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Posts Tagged ‘migranti’

Due impiccati a Ponte Galeria

8 giugno 2010 Lascia un commento

<!–Dalla trasmissione di Radio Onda Rossa, Silenzio Assordante
Stasera a Ponte Galeria due ragazzi algerini hanno tentato di impiccarsi perché domani verranno deportati. Sono in molti, più di una decina, ad essere stati trasferiti a Roma da altri Cie per questa deportazione. In giornata anche tre donne nigeriane sono state trasferite dal Cie di Modena a Ponte Galeria.
Uno dei due algerini è stato trasferito d’urgenza in ospedale con un’ambulanza, l’altro è stato visto con un lenzuolo al collo mentre lo si trascinava in infermeria con la bava alla bocca, insomma in pessime condizioni. Da dentro fanno sapere che temono il peggio.
C’è anche un uomo che ha un piede viola – «sembra che il piede sia stato schiacciato da una macchina» – dicono i reclusi. Si è rotto la gamba durante il tentativo d’evasione e nessuno se si interessa di lui. Inoltre, oggi una ragazzo ha dovuto trascinare un altro recluso sulle spalle fino all’infermeria altrimenti sarebbe stato lasciato abbandonato a se stesso.
Nel pomeriggio a Ponte Galeria sono arrivate quattro pattuglie: le guardie presidiano il Cie e lo sorveglieranno almeno sino a domattina. Nel maschile affermano che sembra di stare in una caserma. I reclusi raccontano che la tensione è molto alta e che non ce la fanno più: la vita a Ponte Galeria – affermano – è peggio della schiavitù.

Ascolta la voce dei reclusi:
http://www.autistici.org/ondarossa/archivio/silenzioassordante/100608_ponte_galeria.mp3

Gli antirazzisti e le antirazziste di Roma inviatano a chiamare il centralino del Cie di Ponte Galeria (tel. 06 65854224) per avere notizie sulle condizioni di salute dei due algerini.

Quarto sciopero generale in Grecia. Arresti ad Exarchia

20 Maggio 2010 3 commenti

Arresti a “scopo preventivo”, questo ha dichiarato la polizia greca mentre teneva sotto assedio l’intero quartiere di Exarchia e il Politecnico. Sgomberati due spazi sociali: il Nosotros Social Centre e la sede dell’archivio anarchico.
Tutto il quartiere è ancora sotto assedio e nessuno può raggiungere l’enorme corteo che sta attraversando la città.
Si perchè oggi è un’altra mastodontica giornata di sciopero generale in Grecia, un rabbioso sciopero di 24 ore, il quarto in pochi giorni. Migliaia di persone stanno marciando ad Atene e Salonicco per chiedere la cancellazione della riforma delle pensioni.
Tante le iniziative e i cortei che stanno attraversando la giornata: alcuni componenti del sindacato comunista Pame hanno occupato da questa mattina il ministero del lavoro: poi i cortei.
Il Pame da Piazza Omonia è stato l’unico a rimanere fuori dall’altra grande piazza dominata dallo striscione d’apertura “INSIEME, POSSIAMO” e destinata a raggiungere Syntagma, la piazza del Parlamento.
A questo grande corteo hanno confluito i dipendenti pubblici dell’ADEDY e quelli del settore privato della GSEE, oltre che all’intero movimento che da più di un anno e mezzo inonda Atene costantemente.
Tutti sono fermi, ancora una volta: traffico marittimo, ferroviario, stradale interurbano, e parzialmente quello urbano e aereo per le isole. Gli unici che questa volta non hanno aderito sono i controllori che permetteranno i voli internazionali.
Ora tutti assediano il Parlamento: un mare di persone ancora una volta a fronteggiare il Parlamento e i suoi servi in divisa, ancora una volta.
Nel frattempo molti resistono ad Exarchia e nel Politecnico dove sono stati effettuati già 98 arresti: dalle pagine di Occupiedlondon leggiamo che anche ieri c’erano stati scontri con la polizia in quella zona.

SETTIMANA DI MOBILITAZIONE CITTADINA CONTRO I CIE

19 Maggio 2010 Lascia un commento

Roma, 21-29 maggio 2010
Dal 21 al 29 di maggio ci saranno per le strade di Roma diverse espressioni di protesta contro i CIE: presidi, manifestazioni, proiezioni, concerti, azioni…
La volontà è quella di portare a conoscenza della città le proteste e le lotte dei e delle migranti reclusi nei CIE, che da mesi si stanno succedendo sempre con più intensità.
La loro resistenza ci incoraggia e ci spinge alla mobilitazione.
Le rivolte si sono sempre succedute, fin dalla creazione dei CPT, oggi CIE, ad opera di un governo di centro-sinistra.
Oggi, con l’approvazione del “Pacchetto Sicurezza” e il conseguente aumento della detenzione da 2 a 6 mesi, le rivolte e gli episodi di autolesionismo sono aumentati.
L’esistenza di questi lager della democrazia è perfettamente funzionale al sistema capitalista, che vede le persone come merce e i migranti in particolare coma manodopera da sfruttare o rifiutare econdo le esigenze del mercato di produzione e di lavoro.
L’Europa Unita, ormai divenuta fortezza, si sostenta su queste leggi securitarie che giustificano la detenzione e l’espulsione di tutti coloro a cui non è stato concesso lo status di cittadino.
Questa fortezza può reggere non solo per le leggi razziste, ma anche grazie alla paura e all’atomizzazione che impone questo sistema sociale, un sistema che ci vuole divisi tra buoni e cattivi, lavoratori e studenti, comunitari ed extracomunitari, fomentando l’isolamento.
I mezzi di informazione di massa creano l’allarmismo necessario e il falso consenso per far sì che sia possibile imporci la loro sicurezza: più carceri variegate e per più tempo e più polizia e militari per le strade.
Per contrastare questa società del controllo e queste istituzioni repressive e razziste, lanciamo una settimana di mobilitazione per a chiusura dei CIE dal 21 al 29 maggio, nella quale ognuna e ognuno, individualmente o collettivamente, si possa esprimere nel modo che considera più opportuno.
La settimana verrà attraversata da un presidio sonoro davanti al Ministero dell’interno e si concluderà con un presidio sotto al CIE di Ponte Galeria, per portare la nostra lotta davanti a quelle infami mura e per far sentire ai reclusi e alle recluse che non sono soli/e nella loro resistenza.
Per la chiusura di tutti i CIE
e per dare forza ed essere solidali
con le lotte dei e delle migranti!

giovedì 27 maggio ore 16.00 a piazza dell’Esquilino
ASSEDIO SONO AL MINISTERO DELL’INTERNO


sabato 29 maggio dalle 15.00 alle 19.00
PRESIDIO DI SOLIDARIETA’
CON I RECLUSI E LE RECLUSE DEL CIE DI PONTE GALERIA(appuntamento alle ore 14.00 alla Stazione Ostiense
per partire tutti e tutte insieme)

NELLA TUA CITTA’ C’E’ UN LAGER… CHIUDIAMO IL CIE DI PONTE GALERIA! CHIUDIAMO TUTTI I CIE!!!

Torino: burlando prefetti!

15 Maggio 2010 1 commento

Si sarà preso una bella collera, il Prefetto Padoin, quando ieri pomeriggio si è visto spuntare dinanzi una trentina di facce note del movimento torinese con tanto di striscione, enorme. E per di più in mezzo all’affollatissima e vigilatissima Fiera del Libro, e per di più proprio mentre stava presentando, in compagnia del Procuratore Capo Caselli e del Procuratore Generale Maddalena, la sua ultima fatica letteraria: «Il Prefetto, questo sconosciuto». Un gran colpo, certamente, ampiamente ripreso e rilanciato da un bel po’ di telecamere: anche perché solo il giorno prima Padoin aveva dichiarato baldanzoso che il modo più celere di liberarsi degli spazi occupati è di arrestarne tutti gli occupanti, ed ora un po’ di quegli stessi occupanti da arrestare riuscivano ad aggirar ogni controllo per fargli qualche pernacchia sul naso. Una figura barbina per lui e soprattutto per gli agenti della Polizia politica cittadina, che son pagati proprio per controllare, ascoltare e pedinare, ed evitar così che certe contestazioni – clamorose quanto scontate – accadano.
Ascolta il racconto del pomeriggio al Salone del Libro, da un servizio di Radio Onda d’Urto

Eppure solo il giorno successivo la magra figura si ripete. Ancora una volta gli amici e i compagni degli arrestati per lo sgombero de Lostile si materializzano improvvisamente esattamente dove era scontato che si dovessero materializzare: alle Porte Palatine, di fronte ai pellegrini appena usciti dal Duomo. Sfilando sotto al naso dei funzionari del Commissariato di quartiere, si arrampicano sulle mura e appendono uno striscione: «Tutti liberi!». Gli uomini della Digos sono ancora più lontani del giorno precedente, e gli agenti del Commissariato sono furibondi: lo striscione ormai è appeso, ma loro chiamano il reparto mobile, si prendono due dei presenti e pretendono di identificare gli altri. Quando il gruppone riesce ad allontanarsi sembra tutto a posto, e tutti pensano che i due che mancano saranno presto rilasciati. E invece no. Dopo un paio d’ore e vari annunci contraddittori, i due vengono portati alle Vallette. Con quali accuse? Non sappiamo bene quale Pubblico ministero possa costruire qualcosa di penalmente significativo intorno all’ostensione di un lungo lenzuolo nero con su scritto «Tutti liberi!». Ma sappiamo che sicuramente il Prefetto è in collera da ieri e che in Tribunale non in tanti sono disposti a dispiacerlo e che in più, uno sberleffo messo in piazza tanto vicino a pellegrini, vecchi porporati incartapecoriti e immagini miracolose può far temere la collera di qualcuno che sta molto, ma molto, più in alto.
Macerie, 14 maggio 2010

Joy, un appello da Milano

12 Maggio 2010 Lascia un commento

Un appello da Milano

«Una sera d’estate Joy, una ragazza nigeriana vittima di tratta, porta il proprio materasso fuori dalla cella del Centro di identificazione ed espulsione di via Corelli a Milano. Preferisce dormire nel corridoio, dove fa più fresco.
Durante la notte si sveglia di soprassalto: sul suo corpo le mani di Vittorio Addesso, ispettore-capo del Cie, che si è sdraiato sopra di lei.
Joy lo respinge con forza e decisione, altre donne la sostengono.
Un “normale” episodio di brutale ­e sessista amministrazione all’interno di un Cie, dove gli aguzzini dominano incontrastati, forti delle connivenze dei gestori di quei lager per immigrate/i.
Alcuni giorni dopo nel Cie di Milano scoppia la rivolta contro il “pacchetto sicurezza”. Joy e le altre donne che l’avevano aiutata vengono brutalmente picchiate, nude, dall’ispettore Addesso e colleghi, e arrestate: una chiara rappresaglia da parte di chi mette in atto ricatti sessuali e molestie e non intende accettare il rifiuto.
Durante le udienze del processo ai rivoltosi, Joy denuncia la tentata violenza da parte dell’ispettore. Hellen, sua compagna di stanza, conferma l’accaduto, diventando la sua testimone.
La Croce Rossa, nella figura del responsabile Massimo Chiodini, copre l’ispettore-capo di polizia. La giudice, voce della “giustizia” italiana, denuncia entrambe le donne per calunnia.
Tutte e cinque le donne imputate vengono condannate a sei mesi di carcere per la rivolta. A febbraio, terminata la pena, vengono riportate in un Cie, dove a tutt’oggi si trovano rinchiuse ­ tutte tranne una ­con la prospettiva di essere deportate in Nigeria, una prospettiva che per Joy ed Hellen, come per tante/i altre/i, equivale ad una condanna a morte.
L’8 giugno a Milano si terrà l’incidente probatorio, udienza durante la quale si troveranno faccia a faccia Joy, Hellen e Vittorio Addesso.
Con Joy, dietro a Joy, vi sarà tutto il mondo dei Cie, fatto di controllo, intimidazioni, abusi e violenze sui corpi rinchiusi. Dietro Vittorio Addesso starà tutta la gerarchia degli aguzzini, fino ad arrivare in alto, al ministero dell’interno e ad uno stato che vuole, gestisce e controlla quei lager. Uno stato che, nella figura di un suo servo, si troverà per l’ennesima volta come parte accusata in un’aula di tribunale da cui, molto probabilmente, ne uscirà assolto.
Ma non è da quell’aula di tribunale che ci aspettiamo una rottura con un consolidato meccanismo di violenze, abusi e ricatti, meccanismo che si esplicita quotidianamente dentro le mura di ogni Cie. È urgente la presa di posizione di ognuna/o di noi contro le complicità che permettono l’esistenza di un lager di stato e coprono gli abusi che vi avvengono quotidianamente.
Per questo l’udienza che si terrà a Milano l’8 giugno, preceduta da una settimana internazionale di lotta contro le deportazioni, chiama tutte e tutti a fare una scelta di parte, ad opporsi e ad esserci.
Una mobilitazione fattiva che arrivi a concretizzare il vero obiettivo: la lotta per la distruzione di tutti i Cie, che è anche lotta per la nostra libertà e la nostra autodeterminazione all’interno di un paese-laboratorio sociale governato da uno stato di polizia. Invitiamo chi non può partecipare al presidio, che si terrà a Milano in tale data, ad organizzare iniziative nel territorio in cui vive.»

macerie @ Maggio 12, 2010

I voli delle espulsioni!

8 Maggio 2010 Lascia un commento

Un personaggio ingombrante, del quale sbarazzarsi al più presto possibile. È questo quel che l’Ufficio immigrazione della Questura di Torino pensa di Falloul, il recluso marocchino che solo due settimane fa era riuscito a scavalcare le mura del Centro e ad allontanarsene – anche se per poche ore. Soprattutto perché Falloul è un testimone scomodo della vita in corso Brunelleschi, uno che ha voluto reagire ai pestaggi e alle angherie denunciandoli ad alta voce. E così questo pomeriggio Falloul è stato prelevato dall’area gialla del Centro – area che è stata compatta in sciopero della fame per più di una settimana dopo il tentativo di evasione di due settimane fa e il relativo pestaggio poliziesco – e portato all’areoporto di Caselle, dove lo aspettava un aereo per Roma e da lì un altro per il Marocco. Inutile ricordarvi le responsabilità del console del Marocco a Torino, sempre prono alle esigenze – di immagine e di sostanza – della Questura sabauda, e il complice e sorridente silenzio della Croce Rossa, vero e proprio lubrificante sugli ingranaggi della macchina delle espulsioni.

Adesso come adesso di Falloul sappiamo solo che era scortato da sei poliziotti e che una volta salito sul volo delle 19,00 dell’Alitalia per Roma ha dovuto spegnere il telefono. Però sappiamo pure che – mentre lui era prigioniero e inavvicinabile ai bordi della pista – un gruppo di solidali si è intrufolato nello scalo torinese per riempirlo di volantini, e ha sussurrato nelle orecchie di viaggiatori e dipendenti la storia di Falloul e dei tanti come lui che salgono le scalette degli aerei con le catene ai polsi. Anche i “compagni di viaggio” di Falloul sono stati avvertiti che qualche fila dietro la loro avrebbe volato, e molto di controvoglia, un testimone scomodo della vita in corso Brunelleschi.

Oramai agganciati e scortati dalla Polizia – e dopo un’oretta pure dalla Digos – i solidali sono riusciti a chiedere spiegazioni al caposcalo dell’Alitalia (che si è rifiutato di darle) ai funzionari dell’Enac (e pure loro se ne sono stati abbottonati) ed anche ad altri responsabili della compagnia di bandiera, che se ne stavano rintanati nell’alto dei loro uffici e che hanno fatto finta di cascare dal pero, scaricando tutta la responsabilità sulla Questura di Torino. Ad un certo punto è comparso addirittura il cotonatissimo Antonino Calvano – presidente del Comitato Provinciale della Croce Rossa già ai tempi della morte di Hassan -, accompagnato da una bionda sconosciuta e dall’immancabile crocerossina in giarrettiera: ne nasce una breve e movimentata discussione nel mezzo della hall dell’aeroporto, discussione troppo scortata per essere vera.

Ascolta questa diretta trasmessa durante la trasmissione “Silenzio assordante” di Radio Onda Rossa: AUDIO

Macerie, 7 Maggio 2010

Comunicato dell’assemblea anarchica sui 3 morti nella filiale di Banca incendiata!

8 Maggio 2010 Lascia un commento

Dichiarazione degli Squat Skaramanga e Patision in Atene sulla morte dei tre impiegati della Marfin Bank

*Gli assassini “piangono” le loro vittime*
(sulla tragica morte oggi di tre persone)

Gourouni

La manifestazione per lo sciopero generale che si è svolta oggi, 5 maggio, si è trasformata in un’esplosione sociale di rabbia. Almeno 200.000 persone di tutte le età si sono riversate nelle strade (impiegati e disoccupati, nel settore pubblico o in quello privato, locali o migranti) cercando, durante diverse ore e in ondate consecutive, di circondare e assaltare il Parlamento. Le forze di repressione sono arrivate a gran regime, per giocare il loro solito ruolo – che è quello di proteggere le istituzioni politiche e finanziarie. Lo scontro è stato lungo ed intenso. Il sistema politico e le sue istituzioni hanno raggiunto il culmine.
Comunque, in mezzo a tutto ciò, un tragico evento, che nessuna parola può descrivere efficacemente, è accaduto: 3 persone sono morte nell’agenzia della Marfin Bank di Stadiou Avenue, che è stata data alle fiamme.

