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Rifiuti invadono Atene sotto Natale
Se la passa proprio male questo nuovo governo greco.
Non bastava la rivolta ereditata dai precedenti governatori e per niente sopita,
non bastava la grande guerra del Pireo che sta coinvolgendo migliaia di lavoratori in una lotta per la sopravvivenza del loro posto di lavoro che ha portato al prolungato blocco totale del più grande porto mediterraneo diverse volte.
Non bastavano le carceri in rivolta, i migranti nei centri di permanenza o quelli che muoiono sulle spiagge…
ora sono arrivati anche i rifiuti o ricoprire le strade della capitale.
Liberatesi, non completamente sia chiaro, dei cassonetti in fiamme, delle carcasse delle macchine, dei pezzi di vetrine e di bancomata, delle migliaia di pietre, bottiglie, limoni e lacrimogeni che hanno caratterizzato gli scorsi giorni sia ad Atene che a Salonicco che in molte altre città greche ; ora a riempire le strade sono i rifiuti quelli veri. Dicesi Monnezza.
Come Napoli, come Palermo, anche la bella e insorgente Atene è letteralmente sommersa, con poche speranze di uscirne salva per le festività natalizie.
Lo sciopero degli operatori ecologici durato nove giorni è terminato da quasi una settimana ma la città non ha ancora respirato, se non nelle strade del centro.
Il vicesindaco ha annunciato di essere stato ovviamente costretto ad iniziare da scuole, ospedali, ministeri e dal centro della città: le periferie, arriveranno. Martedì le prime operazioni di ripresa del lavoro sono state nuovamente bloccate dallo sciopero dei lavoratori della più grande discarica di Atene, fatto che ha praticamente reso impossibili le operazioni di raccolta. Il perchè di tutto questo è molto semplice, quasi troppo semplice: tutti i lavoratori che stanno scioperando da giorni chiedono solo la trasformazione del loro contratto di lavoro da contratto a termine in uno a tempo indeterminato.
Quel che mi chiedo è ….. ma perchè tutti vanno a Copenhagen a farsi arrestare tutti i giorni su appuntamento e poi non sono mai andati in un anno a farsi una passeggiata per le strade greche, dove c’è una situazione sociale non calda ma incandescente da mesi e mesi. Lì bisogna andare, a non far spegnere la scintilla, a portare solidarietà, ad imparare come si lotta e come si sta per strada, tra la gente, come si occupa, come ci si difende gli spazi, come si contrattacca, come si può esser fieri e belli e metter paura.
Altro che anni di piombo, sono stati “anni d’amianto”
Eternit, una storia di profitto sanguinario e nocività sociale del capitalismo: 3 mila vittime sino ad ora accertate. Solo la punta dell’iceberg. 2200 decedute. 700 malati terminali. Oltre 5 mila le parti lese. La strage del capitalismo che obbliga a riscrivere la storia del dopoguerra
di Paolo Persichetti, Liberazione 11 dicembre 2009
L’amianto è stata la più aggressiva sostanza cancerogena del ‘900. Non hanno dubbi gli esperti quando si riferiscono a questo minerale a struttura fibrosa. In natura ne esistono circa una trentina, ricavati da particolari trattamenti cui vengono sottoposte alcune rocce madri presenti nel sottosuolo italiano. Le miniere europee più importanti si trovano, infatti, in Grecia e in Italia. Se respirate le polveri d’asbesto (altra denominazione chimica dell’amianto, dal greco amiantos: incorruttibile) possono provocare malattie irreversibili e tumori all’apparato respiratorio. A questa sostanza si devono oltre la metà dei tumori per cause di lavoro. Le conseguenze possono manifestarsi anche a distanza di 30-40 anni dalla esposizione. Soltanto oggi sta emergendo il numero reale dei lavoratori contaminati direttamente nelle manifatture e nei cantieri navali nel corso degli anni ’60 e ’70, o degli abitanti di zone limitrofe alle fabbriche che producevano questa sostanza.
Messo fuori legge soltanto nel 1992, in Italia l’amianto è stato impiegato fino a tutti gli anni ’80 per produrre un composto miscelato al cemento, brevettato nel 1901 dall’austriaco Ludwig Haatschek, e denominato commercialmente Eternit, dal latino aeternitas. Utilizzato per coibentare edifici, tetti, navi, treni, impiegato nell’edilizia e come componente ignifuga in tute, vernici, parti meccaniche delle auto e altro, l’Eternit è ancora oggi presente. Oltre ad aver contaminato l’ambiente ha devastato la vita dei lavoratori delle quattro aziende italiane in cui era prodotto: Casale Monferrato e Cavagnolo in Piemonte; Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli. Attorno alla ex Saca di Cavagnolo, l’erba ancora oggi appare striata di bianco. Il «disastro doloso» dell’Eternit non si è per nulla prescritto.
