presso i Centri di Identificazione ed Espulsione (ex CPT).

Essere contro la politica razzista e xenofoba del Governo, non può in alcun

modo  porre sotto accusa l’opera degli operatori della Croce Rossa che, in

condizioni difficilissime, garantiscono l’assistenza sanitaria alle centinaia di

esseri umani rinchiusi, in condizioni insopportabili, in centri che sono sempre

più simili a campi di concentramento.

Vale solo la pena di ricordare che gli operatori della Croce Rossa non

appartengono ad alcun corpo militare in armi. Al contrario, per la maggior

parte, sono operatori precari che, nell’assolvere il loro compito, lottano per

mantenere pubblica e civile l’assistenza a tutte le persone in difficoltà. Del

resto basti ricordare la funzione umanitaria che la CRI svolge in situazioni di

frontiera, come Lampedusa, per comprendere che lo spirito che anima gli

operatori CRI non è certo quello dei carcerieri di Guantanamo.

La Funzione Pubblica della CGIL, nel condannare l’occupazione della sede

della CRI di Torino,  esprime agli operatori ed alla Croce Rossa, la propria

piena solidarietà.

Torino, 9 settembre 2009

Ancora dalla Grecia e sulla pelle dei migranti, questa volta bambini

2 settembre 2009 Lascia un commento

UNA TESTIMONIANZA DA ATENE, SUI MINORI MIGRANTI e LA REPRESSIONE
Sei mesi di carcere per Hussain tre anni e il fratellino Isamt sette anni La vergogna senza fine di un Paese che condanna e perseguita persino i bambini.

noborder2009-1La Grecia persiste con la politica anti-immigrazione, inasprendo di giorno in giorno le misure adottate, fino a raggiungere livelli di illegalità inaudita per un Paese Europeo.
Attualmente mi trovo ad Atene. Qui la situazione è molto cambiata nelgi ultimi mesi: poliziotti armati girano ovunque, li vedi trascinare per la strada minorenni in manette, o spiare la situazione in modo molto più attento del solito
Prima delle ultime elezioni europee i profughi senza casa dormivano davanti alle chiese, nei parchi o alla stazione, ora invece si nascondono sulle montagne o in zone isolate per paura di essere trovati dalle autorità o dai branchi di naziskin che con l’ausilio della polizia imperversano ormai in tutta la Grecia.
Queste persone non scappano per timore di essere respinte, ma per non farsi picchiare o uccidere dalla polizia e dai naziskin, che di questi tempi sembrano ormai la stessa cosa. Oggi ho parlato a lungo con una famiglia, avevano due bambini: uno di nove anni e uno di cinque. Si trovano ad Atene da dieci mesi, perché è molto più probabile sopravvivere alle manganellate o alle coltellate qui in Grecia che alle bombe e ai terroristi in Afghanistan. 

Appena arrivati, per quindici giorni, hanno affittato una casa, poi essendo senza soldi sono finiti a dormire per strada. Il figlio più grande affetto da un disturbo agli occhi è stato curato previo rilascio delle impronte. Piangendo dicevano di aver paura, perché i gruppi di naziskin cercano ogni giorno e ogni notte stranieri da “punire”.  Temono per i loro bambini, dieci volte hanno già tentato di arrivare in Italia da Igoumenitsa, ma la polizia portuale li ha sempre cacciati via. Chiedevano loro il passaporto persino per andare in bagno. Non se la sentono più di rischiare ancora, la polizia ha iniziato a mandare in carcere per mesi anche donne e bambini piccolissimi. Tuttavia non vogliono nemmeno rimanere in quest’inferno fatto di notti dormite in strada, di pranzi e cene a base di rifiuti e di quotidiane agressioni danni dei loro connazionali.