Lo stato e tutto il tam-tam mediatico, con nessun rispetto verso la morte dei loro prossimi, parlano fin dai primi momenti dei “giovani assassini incappucciati”, cercando di approfittare del momento per calmare l’ondata di rabbia sociale che era esplosa e di recuperare l’autorità che era stata strappata; per imporre ancora un volta l’occupazione poliziale delle strade, per estirpare le fonti di una resistenza sociale e di una disobbedienza contro il terrorismo di stato e la barbarità del capitalismo. Per questa ragione, nel corso delle ultime ore, le forze di polizia hanno marciato attraverso il centro di Atene, hanno arrestato centinaia di persone e devastato – con spari e flash-grenades – le occupazioni anarchiche “Spazio di azione unita multiforme” di Zaimi Street e il “ritrovo dei migranti” di Tsamadou Street, causando danni elevati (entrambi i posti sono nel quartiere di Exarchia ad Atene). Allo stesso tempo, la minaccia di un violento sgombero cade sul resto degli spazi auto-organizzati (occupazioni e ritrovi) dopo il discorso del Primo ministro, che parla dei prossimi raid per arrestare gli “assassini”.

Fuoco al Parlamento

I governi, gli ufficiali del governo, il loro personale politico, quelli che parlano in televisione, gli scribacchini salariati, cercano in questo modo di purificare il loro regime criminalizzando gli anarchici e ogni voce di lotta non patronalizzata. Come se chi ha attaccato la banca, chiunque esso sia (ammettendo che regga lo scenario ufficiale), abbia potuto essere minimamente a conoscenza della presenza di persone all’interno, e abbia comunque deciso di appiccare il fuoco. Sembra che stiano confondendo le persone in lotta con loro stessi: loro, che senza esitazione conducono l’intera società alla più profonda depredazione e schiavitù, che ordinano ai loro pretoriani di attaccare senza esitazione e di sparare con l’intenzione di uccidere, loro che hanno portato al suicidio tre persone per debiti finanziari solo nelle scorse settimane.
La realtà è che il vero assassino, il vero istigatore delle tre tragiche morti di oggi, è il “signor” Vgenopoulos, che ha usato il solito sistema per ricattare gli impiegati (la minaccia di licenziamento), e forzato così i suoi impiegati a lavorare nelle filiali delle sue banche durante un giorno di sciopero generale – e addirittura in una agenzia come quella di Stadiou Avenue, dove la manifestazione sarebbe passata. Questo tipo di intimidazione è perfettamente conosciuta da chiunque abbia avuto esperienza con il terrorismo della schiavitù salariata di ogni giorno. Stiamo aspettando quali scuse tirerà fuori Vgenopoulos per i familiari delle vittime e per la società intera – alcuni potenti suggeriscono che questo ultra-capitalista sarà il prossimo Primo Ministro, in un futuro “governo di unità nazionale”, dopo il completo collasso politico del sistema attuale che stà per arrivare.

Se uno sciopero senza precedenti può essere considerato assassino…
Se una manifestazione senza precedenti, in una crisi senza precedenti, può essere considerata assassina…
Se gli spazi sociali aperti che sono vivi e aperti possono essere considerati assassini…
Se lo stato può imporre un coprifuoco e attaccare i manifestanti con il pretesto di arrestare degli assassini…
Se Vgenopoulos può trattenere gli impiegati dentro la sua banca – che è un nemico sociale primario e un obiettivo per i manifestanti…

…è perchè l’autorità, questo serial-killer, vuole massacrare da quando è nata, una rivolta che mette in discussione la supposta soluzione di un attacco sempre più duro [del governo] nei confonti società, di una sempre più larga depredazione da parte del capitale, di un succhiare sempre più assetato del nostro sangue.
…è perchè il futuro della rivolta non include politicanti e capi, polizia e media di massa.
…è perchè dietro alla sua molto pubblicizzata “soluzione unica”, c’è una soluzione che non parla di livelli di sviluppo e disoccupazione, ma invece di solidarietà, auto-organizzazione e relazioni umane.

Quando si chiedono chi sono gli assassini della vita, della libertà, della dignità, i fermenti dell’autorità e del capitale, loro e i loro cacciatori devono solo guardare in faccia a se stessi. Oggi e ogni giorno.
*GIU’ LE MANI DAGLI SPAZI SOCIALI LIBERI*
*SONO LO STATO E I CAPITALISTI GLI ASSASSINI, I TERRORISTI E I CRIMINALI*
*TUTTI IN STRADA*
*RIVOLTA*

dall’assemblea aperta della sera del 05/05/2010
Per la versione originale questo è il link

Exarchia tartassata dai raid della polizia

7 Maggio 2010 1 commento

Non ci sono parole.
Ecco quello che accade per le strade di Atene da quando le strade sono state invase dall’ennesimo sciopero generale. Uno sciopero imponente che ha portato migliaia di persone ad assediare per ore ed ore il parlamento, con continui attacchi contro la polizia e i reparti speciali: una giornata macchiata da un evento drammatico di cui in molti sono responsabili.
Un attacco con bottiglie incendiarie contro la filiale di una banca ha provocato un vasto incendio che ha rapidamente preso l’intero palazzo: 3 persone, tra cui una donna incinta, hanno perso la vita per asfissia.
Un fatto gravissimo.
Un fatto che non sarebbe mai dovuto accadere e di cui abbiamo riportato la testimonianza di uno degli impiegati: una testimonianza importante per capire la situazione.
Da quel giorno la situazione non è minimamente tornata alla calma, ma proprio perchè sono praticamente due anni che la calma non trova terreno fertile tra le strade di Atene.
Exarchia è il quartiere dove la polizia sfoga la sua voglia di distruggere e spazzare via un movimento in continua crescita: un movimento che da anni urla al mondo la situazione socio-economica della Grecia, un movimento di studenti, precari, migranti e lavoratori che ora non hanno nessuna voglia di pagare sulla propria pelle la crisi dei padroni.
La crisi di un sistema che vorrebbero sovvertire: perchè questo è quello di cui si parla tra le aule di quelle università, tra i moli dei porti bloccati da giorni di sciopero, tra le strade di quei quartieri e delle periferie della città e del paese.

Ioanna Manoushaka

L’aria di insurrezione c’è da tempo… e la polizia e i M.A.T. non sanno far altro che caricare e fare raid come quello che si vede nel video: cercando di distruggere negozi e spazi sociali, punti di ritrovo, locali  e occupazioni.
Sembra di stare in pieno regime dei Colonnelli: i raid polizieschi diventano sempre più brutali.
Parla chiaro uno dei fatti più recenti tra le vie del noto quartiere ateniese: Ioanna Manoushaka era fuori il cancello del palazzo occupato dove abita, urlando contro la polizia che si abbatteva su tutto quello che trovava sulla sua strada…vedendosi rincorrere è corsa verso il suo appartamento e s’è chiusa dentro.
Dopo pochi secondi diversi poliziotti hanno provato a buttar giù la porta a calci urlando ripetutamente “stanotte ti scopiamo”… ci sono ovviamente riusciti poco dopo distruggendo tutto e picchiando lei e suo marito. Hanno occupato l’intero stabile distruggendo il centro per migranti e le sedi del Network dei diritti civili e sociali.
Quasi contemporaneamente e a pochi passi da lì, in via Zaimi è stato circondato, occupato e poi evacuato pistole alla mano, uno squat di anarchici. Tutti quelli che sono stati trovati all’interno sono stati arrestati: ci sono racconti che parlano di diversi spari in aria.

Ad Exarchia si respira aria di regime.

VI SERVIAMO OVUNQUE, ANCHE NEI LAGER!

22 aprile 2010 Lascia un commento

VI SERVIAMO OVUNQUE, ANCHE NEI LAGER!
Roma, mercoledì 21 aprile 2010

Oggi un centinaio di persone tra studenti universitari, nativi e migranti, attivisti/e dei centri sociali, occupanti dei movimenti per il diritto all’abitare, antirazzisti e antirazziste si sono incontrati/e all’Università La Sapienza di Roma per dare vita a un’iniziativa di denuncia e boicottaggio contro i CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione per migranti).
L’obiettivo era il gruppo “La Cascina”, che gestisce il servizio mensa della Facoltà di Economia e il bar universitario a piazzale Aldo Moro. Questa società, tramite l’affiliata “Auxilum”, dal 1° marzo è entrata nella gestione dei servizi interni al lager di Ponte Galeria.

Abbiamo scelto di denunciare la linea complice di quest’azienda che, oltre ad avallare l’esistenza e contribuire alla mala-gestione del CIE di Roma, è responsabile di somministrare cibo scadente, se non scaduto, e troppo spesso “condito” con psicofarmaci, allo scopo di aumentare il controllo sui migranti e le migranti reclusi/e.
È stato aperto uno striscione che diceva «La cascina: complice dei lager! No ai CIE» davanti all’ingresso della mensa di Economia, mentre altri/e entravano nelle sale distribuendo volantini e adesivi informativi, denunciando al megafono gli orrori di Ponte Galeria, invitando gli studenti e le studentesse a boicottare gli esercizi gestiti da “La Cascina”, parlando con lavoratori e lavoratrici e informandoli/e, molti/e per la prima volta, del profilo infame dei loro datori di lavoro.
Ci siamo poi spostati con un corteo spontaneo che ha bloccato la strada fino a La Sapienza, per poi proseguire dentro l’università fino al bar di piazzale Aldo Moro. Anche qui abbiamo denunciato la complicità di “Auxilium/Cascina” e invitato al boicottaggio attivo gli studenti presenti.
L’iniziativa si è conclusa con un pranzo sociale e una mostra tematica sulle condizioni del CIE di Roma al pratone dell’università.

Per costruire le prossime iniziative della campagna contro i CIE
GIOVEDÌ 29 APRILE ORE 19.00 AL FORTE PRENESTINO, CENTOCELLE

CHIUDERE I CIE SUBITO
NON RENDERTI COMPLICE!
BOICOTTA “LA CASCINA”

Ascolta la CORRISPONDENZA di Radio Onda Rossa.

Non un@ di noi! TUTT@ LIBER@

19 aprile 2010 Lascia un commento

 

Su un muro di Quarto, Napoli

Un’altra evasione da corso Brunelleschi.Questa volta è toccato a Nabil, uno dei reclusi trasferito a Torino da Roma dopo la grande rivolta della fine di marzo e da allora tenuto in isolamento. Lo stavano cambiando di blocco, ieri sera, ma lui è riuscito a sgattaiolare tra le sbarre e poi a dribblare il carceriere che gli si era parato davanti per impedirgli di avanzare. Una corsa e via, fino a guadagnare la strada.
Poche ore prima una sessantina di persone avevano dato vita al consueto presidio mensile contro i Centri, giusto là davanti: urla, battiture, mortaretti e messaggi di lotta e di solidarietà al microfono.

macerie @ Aprile 19, 2010

Qualche giorno fa invece:

Tentato suicidio nella sezione bianca del Cie di Torino. Nuer, un ragazzo tunisino, mercoledì mattina ha tentato il suicidio impiccandosi con una corda, soccorso in tempo e portato in ospedale da cui è stato dimesso in giornata. La sua storia è l’ennesima storia disperata frutto delle leggi assurde di questo paese. Nuer è stato detenuto in carcere per violenza privata per due anni, fino a quando non è arrivata l’assoluzione e la conseguente scarcerazione. Certo non si aspettava di passare da un carcere ad un altro centro di detenzione: il Cie di Corso Brunelleschi, perché dopo due anni di carcere aveva perso il permesso di soggiorno, quantomeno si aspettava di avere i cinque giorni di tempo che il decreto di espulsione concede per lasciare l’Italia. All’attuale non è neanche certo che riesca ad ottenere il rimborso per ingiusta detenzione.
La storia di Nuer ce l’ha raccontata Mustafa, un signore in Italia da vent’anni, che, a fine anni Novanta, insieme al lavoro ha perso anche il permesso di soggiorno, ed è stato quindi espulso. Ha deciso di tornare subito in Italia, ed ora è recluso nel Cie.
Nella stessa sezione di Nuer e Mustafa, la bianca, c’è anche Mohammed, che mercoledì ha interrotto lo sciopero della fame che portava avanti da ventitré giorni. Martedì era stato portato al repartino psichiatrico del Martini, e dopo un breve colloquio con la psichiatra, colloquio al quale ha partecipato anche la Guardia di Finanza che lo stava piantonando, alla faccia della riservatezza tra medico e paziente. Quello che Mohammed chiedeva era la visita di un medico che gli misurasse la pressione e che gli facesse un prelievo del sangue, quello che ha ottenuto è stata una psichiatra che gli ha confermato la sua salute mentale. Il commento di un crocerossino al suo ritorno nel Centro è stato: “Tu stai rischiando la vita, ti conviene smettere di fare lo sciopero, tanto non ti fanno uscire”.
Abbiamo anche saputo che quattro marocchini sono stati rimpatriati in settimana.

macerie @ Aprile 17, 2010

Cosa accade al porto di Napoli?

14 aprile 2010 Lascia un commento

cosa sta accedendo…

Una nave attraccata l’8 aprile fa nel porto di Napoli (molo Bausan, nella periferia orientale, verso San Giovanni a Teduccio) è stata fermata perchè aveva a bordo 9 migranti “irregolari”. Di queste nove persone, che la polizia di frontiera dichiara di nazionalità ghanese e nigeriana, cinque sono minorenni.

La Vera-D nel porto di Napoli

Secondo la ricostruzione accreditata dal comandante russo di questa grossa nave-merci (battente bandiera liberiana, ma di proprietà di una importante compagnia di armatori tedesca, la Peter Dohle di Amburgo) i migranti si sarebbero nascosti in un container al porto di Abidjan in Costa D’Avorio e avrebbero trascorso così l’intero viaggio.

Non è ben chiaro se in un primo momento la nave sia stata fermata dalla polizia di frontiera per la presenza di immigrati irregolari, o dallo stesso comandante. Sta di fatto che dopo aver “scoperto” la presenza dei migranti, il comandante rilevava di non avere più il numero legale per navigare e chiedeva all’Italia di farsene carico. Del resto sono in acque nazionali italiane, quindi i minori hanno diritto di tutela mentre gli adulti devono (è un loro diritto!) potere fare domanda d’asilo.  In ogni caso le autorità italiane gli hanno impedito di sbarcare…
La notizia è trapelata solo nella mattinata del 12 aprile, per la protesta dei lavoratori del terminal container, dovuta al fatto che il blocco del molo Bausan aveva interrotto molte delle attività lavorative legate allo scarico merci. Questa è sembrata essere anche l’unica preoccupazione dei media, che hanno trattato molto superficialmente la questione umanitaria dei migranti confinati forzatamente sulla nave sottolineando soltanto il danno economico che l’attracco della nave potrebbe costare, la necessità ripresa dei lavori nel terminal e i risarcimenti, dopo che i “clandestini” sarebbero stati fatti scendere dalla nave (vedi: canale9, il mattino)
In realtà le cose hanno rischiato di prendere una piega ancora peggiore: la nave è stata fermata e sequestrata dalla stessa magistratura in maniera preventiva rispetto alla eventuale copertura dei danni in seguito alla denuncia del Conateco, il consorzio napoletano terminal container, per il blocco del molo.

Quando il 13 aprile è scoppiata la protesta dei portuali, la mediazione tra polizia e comandante della nave è stata quella di far scendere solo tre dei cinque minori a bordo, esclusivamente per rientrare nel numero massimo di persone che consentisse alla nave di fare manovra.

Il porto di Napoli

La rete antirazzista si è subito mobilitata, cercando di entrare in contatto con i migranti, facendo notare che i minorenni non possono essere respinti e hanno diritto alla massima tutela da parte dello stato italiano, mentre gli adulti potrebbero voler presentare domanda di asilo politico o protezione umanitaria.
Ogni contatto è stato impossibile in un primo momento, perché la polizia di frontiera ha accampato una scusa dopo l’altra, impedendo di fatto che si rispettassero i diritti di queste persone. La motivazione della polizia di frontiera è stata che ci voleva l’autorizzazione del capitano della nave con cui  è stato a lungo impossibile entrare in contatto diretto. Un chiaro escamotage, dal momento che lo stesso capitano ha tutto l’interesse e la volontà, più volte esternata, di far sbarcare gli immigrati.
Possibile infatti che oltre alle motivazioni umanitarie ce ne siano altre di carattere economico, perchè la perdurante presenza a bordo dei migranti, una volta appurata, potrebbe portare al divieto di scalo anche nel porto di Genova, dove la nave è diretta. Infatti, per fortuna, la Vera D non ha a bordo le gabbie in cui vengono a volte rinchiusi gli immigrati trovati sulle navi! Gabbie in cui vengono segregati fino al ritorno nei presunti paesi di origine in spregio a ogni aspetto del diritto internazionale, specie per profughi e rifugiati, ma tranquillizzando così le autorità di frontiera…

Dopo un’estenuante trattativa con l’armatore tedesco della nave, la capitaneria di porto, la questura di Napoli e la polizia di frontiera, nella tarda serata di ieri 13 aprile, un’ ampia delegazione della rete antirazzista che presidiava la nave Vera D è riuscita ad ottenere che tre persone salissero sulla nave e incontrassero i migranti. Fra queste tre persone l’avvocato del CIR (Centro Italiano Rifugiati) a Napoli. Durante la visita tutti e nove i migranti hanno firmato la delega all’avvocato manifestando, anche davanti a un pubblico ufficiale (il comandante della nave), la volontà di chiedere asilo politico, di cui l’avvocato ha preso richiesta scritta. Inoltre cinque persone si sono dichiarate minorenni.
Quando la delegazione è scesa dalla nave ha chiesto subito alla Questura di prendere atto delle istanze di asilo e di venire a prendere i migranti per formalizzarle e provvedere all’accoglienza a terra, come è suo dovere legale. Il Questore (che ha interloquito anche con diversi parlamentari) ha invece preso tempo sostenendo che gli uffici potevano formalizzare tutto solo nella mattinata successiva.