Una imponente pubblicistica ci ha abituato definire quell’epoca «anni di piombo», in ragione dello scontro sociale giunto fino alle armi che traversò le strade e le piazze italiane. In realtà molto più cupi e drammatici furono gli effetti degli anni d’amianto. Emblema della nocività sul lavoro, della cinica logica del profitto che muove (come accadde con la diossina fuoriuscita a Seveso e ancora oggi con la Thyssenkrupp) chi sta ai vertici delle aziende, e già allora «sapeva ed era consapevole dei rischi. Ma non ha mai fatto niente, non ha mai speso nulla per evitare gli incidenti e le stragi» (parole del procuratore Raffaele Guariniello). Nella sola zona di Alessandria si parla di almeno 1600 morti. In realtà la cifra complessiva fino ad ora accertata su tutti i siti interessati raggiunge quasi 2200 decessi, a cui devono aggiungersi 700 malati terminali. Nel processo ai vertici degli stabilimenti, il miliardario svizzero Stephan Schmideiny, 61 anni, titolare dell’azienda dal ’73 all’86, che oggi sostiene di essersi convertito nell’ambientalismo, e il barone belga Louis de Cartier de Marchienne, 88 anni, le parti lese citate nei capi d’accusa (inosservanza volontaria delle norme di sicurezza sul lavoro e disastro ambientale) sono quasi 2900, ma potrebbero arrivare fino a 5700. 700 le parti civili già costituite. Il dibattimento ha preso avvio ieri a Torino davanti a delegazioni d’avvocati (almeno 150 tra titolari e collaboratori) e 110 giornalisti accreditati provenienti da mezza Europa, associazioni, sindacati, ed enti. Per accogliere l’enorme numero di partecipanti sono state messe a disposizione diverse maxi aule collegate tra loro in video conferenza. Al vaglio della udienza essenzialmente questioni tecniche e preliminari, come la dichiarazione di contumacia degli imputati, o l’esame delle parti civili. Anche se assente in aula, il magnate della Eternit, Stephan Schmideiny, è difeso da una squadra di 26 legali: il professor Astolfo Di Amato del foro di Roma e il milanese Guido Carlo Alleva in aula, tutti gli altri nelle retrovie. L’offerta di risarcimento avanzata in precedenza è stata rifiutata dalle parti lese. Il risarcimento riguardava soltanto una parte di queste: chi tra gli ex dipendenti (60 mila euro a testa), e i cittadini di Casale Monferrato (30 mila a testa), avesse contratto un’invalidità permanente superiore al 30%, derivante da asbestosi, escludendo con ciò altre patologie broncopolmonari derivate sempre da contaminazione con amianto.
All’esterno del tribunale sono confluiti i partecipanti al corteo indetto dalla Rete nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro, mobilitati anche per la concomitanza con il secondo anniversario del rogo della Thyssenkrupp. Presenti delegazioni di lavoratori della Eternit di Svizzera, Francia e Belgio. Su uno striscione dei minatori francesi si poteva leggere, «Un solo essere umano vale più di tutto l’amianto e il profitto del mondo».
La Questura vieta il corteo dell’11 dicembre da P.le Aldo Moro
IL COMUNICATO DELLA SAPIENZA:
E’ di oggi la notizia che la Questura di Roma ha revocato l’autorizzazione del corteo indetto da tutto il mondo della formazione per l’11 dicembre. Partendo da piazzale Aldo Moro, passando per piazzale della Repubblica saremmo dovuti arrivare fin sotto il Ministero dell’Istruzione. Un corteo che in continuità con le mobilitazioni autunnali e con l’assemblea del 20 novembre, vuole rinnovare l’opposizione ai processi di trasformazione di scuola e università, dal D.D.L. Gelmini al D.D.L. Aprea, rivendicando un nuovo welfare per i soggetti precari e in formazione.
Ancora una volta, in tempo di crisi, si vuole limitare la libertà d’espressione e il diritto al dissenso, attraverso l’imposizione di un protocollo amministrativo, valido, quindi, solo per le parti contraenti. Ancora una volta viene agito il tentativo di limitare il protagonismo dei soggetti della formazione, studenti, ricercatori, insegnanti e genitori, che rifiutano di pagare una crisi che non hanno prodotto.
In un paese a democrazia bloccata crediamo invece sia fondamentale rivendicare il nostro diritto a manifestare, contro i processi di dismissione di scuola e università, contro ogni forma di precarizzazione del nostro lavoro e delle nostre vite. Per questo venerdì, in occasione dello sciopero dei lavoratori della conoscenza attraverseremo le strade della città riprendendoci la libertà d’espressione e il diritto a manifestare.
STUDENTI, PRECARI E LAVORATORI DELLA CONOSCENZA
Diego Bianchina, 31 anni, operaio: ucciso sul lavoro
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TERNI 2 DICEMBRE ’09, ORE 16,30 DA VIALE BRIN Un altro morto alla Thyssenkrupp: Diego Bianchina, 31 anni, operaio. Ieri 1° dicembre a quasi due anni dal tragico anniversario della strage alla Thyssenkrupp di Torino è morto a Terni un giovane operaio di 31 anni, intossicato dalle esalazioni di acido cloridrico. Per questo l’assemblea spontanea e autorganizzata degli operai propone un corteo che parta nel pomeriggio di oggi, alle ore 16:30, dai cancelli della fabbrica in viale Brin ed attraversi il centro cittadino. Ø Chiediamo ai lavoratori, ai cittadini, agli studenti, alle forze sociali, politiche e sindacali, alle associazioni di partecipare attivamente alla riuscita della manifestazione. INVITIAMO TUTTI A TROVARSI DAVANTI ALLA FABBRICA ALLE 16:30 PERCHE’ NON AVVENGA ANCORA L’Assemblea spontanea ed autorganizzata degli operai della TK-AST |
Un altro ferroviere ammazzato dal lavoro
ROMA: ANCORA UN FERROVIERE SCHIACCIATO DA UN CARRELLO. MORTO DOPO UN MESE DI AGONIA
ancora IN MARCIA !GIORNALE DI CULTURA, TECNICA E INFORMAZIONE POLITICO SINDACALE, DAL 1908
DAI COLLEGHI DI ROMA RICEVIAMO LA NOTIZIA
DI UN’ALTRA TRAGEDIA SUL LAVORO
ANCORA SANGUE SUI BINARI
DOPO LA MORTE DI DOMENICO RICCO, 27 ANNI,
AVVENUTA IL 5 OTTOBRE SCORSO, A FIRENZE RIFREDI,
UN ALTRO FERROVIERE HA LASCIATO LA VITA SUL LAVORO
DURANTE LAVORI DI MANUTENZIONE
LA NOTTE SCORSA E’ MORTO IL NOSTRO COMPAGNO DI LAVORO, BRUNO PASQUALUCCI, OPERAIO RFI ADDETTTO ALLA MANUTENZIONE DEL COMPARTIMENTO DI ROMA, A SEGUITO DELLE GRAVISSIME FERITE RIPORTATE NELL’INFORTUNIO SUL LAVORO AVVENUTO IL 23 OTTOBRE SCORSO NELLA STAZIONE DI MACCARESE (RM), SULLA LINEA ROMA CIVITAVECCHIA.