Trenta famiglie con figli a seguito si trovano in questo momento in prigione. Tra di loro anche bambini di appena un anno di età. Questo riferisce Hassan, la cui moglie e i due figli sono stati arrestati pochi giorni fa mentre tentavano di prendere una nave diretta in Italia. Il più piccolo, Hussain, ha solo tre anni mentre il fratellino Ismat ne ha sette. Il padre non può aiutare la sua famiglia perché privo dei documenti, dei soldi per permettersi un avvocato e di una conoscenza anche solo basilare della lingua. 
Pare irridere queste persone l’ultima denuncia da parte dell’Unchr: “Inaccettabili le condizioni di 850 migranti”. Alle istituzioni di questo tipo è rimasta solo la forza di denunciare, ma le parole non scalfiscono minimamente la Politica anticostituzionale di questo Paese, mancano azioni e contromisure atte ad impedire il perpetrarsi di tali barbarie.

Basir Ahang

DOPO I VIDEO DI PRIMA, TESTIMONIANZA DI QUELLO CHE VIVONO I MIGRANTI NEI CENTRI DI DETENZIONE, METTO QUESTO MOLTO BELLO SU UNA DELLE AZIONI CONTRO LA GUARDIA COSTIERA FATTE DAGLI ATTIVISTI del NOBORDER CAMP SULL’ISOLA DI LESVOS, IN GRECIA, LA SCORSA SETTIMANA.

 

Dal NoBorder Camp 2009 una sola parola: FREEDOM!

2 settembre 2009 Lascia un commento

Impossibile non pubblicare questi due video. 
Perché bisogna vedere con i propri occhi spesso per capire, per potersi immedesimare in alcune vite.
Siamo sull’isola di Lesvos, in Grecia in un centro di detenzione di frontiera della comunità europea per migranti “irregolari”, entrati clandestinamente.
Queste immagini sono fruibili a tutt@ grazie all’impegno e alla lotta dei compagni e delle compagne del NoBorder Camp 2009 che si è svolto nel mese di agosto proprio su quell’isola.
Dopo aver visto queste immagini, il primo video è del maschile mentre il secondo è girato nel reparto femminile (con i bambini, tanto per sguazzare nel macabro medievale) , non si può arrivare ad altra conclusione che quei muri vanno abbattuti. Abbattuti. Non c’è altra soluzione! 

 

Ecco le prove: la strage di Benghazi, le torture in Libia, gli accordi sulla pelle dei migranti

2 settembre 2009 Lascia un commento

Kafuda2Adesso abbiamo le prove. Sono quindici foto in bassa definizione. Scattate con un telefono cellulare e sfuggite alla censura della polizia libica con la velocità di un mms. Ritraggono uomini feriti da armi di taglio. Sono cittadini somali detenuti nel carcere di Ganfuda, a Bengasi, arrestati lungo la rotta che dal deserto libico porta dritto a Lampedusa. Si vedono le cicatrici sulle braccia, le ferite ancora aperte sulle gambe, le garze sulla schiena, e i tagli sulla testa. I vestiti sono ancora macchiati di sangue. E dire che lo scorso 11 agosto, quando il sito in lingua somala Shabelle aveva parlato per primo di una strage commessa dalla polizia libica a Bengasi, l’ambasciatore libico a Mogadiscio, Ciise Rabiic Canshuur, aveva prontamente smentito la notizia. Stavolta, smentire queste foto sarà un po’ più difficile.
A pubblicarle per primo sulla rete è stato il sito Shabelle. E oggi l’osservatorio Fortress Europe le rilancia in Italia. Secondo un testimone oculare, con cui abbiamo parlato telefonicamente, ma di cui non possiamo svelare l’identità per motivi di sicurezza, i feriti sarebbero almeno una cinquantina, in maggior parte somali, ma anche eritrei. Nessuno di loro però è stato ricoverato in ospedale. Sono ancora rinchiusi nelle celle del campo di detenzione. A venti giorni dalla rivolta.
Tutto è scoppiato la sera del 9 agosto, quando 300 detenuti, in maggioranza somali, hanno assaltato il cancello, forzando il cordone di polizia, per scavalcare e fuggire. La repressione degli agenti libici è stata fortissima. Armati di manganelli e coltelli hanno affrontato i rivoltosi menando alla cieca. Alla fine degli scontri i morti sono stati sei. Ma il numero delle vittime potrebbe essere destinato a salire, visto che ancora non si conosce la sorte di un’altra decina di somali che mancano all’appello.Maxaabiistii_liibiya%20(5)