[mercoledì 14]
Dopo una intera notte e mattinata trascorsa a picchettare ininterrottamente la nave “Vera D” gli immigrati sono scesi dalla nave (video) e il presidio si è spostato sotto l’ufficio stranieri, che dovrà determinare il percorso con cui i migranti arriveranno alla Commissione asilo, se in condizioni ordinarie e sacrosante di libertà e di accoglienza o con forme di restrizione della libertà (come ad esempio nei CIE) che rappresentano una grave coercizione all’esercizio del diritto alla protezione.
In ogni caso, nella gestione di questa vicenda molti restano i lati oscuri! Anzitutto la questione dei minorenni: ieri la questura dichiarava che “sulla nave non ci sono minorenni”, dopo aver fatto dei discutibilissimi esami biometrici solo a tre ragazzi sui cinque che pure erano stati censiti…!! Oggi, in seguito alle insistenze della rete antirazzista e alle varie forme di pressione, altri tre ragazzi sono stati portati a fare gli esami (ancora un’altra persona è risultata nella fascia anagrafica giusta). “Dobbiamo dedurre che se l’espulsione fosse avvenuta oggi, avrebbero proceduto senza verificare le esigenze di tutela dei minori! E’ una responsabilità grave!” “Dobbiamo pensare che senza la protesta dei portuali del molo Bausan tutto sarebbe avvenuto in silenzio e senza alcuna tutela?!”
Poi il misterioso decreto di respingimento, che ai migranti non è stato mai notificato e che in questura sostengono aver prodotto il 7 aprile… perchè finora non è stato notificato? L’espulsione sarebbe comunque sospesa dalla richiesta di asilo, ma l’ipotesi decreto sembra francamente solo una forma di accanimento per rinforzare l’ipotesi di una reclusione nei CIE dei migranti maggiorenni in attesa della valutazione in Commissione della loro richiesta di protezione umanitaria. Una condizione cui sicuramente faremmo ricorso, ma che secondo noi “testimonia ancora una volta il contesto irrituale in cui si svolgono i cosiddetti “respingimenti in mare”, che comportano sempre una violazione sostanziale dei diritti minimi e delle tutele dei rifugiati. Una “pratica” che almeno oggi la rete antirazzista è riuscita a inceppare!”

Rete antirazzista napoletana
SU INDYMEDIA NAPOLI TUTTI GLI AGGIORNAMENTI!

Troppa merda dentro i CIE Altro poliziotto sotto inchiesta

12 aprile 2010 1 commento

Erano giorni che volevo pubblicare questa cosa ma ormai non rispetto mai i tempi che mi metto in testa…
il mio cucciolo decide per me, i tempi son dilatati, il mondo a volte sembra distante.
ma non lo è!
E’ di qualche giorno fa la notizia dell’ennesima porcheria fatta da un ispettore capo di stanza in Corelli. Guardiano nel lager e molestatore di trans rinchiuse lì dentro, arrotondava lo stipendio di “difensore della sicurezza” affittando in nero e a prezzo esorbitante un tugurio a trans brasiliane senza permesso.
Che il reato di clandestinità sia un business per lo Stato e i suoi “servitori” non ci sorprende affatto.
Da radiocane:
L’affittacamere
(Friday, 09 April 2010 15:23)
La storia di Paola, trans brasiliana, che vive prostituendosi in appartamento a Milano.
La storia di Paola che finisce nel Cie di Via Corelli a Milano.
La storia di un incontro nel Cie con un poliziotto che lei già conosce
La storia di un poliziotto che arrotonda affittando appartamenti agli stessi clandestini che poi finiranno nel Lager.
La storia di Paola, che denuncia pubblicamente il suo affittacamere, viene prelevata dalla polizia questa mattina nel cie di via corelli a milano, il perchè non lo sappiamo, lei non risponde più al telefono.
Oggi la Questura di Milano ha deciso di far uscire la notizia per evitare che l’ennesimo scandalo gli esplodesse per le mani.
Ma il coperchio del silenzio dei CIE d’Italia è saltato, ed è chiaro a tutti che non è questione di mele marce.
Una storia tutta italiana
Ascolta l’intervista a Paola raccolta da radio cane

APPELLO INTERNAZIONALE: SETTIMANA DI AZIONI CONTRO LE DEPORTAZIONI!

9 aprile 2010 Lascia un commento

Chiamata per una Settimana di azioni contro la Macchina delle Deportazioni
1 – 6 giugno 2010
STOPDEPORTATION.NET

Le deportazioni sono diventate una parte integrale del sistema delle Regime europeo sull’immigrazione. Centinaia di rifugiati/e e di migranti sono forzatamente deportati/e ogni giorno per fare ciò che le persone hanno fatto per milioni di anni: emigrare alla ricerca di una vita migliore, scappare dalla povertà, dalle persecuzioni, dagli abusi, dalle discriminazioni, dalla guerra etc. Il diritto di viaggiare e vivere dove si vuole è negato a tutti e tutte coloro che hanno un diverso colore della pelle, passaporto e conto in banca. Queste persone sono trattate come ‘criminali’ e incarcerati in prigioni speciali che chiamano con altri eufemismi (centri di rimozione, case rifugio e così via). Gli abusi razzisti e sessisti e la violenza fisica, agiti dalla polizia che si occupa di immigrazione e dalle guardie private, sono istituzionalizzati e legittimati dall’uso della forza nelle operazioni di deportazione.

Dietro le deportazioni si nasconde un misto di razzismo, nazionalismo e imperialismo in un contesto di capitalismo globale: mentre il capitale e i cittadini/e dell’Unione Europea e degli altri paesi del “primo mondo” sono liberi di viaggiare dove vogliono, le/gli altri/e dal lato sbagliato dei confini costruiti artificialmente, i cui paesi sono fatti a pezzi dai privilegi europei e dal capitalismo e dalle conquiste imperialiste, sono illegali, criminalizzati e impediti nell’esercizio dei diritti fondamentali. Loro semplicemente cessano di essere persone; diventano “immigrati illegali”, che si “trattengono troppo a lungo” [overstayers] e “mancati richiedenti asilo” di cui si può fare a meno quando non si ha più bisogno di sfruttare il loro lavoro o quando cercano di rivendicare i propri diritti. Come conseguenza, le lotte comuni e le comunità sono divise e prevale una cultura di sospetto e della sorveglianza.

Quando gli ordini di deportazione sono emanati, fa comodo dimenticare le cause dell’immigrazione. Le armi prodotte in Occidente e i conflitti armati, le guerre di aggressione alla ricerca di petrolio e di altre risorse naturali, i regimi repressivi appoggiati dai nostri democratici governi, i cambiamenti climatici e la sottrazione delle terre… tutto ciò può essere rintracciato all’interno delle nostre economie capitaliste, dello stile di vita consumistico e degli interessi imperialisti. La lotta contro le deportazioni non è solo una singola campagna: le persone scelgono o sono forzate a migrare per varie ragioni.

Per far funzionare il sistema dei voli di deportazione, i governi europei appaltano ad una serie di privati o semi-privati il lavoro sporco che sarebbe toccato a loro. Le compagnie aeree sono un ingranaggio centrale della macchina delle deportazioni. Non solo sono una delle prime cause che contribuiscono alla morte del pianeta, ma molte compagnie aeree, nella loro ricerca di profitto, sono contente di portare persone verso una possibile morte – sia essa una deportazione individuale o di massa. Gli interessi dietro la macchina delle deportazioni includono altri tipi di opportunisti, quali le compagnie che provvedono al trasporto e all’accompagnamento durante le deportazioni forzate e le compagnie di sicurezza delle multinazionali, come Serco e G4S, che gestiscono le prigioni per immigrati/e e portano avanti le deportazioni a nome delle autorità per l’immigrazione.

Inoltre, ci sono agenzie fantasma e inspiegabili, agenzie inter-governativei, come l’Agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne (Frontex) e l’Organizzazione Internazionale per la migrazione (IOM), il cui ruolo è diventato sempre più influente negli ultimi anni e con le quali i governi europei cercano di portare avanti operazioni unitarie e coordinate. Questo non solo per risparmiare soldi, ma anche per mettere le deportazioni in mano a corpi europei e internazionali, che spingono la responsabilità su un altro livello al di là dei governi nazionali e delle autorità per l’immigrazione.

Infine, La Frontex ha recentemente assunto ulteriori poteri per le deportazioni di massa attraverso voli charter a nome dei governi europei, comprando equipaggiamento e sperimentando nuove tecnologie per il controllo dei confini dell’EU. Dopotutto, un super stato, razzista e imperialista, come Fortresse Europe ha bisogno di un esercito mercenario come Frontex per proteggere i propri confini artificiali.

Deportati e deportate, inclusi bambini/e, sono spesso ammanettati e accompagnati dalla sicurezza come criminali pericolosi (l’etichetta “criminale” è usata da chi è al potere). Ci sono stati numerosi segnalazioni di maltrattamenti fisici e abusi razzisti e sessuali, che uomini e donne hanno subito da parte delle guardie per l’immigrazione o degli “accompagnatori” privati durante le deportazioni (sia individuali che di massa). La proposta di avere qualcuno/a che monitori i diritti umani sui voli per le deportazioni, come ha recentemente suggerito un membro della Commissione europea, può impedire alcune di queste pratiche ma può anche legittimare le brutalità della deportazione stessa.

Siamo consapevoli che resistere contro le deportazioni è un percorso continuo e non confinato ad alcuni giorni o a settimane di azioni: le persone cercano di attraversare i confini in condizioni pericolosissime ogni giorno; gli scioperi della fame e le lotte nelle prigioni per immigrati; i/le deportati/e e i passeggeri consapevoli che si rifiutano di sedersi tranquillamente a bordo di un volo che passa inosservato; le comunità che si uniscono per difendere i loro membri; le proteste regolari e azioni contro varie componenti della macchina delle deportazioni… e molto altro ancora deve essere fatto perché milioni di persone continuano ad essere forzatamente deportate ogni giorno.

Questo appello è rivolto a tutti/e coloro, individualità e gruppi in Europa, che vogliano unirsi in una settimana di azioni decentralizzate e coordinate contro la macchina delle deportazioni nella prima settimana di giugno 2010. Questo appello è rivolto a tutti/e i migranti e rifugiati e chi li sostiene dentro e fuori l’Europa. Organizziamoci nelle nostre realtà locali in azioni o proteste durante la settimana con un unico grido:

STOP ALLE DEPORTAZIONI!
NO ALLA FORTEZZA EUROPA!
LIBERTÀ DI MOVIMENTO PER TUTTI E TUTTE!

Callout [Deutsch | Ελληνικά | Español | Français | Italiano | Polski | Türkçe | عربي] || Poster | Leaflet

Aggressione fascista a Magliana: il comunicato

18 marzo 2010 Lascia un commento

AGGRESSIONE FASCISTA  A MAGLIANA !

La sera del 14 marzo un gruppo di razzisti armati di bastoni e con i volti semicoperti da sciarpe e fazzoletti hanno fatto irruzione nel bar bangladese di via Murlo. Pochi minuti di terrore violenza e devastazione, ai danni di quanti/e erano nel locale.
Questo, è soltanto l’ultimo episodio in ordine temporale, di provocazioni e aggressioni ai danni della comunità bangladese che vive e lavora a Magliana, così come di una serie di atti simili nella città di Roma, compiuti da persone certe della loro impunità.

"Monnezza" a Magliana!

Esattamente 48 ore prima di questo assalto razzista sono apparse sui muri del nostro quartiere scritte razziste, inneggianti al Fascismo e firmate “Senza Padroni”.
I carabinieri di Bernardo e Casarsa, i consiglieri del Pdl e lo stesso sindaco Alemanno coadiuvati dai giornali stanno depistando le indagini dichiarando che è solo una banda di teppisti e bulli di quartiere. Ma i veri mandanti politici e morali di questa aggressione sono proprio Alemanno, Fabrizio Santori, Augusto Santori e Federico Rocca e il circolo Pdl  “Magliana senza padroni” che da mesi incitano con le loro parole alla violenza razzista a Magliana e in tutta la città!
Noi compagne/i del CSOA Macchia Rossa denunciamo il clima di intolleranza nei confronti dei/delle migranti che sta crescendo nel nostro quartiere e nella città. Sono all’ordine del giorno episodi di piccole e grandi violazioni ai danni dei lavoratori/trici e residenti di origine straniera.

Denunciamo politicamente e pubblicamente, quanti strumentalizzano i ragazzini di Magliana, con false idee di ribellione, e che usano la pratica dell’aggressione ai danni dei/delle migranti come vile palestra per preparare la “carne da macello” a  scontri più difficili. Non ci interessa sapere chi sono gli autori materiali di questo raid. Per noi sono un gruppo di fascisti e razzisti, coperti dalle guardie e questo ci basta: noi non siamo spie e informatori dei carabinieri, noi non li denunceremo alle forze dell’ordine neanche se sapessimo chi sono. Noi non siamo spie come loro! Noi li affronteremo sul terreno della lotta politica e sociale e su quello dell’antifascismo e sia chiaro che se qualcuno oserà toccare un compagno o una compagna del centro sociale Macchia Rossa ne dovrà rispondere politicamente e seriamente.Al Sit-in e al Corteo di lunedì e martedì a Magliana sono venuti i consiglieri municipali Santori e Rocca e il delegato alla sicurezza Ciardi del Pdl a portare una falsa e strumentale solidarietà, ma per fortuna gli\le antirazzisti\e hanno pacificamente ma in maniera determinata respinto questa infame provocazione fascista e non hanno permesso che partecipassero né al sit in né al corteo!
Purtroppo agli sciacalli strumentalizzatori del Pdl si sono aggiunti anche quelli del Pd, che con in testa il presidente-sceriffo del XV Municipio Gianni Paris hanno convocato una manifestazione a puro scopo elettorale sulla vicenda dell’assalto razzista di Via Murlo. Invece di sostenere la manifestazione indetta dalla comunità Bangladese di martedì scorso, dove hanno partecipato solo pochi e generosi compagni di Rifondazione e Sinistra e Libertà,
il Pd ha indetto un’altra manifestazione per Venerdi 19 a cui noi non parteciperemo e invitiamo i compagni e le compagne sinceramente antirazzisti\e a non partecipare.

Centro Sociale Occupato Autogestito “Macchia Rossa” Magliana

Aggiornamenti dopo la rivolta di Ponte Galeria

15 marzo 2010 1 commento

Ieri(13 marzo), alle ore 22.30, sono rientrati in cella i ragazzi che durante il presidio erano saliti sui tetti del lager di Ponte Galeria.
Dopo la protesta sono stati picchiati brutalmente dalla polizia.
Uno di loro non riesce più a muovere la mascella e sembra che un altro si sia tagliato un braccio come atto per scongiurare ulteriori pestaggi da parte dei burattini in divisa.

Successivamente la violenza è proseguita con la perquisizione nelle celle riservate agli uomini, ancora da accertare in quante sezioni sia avvenuta. Il giorno seguente (14 marzo) i/le reclus* riferiscono di essere in sciopero della fame.
Seguiranno aggiornamenti riguardo la protesta e l’adesione a questa.

Nella tua città c’è un lager, chiudiamo il C.I.E di Ponte Galeria!
Solidarietà a tutt* i/le reclus* in lotta!
Chiudere tutti i C.I.E!
Fuoco a tutte le gabbie!

Ponte Galeria in rivolta, una “bella” a Torino e la riacquistata libertà per i compagni torinesi! Che giornate!!

13 marzo 2010 1 commento

Mentre c’era chi sceglieva di scendere in piazza con una sciarpa viola, mentre c’era chi ascoltava Di Pietro, chi si sbrodolava per Travaglio,
mentre c’era chi ha preso pulmann per far da pubblico pagante al peggio che la storia della “sinistra” è riuscito a tirar fuori,
mentre gli ex girotondi, aspiranti “secondini” e carcerieri del paese intero, riempivano la vuota (di contenuti totalmente) piazza romana,

i compagni autorganizzati, le realtà di movimento e tutt@ coloro che portano solidarietà ai migranti reclusi nei Centri di Identificazione ed Espulsione, erano sotto i cancelli di Ponte Galeria ad urlare con tutto il fiato in gola la loro rabbia e il loro sostegno alla lotta dei migranti in stato di detenzione senza aver commesso alcun reato, in uno sciopero collettivo della fame terminato pochi giorni fa.
Dopo il tam tam telefonico l’iniziativa fuori dal CIE è stata seguita da una rivolta all’interno del centro di detenzione…alcune decine di migranti sono salite sui tetti e lì sono avvenute diverse cariche di polizia e carabinieri.
Senza troppe parole sprecate, è meglio ascoltare direttamente le corrispondenze effettuate da Radio Onda Rossa
1- I Detenuti salgono sui tetti ASCOLTA
2- La celere carica i migranti sui tetti ASCOLTA
3-  Ancora cariche sui tetti di Ponte Galeria ASCOLTA

Dopo le molte ore passate sotto il CIE di Ponte Galeria i/le compagn@ hanno ripreso il treno per Roma. Arrivati alla Stazione Trastevere è partito un corteo spontaneo che ha attraversato tutta Viale Trastevere fino al Lungotevere, con un ingente dispiegamento delle forze dell’ordine in assetto anti-sommossa.