BRUNO, 63 ANNI, AD UN PASSO DALLA PENSIONE, SAREBBE RIMASTO VITTIMA DI UNA CADUTA DAL CARRELLO LAVORI IN MOVIMENTO CHE LO AVREBBE SCHIACCIATO CONTRO IL MARCIAPIEDE. LA SUA AGONIA SI E’ PROTRATTA PER UN MESE, DURANTE IL QUALE HA SUBITO NUMEROSI INTERVENTI CHIRURGICI. LA NOTIZIA DELL’INFORTUNIO SUL LAVORO NON ERA STATA DIVULGATA ALL’OPINIONE PUBBLICA NE’ ALL’INTERNO DELL’AZIENDA, NONOSTANTE L’ ESTREMA GRAVITA’ DEL FATTO E L’ASSURDA RIPETITIVITA’ DELLE MORTI SUI BINARI. AZIENDA, ANSF, MINISTERO DEI TRASPORTI, ASL, MAGISTRATURA E SINDACATI SONO CHIAMATI A DARE RISPOSTE CONCRETE E NON DI CIRCOSTANZA A QUESTE TRAGEDIE PER RICERCARNE LE REALI CAUSE ED EVITARNE ALTRE.
A NOI IL COMPITO DI ORGANIZZARCI E LOTTARE PER DIFENDERE LA NOSTRA SALUTE E LA NOSTRA DIGNITA’. NESSUNO LO FARA’ AL POSTO NOSTRO.
Roma, 23 novembre 2009
Tanti auguri al PASOK … non li invidio molto! ;-)
In Grecia vince il PASOK di Papandreou con una maggioranza non da poco.
Quando penso al PASOK mi viene in mente quella salitina, a pochi passi da Exarchia, dove c’è la loro sede principale.
Nelle giornate di dicembre era probabilmente il luogo più blindato, quello attorno a cui i MAT provocavano continuamente pattugliando i marciapiedi con le loro ridicole divise e quella tonnellata di armamenti chimici a testa. Era anche il luogo attorno a cui l’attenzione di quel massiccio e incazzato movimento era sempre alta, sempre pronti ad attaccarla alla prima distrazione dei burattini verdi e blu.
E’ stato poi, il Pasok, nei mesi successivi, oggetto di quasi tutti gli attentati avvenuti tra Atene e Salonicco
Repubblica ce la spaccia come la nuova speranza per la sinistra europea… noi sappiamo bene che sarà ancor più dura di prima.
Denuncia mancanza di misure di sicurezza dopo la morte del collega: LICENZIATO!
Dal sito NOMORTILAVORO
Luigi Pirino, operario precario della forestale siciliana che viene impiegato per 101 giorni all’anno rimanendo in cassa integrazione per il resto del periodo dell’anno, è stato licenziato dal Dipartimento Foreste della Regione Siciliana per “infedeltà all’azienda” e per “denigrazione”. Il tutto nasce l’8 agosto di quest’anno quando il Pirino assiste alla morte di un collega, travolto da un mezzo, mentre cercavano di spegnere un incendio a Niscemi (CL). L’operaio dopo l’incidente denunciò alla stampa il fatto che non si disponeva di dispositivi e procedure di sicurezza. Licenziato in tronco ricorre al giudice del lavoro.E’ stato licenziato perchè ha avuto il coraggio di dire che nella forestale siciliana non c’è sicurezza per i lavoratori. I sindacati non avrebbero affrontato la questione in maniera giusta e l’operaio si è rivolto ad un avvocato che ora presenterà ricorso al Giudice del Lavoro. A dare la notizia è un servizio video trasmesso dall’emittente televisiva TG10 di Gela in provincia di Caltanisetta.
In Cina a colazione mangiano il padrone…
Cavolo…l’Asia è in fermento. O meglio la sua classe operaia, super sfruttata e in corsa verso una crescita economica mostruosa.
Dopo le notizie degli operai in sciopero/occupazione in Corea del Sud, ormai sotto costante minaccia di più di 6000 celerini fuori i cancelli,
ci arriva la notizia dalla Cina di un linciaggio avvenuto per mano di centinaia di operai che hanno bastonato a morte, non permettendo i soccorsi, un uomo molto importante per il capitalismo cinese.
Per ora incollo la notizia così come è apparsa sul Corriere della Sera, in attesa di aggiornamenti
PECHINO (CINA) — Migliaia di operai urlanti hanno inseguito il direttore generale di una società dell’acciaio e lo hanno massacrato a colpi di pietre e bastoni. È successo a Tonghua, nella provincia di Jilin, nel Nordest della Cina. La vittima, Chen Guojun, un quarantenne dirigente della Jianlong Steel Holding Company, azienda statale dell’acciaio, si è presentato a Tonghua, dove è attiva una società locale che opera anch’essa nel campo dell’acciaio, la Tonghua Iron and Steel group.