Il campo di Ganfuda si trova a una decina di chilometri dalla città di Bengasi. Vi sono detenute circa 500 persone, in maggior parte somali, insieme a un gruppo di eritrei, alcuni nigeriani e maliani. Sono tutti stati arrestati nella regione di Ijdabiyah e Benghazi, durante le retate in città. L’accusa è di essere potenziali candidati alla traversata del Mediterraneo. Molti di loro sono dietro le sbarre da oltre sei mesi. C’è chi è dentro da un anno. Nessuno di loro è mai stato processato davanti a un giudice. Ci sono persone ammalate di scabbia, dermatiti e malattie respiratorie. Dal carcere si esce soltanto con la corruzione, ma i poliziotti chiedono 1.000 dollari a testa.
Le condizioni di detenzione sono pessime. Nelle celle di cinque metri per sei sono rinchiuse fino a 60 persone, tenute a pane e acqua. Dormono per terra, non ci sono materassi. E ogni giorno sono sottoposti a umiliazioni e vessazioni da parte della polizia.

Kafuda8Sull’intera vicenda, i deputati Radicali hanno depositata lo scorso 18 agosto un’interrogazione urgente al Presidente del Consiglio e al Ministro degli Esteri, chiedendo se l’Italia “non ritenga essenziale, anche alla luce e in attesa della verifica dei fatti sopraesposti, garantire che i richiedenti asilo di nazionalità somala non siano più respinti in Libia”. Probabilmente la risposta all’interrogazione tarderà a venire in sede parlamentare. Ma nella realtà dei fatti una risposta c’è già. E il respingimento dei 75 somali di ieri ne è la triste conferma.
Siamo finalmente riusciti a parlare telefonicamente con uno di loro. A bordo erano tutti somali, ci ha detto. E avevano chiesto ai militari italiani di non riportarli indietro, perché volevano chiedere asilo. Inutile. In questo momento, mentre voi leggete, si trovano nel centro di detenzione di Zuwarah. Da quando sono sbarcati, ieri alle tredici, non hanno ancora ricevuto niente da mangiare. Né hanno potuto incontrare gli operatori dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite di Tripoli. Li hanno rinchiusi in un’unica cella, tutti e 75, comprese le donne e i bambini.
Nessuno di loro ha idea di quale sarà la loro sorte. Ma nessuno si azzardi a criticare l’Italia per la politica dei respingimenti o per l’accordo con la Libia. Tanto meno l’Unione europea e i suoi portavoce

Inizia l’anno: sgomberi e stragi sul lavoro…

1 settembre 2009 Lascia un commento

INIZIA L’ANNO. OGGI E’ 1° SETTEMBRE E CI SIAMO SVEGLIATI CON DUE SGOMBERI… SARA’ UN AUTUNNO MOLTO LUNGO

Stamattina alle 6.30 un immenso spiegamento delle forze dell’ordine ha iniziato lo sgombero di una delle occupazioni più numerose della città, quella di Regina Elena. Scadeva oggi la proroga per la sospensione degli sfratti. Le persone sono state caricate su dei pullman dell’atac per destinazioni ignote. Diverse persone stanno facendo resistenza per capire proprio la destinazione degli occupanti e delle occupanti.