SOLIDARIETA’ CON TUTT@ I/LE RECLUSE NEI CENTRI DI IDENTIFICAZIONE ED ESPULSIONE PER MIGRANTI
LIBERTA’ PER TUTT@

Da Torino invece due BELLE NOTIZIE
Tutti liberi gli arrestati
nell’operazione del 23 febbraio scorso: nessuno dovrà più stare in galera o ai domiciliari, anche se qualcuno avrà l’obbligo di firma. Dopo due settimane, si iniziano a vedere le prime crepe nel castello di accuse malamente costruito dal PM Padalino (in un ritratto) e dal capo della Digos Petronzi (nella foto).

Ma la storia senza dubbio più emozionante è l’evasione di un gruppo di reclusi dal Cie di Torino. Avremmo voluto raccontarvela in anteprima, ma qualche agenzia di stampa ha già battuto la notizia: nella notte tra giovedì e venerdì sono riusciti a scappare almeno in otto, sembra attraverso dei buchi scavati da tempo, e fino ad ora sono ancora tutti liberi.

In culo alla Polizia, agli alpini, alla Croce Rossa e a tutti i magistrati, politici e giornalisti razzisti. Viva la libertà e chi se la conquista!

macerie @ Marzo 13, 2010

Cassazione: al via l’espulsione anche per clandestini con figli a scuola

11 marzo 2010 1 commento

SENTENZA di Cassazione n. 5856 : la vergogna totale!

Con questa sentenza è stato respinto il ricorso di un migrante albanese, clandestino sul suolo italiano.
La moglie, in attesa della cittadinanza, e i suoi due bambini risiedono a Busto Arsizio frequentando regolarmente le scuole.
Il papà aveva presentato ricorso al decreto di espulsione, chiedendo di rimanere in Italia in nome del diritto del “sano sviluppo psicofisico” dei figli, che avrebbero visto il padre espulso dal paese.
La risposta dei giudici è stata chiara. Avrebbero consentito la permanenza al “clandestino” per un periodo di tempo solo per “gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore se determinati da una situazione d’emergenza”. ovviamente andare a scuola tutti i giorni e crescere inserito nella società dove ci si trova non rientra nelle cosiddette “situazioni di emergenza” e quindi la Cassazione ha cassato la richiesta, avallando l’espulsione di quest’uomo. Sono anche stati in grado di dire che se non si fossero comportati in questo modo sarebbero finiti a “strumentalizzare l’infanzia”.
Così ora abbiamo due bambini che potranno dire di non essere stati strumentalizzati mentre vedranno il padre caricato su un aereo verso l’Albania.

13 Marzo 2010: sotto al C.I.E. di Ponte Galeria

10 marzo 2010 Lascia un commento

NOI NON SIAMO COMPLICI

Nei CIE (centri di identificazione ed espulsione) vengono rinchiuse donne e uomini che non hanno commesso reati, ma che sono considerate/i pericolose/i per la società perché sono senza documenti, per la loro nazionalità o etnia.
Domani potrà toccare a qualcun’altra/o.
Solo la società nazista era arrivata a tanto.
Politici di varia estrazione e collocazione hanno prodotto questa aberrazione giuridico sociale.
Efficienti tutori dell’ordine rastrellano le donne e gli uomini migranti e li rinchiudono nei CIE.
Operatori sociali scrupolosi le/ li tengono per mesi rinchiusi in condizioni disumane e le/li rispediscono con ponti aerei nei paesi di provenienza dove spesso sono vittime di regimi filo-occidentali messi apposta al potere per reprimere la popolazione e permettere a noi di portar via le loro ricchezze.

NOI NON SIAMO COMPLICI

Nessuno/a è autorizzato a dire non sapevo.
Nessuno/a si può difendere dicendo obbedivo agli ordini.
Nessuno/a si può nascondere dietro la legalità perché le leggi sono opera degli uomini e quando sono strumento di oppressione vanno abolite.

Queste politiche migratorie e legislazioni securitarie hanno senso solo in una società di sfruttamento come la nostra. Per chi non si adegua c’è reclusione, isolamento, persecuzione, violenza.
E alla lunga scia di morti sospette e di suicidi nei CIE, per le donne si aggiungono le violenze sessuali.
Joy e Hellen ci hanno insegnato che ribellarsi è giusto.

Noi non siamo indifferenti, non siamo complici siamo dalla parte delle recluse/i nei CIE

Saremo anche noi
SABATO 13 MARZO 2010
al presidio sotto il CIE di Ponte Galeria

–appuntamento alle 10.00 alla Stazione Ostiense
–oppure alle 11.00 alla fermata Fiera di Roma del treno per Fiumicino-Aereoporto

donne, femministe, lesbiche contro i CIE
http://noinonsiamocomplici.noblogs.org/

Udienza per gli antirazzisti torinesi!

9 marzo 2010 1 commento

E’ stata fissata per oggi, martedi 9 marzo alle 10.00 del mattino al Tribunale di Torino (settore 2 – scala E – piano III – aula 32313) l’udienza del tribunale del riesame per i sette antirazzisti torinesi colpiti da misure restrittive dal 23 febbraio scorso

Andrea, Fabio, Luca (in carcere alle Vallette), Maja, Paolo, Marco (arresti domiciliari) e Massimo (divieto di dimora in provincia di Torino) dovrebbero essere tutti presenti all’udienza in cui gli avvocati difensori chiederanno la revisione delle assurde misure restrittive chieste dal PM Padalino.
L’udienza sarà a porte chiuse e si preannuncia piuttosto lunga.
La risposta del collegio giudicante dovrebbe arrivare nelle 48 ore successive.
Intanto tra le varie manovre di quel ciccione biloso di Padalino dopo l’isolamento e il divieto di colloquio coi familiari (decisione per fortuna revocata dopo alcuni giorni dal GIP) sembra esserci una richiesta di trasferimento di Andrea, Fabio e Luca dalle Vallette in altre carceri piemontesi, sempre per rendere più profondo il loro distacco dal mondo esterno e solidale.
Sempre il paladino della censura Padalino aveva chiesto ulteriori restrizioni per i tre ai domiciliari dopo la trasmissione radiofonica Macerie condotta su radio blackout da casa di Maja; anche in questo caso il GIP ha dato parere negativo.
Un grazie a tutti per la solidarietà e per le lotte condotte in questi giorni, dentro e fuori dai CIE, contro il razzismo, lo sfruttamento, la reclusione.

LIBERI TUTTI!
FUOCO AI C.I.E.!

Aggiornamenti sugli scioperi della fame nei C.I.E.

8 marzo 2010 2 commenti

A Milano, nel Cie di via Corelli, i detenuti e le detenute in sciopero della fame cominciano ad essere debilitati ed indeboliti. Ad alcune ragazze del reparto trans sono state fatte flebo di liquidi e una è stata portata in ospedale. I reclusi hanno chiesto invano di essere pesati e controllati costantemente da personale medico, come è prassi durante ogni sciopero della fame, ma questo. Tuttavia, nonostante le difficoltà, lo sciopero continua con determinazione, anche grazie alla solidarietà degli antirazzisti che continuamente portano acqua e succhi al centro e mantengono ininterrottamente i contatti.

A Roma, nel Cie di Ponte Galeria, una ventina di reclusi continua lo sciopero: i gestori portano il cibo e loro lo rimandano indietro. Alcuni che avevano iniziato autonomamente lo sciopero qualche giorno prima degli altri sono molto provati, perché oramai sono dieci giorni che non mangiano. A differenza di quanto accade a Milano, a Roma i reclusi sono pesati e monitorati regolarmente, ma la cooperativa Auxilium (subentrata alla Croce Rossa nella gestione del centro da una settimana) non permette che i solidali portino i succhi e le bevande dall’esterno. La dotazione giornaliera di liquidi per ciascun recluso è di un litro d’acqua, ma lo sciopero non si ferma.

A Torino, nel Cie di corso Brunelleschi, lo sciopero nell’area gialla prosegue a staffetta e oggi un recluso in sciopero della fame da parecchi giorni si è sentito male. I suoi compagni di gabbia hanno chiamato la Croce Rossa, il 118 e i solidali fuori. Dopo un’ora di pressioni – dall’interno e dall’esterno del centro – il ragazzo è stato portato all’ospedale per accertamenti.

Bologna invece è un caso a parte. Nel Cie di via Mattei lo sciopero si è interrotto dopo il primo giorno, e soltanto un recluso continua il suo sciopero della fame solitario, anche per motivi personali. La situazione nel centro è molto difficile, perché sembra che l’uso di tranquillanti in questo Cie sia più diffuso che in altri. Ogni volta che i solidali riescono a contattare i reclusi, questi rispondono del tutto intontiti ed addormentati, a qualunque ora del giorno e della notte.

Infine, ecco alcune testimonianze raccolte dal Comitato Antirazzista di Milano e pubblicate sul sito noinonsiamocomplici.noblogs.org

Dalla sezione Trans del Cie di via Corelli, Milano:

“Siamo in 20 persone che stiamo facendo lo sciopero della fame. In ogni stanza siamo in 4 persone.  I muri son pieni di muffa, le lenzuola vengono cambiate una volta alla settimana mentre le coperte non vengono mai cambiate. Ogni quindici giorni ci danno un bagnoschiuma.  Alla sera dobbiamo pulire noi la stanza con la scopa e il secchio. Le finestre sono senza tende così la mattina presto entra la luce. Noi siamo obbligate a mettere le coperte sulla finestra per dormire. Il bagno è uno schifo, è molto sporco.  Gli scarichi son tutti intasati, dobbiamo fare per forza i nostri bisogni in piedi. Alle 8 e mezza di mattina ci portano un bicchiere di latte e una brioche. Non possiamo bere le cose calde se non con la macchinetta a pagamento. Il cibo è molto scadente, ci portano spesso il tacchino. Noi che abbiamo il silicone non possiamo mangiare il tacchino. Per questo a molte di noi sono venute infiammazioni alle protesi, ai fianchi, al seno, nei glutei. Quando andiamo alla Croce Rossa per i nostri problemi di salute ci danno dei tranquillanti per togliere il dolore, ma queste gocce ci fanno addormentare. Quando abbiamo troppo dolore ci danno la tachipirina”.

“Sono qua da una settimana. Ho subito iniziato lo sciopero della fame perché non possiamo stare qua sei mesi.  Inoltre sono sieropositiva, avevo da fare gli esami del sangue per valutare quali medicamenti prendere invece son stata portata qui e mi hanno fatto saltare la visita. Ho avuto tre giorni la febbre molto alta. Stavo così male che mi hanno portato in ospedale, al Policlinico, per un blocco intestinale. Dopo di che mi hanno riportato in Corelli sempre senza le medicine per l’HIV. Io sono in Italia da nove anni, mi sono ammalata in Italia e non posso stare qua dentro. Abbiamo bisogno di mantenerci e di mantenere la nostra famiglia al paese. Noi vogliamo la nostra libertà perché non abbiamo fatto nulla e ci obbligano a stare qua dentro senza potere fare nulla. C’è una psicologa che viene dentro una volta alla settimana, ma tanto alla fine ci danno sempre 30 gocce di Valium per dormire e via… poi diventiamo tutte dipendenti”.

“Io ho avuto un incidente  molto grave fuori da qua. Ero ancora in cura con la fisioterapia e invece mi hanno presa e portata al Cie. Mi ero fratturata  la scapola sinistra, il femore e il ginocchio. Qui spesso la ferita alla gamba mi si infiamma: vado in infermeria, mi danno una crema idratante e basta. Molte di noi sono state prese a Pisa, chi ci viene a trovare ha diritto a sette minuti di colloquio dopo  5 ore di viaggio… È pieno ovunque di scarafaggi e vermi nei water e nella doccia. La polizia ci maltratta, ci trattano come cani, ci insultano dicendo che siamo tutti gay, fanno battute sessiste nei nostri confronti. Quando diciamo cose che non gli vanno bene ci danno schiaffoni in faccia, per qualunque cosa ci aggrediscono e ci trattano come se non fossimo come esseri umani, con totale disprezzo. Sappiamo che una trans a Natale s’è suicidata qua dentro… c’è una ragazza dentro da quattro mesi che ha visto quello che è successo quando la ragazza si è suicidata e ora è del tutto fuori di testa, perché una persona normale non può sopravvivere qua dentro e molti vedono come unica uscita la morte. Ci sono persone con casi psichiatrici e dobbiamo vivere tutti assieme in una situazione di conflitto, con diverse patologie tutti assieme e qua entro siamo costretti a convivere con malattie diverse, neppure in carcere è così”.

Dalla sezione femminile del Cie di via Corelli, Milano:
“Vi racconterò la mia storia. Sono arrivata in Italia come turista perché mi piaceva molto questo paese. L’ultima volta mi ha fermato la polizia, mi hanno chiesto il permesso di soggiorno. Io avevo solo il visto come turista, ma mi hanno portato in questura dove son stata tre giorni e poi in Corelli. Mi hanno presa il 26 gennaio e avevo in tasca il biglietto dell’aereo per tornare in Brasile il 16 febbraio… beh son ancora qui! Ora dovrò uscire da questo paese come una criminale, scortata dai poliziotti. Non immaginavo che in Italia potesse esistere un posto come questo. Mi sento inutile, sto molto male. Ci trattano come animali, e questo è solo l’inizio… dovremo fare sei mesi in questo inferno per poi uscire di qua con un’espulsione per dieci anni. Chiediamo a tutti che ci ascoltino, che anche se ci dicono clandestini siamo gente di buon cuore. Siamo venuti in cerca di una vita migliore. Stiamo facendo lo sciopero per fare capire alla gente che siamo esseri umani e abbiamo il diritto di vivere qua come tutti gli altri e che non ci possono togliere la libertà. Ci dovrebbero esser altri modi per ottenere questo pezzo di carta senza passare da questo inferno. È veramente una legge ingiusta, non so chi l’ha inventata e non vogliamo rispettarla. Per noi l’unica opzione che abbiamo è lottare”.

macerie @ Marzo 7, 2010

Rivolta al C.I.E. di Ponte Galeria

2 marzo 2010 Lascia un commento

Esplode la rivolta a Ponte Galeria

Senza riscaldamenti e senza acqua calda: questo è l’inverno in gabbia tra le sbarre e il cemento del Cie Ponte Galeria a Roma.
Due mesi interi senza assistenza sanitaria, ma i potenti sedativi – la “terapia quotidiana” che viene somministrata ai reclusi – curano perfettamente la sofferenza. «Diamo fondo alle scorte, dal 1° marzo finiscono i giochi» – questa è stata la strategia degli operatori della Croce rossa negli ultimi giorni della loro gestione.
Nel lager della capitale, basta tentare il suicidio per cinque volte in un mese e alla fine un posto in ospedale lo si ottiene di sicuro… Questa è la triste storia di Boukili Wid, liberato tre giorni fa, dopo l’ennesimo e pericolosissimo tentativo di togliersi la vita. Concedere la libertà a una persona disperata è stato l’ultimo atto pietoso e caritatevole che la Croce Rossa ha compiuto all’interno del suo prezioso salvadanaio: il bottino di guerra è stato ridotto all’osso ed è ora di passare la palla al nuovo ente gestore: la cooperativa Auxilium (che gestisce il Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Bari).
I migranti rinchiusi nella sezione maschile, dopo lo sciopero della fame del 12 febbraio scorso, hanno ricevuto un amorevole consiglio dai medici del presidio sanitario: «Continuate a protestare perché dal 1° marzo arrivano quelli che stanno facendo un casino a Bari. Dovrete restare chiusi nelle celle tutto il giorno, avrete diritto solo a due ore d’aria e non esisterà più la mensa… mangerete rinchiusi nelle vostre gabbie».

I giornalisti non aspettano il 1° marzo a Ponte Galeria: i riflettori sono spenti perché qui non c’è facebook e nemmeno la CGIL. Ma i reclusi della sezione maschile decidono comunque di organizzare la propria giornata di lotta.

Ascolta la corrispondenza andata in onda su Radio OndaRossa il 1° marzo 2010
http://www.autistici.org/ondarossa/archivio/100301/pontegaleria.mp3

28 febbraio ore 22.00:
La Croce Rossa si incontra per il passaggio di consegna della gestione del Cie di Ponte Galeria con i dirigenti della Cooperativa Auxilium, che ha vinto la gara d’appalto e che gia’ gestisce il Cara (Centro di accoglienza per richiedenti asilo) di Bari. La polizia fa da immancabile contorno a questo importante avvenimento.
Dalla parte opposta, nell’ ala inaugurata pochi mesi fa, sfruttando il momento che vede concentrati vecchi e nuovi aguzzini su questo grande afffare, si tenta la fuga. Solo un ragazzo riesce a raggiungere il muro di cinta e a tentare il salto verso la libertà. Ma viene inseguito e subito ripreso, e’ il capo stesso della polizia a pestarlo con calci e manganello, di fronte a tutti perche’ sia di esempio. Di fronte ai nuovi, anche se non troppo nuovi, gestori e di fronte ai vecchi gestori che tanto queste pratiche le hanno sempre avvallate. Il ragazzo viene portato via. Inizia la rivolta tra urla e pestaggi della polizia. Si bruciano coperte. Si rompe tutto quello che puo’ essere rotto. Si chiede che venga subito liberato e riportato nella sua sezione. In questo caso la lotta , la rivolta paga! Il ragzzo viene riportato in sezione, malmenato, ma libero dalle mani degli sbirri. La rivolta si calma, sono quasi le 2 di notte.    intervista a un rivoltoso di Ponte Galeria
Ora la situazione all’interno e’ calma anche perche’ molti, la maggiorparte, sono stati sedati, sottoposti a un altra “terapia” forzata. In compenso le cure mediche per chi ne ha bisogno, che non vengono fornite da due interi mesi ancora, non arrivano. Le facce saranno pure nuove ma i metodi sono sempre gli stessi.  intervista la mattina dopo la rivolta

macerie @ Marzo 2, 2010

Da Indymedia leggiamo invece che ieri notte 🙂 verso l’1:00 in varie zone di Roma sono stati accesi focolai in solidarieta’ alla rivolta,della notte scorsa,dei reclusi nel C.I.E di Ponte Galeria.
Solidarieta’ a tutti/e quelli/e che combattono contro l’ abolizione di tutte le galere

Sciopero generale in una Grecia piegata dalla crisi …

25 febbraio 2010 Lascia un commento

Ancora una volta un paese paralizzato e titoli che parlano di “anarchici”, di giovani facinorosi che fanno a botte con la polizia. In realtà è un paese allo sfascio, è un paese incazzato nero da mesi e mesi … che è arrivato alla crisi totale, alla banca rotta, alla svendita al miglior offerente.