Il compito di Guojun era quello di operare una fusione tra la sua azienda e la Tonghua Iron and Steel group. In pratica la compagnia Jianlong avrebbe assorbito l’acciaieria di Tonghua. Gli operai si oppongono alla fusione dei due gruppi perché avrebbe come conseguenza il licenziamento di migliaia di persone. Sembra che dei 30 mila operai di Tonghua, circa 10 mila avrebbero perso il lavoro. Di qui la reazione furibonda. Quando Guojun è arrivato da Pechino ha trovato migliaia di uomini minacciosi che hanno circondato la sua auto. Il dirigente è riuscito a sgusciare fuori dalla vettura e ha cercato scampo lungo le scale dell’edificio in cui si trovano gli uffici aziendali. Non è andato lontano. Torme di operai inferociti lo hanno inseguito colpendolo alla testa con randelli e scagliandogli addosso mattoni e pietre. Nel frattempo migliaia di lavoratori facevano muro per impedire alla polizia di intervenire. Gli agenti che hanno cercato di forzare il blocco sono stati aggrediti e si sono visti incendiare tre auto.
Gli operai non si sono mossi nemmeno quando la sirena di un’ambulanza, chiamata per soccorrere il dirigente, cercava di convincerli a lasciare un varco libero. Chen Guojun, secondo il Centro informazione per i diritti umani di Hong Kong, è stato lasciato morire sulle scale. Come ha confermato un ufficiale della polizia al giornale South China Morning Post . «È vero. L’aggressione c’è stata. La gente ha impedito all’ambulanza e ai medici di portare soccorso». All’origine della rivolta pare che ci fosse anche il risentimento nei confronti del manager Guojun per i suoi alti guadagni. L’anno scorso ha incassato 3 milioni di yuan, una cifra enorme per la Cina, che corrisponde a poco più di 300 mila euro. Secondo una tv locale, dopo la violenta reazione degli operai, il governo ha deciso di «accantonare in via permanente » la fusione delle due aziende. E questo ha riportato la calma. La fusione tra aziende dell’acciaio risponde a un progetto che l’amministrazione di Hu Jintao ha varato da tempo. La Cina è il più grande produttore al mondo di acciaio, ed è anche il maggior consumatore di questo metallo. La politica di Hu Jintao, molto statalista, mira a creare, attraverso fusioni aziendali, dei colossi in grado di sfidare qualunque holding sul piano mondiale. Decine di aziende sono state accorpate e oggi nel campo dell’acciaio operano tredici grandi gruppi cinesi. Ma il piano di fusione si scontra con la reazione degli operai timorosi di perdere il lavoro. A parte l’episodio di Tonghua, si sono già verificate rivolte anche in altre località.
CON VOI! Continua lo sciopero/occupazione della Ssangyong
L’occupazione della fabbrica della compagnia automobilistica Ssangyong da parte dei suoi 800 dipendenti e’
entrata nel terzo mese.
La lotta si sta inasprendo con scontri giornalieri tra i lavoratori da una parte, dentro le aree occupate,
e polizia anti sommossa e milizie di destra dall’altra che tentano di sgombrare l’occupazione.
Una nuova tattica dalla polizia è l’uso di elicotteri che mentre sorvolano gli stabilimenti, bombardano i
lavoratori con gas lacrimogeni ed altri prodotti chimici che bruciano la pelle al contatto.
La confederazione sindacale KCTU ha chiamato per uno sciopero generale a tempo indeterminato,
chiedendo azioni di solidarietà in tutto il mondo. I cortei e le marcie di simpatizzanti
che tentano di rompere l’assedio della polizia sono oramai iniziative giornaliere.
Per fermare questi tentativi, la presenza della polizia è stata aumentata e si stima che adesso intorno alla fabbrica ci siano fino a 6.000 poliziotti anti sommossa.
Anche se la situazione dentro gli stabilimenti occupati è diventata durissima a causa della scarsità
di cibo, acqua, e il continuo aumento nel numero di feriti, i lavoratori non danno segno di voler cedere.
Questo sciopero/occupazione è diventato una prova di forza cruciale tra il governo e il padronato
contro i lavoratori.
A QUESTO LINK UN FANTASTICO REPORTAGE DI QUESTE GIORNATE!
Due operai morti soli e lasciati appesi per due ore…nel bel paese
Sono stati due ore appesi sopra la piattaforma mobile sulla quale stavano lavorando. 
I corpi erano riversi nel cestello elevatore a 6 metri d’altezza e a dare l’allarme è stato un contadino alla guida di un trattore, che li ha visti.
La dinamica dell’incidente mortale è tremenda.
Dopo la pausa pranzo i due trentenni, entrambi romeni e residenti a Broni (PV), sono saliti nuovamente sul cestello elevatore manovrato da una piattaforma: erano impegnati nella ristrutturazione di un tetto di una cascina.
La piattaforma deve aver urtato i cavi dell’alta tensione e la violentissima scarica ha ucciso entrambi gli operai, probabilmente sul colpo. L’ora dell’incidente è stata ricostruita proprio in base alla corrente elettrica che proprio alle 13,30 è saltata in tutta la zona: la corrente viene ripristinata immediatamente, senza che scatti alcun allarme, probabilmente perchè il peso dei due corpi e la scarica aveva spostato il cestello dai cavi.
Altri due operai uccisi.
Possibile lavorare a 6 metri d’altezza, in piena estate, alle 13,30 senza che nessuno sia a terra?
Possibile morire così soli?
Poi nel frattempo un operaio di 46 anni è morto nel pomeriggio ad Anagni, in provincia di Frosinone, in seguito a un incidente sul lavoro avvenuto alla Siderpali, una fabbrica che produce pali di vari materiali. La dinamica dell’incidente è ancora al vaglio dei carabinieri. Non si sa se l’operaio deceduto, Nazzareno Monti, sia stato colpito da un palo o da altro. Quando sono arrivati gli operatori del 118 l’operaio era già morto. Nazzareno Monti, originario di Anagni, viveva a Valmontone, in provincia di Roma.