Foto di Valentina Perniciaro _Regina Elena Occupato_

Foto di Valentina Perniciaro _Regina Elena Occupato_

QUI la corrispondenza di Radio Onda Rossa

Dall’ADNKronos invece prendiamo quest’altra bella notizia proveniente da Genova: Sgomberata la villa in salita Li Gobbi, a Genova, occupata abusivamente da un gruppo di anarchici. Questa mattina, intorno alle 5.45, la digos ha fatto irruzione nell’edificio, proprietà dell’istituto Brignole. Erano presenti sette persone, di età tra i 25 e i 35 anni, tra cui uno spagnolo e due francesi. Sono stati tutti denunciati a piede libero per violazione dell’articolo 633 del codice penale, che comporta reclusione fino a due anni e multa fino a un migliaio di euro. Per lo stesso reato sono stati denunciati altri otto giovani, non presenti nell’edificio al momento dell’arrivo della polizia ma, secondo gli accertamenti della digos, frequentatori abituali della villa. Tra i 15 denunciati, alcuni dei giovani già denunciati per offese e minacce agli alpini in servizio di sicurezza a Genova, e l’anarchico spagnolo che il 28 maggio scorso aveva insultato e aggredito il ministro della Difesa Ignazio La Russa in vista nel centro storico genovese. La villa di salita Li Gobbi, costituita da piano terra, due piani soprastanti e giardino, situata in una zona di pregio, era occupata dal 30 luglio scorso

PER CAMBIARE ARGOMENTO MA PER RENDERCI SEMPRE CONTO DI COME E’ INIZIATO BENE QUESTO MESE, ALCUNE AGENZIE PRESE SOLO NELLA MATTINATA, COSì, COME ANTIPASTO IN ATTESA DELLA FINE DELL’ULTIMO TURNO DI LAVORO:

Foto di Valentina Perniciaro _Per la casa, sotto al Campidoglio_

Foto di Valentina Perniciaro _Per la casa, sotto al Campidoglio_

1- Un operaio di 36 anni e’ morto schiacciato mentre era al lavoro in una marmeria alla periferia di Grottaglie (Ta). L’infortunio e’ avvenuto poco fa nel laboratorio dell’azienda, e vano e’ stato l’intervento di alcuni compagni di lavoro. Sul posto sono al lavoro i carabinieri ed i Vigili del Fuoco che stanno accertando le circostanze della disgrazia.

 

2- Un operaio e’ morto cadendo da una tettoia a Serino, nell’avelinese. Il fatto e’ accaduto questa mattina intorno alle 7.20 all’interno di un’azienda agricola per la produzione e il commercio di castagne, la cui sede e’ situata in via Salvatore Pescatore. A perdere la vita, Donato Trombetta, 50 anni, che collabora con quell’azienda da circa 30 anni. L’uomo era impegnato nella rimozione della copertura in lamiera di una tettoia per il ricovero degli attrezzi, e si era arrampicato fin sopra questa tettoia con un muletto. Da una altezza di circa 5 metri ha iniziato le operazioni di rimozione dei pannelli con il solo uso di una chiave inglese. Trombetta pero’ ha perso l’equilibrio, cadendo e battendo il capo sul basamento di cemento sottostante la tettoia. Soccorso subito dall’unico altro operaio che si trovava in azienda gia’ a quell’ora, e’ stato portato in auto al pronto soccorso dell’ospedale Landolfi di Solofra, ma i medici non hanno potuto che diagnosticarne la morte per sfondamento della base cranica.

3-  Infortunio mortale sul lavoro, stamane, a Lunano. Un UOMO di 79 anni, Aldo Carlotti, è stato colpito al torace dalla pala meccanica che in quel momento era azionata dal figlio Giorgio, impegnato in un lavoro di contenimento di un muro. L’urto ha gettato violentemente a terra l’anziano che, soccorso, è morto poco dopo il ricovero all’ospedale. Disperato il figlio, che è stato ascoltato dai carabinieri intervenuti sul posto insieme agli ispettori del lavoro e dell’Asur

4-Un operaio che stava lavorando nel cantiere della metro C, in via Teano, è rimasto ferito in modo lieve dopo essere caduto in una buca. È successo intorno alle 12. L’uomo è stato soccorso dai vigili del fuoco che si sono calati utilizzando una gru presente nel cantiere. Nella caduta l’operaio si è rotto una spalla.

 

L’ODIO NON SARA’ MAI ABBASTANZA