Ieri era il giorno del grande sciopero generale indetto per urlare contro questa crisi che rischia di esser pagata solo dai lavoratori, dai cittadini, dagli studenti, dai migranti, non ovviamente dai padroni. I numeri della crisi lasciano senza parole e l’Europa sembra muoversi a rilento nel cercare di trovare una soluzione: si diceva che i paesi dell’Unione fossero pronti a stanziare circa 25 miliardi di euro per le vuotissime casse greche, ma non è rimasta che una voce. Tornare alla dracma, dopo averla svalutata? Si parla anche di questo mentre le piazze scoppiano e i lavoratori incrociano le braccia.

Ieri s’è fermato tutto: chi è sceso in piazza sa benissimo chi deve pagare la crisi, sa benissimo di vivere in un paese piegato da speculatori, da politici incompetenti e collusi (non ci fa pensare proprio a nulla tutto ciò a noi italiani, noi siamoimpegnati a far battaglie per “carcerare” i politici, non per “liberare” gli sfruttati). Ad Atene la manifestazione è stata imponente: più di 40.000 persone hanno occupato le strade della città contro le politiche anti-deficit del governo. A Syntagma sono iniziati gli scontri con uno spezzone di circa trecento manifestanti, che hanno attaccato la polizia con pietre e bottiglie molotov, in risposta alle pesanti cariche dei reparti speciali e al fitto lancio di lacrimogeni e spray urticanti.
Si parla di una sola ragazza in stato di fermo, che avrà un direttissima nel corso della giornata.(proveremo ad avere aggiornamenti a riguardo)

Oltre alle mobilitazioni per lo sciopero generale, le organizzazioni studentesche, il blocco anarchico e altre organizzazioni avevano un secondo appuntamento pomeridiano in piazza Amerikis: una manifestazione Antifascista e Antirazzista in un quartiere che sta subendo (dopo anni di pacifica convivenza con molte comunità migranti da), oltre ad un incremento costante della repressione poliziesca,  costanti attacchi da parte dei gruppi di estrema destra.
Ma poi nel leggere il volantino di convocazione si realizza immediatamente quanto il reale nemico sia lo Stato, più che di melma fascista, spesso solo utile strumento per propagandare odio e bisogno di “ordine” : è lo Stato a far la guerra ai migranti con le nuove leggi di cittadinanza. Lo Stato, ora con le poltrone occupate da un fantomatico partito di sinistra come il Pasok, a mandare avanti politiche di emarginazione sociale, di esclusione, di allontanamento dalla comunità per tutti i migranti. Uno Stato che, a braccetto con le politiche europee, demarca con sempre più netta violenza il confine tra legale e illegale: quello che può restare e quello che deve sparire.

Chi ha tentato di raggiungere Piazza Amerikis è stato bloccato da fitti cordoni della polizia e dei reparti speciali che hanno bloccato qualunque accesso alla marcia anti-razzista e anti-fascista, dichiarando “non autorizzata” qualunque genere di manifestazione. E così ancora scontri, per poi convergere verso i giardini di Patision…

Anche a Salonicco la giornata è stata estremamente calda: grandi mobilitazioni e anche in questo caso scontri con la polizia, che ha violato l’asilo universitario per l’ennesima volta!

Ancora sgomberi a Roma

24 febbraio 2010 1 commento

Ieri all’idroscalo di Ostia oggi a Centocelle. Le politiche abitative diventano ordine pubblico.
Questa mattina intorno alle 10.30 ingenti forze di polizia, carabinieri, finanza e vigili urbani, hanno sgomberato i nuclei familiari che presidiavano da venerdì scorso l’ex scuola Tommaso Grossi in via degli Eucalipti nel VII municipio.
Il primo gruppo di carabinieri ha fatto irruzione sfondando il cancello di entrata, per poi spintonare le persone che hanno provato a resistere pacificamente allo sgombero. Una delle donne che presidiano da venerdì la struttura è stata immobilizzata e minacciata di arresto e solo l’intervento degli altri occupanti ha impedito che questo avvenisse.
Più di dieci persone hanno raggiunto il tetto dell’edificio per proseguire il presidio a oltranza. Più di cinquanta agenti sono saliti e hanno portato coloro che provavano a resistere fuori dalla scuola, provando a dividere i migranti dagli italiani. Questa operazione non è riuscita per l’opposizione di tutti i presenti.
In un clima di continue provocazioni anche la stampa e i fotografi sono stati insultati dalle forze dell’ordine.

Questo avviene alla vigilia del dibattito in consiglio comunale è ha l’obiettivo di avvelenare l’aria e disegnare le prove generali per un piano casa che non fornisce risposte adeguate all’emergenza abitativa di questa città. Attaccare in questo modo, dopo le cariche sotto la prefettura, i movimenti per il diritto all’abitare aumenta la tensione in maniera irresponsabile. Questo avviene perché la politica sta abdicando al suo ruolo consegnando le conseguenze della crisi e i conflitti inevitabili al prefetto e al questore di Roma.
I nuclei sgomberati si riuniranno, ospitati dal Forte Prenestino in via Federico Delpino, in assemblea alle 13.30. insieme ai movimenti per il diritto all’abitare convocano una conferenza stampa per le 15 di oggi sulla piazza del Campidoglio.

Roma 24 febbraio 2010
Movimenti per il diritto all’abitare

RADIO BLACKOUT E’ SOTTO ATTACCO!

24 febbraio 2010 2 commenti

E’ un blog in maternità, lo sapete, quindi arriva alle cose con i suoi tempi, con sommo ritardo ormai su tutto.
Spesso salto proprio intere giornate in cui vorrei parlare di tante cose o segnalare notizie, ma in questi giorni è praticamente impossibile.
Ma questa cosa è gravissima e mi scuote l’anima.
Mi scuote l’anima come compagna, come militante, come redattrice di una radio libera.
I nostri compagni torinesi sono sotto costante attacco da tempo, ma in questi giorni la situazione è pesantemente degenerata.
Arresti, perquisizioni, censura totale con una radio perquisita e quindi in silenzio per ore (per un’ora è stato staccato il segnale e si è riuscito a trasmettere solo dopo cinque lunghe ore) : la Digos torinese festeggia.
Tra gli arrestati tre redattori, computer della redazione, otto hard disk , cellulari e le agende telefoniche della radio.
Con i contatti di tutti, soprattutto dei migranti detenuti in Corso Brunelleschi!
La Digos festeggia: a sentirli hanno preso quelli delle azioni contro la Lega Nord, hanno preso i lanciatori di merda nei ristoranti, hanno preso gli “anarco-insurrezionalisti”!

RADIO BLACKOUT SOTTO ATTACCO

Nel pieno della campagna “spegni la censura, accendi blackout!”, ad un mese dalla scadenza prevista del contratto d’affitto con cui Chiamparino cerca di mettere a tacere una storica voce libera e indipendente della città, Radio Blackout subisce questa mattina un nuovo attacco  censorio e intimidatorio.

Con la scusa di un’operazione di polizia inconsistente, volta a criminalizzare l’Assemblea Antirazzista Torinese, che da mesi organizza appuntamenti pubblici di protesta contro l’orrore dei centri di identificazione ed espulsione, la radio viene di fatto sequestrata per più di 6 ore, impedendoci di andare in onda con il nostro consueto palinsesto di quotidiana contro-informazione. Per più di un’ora è stato anche staccato il segnale radio. Messi sotto sequestro apparecchiature informatiche fondamentali per la quotidiana attività della radio.

La nuova “grande operazione”, fatta di 23 perquisizioni, 3 arresti “cautelari” in carcere e altre 3 custodie ai domiciliari  è costruita, ancora una volta, su reati di scarsissima rilevanza penale: insulti, reati contro il patrimonio, resistenza e violenza a pubblico ufficiale e una generica associazione a delinquere. Tre dei colpiti da questi provvedimenti sono nostri redattori. A ordire la trama contro i “nemici pubblici”, il sostituto Pm  Andrea Padalino, già salito agli onori delle cronache per la proposta razzista di rendere obbligatorie le impronte digitali per gli/le immigrati/e.
Radio Blackout non si è mai sottratta dal denunciare pubblicamente con la propria attività informativa le ossessioni xenofobe di questo pubblico ministero. Non ci stupisce che con la dilatata perquisizione mattutina della nostra sede (e con l’operazione tutta) il Pm in odore di carriera cerchi anche una personale vendetta.

L’indagine si sgonfierà presto, il tutto si risolverà ancora una volta in un nulla di fatto. Ma intanto, attraverso la scusa di misure “cautelari”, s’imprigionano e zittiscono le voci scomode. Per parte nostra diamo tutta la nostra solidarietà agli arresati e denunciati. Come mezzo di comunicazione libero e indipendente denunciamo la pretestuosità di un attacco che giudichiamo censorio e intimidatorio. Un attacco che, guarda caso, cade in un momento  particolare della vita di Radio blackout e della stessa città di Torino. Mentre si preparano le elezioni regionali e l’ostensione della sindone, le contraddizioni che attraversano la città e il territorio circostante restano tutte aperte: crisi, disoccupazione,casse integrazione che volgono al termine, l’opposizione popolare all’Alta Velocità, le ribellioni dentro i Cie, il massacro della scuola pubblica. Si cerca insomma  di normalizzare una delle poche voci libere della città.

Ma Radio Blackout non si fa intimidire  e rilancia: la data di scadenza sul tappo continuiamo a non vederla… Spegni la censura, accendi Blackout!

23 febbraio 2010
La redazione di Radio Blackout

Tutt@ a salutarle, prima della deportazione … la solidarietà è un’arma!

12 febbraio 2010 Lascia un commento

Sabato 13 febbraio 2010 appuntamento alle 10.00 di mattina alla stazione Ostiense per andare al CIE di Ponte Galeria a salutare Helen e Florence e far sentire la nostra solidarietà ai reclusi e alle recluse in sciopero della fame.
La notte scorsa hanno trasferito furtivamente in diversi CIE le cinque donne imprigionate dopo la rivolta nel CIE di via Corelli a Milano, che il 12 febbraio avrebbero dovuto essere scarcerate insieme a Mohamed Ellabboubi, morto in circostanze misteriose nel carcere di San Vittore.
Stanno cercando di obbligarle al silenzio perché durante il processo una di loro ha denunciato il tentativo di stupro da parte dell’ispettore-capo Vittorio Addesso.
Pensano così di indebolire la solidarietà e la protesta dentro e fuori i lager di stato, che in questi mesi si è sviluppata in diverse città.

Joy, Helen, Florence, Debbie, Priscilla e tutti i rivoltosi di Corelli non sono più invisibili.
La violenza istituzionale sulla loro pelle non deve passare inosservata.
La solidarietà è un’arma!

Invitiamo tutti e tutte sabato 13 febbraio alle 10.00 alla stazione Ostiense per andare in treno davanti al CIE di Ponte Galeria.
Saluteremo Helen e Florence che stanno per essere deportate a Ponte Galeria ed esprimeremo sostegno ai reclusi e alle recluse in sciopero della fame nei CIE di Roma, Torino, Milano e Bari.

FINCHE’ I CIE ESISTERANNO NESSUNO E NESSUNA POTRA’ DIRSI LIBERO/A CONTRO LA VIOLENZA RAZZISTA E SESSISTA DELLO STATO CONTRO OGNI GABBIA E REPRESSIONE LIBERTA’ PER TUTTI E TUTTE CHIUDERE I CIE

Con Joy ed Hellen. Basta Deportazioni

6 febbraio 2010 Lascia un commento

Il 04/02/2010 l’avvocato Massimiliano D’Alessio chiama in carcere a Como, per l’istanza depositata nel tribunale di Milano il 2 febbraio scorso, che gli autorizza l’ingresso in carcere insieme all’interprete nigeriana per incontrare in colloquio la sua assistita Joy.
Dall’ufficio colloqui del carcere rispondono che è tutto a posto per la suddetta visita.
Il giorno seguente, venerdì 5 febbraio 2010, l’avvocato insieme all’interprete si presenta all’ufficio colloqui del carcere di Como per incontrare la sua assistita e gli viene detto che Joy il 4 febbraio 2010 ha revocato la nomina al suo avvocato di fiducia, Massimiliano d’Alessio, nominando l’avvocata d’ufficio che le avevano assegnato in precedenza e con la quale non ha mai avuto un colloquio né un contatto.
Non avendo potuto incontrarla non ci spieghiamo come Joy abbia potuto scegliere di cambiare l’avvocato che la seguiva fino a quel momento nel processo di appello per la rivolta dello scorso agosto nel Cie di via Corelli a Milano e nella denuncia per tentata violenza sessuale nei confronti dell’ispettore capo dello stesso Cie, Vittorio Addesso, mettendosi così nelle mani di un’emerita sconosciuta.
Allora ci chiediamo: ma ha fatto la richiesta veramente Joy? Quale ‘forza oscura’ l’ha indotta a farlo? In questo modo non ha potuto parlare con il suo avvocato e la interprete nigeriana. Perchè succedono queste cose improvvise? C’è qualcuno o qualcosa che non vuole che si sappia come è andata la vicenda?
Non abbiamo potuto vedere Joy, non abbiamo potuto parlare con Joy, non sappiamo come stia, non sappiamo cosa pensi, non abbiamo potuto dirle che il 12 febbraio, giorno della sua scarcerazione, saremo lì fuori ad aspettarla.
Lei continua a lottare, ma purtroppo è in carcere dove non possiamo comunicare con lei perché loro non vogliono.
Dobbiamo far sapere a tutti che non possono zittirla perchè siamo noi la sua voce!

Appuntamento 12 febbraio ore 6.30 di mattina davanti alla stazione di Albate Camerlata Fs. Dalle ore 7 in poi davanti al carcere di Como – in via Bassone 11 – per aspettare Joy!
Invitiamo chi non può venire a Como a costruire iniziative a supporto del presidio nel territorio in cui vive.

Un ottimo documento dalla/sulla Calabria

28 gennaio 2010 Lascia un commento

Rosarno l’alibi del razzismo e della ‘Ndrangheta
24/01/2010
di ELISABETTA DELLA CORTE e FRANCO PIPERNO

 Sono trascorse alcune settimane dai fatti di Rosarno, ricostruiti ormai con dettaglio e commentati con dovizia, sui mezzi d’informazione; sicché è possibile fare il punto, per quanto provvisorio, su quel che è accaduto e sulle cause congetturali.Diciamo subito che, per noi, i moti di Rosarno, sono un segnale precursore dello scenario, inedito e maligno, che sembra aprirsi per l’agricoltura meridionale, in particolare per quella delle grandi piane.Invece, su quei fatti, gli opinionisti dei giornali del Nord hanno, di preferenza, cercato la genesi nella pulsione xenofoba, se non propriamente razzista, che abita l’anima calabrese; mentre i commentatori dei giornali del Sud hanno, per la gran parte, sposato la tesi secondo la quale tutto ha origine dalle cosche della ‘ndrangheta: sono i boss che hanno fomentato la rivolta tanto tra i braccianti neri quanto tra i cittadini italiani della Piana.
Noi riteniamo che entrambe queste spiegazioni finiscano col rendere ancor più confuso ciò che, in principio, avrebbero dovuto chiarire; e tutte e due approdano alla invocazione insana: più stato nel Meridione; come se, a datare dall’Unità d’Italia e per centocinquanta anni questa strategia non avesse procurato abbastanza danni.