Tira brutt’aria per i padroni: WOW
Una nuova arma sociale per i lavoratori: il bossnapping
L’epopea borghese dei golden boys e degli yuppie non tira più. Kit antisequestri per i manager d’impresa
di Paolo Persichetti
Liberazione 11 aprile 2009
Brutti tempi per le gerarchie d’impresa chiamate a confrontarsi con un nuovo fenomeno chiamato bossnapping, «La nuova arma sociale dei lavoratori», scrive il quotidiano francese Libération. L’obbligo di non alzarsi più dal tavolo e uscire dagli uffici delle direzioni aziendali fintantoché non si è pervenuti ad un accordo accettabile. Davvero brutte nottate in bianco attendono i Patrons. La sensazione è che la crisi attuale abbia fatto girare il vento. È finita la pacchia. L’epopea borghese dei golden boys e degli yuppie non tira più. I manager sono sotto stress. Fa di nuovo capolino la «grande paura», quella raccontata da Cesare Romiti in un libro di Gianpaolo Pansa,
vera e propria autobiografia del ceto imprenditoriale italiano degli anni 70. Per fare fronte a questo trauma, un avvocato francese esperto di diritto e relazioni sociali, Sylvain Niel, ha preparato un piccolo manuale, pubblicato dal quotidiano economico la Tribune. Nell’opuscolo, l’esperto dispensa ai manager una decina di consigli «anti sequestro», per «evitare di cadere in trappola durante una trattativa» e su come comportarsi in caso di sequestro.
Azioni legittime
Azioni legittime o azioni illegali? Il ricorso al bossnapping, cioè alla «trattativa forzata» da parte degli operai quando le aziende rifiutano di negoziare i piani di crisi, oppure nemmeno accettano di siedere al tavolo delle trattative comunicando semplicemente la lista dei dipendenti licenziati, fa discutere non solo la Francia.
Va detto subito che fino a questo momento si è trattato di un modello di lotta che oltre a riscontrare consenso nell’opinione pubblica è risultato “pagante”, come ha dimostrato fino ad ora l’esperienza concreta, seppur attuato in un contesto ultradifensivo che mira unicamente a ridurre i danni. Alla Caterpillar di Grenoble sembra che l’azienda abbia rinunciato a licenziare, garantendo l’apertura della fabrica per altri tre anni nella speranza che intervenga un nuovo ciclo espansivo. In altri siti, gli operai hanno ottenuto migliori indennità di licenziamento, ammortizzatori sociali, riducendo anche l’attacco portato ai livelli occupazionali.
Questo repertorio d’azione – come viene definito dal linguaggio asettico dei sociologi del conflitto che cercano di fotografare i comportamenti sociali senza caricarli di giudizi di valore -, comincia ad estendersi altrove seguendo un classico dispositivo d’emulazione. È arrivato in Belgio mercoledì scorso, dove tre manager Fiat sono rimasti bloccati per 5 ore negli uffici di una filiale commerciale di Bruxelles. C’è stato per l’ennesima volta in Francia, dove i dipendenti di Faurecia, azienda dell’indotto automobilistico filiale del gruppo Psa Peugeot Citroen, giovedì sera hanno bloccato per 5 ore tre quadri dirigenti del gruppo. In questo caso il bossnapping messo in pratica dai dipendenti ha assunto una valenza ancora più significativa perché il sito è costituito essenzialmente da uffici di un centro studi, dove le maestranze (circa mille) sono in prevalenza “colletti bianchi”, ingegneri, tecnici e amministrativi. Ciò vuol dire che il ricorso a pratiche di lotta radicale non è solo patrimonio della classe operai ma guadagna anche i ceti medi colpiti dalla crisi. Un blocco di manager nei loro uffici c’è anche stato in italia, alla Benetton di Piobesi, il 25 febbraio scorso, ma è passato sotto silenzio.
«Si tratta di azioni sindacali coordinate e organizzate assolutamente non paragonabili a dei sequestri», ha spiegato dalla Francia il segretario della Cgt, Bernard Thibault, che ha giustificato il ricorso a queste forme d’azione «fintantoché non producono rischi fisici sui dirigenti d’impresa». Azioni più che legittime dunque, capaci d’attirare per la loro alta simbolicità «microfoni e telecamere», se è vero che cortei, scioperi e picchetti non sono più sufficienti per costringere il padronato a trattare. Il succo del ragionamento è semplice: quando le gerarchie aziendali fanno orecchie da mercante, pensando d’imporre il loro punto di vista senza ascoltare quello della controparte operaia, occorre imporre loro la trattativa. Lì dove non c’è negoziato si apre allora uno spazio di conflitto ulteriore. È il «conflitto negoziato» che in Francia, a differenza dell’Italia, non ha mai perso agibilità politica e sociale. Le azioni «coups de poing» (colpo di mano), non appartengono solo al repertorio d’azione della Cgt, ma sono condivise oltre che da altri sindacati collocati sul fronte della sinistra radicale e anticapitalista, come le coordinazioni e Sud, anche dalle associazioni rurali,
dei contadini, pescatori e camionisti, spesso bacini elettorali delle forze moderate. Oltralpe la tradizione corporativa del conflitto ha mantenuto sempre piena legittimità. Fintantoché non vengono percepite come un attacco politico alla sicurezza dello Stato, queste forme d’azione collettiva sono ritenute domande sociali a cui la politica è chiamata a dare risposte. Semmai in quel che accade oggi emerge un forte deficit delle forze politiche della sinistra incapaci di fornire rappresentanza.