Vediamo le cose più da vicino. Fuor di retorica, tanto la xenofobia, ovvero la paura del forestiero, quanto il razzismo, cioè il disconoscimento della comune natura per colui che ha caratteri somatici diversi, entrambi i sentimenti o i risentimenti, essendo, purtroppo, generalmente umani, si ritrovano certo tra gli abitanti di Rosarno, come a Treviso, a Biella o nel Cantone dei Grigioni. Ma sostenere che questi deplorevoli pregiudizi siano talmente egemoni da determinare la sentimentalità dei calabresi è contrario ad ogni evidenza da secoli, nella nostra regione, distribuite a macchia di leopardo, convivono con successo minoranze diverse per etnia, lingua o religione; nel recente passato, cioè negli ultimi venti anni, si sono verificati rari casi d’intolleranza verso i forestieri, certo molti di meno di quanto sia accaduto nel resto d’Europa; e, viceversa, tanto a Rosarno quanto a Badolato, a Riace come a Soverato non sono mancate esemplari occasioni d’accoglienza e di solidarietà verso i migranti, come ben mostra l’ultimo film di Wenders.
Possiamo ragionevolmente concludere che il razzismo come chiave esplicativa risulta di una vaghezza frettolosa e frustrante.
Quanto alla ‘ndrangheta, l’attribuzione di responsabilità nei fatti di Rosarno non proviene da inchieste o ricostruzioni o studi documentati; piuttosto è una assunzione congetturale, anzi mitica; argomentata, grosso modo, così: data l’onnipotenza demoniaca della ‘ndrangheta, sia quel che accade sia quel che non accade a Rosarno è riconducibile, in ultima analisi, alla strategia malavitosa; i criminali non possono non sapere, quindi tirano le file del gioco. Qui, la ‘ndrangheta è divenuta una sorta di “causa assoluta”; v’è all’opera, in questo modo di ragionare, uno sprovveduto rovesciamento cognitivo che scambia gli effetti con le cause: non sono le condizioni socio-culturali delle città della piana a generare e rigenerare la ‘ndrangheta ma, viceversa, è la criminalità stessa a produrre quelle condizioni.
Si noti che l’individuazione della ‘ndrangheta come causa assoluta gode di particolare favore tra i professionisti dell’antimafia, per dirla con Sciascia. Questi, così, oltre ad assicurasi quattro paghe per il lesso, finiscono con l’assolvere dalle responsabilità specifiche in ordine alla degradazione della vita civile calabrese, i politici nazionali e locali, nonché tutto il ceto dirigente della regione, imprenditori, giornalisti e universitari compresi.
Val la pena sottolineare l’intrinseca inconsistenza di questa spiegazione: da una parte, la cattiva potenza della ‘ndrangheta viene amplificata oltre ogni misura, attribuendole, nella rappresentazione, una strategia assai astuta ed un’efficacia paranoica; dall’altra le vengono addebitate azioni e gesti che si rivelano idioti, inconcludenti e suicidi, ancora prima che criminali.
Infatti, per dirne una, che tornaconto potrebbe mai avere la ‘ndrangheta a fomentare rivolte nei territori che controlla? Stante la dimensione internazionale delle sue imprese, essa, con ogni evidenza, è interessata a svolgere i propri affari nella quiete sociale; quiete che, certo, non desidera l’arrivo massiccio di magistrati, forze dell’ordine, giornalisti e studiosi della domenica.

Il miracolo economico dei giardini e la condizione di vita del migrante

Agrumeti nella Piana tirrenica

Per noi, la genesi dei fatti di Rosarno va, di sicuro, cercata localmente; ma non già nella malavita piuttosto nella struttura economico-sociale del luogo.
Per ricostruire, per l’essenziale, questa struttura ci serviremo liberamente delle ricerche dei sociologi dell’Università della Calabria, in particolare cfr. Tesi di Antonio Sanguinetti, La resistenza dei migranti: il caso Rosarno, 2009, Unical).
Rosarno, cinquemila famiglie, ha da lungo tempo una economia incentrata sulla produzione agricola, in particolare oliveti ed agrumeti. La proprietà della terra, decisamente frantumata, è distribuita tra poco meno di duemila famiglie, ciascuna delle quali possiede in media un ettaro o poco più; insomma ad ognuna un “giardino”, come dicono a Rosarno. Fino a qualche anno fa, vi erano oltre mille e seicento aziende agricole, quasi una a famiglia, che davano lavoro, più o meno continuativo, a circa tremila braccianti rosarnesi, poco meno di due per azienda. A partire dagli anni ‘90 e fino al 2008, i contributi finanziari europei per l’agricoltura meridionale venivano concessi in proporzione alla quantità di agrumi prodotta; questo faceva sì che per ogni ettaro il proprietario percepisse una sorta di rendita fondiaria annua, garantita dalla burocrazia europea, nella misura di circa 8.000€ per ettaro. Per i tremila braccianti v’era la protezione previdenziale dell’Inps: bastava lavorare 51 giorni, 5 in caso di calamità naturali, per aver poi diritto ad un assegno di disoccupazione per tutto l’anno.
In effetti, molti tra i braccianti rosarnesi preferiscono, oggi come allora, percepire l’indennità di disoccupazione e svolgere altri lavori; dal momento che, negli agrumeti, a raccogliere le arance, basta ed avanza la fatica penosa dei migranti stranieri, totalmente flessibile ed a costi irrisori.
Così, gli agrumi di Rosarno erano competitivi sul mercato delle derrate alimentari, data la stabilità del prezzo di vendita. Anzi di più: per oltre un decennio la produzione dei giardini è costantemente cresciuta; e la città ha vissuto un generale aumento del reddito monetario.
A vero dire, questo incremento della quantità di arance, realizzato con continuità senza alcuna miglioria nelle tecniche agricole, aveva qualcosa che sembrava venire dal nulla, un atto creativo. Ma nessuna autorità nazionale o locale appariva inquieta per quella stranezza, non uno tra I numerosi “predicatori di legalità” ne era turbato, non un solo studioso si mostrava incuriosito; e perfino tra i giovani cronisti a caccia di “scoop” non se ne trovava uno che prestasse attenzione a quella bizzarria.
Infatti, il miracolo economico nella piana tirrenica si basava sulla frode e la pubblica menzogna; come per altro accadeva in quegli stessi anni alla produzione lattiera nell’Italia del Nord, o, globalmente, alla finanza creativa.La cosa funzionava così: le cooperative dei piccoli proprietari, raccoglievano le arance per poi smerciarle verso i grandi mercati ortofrutticoli e le industrie alimentari del Nord. Queste stesse associazioni, dirette da un personale proveniente equamente dal  ceto politico di centrosinistra e di centrodestra, gestivano i contributi europei. Poiché questi ultimi erano proporzionali alle quantità di agrumi conferiti dai contadini alle cooperative, Rosarno produceva una sterminata quantità di arance, molte sugli alberi, ma molte di più sulla carta. Se il contadino portava un certo ammontare di agrumi, l’associazione, nella fattura, ne dichiarava tre, cinque, perfino dieci volte tanto. I proprietari degli agrumeti incassavano così dei contributi finanziari gonfiati, che, in misura assai modesta, stornavano ai contadini per assicurarsi, a buon mercato, la complicità collettiva per quella dei disoccupati rosarnesi ci pensava, come abbiamo notato, l’Inps con i suoi elenchi falsi e senza fine di braccianti agricoli per i quali non veniva versato quanto dovuto alla previdenza. Attorno a questa truffa di massa, ne erano sbocciate poi svariate altre, sempre sui fondi europei; in particolare erano sorte numerose industrie che trasformavano le arance di carta in succhi di carta, come è giusto che sia.
A Rosarno, dagli anni Novanta e fino a poco fa, s’è venuto così delineando un insolito modo di produzione che intreccia tra loro epoche o meglio temporalità diverse; temporalità che, nella storia dell’occidente, s’erano snodate secondo un prima ed un poi, appaiono nella Piana tutte insieme contemporaneamente.
Intanto, v’è una temporalità protocapitalistica, quella dell’accumulazione primitiva. Di questa temporalità partecipano tanto i proprietari dei giardini quanto i migranti che lavorano come stagionali in quegli agrumeti. 
I primi, “capitalisti pezzenti”, posseduti dal funesto desiderio di arricchirsi in fretta, non vanno tanto per il sottile; e manifestano senza ritegno quella ferocia sociale, quello spirito animale proprio del capitalismo nella fase nascente. Essi esercitano la loro egemonia sui braccianti agricoli rosarnesi attraverso la pratica del tutto discrezionale delle assunzioni, tanto di quelle vere quanto, e soprattutto, di quelle false.

Foto di Peregrinus2009

Gli altri, i migranti, in maggioranza africani, sono, come al tempo della manifattura nell’Inghilterra dell’inizio Ottocento, nuda forza-lavoro, priva di mutua, contratto e protezione sindacale. Non solo lavorano al nero, come del resto accade frequentemente e più in generale nell’economia calabrese anche per i cittadini italiani; ma percepiscono un salario nero che è meno della metà di quello, pur sempre nero, corrisposto al bracciante indigeno.V’è poi l’intrico della previdenza sociale, dove il bizantinismo delle regole riporta alla politica agraria corporativa, al tempo di Bonomi, al regime democristiano nel secondo Dopoguerra. Infine, v’è la temporalità post-moderna, quella propria alla burocrazia europea che nella sua illuminata astrazione finisce col favorire l’agricoltura creativa, di carta; così come ha reso possibile la finanza creativa, quella appunto di carta. Questo improbabile assetto economico ha retto bene per quasi un ventennio; ma, ecco che, pochi anni fa, si sono avvertiti i primi scricchiolii; qualcuno tra i magistrati assopiti nella lotta alla mafia si è come destato, sono partite le prime inchieste, qualche truffa particolarmente clamorosa è venuta alla luce; perfino l’Inps è sembrata uscire dal letargo per rivedere l’elenco dei braccianti registrati e sfoltirlo di quasi la metà. Poi, nel 2008, si sono aggiunti, buon ultimi, i burocrati di Bruxelles: allarmati dalla scoperta delle truffe, hanno bruscamente deciso di mutare il criterio d’erogazione dei contributi, legandolo agli ettari e non più alla produzione. Questo ha comportato che laddove, prima, il proprietario di un giardino riceveva 8.000€ ad ettaro, ora riesce ad ottenerne un po’ meno di 1.500€. Tanto è bastato perché ci fosse una severa ed immediata contrazione del numero delle aziende in agricoltura ed ancor più nella trasformazione e nel commercio.

La crisi globale e la lotta di classe nella Piana tirrenica

Così stavano le cose a Rosarno, quando, l’anno scorso, la crisi finanziaria globale è arrivata anche nella piana: il prezzo delle arance è crollato sul mercato internazionale mentre giungevano circa un migliaio in più di migranti, licenziati dalle fabbriche del Centro-Nord e presi dal tentativo di ottenere reddito, sia pure minimo ed al nero, nelle campagne del Sud.
A questo punto, a Rosarno, ci si è trovati a dover far fronte contemporaneamente a tre difficoltà: riduzione drastica dei contributi finanziari europei all’agricoltura, caduta globale della domanda di derrate alimentari, aumento della concentrazione locale di migranti in cerca di lavoro. L’interferenza di questi fattori ha innescato uno scontro di classe tra, da una parte, il blocco sociale aggregato attorno ai piccoli proprietari; dall’altra, migliaia di migranti che da decenni usano lavorare come stagionali in quei giardini. Per riassumere la situazione con una immagine: a Rosarno, quest’anno, gran parte delle arance sono restate sugli alberi, il loro prezzo di vendita non copre neppure il costo di produzione. Laddove qualche anno fa occorrevano, per il lavoro di raccolta, oltre 2000 migranti quest’anno ne bastavano meno di 200; mentre la crisi economica ne ha portato nella Piana quasi 3000. 
Si sono create le condizioni per uno scontro sociale: il diritto al profitto del “capitalista pezzente” contro la consuetudine dei “migrante moro” di trarre, ogni anno, a Rosarno, un reddito di sopravvivenza.
Già a dicembre scorso, nel giro di poche settimane, l’aria era cambiata. I rosarnesi, egemonizzati dai proprietari degli agrumeti, hanno cominciato ad avvertire la presenza dei migranti come eccedente ed inutile; prima erano braccia che lavoravano per loro, poi sono divenuti vagabondi stranieri da rinviare a casa loro; in fretta, talmente in fretta da lasciarli creditori, da non aver tempo per pagare loro quel lavoro al nero che alcuni avevano comunque compiuto.
Nella totale incapacità di mediazione politica da parte della regione o della prefettura di Reggio,è venuto così montando un disagio anzi una sorta di odio di classe tra rosarnesi e migranti, quando non una vera e propria ostilità fisica. In queste circostanze è bastato un gesto irresponsabile o forse una consapevole provocazione, la cui gravità è stata ingigantita dalle voci, dai rumori, per accendere la miccia della esplosione sociale ma, sia ripetuto qui per inciso, il razzismo ha avuto un ruolo meramente folklorico: fossero stati, i migranti, tutti alti e biondi e con gli occhi azzurri, l’antagonismo e lo scontro sociale, tra imprenditori e salariati giornalieri, nelle condizioni date, si sarebbero svolti, più o meno, allo stesso modo.

Imparare dai fatti

Certo, i tumulti di Rosarno sono gravi, non già per quel che è accaduto, ma piuttosto per la situazione socio-culturale che hanno svelato preesistere; e che riguarda sì la Piana tirrenica ma anche quella jonica e molti altri luoghi di sviluppo, diciamo così, della agricoltura meridionale. Questa situazione è caratterizzata dalla pubblica ipocrisia. Si badi, quello che qui è in gioco non è il comportamento fraudolento, sempre possible perché la carne è fragile; e nemmeno la dimensione collettiva di quell comportamento che anzi testimonia una certa potenza cooperativa; piuttosto, l’aspetto maligno sta in quel pubblico omaggio che in Calabria le autorità tutte, locali e nazionali, i giornali, i vescovi, i presidi delle scuole, giù giù fino a qualche noto ladro rendono alla legalità, invocata ossessivamente come uno scongiuro, malgrado che il comune sentire ben sappia di quanta banale e sistematica violazione di ogni buona abitudine sia intrisa quella legalità di cui si declamano le lodi.
L’ipocrisia pubblica ha consentito che, per anni, giunte e consiglieri, regionali, provinciali, comunali, commissari prefettizi, Protezione civile, magistrati e poliziotti, deputati e senatori ignorassero le condizioni subumane, oltreché illegali, nelle quali vivevano e vivono migliaia di migranti costretti al lavoro nero nelle campagne meridionali. Come in un tic nevrotico collettivo, tutti rimuovevano e quindi non v’erano responsabili; così, in venti anni, nessuna, tra le variegate autorità ha avuto modo di promuovere una azione d’emergenza per garantire ai migranti alloggi, acqua, luce e servizi igienici, come era possibile e come per altro è avvenuto in altre regioni.
Di passaggio, val la pena notare come l’assenza di responsabilità, conseguenza della pubblica ipocrisia, spieghi un particolare insolito che ha connotato quegli eventi: malgrado il tradizionale presenzialismo della rappresentanza meridionale, nessuno dei leader politici regionali si è visto nelle piazze di Rosarno durante i moti e questo con ragione dal momento che i migranti non votano.
Ma l’ipocrisia non riguarda solo le autorità locali, anche i sindacati ne sono interamente coinvolti. Come abbiamo già osservato, gran parte del lavoro dipendente, nel settore privato, si svolge al nero in Calabria;i grandi sindacati niente fanno per far valere nel Meridione la legislazione sociale, i contratti nazionali non sono applicati, e forse sono inapplicabili; eppure è proprio la contrattazione centralizzata a fornire vuoi la giustificazione ideologica dell’esistenza vuoi l’autoconservazione materiale della burocrazia sindacale. Questa è l’ipocrisia storica che segna la vita sindacale calabrese da mezzo secolo. Poi, ve n’è un’altra, bruciante, offensiva, subentrata nell’ultimo decennio, che può essere descritta così: la massa di lavoro vivo che valorizza l’agricoltura calabrese è pressoché tutta concentrata nei corpi dei migranti neri, ma la trimurti sindacale, costipata dai pensionati, non riesce neppure a parlare con quei giornalieri dalle mani callose. Insomma, i soli lavoratori che popolano le nostre campagne sono degli sconosciuti per il sindacato dei lavoratori, forse per scelta forse per incapacità. 
Tuttavia, sarebbe certo omissivo non ricordare che la partecipazione alla pubblica ipocrisia va ben oltre il ceto politico e sindacale. Quel triste sentimento ha fatto nido nell’anima di molti di noi, di quasi tutti noi calabresi. Gli unici ad esserne sostanzialmente restati immuni sono coloro che appartengono al mondo delle libere associazioni, al volontariato cattolico, ai centri sociali. E dobbiamo ringraziare i migranti di Rosarno se questo scenario è affiorato con chiarezza alla coscienza comune.

Qualche modesta proposta per agire qui ed ora

Il mondo delle associazioni, queste comunità agenti, è l’unico interlocutore autentico dei migranti, l’unico che possa chiedere loro scusa per ciò che è avvenuto ed avviene, a nome e per conto di tutti noi. Va da sé che, in casi come questo, le scuse non si declinano con le parole ma con gesti ed azioni. Per esempio, promuovere una campagna d’accusa contro la regione per costringerla immediatamente ad un programma d’edilizia d’emergenza nelle piane e nelle zone agricole frequentate dai migranti. Una gesto analogo si potrebbe agire contro i tre Atenei calabresi perché offrano accessi gratuiti e borse di studio non tanto a caso, come già fanno per spagnoli e cinesi; ma piuttosto a quei giovani migranti istruiti che, lavorando già nelle nostre piane, intendano completare la loro formazione con un curriculum accademico. Ma non v’è dubbio che, per il mondo delle associazioni, l’obiettivo principale da perseguire, la via maestra per offrire solidarietà ai migranti, non sta nel rivendicare al posto loro bensì nel promuoverne l’autonomia sociale, nell’aiutarli ad auto-organizzarsi. Infatti, la garanzia per assicurare dignità al lavoro nero non sta nella legge, regionale o nazionale che sia, ma nell’organizzazione consapevole degli stessi migranti in grado di rovesciare il rapporto di forza oggi a loro decisamente sfavorevole. Per far questo, occorre nell’immediato, conoscere per agire: bisogna aprire, usando lo spazio della rete, una grande inchiesta di massa documentando, con filmati ed interviste, storie e condizioni di vita e di lavoro dei migranti nelle campagne calabresi. La ricerca dovrebbe ricalcare il metodo delle inchieste operaie degli anni Settanta, che erano, ad un tempo, strumenti di conoscenza e stimoli esterni, qualche volta giacobini, verso l’auto-organizzazione.
A questo proposito, se l’inchiesta parte subito, v’è una fortunate occasione per convertire conoscenza in azione e viceversa. Da qualche settimana, circola tra i migranti di tutta Italia la bella idea di una giornata di sciopero generale; per le calende di marzo, organizzata autonomamente, prescindendo da sindacati e partiti, come accadeva all’origine del capitalismo. 
A noi sembra che contribuire al successo di questo sciopero sia un adeguato gesto risarcitorio per quel che è accaduto durante i moti di Rosarno. Infatti, non c’è chi non veda quale salto di consapevolezza provocherebbe il successo dell’iniziativa, facendo emergere, in un solo giorno, come in un lampo, nella comune coscienza, la potenza cooperativa dei migranti; senza i quali, non solo l’economia, ma la stessa vita civile della nazione appare messa a rischio.