Embrioni vitali di autonomia operaia
Queste lotte difensive hanno il sapore di embrioni vitali di autonomia operaia. La sensazione è che la crisi attuale abbia fatto girare il vento. L’epopea borghese dei golden boys e degli yuppie non tira più. I manager sono sotto stress. Per fare fronte a questo trauma, un avvocato francese esperto di diritto e relazioni sociali, Sylvain Niel, ha preparato un piccolo manuale, pubblicato dal quotidiano economico la Tribune. Nell’opuscolo, l’esperto dispensa ai manager una decina di consigli «anti sequestro», per «evitare di cadere in trappola durante una trattativa» e su come comportarsi in caso di sequestro.
A leggerlo sembra una presa in giro, ma è tutto vero. Prima regola: conservare un «kit di sopravvivenza», un telefono cellulare di scorta con numero criptato e recapiti d’emergenza (polizia, famiglia), trousse per la toilette, cambio di biancheria nel caso si dovesse passare la notte in ufficio. Ma, suggerisce l’esperto, «è meglio prevenire» per non finire come quel responsabile del personale di un’azienda che si vide costretto ad uscire disteso in una bara dalla sala in cui era “ospitato” . Fondamentale allora è «una stima del rischio di ammutinamento contro la direzione», «individuare sempre i leader della protesta», «non andare mai da soli a negoziare con le parti sociali, ricorrere sempre ad un mediatore». Infine, se dovesse andare male «accettare tutte le richieste dei dipendenti perché gli impegni presi sotto costrizione non hanno valore giuridico».
Manca però la cosa essenziale, qualche buon libro di filosofia capace di aprire la testa dei manager per dare aria alle loro anguste visioni culturali, nutrite solo di manuali sulla gestione delle risorse umane, la performatività delle prestazioni, l’economia aziendale. Magari Discours sur l’inégalité parmi les hommes di Jean-Jacques Rousseau e il primo libro del Capitale del dottor Marx, tanto per cominciare.
Che bel neologismo: BOSSNAPPING “il sequestro dei padroni”
Si diffonde il bossnapping contro i licenziamenti
di Paolo Persichetti Liberazione 10 aprile 2009
Bossnapping è il neologismo appena coniato per indicare il sequestro dei capi d’impresa, manager, dirigenti e padroni d’azienda. La parola è nuova ma il mezzo fa parte del repertorio di lotta inventato nel corso della sua storia dal movimento operaio, molto diffuso nell’Italia degli anni 70, e tornato d’attualità in Francia negli ultimi mesi. Ieri è toccato anche alla Fiat (che di questa pratica non serba un buon ricordo). Non ancora in Italia, però, ma in una filiale commerciale di Bruxelles, l’Italian automotive center. Tre dirigenti, tra cui Andrea Farinazzo proveniente
direttamente dalla casa madre di Torino, sono stati trattenuti per cinque ore da un gruppo di lavoratori che protestavano contro il piano di licenziamenti annunciato dall’azienda. I tre sono stati bloccati all’interno degli uffici della sede di Chaussée de Louvain intorno alle 13.45, per poi uscire verso le 18.30 a bordo di un’autovettura con autista senza rilasciare dichiarazioni.
Sembra che sia stato trovato un accordo sul proseguimento della trattativa che prevede l’intervento conciliatore del ministero del lavoro belga. Le modalità dell’episodio hanno seguito un modus operandi abbastanza consolidato, senza particolari tensioni, tant’è che uno dei rappresentanti della Fiat, avvicinato dai giornalisti arrivati sul posto, ha spiegato che tutti i contatti erano tenuti direttamente dal Lingotto.
«Stiamo negoziando dal 12 dicembre e non è successo nulla. Non si esce dalla stanza finché non si trova una soluzione», ha spiegato ai cronisti Abel Gonzales, sindacalista dei metalmeccanici della Fgtb. In effetti, dal dicembre scorso è aperta una trattativa con l’azienda sulla riduzione del personale. Obiettivo della Fiat è il licenziamento di 24 dei 90 dipendenti del centro vendita di Bruxelles, per questo i tre manager si erano recati sul posto per concludere il negoziato. «Nel corso dell’ultima riunione – ha spiegato l’ufficio stampa della Fiat – è venuta fuori l’idea di chiudere il nostro personale in una stanza, seguendo l’esempio francese. Ma non lo definirei comunque un sequestro vero e proprio». Dietro i toni rassicuranti dell’azienda torinese si cela, in
realtà, la vecchia abitudine autoritaria della Fiat. 12 dei 24 lavoratori sottoposti a procedura di licenziamento, ha precisato Abel Gonzales, sono dei delegati sindacali. La crisi economica, come sempre, diventa un buon pretesto per liberarsi dei lavoratori più impegnati.
«La gente sta male per la crisi: è un fatto giusto e sacrosanto che i lavoratori Fiat si arrabbino se l’azienda non cambia». Così il segretario nazionale della Fiom, Giorgio Cremaschi, ha commentato la notizia del sequestro. «Ci sono segnali di rilancio – ha aggiunto – ma solo per il gruppo e gli azionisti, non per i dipendenti. C’è ancora tanta cassa integrazione, e lo stabilimento di Pomigliano è ancora fermo». Scontata, invece, la presa di distanza espressa dal responsabile auto della Uilm, Eros Panicali, e dell’Ugl, Giovanni Centrella.
Ma gli operai che lottano fuori dall’Italia sono pragmatici, non si curano di questi giudizi. Le loro azioni “non ortodosse”, seppur concepite all’interno di una strategia ancora difensiva, riscontrano consensi e successi. Una lezione utile.
Non è una cosa che di solito faccio, ma metto, oltre l’articolo di Paolo, quest’articolo preso da Repubblica Torino. Non ho (eh, il lavoro uccide) modo di cercare più informazioni e scrivere, quindi intanto vi metto questa notizia, così come è uscita dai grandi media.