Cortese Signor Ministro, lei è uno schiavista di merda

26 gennaio 2010 5 commenti

DAL SITO MACERIE
Nel pomeriggio un gruppone di giovani si materializza in mezzo al popoloso quartiere torinese di San Salvario, proprio di fronte alla solita sede della Lega Nord di largo Saluzzo. Qualcuno entra, con in mano una tenda da campeggio ed una missiva da inviare al ministero degli Interni: la tenda è presto montata, nella stanza un po’ angusta e gremita di vecchi. Inviare lo scritto, invece, è più complicato: alla scrivania dove è appoggiato il fax c’è il responsabile che sbraita e protesta e telefona nervosamente alla polizia, mentre toglie i fogli dalla macchinetta.
Dopo pochi secondi, con un gran «Porco Dio!», il leghista tira un furioso cazzotto sul tavolo facendo perdere qualche pezzo al fax rendendolo inutilizzabile. Niente da fare, allora: la missiva al Ministro sarà consegnata a mano, magari dagli agenti della Digos che arriveranno anche questa volta troppo tardi. Sopra c’è scritto che Maroni è uno «schiavista di merda» e si ricordano i fatti di Rosarno, gli stranieri rastrellati con l’inganno e trattenuti dentro a tende da profughi nel Cie di Bari in attesa dell’espulsione. Ancora qualche minuto a riempire di insulti i leghisti, e i nostri sono di nuovo fuori dalla sede insieme agli altri che intanto hanno tirato fuori striscione megafono. Si parte in corteo per il quartiere, riempiendo l’aria di slogan e i muri di manifesti.

Si parla di Rosarno, certo, ma anche della morte di Mohammed a San Vittore e del processo per il rogo di Vincennes in corso a Parigi. Arriva anche una pattuglia con i lampeggianti, che i manifestanti dribblano senza difficoltà. Come sempre a San Salvario, i passanti si fermano, commentano, approvano, si mettono a parlare: fino a quando, in piazza Madama Cristina, il piccolo corteo scompare nel nulla.

IL TESTO DEL FAX PER MARONI:

Alla C.A. del Sig. Ministro 
Roberto Maroni 
c/o Ministero dell’Interno 
Piazza del Viminale n. 1 – 00184  Roma 
Fax + 39 06.46549832 

e p. c. 
Lega Nord – Segreteria Federale 
via Carlo Bellerio, 41 – 20161 Milano 
tel. 02 66234.1 fax 02 6454475 

Cortese Signor Ministro, 
Lei è uno schiavista, uno schiavista di merda. Lo diciamo così, senza alcun rispetto per la Sua persona e per il Suo ruolo Istituzionale, senza tanti giri di parole. 
Lei è uno schiavista perché nei giorni di Rosarno ha provato paura: dopo anni di sfruttamento bestiale e di apartheid, gli schiavi hanno rialzato la testa, riversandosi nelle strade e scontrandosi con la Sua polizia. 
Lei è uno schiavista perché nei giorni di Rosarno ha riso sotto ai baffi: finalmente la guerra razziale alla quale Lei e quelli del Suo partito avete lavorato per vent’anni ha fatto capolino ed ha cominciato a mostrare tutti i suoi vantaggi, cacciando a sprangate le braccia ribelli ed in esubero. 
Lei è uno schiavista perché nei giorni di Rosarno si è assunto in prima persona gli oneri della pulizia etnica. Prima facendo trasportare nei Centri per richiedenti asilo i fuggiaschi e poi schedandoli a tradimento e internando i senza-documenti nei Cie, per prepararne l’espulsione. 
Proprio come profughi di guerra molti di loro sono costretti a dormire sotto tende militari, dietro al filo spinato dei Centri. 
Lei è uno schiavista, uno schiavista di merda, perché nei giorni di Rosarno si è preso la soddisfazione di lanciare a tutti un doppio monito.
«Ecco cosa succede a rivoltarsi». Ma anche e soprattutto «ecco cosa succede ad esistere, quando si è di troppo». 
Lei è il Ministro, il ministro della Polizia, e in effetti non potevamo aspettarci nient’altro da Lei. 
Noi invece siamo gente di strada e da sempre stiamo dalla parte dei ribelli: sappia allora cosa aspettarsi da noi. 
Cogliamo questa occasione, senza dubbio un poco insolita, per porgerle i nostri più sentiti saluti. 

Alcuni antischiavisti torinesi

AVOID SHOTING BLACKS, incontro pubblico all’ ex Snia

22 gennaio 2010 Lascia un commento

L’Osservatorio Antirazzista Territoriale Pigneto – Tor Pignattara
presenta
DOMENICA 24 GENNAIO 2010
ORE 18:00

AVOID SHOTING BLACKS
non sparare all’uomo nero

L’uomo nero, quello di cui ci parlavano da bambini per farci stare buoni, per farci ubbidire in silenzio, oggi lo incontriamo tutti i giorni: per le strade, nelle fabbrichette, nei campi, nelle case che nessun padrone vuole fittare.
I grandi di oggi, quelli che ci vogliono bambini ubbidienti, quelli che si riuniscono nei consigli dei ministri o in quelli d’amministrazione, ne vogliono tanti, come carboni da bruciare per far camminare la macchina a vapore di un sistema ingiusto, mentre noi, sempre più in affanno, alimentiamo il forno sudando senza posa.
E li vogliono neri, senza un volto e senza voce, a confondersi nella notte, ad affollare le nostre paure.
Ti tolgono la casa? Tutta colpa dell’uomo nero.
Ti tolgono il lavoro? Tutta colpa dell’uomo nero.
Non ci sono posti all’asilo nido? Tutta colpa dell’uomo nero.
Tutto questo ti fa rabbia? Devi sparare all’uomo nero.

Con le leggi sui flussi migratori, dalla Turco-Napolitano al Pacchetto-Sicurezza, passando per la Bossi-Fini, i governanti di ogni colore consegnano esseri umani senza diritti come carne da macello a padroni sempre più ingordi e feroci.
Quando questi uomini e donne si ribellano, gli stessi armano la mano di bianchi sottomessi per ricacciarli nel buio della clandestinità silente.

Rosarno non è solo la sottosviluppata periferia d’Europa. Rosarno è oggi il centro del mondo. Quello ch’è successo lì, oggi ci riguarda tutti.

Ne discutiamo con:
– i compagni e le compagne dell’Osservatorio Migranti Rosarno e della Rete Migranti reggina;
– i compagni e le compagne dell’ex Canapificio di Caserta;
– Mattia Vitiello, sociologo, studioso dei fenomeni riguardanti la manodopera immigrata impiegata in agricoltura;
– il connettivo terraTERRA.

Modera l’associazione DaSud

Sono invitate ad intervenire tutte le realtà del movimento antirazzista, gli agricoltori e i lavoratori immigrati.  

CSOA eXSnia
via Prenestina 173
www.exsnia.it

 

contatti@exsnia.it
bakunino@micso.net
6antirazzista@inventati.org

Volevate gli schiavi, avete la sommossa

17 gennaio 2010 Lascia un commento

Rigurgito dal passato o spioncino sul futuro? Ad una settimana di distanza è questa la domanda che ci preme formulare pensando a Rosarno. Risposte chiare e univoche, ovviamente, non ne sappiamo dare ma state sicuri che diffidamo – ostinatamente e per metodo  – di chi vorrebbe farci dormire sonni tranquilli.

Sui fatti, in fondo, c’è poco da discutere.
La rivolta sacrosanta di gente sottoposta ad uno sfruttamento bestiale, ammassata ai margini dell’abitato e umiliata ogni giorno, ora dopo ora. Gente utile finché può essere messa al lavoro e fino a che se ne sta zitta e discosta, rinchiusa in una condizione di apartheid non dichiarata ma concreta e rigidissima. Gente in eccedenza, invece, quando il mercato è tanto spietato che neanche ad utilizzar schiavi puoi reggere la concorrenza, quando anche il gioco delle sovvenzioni e dei finanziamenti si inceppa e non produce più quattrini. Gente ancor più di troppo perché reduce da una doppia  fuga: quella originaria dai paesi martoriati dell’Africa centrale e quella recente dalle metropoli del Nord dell’Italia, dove la guerra ai poveri si respira nell’aria insieme allo smog del traffico cittadino. A reprimere la rivolta arriva lo scatenamento etnico, ed ha la meglio su tutto. Tanto che nel giro di poche ore quegli stessi poliziotti prima impegnati a darsele di santa ragione con i rivoltosi si trasformano in truppa di interposizione, in scorta armata dei rivoltosi tramutatisi in profughi in fuga. Sul campo arrivano operatori umanitari, come in ogni guerra moderna, e rappresentanti delle Nazioni Unite, a controllare che il disastro segua un corso bene ordinato.
Lo scontro assassino, la pulizia etnica, si svela per quel che è: uno strumento dell’economia politica. Ora a Rosarno di braccia in eccesso non ce ne sono più e, quelle che ancora avevano da fare se ne sono andate di corsa, e senza toccare un quattrino dei propri stipendi.

Fuggiti dall’Africa, poi dal Nord Italia leghistizzato, e poi ancora a gambe levate dagli agrumeti calabresi – tre volte profughi, in qualche maniera – gli scampati di Rosarno sono stati rinchiusi prima nei Centri per richiedenti asilo di Crotone e di Bari e poi – per quelli tra loro che non hanno i documenti – dentro ai Cie. A Bari, addirittura, alcuni di loro vengono “ospitati” in tende piantate in mezzo al campo da calcio del Centro: sono di troppo anche lì, e nessuno sa più dove metterli. Anche i numeri sono incerti, e fluttuanti. I compagni di là hanno raccolto qualche testimonianza di qualcuno che li ha incrociati, dentro alle celle del lager barese.

macerie @ Gennaio 17, 2010

Mentre dal sito di Radio Onda Rossa potete ascoltare una puntata speciale della trasmissione Terre-moti tutta dedicata alla rivolta di Rosarno

Perversioni legislative: arrestato senegalese mentre rientrava nel suo paese, perchè … “non aveva lasciato l’Italia”

5 gennaio 2010 1 commento

COMUNICATO STAMPA

CLANDESTINO SENEGALESE ACQUISTA BIGLIETTO AEREO PER LASCIARE L’ITALIA MA, IN AEROPORTO, VIENE ARRESTATO PER… NON AVER LASCIATO L’ITALIA. IL GARANTE DEI DETENUTI DEL LAZIO ANGIOLO MARRONI «EFFETTI PERVERSI DI UNA LEGISLAZIONE CHE SEMBRA FATTA APPOSTA PER CASUARE SPRECHI DI DENARO PUBBLICO E ULTERIORI SOFFERENZE».

Dopo otto anni da clandestino in Italia, aveva deciso di tornare a casa sua, in Senegal, acquistando di tasca propria un biglietto aereo. Ma, secondo le leggi dello Stato, potrà tornare in Patria solo da espulso, fra sette mesi, e per di più a spese della collettività! Protagonista della singolare vicenda – segnalata dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni – Khadim, un cittadino senegalese di 41 anni.

Khadim era arrivato in Italia otto anni dal Senegal. Per tutto questo tempo ha vissuto e lavorato a Napoli senza possibilità di essere messo in regola perché il permesso di soggiorno non lo ha mai avuto. Per questo – nonostante non abbia mai commesso reati ed abbia, invece, tentato dicostruirsi una parvenza vita sociale – Khadim viene raggiunto da diversi decreti di espulsione che portano ad una condanna penale a sette mesi di reclusione senza che lui ne abbia mai conoscenza. 

Quando Khadim decide di tornare in Senegal, viene aiutato dagli amici italiani a comprare il biglietto dell’aereo ma all’aeroporto viene arrestato e trasferito al carcere di Civitavecchia per scontare la condanna a sette mesi per non aver ottemperato ad una espulsione che, per altro, stava volontariamente eseguendo. In carcere Khadim chiede l’espulsione come misura alternativa (misura prevista per diversi reati con condanna sotto i due anni) sperando di porre fine a questa sfortunata avventura. Ma la sua istanza viene respinta dai magistrati sul presupposto che, per la “Bossi-Fini”, questo tipo di misura alternativa non può essere concessa a chi non ha ottemperato all’espulsione.

 «In sostanza – ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni – Khadim che stava lasciando l’Italia è ora recluso in un carcere per non aver lasciato il nostro paese. Dal carcere ha fatto richiesta per lasciare l’Italia ma non gli è consentito perché deve scontare una pena per non aver lasciato l’Italia. Quella che denunciamo sembra una storia senza senso ma è la realtà di una legislazione che, in tema di immigrazione, fra carcere e C.I.E., sembra accanirsi contro i cittadini stranieri fino a prevedere inutili pene afflittive ed ulteriore sofferenza.
Forse sarebbe necessario studiare maggiormente gli effetti pratici di alcune leggi, per evitare, ancora una volta, di risolvere un fenomeno di rilevanza sociale ed economica come l’immigrazione facendo ricorso al carcere».

 Marco Leone , responsabile dell’ufficio stampa del garante del Lazio

Da Parigi: BRUCIAMO LE FRONTIERE!

4 gennaio 2010 1 commento

Un appello da Parigi

Il 25, 26 e 27 gennaio prossimi si aprirà al Tribunale di Parigi (Aula 16, Fermata “Cité” della metropolitana) il processo per l’incendio di Vincennes. Ve ne abbiamo già parlato a lungo, di quella rivolta, vi abbiamo parlato dell’apertura del processo in dicembre, e recentemente vi abbiamo anche tracciato una stimolante cronologia di questi ultimi mesi di lotta contro i Centri e contro le galere in Francia ed in Belgio.

Ora ci giunge un appello dalla Francia perché la settimana che precede le udienze – quella che va dal 16 al 24 di gennaio – si trasformi in una settimana di solidarietà con gli accusati, in una settimana di lotta contro i Centri e contro le frontiere. Eccovelo.
 

BRUCIAMO LE FRONTIERE!

Vincennes, 22 giugno 2008

La rivolta che ha portato all’incendio della più grande prigione per stranieri in Francia è una risposta concreta e storica all’esistenza dei centri di trattenimento e all’insieme della politica di controllo dei flussi migratori. Nei giorni 25, 26 e 27 gennaio, dieci persone saranno giudicate per questa rivolta nel Tribunale di Parigi (Metropolitana Cité). La nostra solidarietà deve essere all’altezza della posta in gioco: rilascio degli accusati e, inoltre, libertà di movimento e di insediamento.
Il 22 giugno 2008, il più grande CPT di Francia è bruciato. Tra giugno 2008 e giugno 2009, una decina di ex- trattenuti sono stati arrestati e collocati in detenzione preventiva – per la maggior parte da quasi un anno -. Sono accusati di danneggiamento, distruzione di edifici del centro di trattenimento amministrativo di Vincennes e/o violenza contro le forze dell’ordine.
Durante i sei mesi precedenti all’incendio, il centro di Vincennes è luogo di continui movimenti di protesta di coloro lì rinchiusi perché sprovvisti di documenti. Scioperi della fame, piccoli incendi, rifiuto all’appello, diverbi con la polizia, forme di opposizione individuali o collettive, si sono succeduti all’interno del centro per tutto questo periodo. All’esterno, manifestazioni e iniziative denunciano l’esistenza stessa di questi centri e sostengono gli atti di rivolta.
Il 21 giugno 2008, Salem Souli muore nella sua stanza dopo aver invano chiesto di essere curato. Il giorno dopo, una marcia organizzata dai detenuti in ricordo di quest’uomo, è repressa con violenza. Scoppia allora una rivolta collettiva e il centro di trattenimento brucia.

Un processo esemplare
Per impedire che questo tipo di rivolta si diffonda, lo Stato deve colpire duramente, trovare dei responsabili. Queste dieci persone sono state arrestate per servire come esempio. Non importa che siano “innocenti” o “colpevoli”. Lo Stato, punendoli, desidera veder scomparire la contestazione, la ribellione, gli atti di resistenza di quelli che si trovano, o si troveranno un giorno, rinchiusi fra le mura di questi centri. La rivolta di Vincennes non è isolata. Ovunque esistano questi centri di reclusione, scoppiano rivolte, avvengono incendi, evasioni, scioperi della fame, ammutinamenti, devastazioni. È successo in Francia (Nantes, Bordeaux, Toulouse dove sono bruciati dei centri) e in numerosi paesi europei (Italia, Belgio, Olanda, Germania) o nei paesi dove i controlli delle frontiere avvengono alla partenza, come in Libia e in Turchia. L’incendio del centro di Vincennes non è solo simbolico: la scomparsa di 280 posti all’interno del centro ha avuto come conseguenza immediata una importante diminuzione delle retate e delle espulsioni nei dintorni di Parigi, durante il periodo successivo. In concreto, migliaia di arresti sono stati evitati. Con il loro agire, i detenuti hanno bloccato per un lasso di tempo il funzionamento del meccanismo di espulsione.