Manager assediato per ore dagli operai Alla Benetton di Piobesi dopo l´annuncio dei tagli: salvato dai carabinieri
di Stefano Parola
«A Bruxelles hanno sequestrato tre manager della Fiat per colpa di 24 licenziamenti? Almeno nel nostro caso erano 143 persone a perdere il posto». Giuseppe Graziano, segretario della Uilta-Uil piemontese, ora quasi ci scherza su. Quelli che ha vissuto a Piobesi, nello stabilimento della Olimpias, sono stati momenti tutt´altro che facili. Ancor meno per Tullio Leto, direttore del personale dell´azienda tessile del gruppo Benetton:
quando hanno saputo che l´azienda non avrebbe concesso la minima apertura, i lavoratori lo hanno tenuto in assedio per tre ore e lui è uscito dallo stabilimento attraverso una porta sul retro, grazie all´intervento dei carabinieri. È il 25 febbraio. Le trattative tra azienda e sindacati proseguono ormai da settimane, ma sono del tutto insabbiate, serve un ennesimo incontro. Di solito le aziende torinesi conducono le trattative all´Unione industriale di Torino, in via Fanti, ma la Olimpias è associata a Unindustria Treviso, città in cui ha la sede principale. Quindi è necessario riunirsi direttamente nello stabilimento di Piobesi. Alle 14 iniziano le trattative, i 143 dipendenti cominciano uno sciopero spontaneo e attendono novità appena fuori dagli uffici. Gli animi sono caldi fin da subito. Dopo un paio d´ore i funzionari dei sindacati escono e comunicano che l´azienda non fa passi indietro: conferma i 143 licenziamenti, nega la cassa integrazione per ristrutturazione e qualsiasi forma di incentivo, concede un solo anno di ammortizzatore sociale. Ai dipendenti è come se crollasse il mondo addosso. C´è chi urla, chi piange, chi batte pugni suoi vetri. Entrano in massa nell´ufficio delle trattative. In un attimo il direttore Leto e il suo segretario sono assediati. «Una sensazione molto brutta, una situazione del tutto anomala in una trattativa sindacale», ricorda Assunta De Caro, segretaria della Filtea-Cgil Piemonte. La tensione raggiunge il suo apice verso le 18: «A un certo punto abbiamo deciso di chiamare i carabinieri». Dalla caserma di Moncalieri il capitano Domenico Barone parte con una buona quantità di uomini: «Arrivati sul posto – spiega il capitano – abbiamo cercato di placare gli animi e abbiamo creato una cornice di sicurezza attorno al direttore
Tullio Leto. Nel frattempo sono volate parole grosse ma non è successo nulla di grave». Ci vogliono due lunghe ore di diplomazia prima che la situazione si sblocchi: «Abbiamo creato un diversivo – racconta il capitano dei carabinieri di Moncalieri – e abbiamo fatto uscire il direttore e il suo segretario da una porta secondaria». È così, alle 22.30, finisce la lunghissima giornata di lavoro di Tullio Leto. «L´episodio comunque ha cambiato il corso della trattativa – dice il sindacalista Graziano – perché ha fatto capire all´azienda che i lavoratori erano disposti a tutto pur di ottenere qualcosa dalla trattativa». In effetti, così è stato. Perché una serie di proteste all´insegna della civiltà, tra cui un presidio davanti al negozio Benetton di piazza San Carlo, hanno portato a un salvataggio in corner. La trattativa è stata chiusa da pochi giorni: non un solo anno di cassa ma due, più un incentivo per l´uscita e l´impegno della Olimpias a ricollocare una parte dei dipendenti. Si chiude comunque, ma la disperazione di quel 25 febbraio è un po´ più distante.
ATESIA: la lotta non si processa
APPUNTAMENTO DOMANI 8 APRILE A ROMA, AI CANCELLI DEL PALAZZO DI GIUSTIZIA DI PIAZZALE CLODIO. ALLE ORE 9. L’UDIENZA SI TERRA’ NELL’AULA 16: GIUDICE ROMANO
Il 1 giugno 2006 lavoratori e lavoratrici in sciopero, sindacati di base e collettivi politici stringevano in assedio la più grande fabbrica di precariato di Roma: Atesia. Era il punto culminante di una serie di mobilitazioni contro la riduzione del salario e l’estrema precarizzazione nel comparto dell’ict. Chi scioperava e chi picchettava chiedeva che, ad Atesia, il padrone (il signor Tripi, uno dei grandi elettori del centro-sinistra) rispettasse almeno le disposizioni dell’infame legge 30. Almeno quelle! Chiedeva che fosse riconosciuta la natura subordinata della prestazione lavorativa, che fosse riconfermato il contratto ai quattrocento lavoratori mandati via dopo i primi scioperi, che si aumentassero i minimi salariali che non superavano le cinquecento euro mensili, che fossero finalmente assunti a tempo indeterminato lavoratori che da anni, ogni tre mesi, dovevano rinnovare il proprio contratto. La mobilitazione ebbe un grande successo: su quattromila lavoratori, ne entrarono quaranta. Nel pomeriggio l’azienda addirittura chiuse, nell’impossibilità di erogare il servizio.
La repressione, però, non tardava ad arrivare: oltre ai mancati rinnovi, questa volta partivano anche quindici denunce. Risibili i capi di imputazione, si parlava addirittura di “slogan contro l’azienda e contro la precarietà”. Ora non si può neanche protestare! Zitti, muti, le parole servono solo per rispondere al telefono o per offrire promozioni agli utenti. In-bound, out-bound: il lessico dei diritti finisce qui. Nel frattempo persino il giudice provinciale del lavoro afferma che non si può utilizzare il contratto di lavoro parasubordinato per le telefonate in-bound e che il contratto a progetto è incompatibile con il call-center. Persino l’ottuso governo di centro-sinistra stabilisce l’assunzione a tempo indeterminato di ventimila lavoratori del settore. Ma la lotta non è vinta: i salari sono sempre da fame, i tre porcellini dei sindacati confederali (con l’Ugl) continuano a firmare di tutto, ad Atesia si continua a lavorare da schifo. Soprattutto, si apre il processo contro i quindici compagn*.