Prigione per stranieri: rinchiudere, espellere, dissuadere l’immigrazione

Vincennes, 22 giugno 2008

I centri di trattenimento sono una delle tappe tra l’arresto e l’espulsione. Servono a tenere rinchiusi gli stranieri per il tempo necessario a preparare le condizioni necessarie alle espulsioni, che si tratti di un passaporto o di un lasciapassare rilasciato da un consolato e un posto in aereo o in nave. Più uno Stato vuole espellere, più sono i centri di reclusione che costruisce. Ovunque, il loro numero continua ad aumentare. In Europa, c’è la tendenza ad allungare i tempi di trattenimento, il che permette di aumentare le espulsione, ma anche di dissuadere l’immigrazione. Di fatto, questi luoghi di trattenimento sono strutture punitive. Vengono sempre più costruiti come fossero carceri: video-sorveglianza, unità ridotte, celle d’isolamento… In Francia, ad esempio, il più grande centro in costruzione a Mesnil-Amelot (240 posti), che aprirà tra qualche settimana, ha adottato questo modello. In Olanda, dove i suicidi e i decessi ‘inspiegabili’ sono frequenti nei centri, la detenzione dura 18 mesi e può essere riconfermata una volta tornati in libertà, le persone sono rinchiuse singolarmente in cellule molto piccole, oppure su battelli- prigione, con scarse possibilità di accedere all’esterno.

Clandestini: mano d’opera fatta su misura…
I centri di reclusione sono parte della politica di “gestione dei flussi migratori”, elaborata secondo i criteri della “immigrazione scelta” ossia in funzione dei bisogni di mano d’opera dei paesi europei. Non è da oggi che il padronato dei paesi ricchi fa ricorso ai lavoratori immigrati per accrescere i profitti. In modo legale come nel caso del lavoro a termine, di quello che era il contratto OMI (che permette di adeguare il diritto di presenza sul territorio al tempo dei lavori stagionali) oppure con il lavoro nero, dove gli stranieri sono impiegati molto spesso nei settori più difficili (BTP, lavori nei ristoranti, pulizie, lavori stagionali, …). Questi settori richiedono una mano d’opera flessibile, da adattare ai bisogni immediati della produzione. Oltre all’assenza di diritti legati al loro statuto, per esempio in caso di infortunio, la costante minaccia di arresto e di espulsione che pesa sui clandestini, permette ovviamente ai padroni di pagarli di meno, se non addirittura di non pagarli per niente (non è poi così raro). Questo abbassamento dei salari e delle condizioni di lavoro permette al padronato di rafforzare lo sfruttamento di tutti. Gli innumerevoli scioperi dei lavoratori privi di documenti mostrano a che punto padroni e Stato hanno bisogno di questa mano d’opera, ma anche che organizzandosi insieme, i clandestini possono talvolta tenere loro testa ed ottenere di essere messi in regola.

… e capro espiatorio ideale
La politica migratoria, e i centri di reclusione che fanno parte dell’ingranaggio, serve soprattutto a stigmatizzare chi non ha documenti. Lo Stato ne fa il capro espiatorio delle difficoltà che incontra oggi il popolo francese. L’utilizzo spettacolare delle espulsioni di Stato contribuisce a dimostrare da una parte l’ampiezza del “pericolo” che l’immigrazione irregolare rappresenta per la Francia e dall’altra l’efficacia di uno Stato che protegge i propri concittadini contro questo pericolo.
Lo Stato utilizza artifici come le cosiddette “minacce dell’immigrazione clandestina”, la “feccia delle periferie”, le “donne che portano il velo”, o la campagna sull’identità nazionale, per suscitare i peggio rigurgiti xenofobi e razzisti e tentare di creare consenso intorno al potere e al mondo che produce.

Frontiere ovunque
I centri di reclusione costituiscono un elemento indispensabile per applicare una politica europea di controllo dei flussi migratori che, mentre pretende abolire le frontiere all’interno dello spazio di Schengen, all’esterno le rafforza, in particolare con il dispositivo Frontex. Così il controllo inizia aldilà delle porte dell’Europa in accordo con paesi come la Libia, la Mauritania, la Turchia o l’Ucraina, dove vengono finanziati campi di detenzione per stranieri decretati indesiderabili, prima ancora che abbiano avuto la possibilità di mettere piede in Europa.
Allo stesso tempo dentro questo spazio territoriale le frontiere si moltiplicano, si spostano e quindi sono ovunque: ogni controllo di identità può portare all’espulsione. Perché la frontiera non è solo una linea che demarca un paese, ma soprattutto un posto di controllo, di pressione, di scelta. Così la strada, i trasporti, le amministrazioni, le banche, le agenzie di lavoro a termine, di fatto funzionano come frontiere.
I centri di reclusione, come tutti i campi per migranti, sono particole di frontiere assassine dell’Europa di Schengen. Sono luoghi dove si aspetta, rinchiusi, a volte senza scadenza e senza sentenza, dove si muore per mancanza di cure, dove ci si suicida piuttosto che essere espulsi. Bisogna farla finita con le frontiere!
Per tutte queste ragioni e perché la gestione dei flussi migratori non è “giusta”. Perché ciascuno deve poter decidere di vivere dove gli pare. Noi siamo solidali con gli accusati della rivolta e dell’incendio del centro di reclusione di Vincennes.

LIBERTÀ PER TUTTI GLI ACCUSATI!
LIBERTÀ DI CIRCOLAZIONE E DI INSEDIAMENTO!
CHIUSURA DEI CENTRI DI RECLUSIONE!
BASTA COI DOCUMENTI!

SETTIMANA DI SOLIDARIETÀ DAL 16 AL 24 GENNAIO 2010
Primo appuntamento il 16 gennaio 2010: Documentari, Dibattito,
Informazioni alle 19.00 al CICP (21 ter, rue Voltaire, 75011 Paris)

macerie @ Gennaio 4, 2010

Natale nei CIE: si impicca una reclusa trans a Milano

26 dicembre 2009 1 commento

Una mezzoretta fa ci è arrivata una telefonata da dentro uno dei Cie qui del nord Italia: gira voce, ci hanno detto, che in via Corelli sarebbe morto un recluso, suicida. E proprio mentre cominciavamo a fare qualche verifica abbiamo rintracciato in rete questo lancio di agenzia:
«Un trasessuale brasiliano di 34 anni, bloccato domenica scorsa perché irregolare, si è impiccato nel Centro di identificazione ed espulsione di via Corelli a Milano. Per uccidersi ha usato un lenzuolo, fissato alle sbarre della finestra della sua stanza al Cie. Il cadavere è stato scoperto intorno all 15,30 da un altro immigrato trattenuto nel centro, che ha dato l’allarme. Secondo la prima ricostruzione, il transessuale sarebbe entrato nella sua stanza attorno alle 14 e da quel momento nulla di strano è stato notato fino alla tragica scoperta del suo gesto. Liberato dalla stretta del lenzuolo, il trans è stato subito portato in infermeria dove sono iniziate, senza esito, le manovre rianimatorie. Quando è arrivata l’ambulanza, il rianimatore non ha potuto fare altro che constatare la morte. Ignota al momento la causa del suicidio. La polizia tiene a sottolineare che in questi giorni il Cie non è particolarmente affollato.»

Aggiornamento ore 23.oo. E già. Nel reparto trans di via Corelli, riaperto da pochissimo, una reclusa si è impiccata. Era stata catturata cinque giorni fa e, dai racconti che siamo riusciti a raccogliere fino ad adesso, prima di uccidersi avrebbe chiesto senza essere ascoltata di essere trasferita in un’altra sezione.

macerie @ Dicembre 25, 2009

Il Natale italiano dei migranti: scosse elettriche nei respingimenti e autolesionismo nei CIE

23 dicembre 2009 Lascia un commento

Difficile riuscire a commentare queste notizie.
Ma mentre le città sono intasate dagli acquisti natalizi ecco quello che accade nei Centri di Identificazione ed Espulsione nel nostro paese, ed ecco quel sta venendo fuori sui respingimenti dal rapporto annuale di Human Right Watch.

Dichiarazioni di questa mattina di Angiolo Marroni, Garante dei detenuti del Lazio: «Situazione tesa all’interno del Centro di Identificazione ed Espulsione di Ponte Galeria. Questa mattina, nel giro di pochi minuti, un immigrato algerino si è ferito con un rasoio mentre un tunisino ha tentato, invano, di darsi fuoco». Lo rende noto il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. «L’algerino M. A., 25 anni proveniente dal carcere diVelletri, si trova da cinque mesi nel Cie in attesa del riconoscimento da parte del suo Paese di origine – continua Marroni – Questa mattina si è colpito più volte un braccio con una lametta per protestare contro il fatto che, a suo dire, un connazionale entrato nel Centro dopo di lui sarebbe stato fatto giù uscire. Il trentenne marocchino A.M., invece, si trova da tre mesi e mezzo al C ed ha provato a darsi fuoco con un accendino. L’uomo non vuol essere rimpatriato in Marocco e chiede, invano, di poter uscire dal Centro per trasferirsi in Francia, dove dice di avere dei parenti. Attualmente a Ponte Galeria sono ospitate 263 persone, 151 uomini e 112 donne. Soprattutto fra gli uomini, la presenza è in deciso aumento, al punto che il settore maschile è quasi pieno. Le norme in tema di immigrazione – dice Marroni – le difficoltà di riconoscimento legate ai rapporti con le ambasciate e, non da ultimo, il freddo stanno trasformando i Cie in luoghi di tortura psicologica che possono portare alla disperazione, come nei casi di questa mattina. A causa della lentezza delle identificazioni, non è più una eventualità ma una certezza la possibilità, per gli ospiti, di trascorrere sei mesi nel Centro. A questo, a Ponte Galeria, si aggiunge anche la criticità delle condizioni di permanenza aggravata, negli ultimi giorni, dall’interruzione della collaborazione tra Croce Rossa e Asl sull’assistenza sanitaria. A Ponte Galeria tutto sarà fuorché un bel Natale»

Per quanto riguarda il rapporto della ONG internazionale che si occupa della difesa dei diritti umani, vi incollo direttamente l’agenzia così com’è, che non servono tante altre parole per commentarla:
ROMA, 22 DIC – Un clima generale di razzismo e xenofobia, inasprito dalle politiche legislative e di governo: il 2009, per gli immigrati in Italia, è stato un pessimo anno. A sostenerlo è Human Right Watch, Ong internazionale che si occupa della difesa dei diritti umani. E che, in un rapporto intitolato ‘Slow Movement: Protection of Migrants Rights in 2009’, fa un resoconto sulle violazioni dei diritti dei migranti in numerosi Paesi del mondo. Il rapporto punta il dito soprattutto contro i respingimenti «operati dall’Italia, a partire dallo scorso maggio, contro barche di migranti provenienti dalla Libia». In una di queste azioni di «repressione», il primo luglio 2009, la Ong riferisce che «funzionari italiani hanno usato bacchette che provocano scosse elettriche e manganelli» contro i ‘boat-peoplè e che alcuni persone a bordo dei barconi hanno riportato «lacerazioni alla testa, medicate prima che lasciassero le navi di soccorso italiane». Radiografando la situazione dell’immigrazione in Italia, Human Right Watch sottolinea che «le politiche di governo e la legislazione hanno inasprito un generale clima di razzismo e xenofobia». E a finire nel mirino è la legge 94 del 15 luglio, secondo cui «gli immigrati privi di documenti sono punibili con una multa superiore ai 10 mila euro». Non solo, con il cosiddetto ‘pacchetto sicurezzà «il premier Silvio Berlusconi, invece di scoraggiare le azioni dei vigilantes, ha autorizzato gruppi di vigilanza, con il rischio di creare una violenza tollerata dallo Stato contro rom e migranti», riferisce il rapporto. (ANSA)

31 DICEMBRE: TUTT@ SOTTO IL CARCERE DI REBIBBIA

17 dicembre 2009 Lascia un commento

NON VOGLIAMO PIÙ CHE DI CARCERE SI MUOIA MA NEMMENO CHE DI CARCERE SI VIVA!

Da quanto tempo gridiamo queste parole? Da quanto tempo le scriviamo sui muri?
Le abbiamo impresse sulla copertina sin dalla prima Scarceranda!
Eppure di carcere si continua a morire e di carcere donne e uomini continuano a vivere sempre di più.
Nei 206 istituti penitenziari italiani sono stipati 65.719 uomini e donne, 9.000 in più dello scorso anno.
Il 37%  ha sul documento di identità un timbro diverso dal nostro: li chiamano stranieri.
Il 25%  ha fatto uso di sostanze stupefacente: li chiamano tossicodipendenti.
Quasi la metà, ossia 31.136 sono in attesa di giudizio, dunque  innocenti.
Tra i 27 paesi dell’Unione, l’Italia ha il primato per la  presenza in carcere di persone non condannate: il 47,3% di fronte a una media europea al di sotto del 20%.  Quasi 20.000 persone in carcere hanno condanne inferiori ai 3 anni. E si continua a incarcerare chiunque appartenga alle fasce emarginate e disagiate.

Ma soprattutto in carcere si muore e il numero è in continua crescita. Dall’inizio del 2009 alla fine di novembre sono morte 168 persone detenute, di cui 66 per suicidio; in crescita rispetto allo scorso anno che era di 146 morti di cui 46 suicidi. Le morti in carcere, quando non sono suicidi, vengono definiti “da accertare” secondo la terminologia dei burocrati, in realtà le persone in carcere vengono uccise dalla mancata -assistenza medica, dalle condizioni degradanti del carcere, ma soprattutto dai pestaggi. 
Come Stefano Cucchi, un ragazzo di 31 anni, assassinato dalla ferocia di tutte le istituzioni che l’hanno avuto “in consegna”: carabinieri, polizia penitenziaria, magistrati, medici. Perché in Italia si nega ma esiste la tortura che viene regolarmente sperimentata sulle detenute e i detenuti.
Ma quanti Stefano Cucchi vengono uccisi senza che se ne sappia nulla? Come Yassine El Baghdadi di soli 17 anni, registrato come suicidio il 17 novembre nell’Istituto per Minori (IPM) di Firenze, buttato in carcere per tentato furto. Il carcere come discarica dei problemi sociali: solo chi rifiuta o non sottosta alle leggi dei potenti finisce in carcere.

Oltre ai 206 istituti penitenziari, con annessi 6 Ospedali Psichiatrici Giudiziari, ossia i manicomi criminali che annientano 1600 segregati, aumentati del 20% nell’ultimo anno, ci sono gli  Istituti Per Minori –IPM- con 530 ragazzi e ragazze, e infine le celle di sicurezza delle questure di PS e delle stazioni dei CC, nelle quali transitano, mai indenni, decine di migliaia di persone. 

Ma non basta ancora! Al paesaggio di sbarre, mura, celle e custodia si aggiungono le gabbie dei Centri di Identificazione ed Espulsione, i famigerati CIE, i lager in cui vengono rinchiuse le persone immigrate. Lì dentro donne e uomini subiscono violenze e soprusi, si ammalano e muoiono sotto lo sguardo complice degli operatori della Croce Rossa o degli altri enti gestori. Nell’ultimo anno, solo nel CIE di Ponte Galeria, sono morte per queste cause Salah Soudani e Nabruka Mimuni. Sono 13 le strutture presenti sul territorio nazionale per una capienza massima di 1814 persone ma deportazioni di massa e un’impossibile assistenza legale non permettono tuttora una trasparente stima dei reclusi e delle recluse. Un panorama devastante che è peggiorato in seguito all’approvazione del Pacchetto Sicurezza che ha prolungato fino a 6, i mesi di reclusione.

A questo punto dobbiamo farci  delle domande non più rinviabili:
Cosa ne sappiamo di come si vive e si muore dietro quelle mura? Leggi e regolamenti non ci danno la risposta!
Ogni tanto la cosiddetta opinione pubblica viene a conoscenza di questi crimini di stato commessi dietro quelle sbarre e ne resta stupita. Allora sdegnata chiede diritti e garanzie,  nuove leggi e regolamenti per chi sta dall’altra parte del muro.
Fino a quando assisteremo a questo massacro, esprimendo solo di tanto in tanto la nostra protesta?
La storia dei supplizi, della segregazione, della libertà tolta, in tutti i paesi e in tutte le epoche ci insegna che soltanto una pressione costante, continua, incalzante, può intaccare la ferocia di quella mostruosità che si definisce sistema di reclusione. Intaccarlo nella prospettiva dell’abolizione definitiva di questa barbarie.
Uno solo è il diritto che dobbiamo rivendicare, il diritto di indignarci e quindi il diritto di lottare!!!
La lotta contro il carcere e gli altri sistemi privativi della libertà va condotta tutti i giorni! Con efficacia e determinazione, unendo tutte e tutti quelli che odiano ogni gabbia.  

Contro ogni carcere giorno dopo giorno
 IL 31 DICEMBRE TUTTE E TUTTI SOTTO IL CARCERE DI REBIBBIA  
dalle ore 11,00 alle 15,00.