Il Collettivo Precari Atesia, l’Assemblea Coordinata e Continuativa contro la Precarietà, la Confederazione Cobas e lo Slai Cobas invitano a partecipare all’udienza di mercoledì 8 aprile (h.9.30, ple Clodio, sezione 16). Solidarizzare con i compagni e le compagne denunciate significa dare un segnale alle istituzioni e ai padroni: su Atesia non si torna indietro!
Giovedì 23 aprile (h.10.30), inoltre, presso il Tribunale del Lavoro (v. Lepanto, 4) si apre un altro processo: questa volta la parte lesa sono i lavoratori. L’obiettivo è dare un segnale di cambiamento, dal momento che proprio tante recenti sentenze dei giudici del lavoro hanno contribuito a rendere drammatica la difesa dei propri diritti nelle fabbriche e nelle aziende.
Giovedì 23 aprile è anche il giorno dello sciopero generale: essere presenti al Tribunale del Lavoro significa rendere concreta quella giornata.
La questione Atesia ancora oggi rappresenta uno spartiacque: ha insegnato che le lotte autorganizzate possono vincere anche contro la repressione poliziesca, politica e sindacale. Per mutuare questa mobilitazione è necessario capire che lavorare ad Atesia non significa più (se mai la abbia significato in passato) mettere da parte i soldi per le vacanze estive. Dopo anni di precariato l’ex neolaureato che risponde al telefono “solo per pochi mesi” è una persona che non riesce a vedere per sé altre prospettive oltre al call center. La questione Atesia non riguarda solo quattromila individui (se quattromila sembrano pochi), ma gli stessi protagonisti dei movimenti studenteschi e universitari. Dove erano quando i lavoratori e le lavoratrici di Atesina picchettavano? Quando difendevano il posto di lavoro? Quando venivano denunciati?
RIPRENDIAMOCI I DIRITTI, RIPRENDIAMOCI IL LAVORO
Mercoledì 8 aprile, h.9.30, Tribunale Penale di Roma (p.le Clodio, sezione 16)
Giovedì 23 aprile, h.10.30, Tribunale del Lavoro di Roma (v. Lepanto, 4)
Intervista a Benoît Nicolas, dopo il “sequestro” dei manager Caterpillar
Il magnate del lusso François Pinault assediato dai suoi lavoratoti Quattro manager della Caterpillar di Grenoble sequestrati nei loro uffici
Paolo Persichetti, Liberazione 1 aprile 2009
I padroni di Francia sono sotto assedio, braccati da operai in rivolta e manifestanti che non tollerano più il quotidiano stillicidio di licenziamenti mentre consigli d’amministrazione e dirigenti d’impresa si spartiscono super dividendi azionari e ricchi bonus. Come ai tempi dell’ancièn regime, oggi una noblesse de l’argent, composta dalle Spa, i consigli d’amministrazione, presidenti e amministratori delegati, quadri centrali d’impresa, vivono in una bolla di ricchezza alla faccia di una società che non arriva alla terza settimana del mese e vede minacciati i posti di lavoro.
Ieri sera, Francois-Henri Pinault, il “re del lusso”, proprietario del gruppo Pinault-Printemps-La Redoute che controlla anche Gucci,
Puma, Christie’s, è stato bloccato da un centinaio di manifestanti, in prevalenza dipendenti della Fnac e Conforama, all’uscita della sede sociale del suo gruppo nel quindicesimo arrondissemment di Parigi. La polizia è dovuta intervenire per sgomberare la zona. Sia la Fnac che Conforama hanno annunciato il 18 febbraio scorso licenziamenti del personale per 1.200 unità. In mattinata, invece, quattro dirigenti della Caterpillar di Grenoble sono stati “trattenuti” dagli operai che contestano il piano di riduzione dell’organico. 733 licenziamenti secchi, un quarto dell’intero personale, giustificato dalla multinazionale statunitense con il calo del 55% delle vendite per effetto della crisi. Il direttore, Nicolas Polutnick, il direttore delle risorse umane, un responsabile del personale e un responsabile dei prodotti europei, non hanno più potuto lasciare gli uffici della direzione. «Stiamo discutendo in permanenza con loro», spiega al telefono Benoît Nicolas, delegato sindacale della Cgt mentre torna da un’intervista televisiva. L’indignazione sociale sale incontenibile. È la quarta volta nel giro di appena due settimane che le maestranze di fabbriche colpite da licenziamenti trattengono in azienda i loro direttori chiedendo in cambio l’apertura di negoziati. Il 12 marzo erano stati gli operai della Sony, nelle Landes, a costringere il loro amministratore delegato a un turno di “straordinari notturni“. Lo stesso era accaduto pochi giorni dopo per il direttore del sito farmaceutico 3M di Pithiviers. Ma ormai modalità di lotta analoghe si stanno diffondendo un po’ ovunque nel Paese, come alla Fci microconnections a Mantes-la-Jolie, nel dipartimento delle Yvelines, regione parigina. «I quattro dirigenti sembrano un po’ “sbalorditi – dice sempre Benoît – perché sembra che non abbiano grandi margini di manovra per il confronto». Le decisioni più importanti appartengono a un livello superiore.
Com’è venuta la decisione di bloccare i dirigenti?
La direzione ha sempre rifiutato il negoziato. Nella nostra azienda è già in vigore la cassa integrazione parziale. Il rischio è che i lavoratori ricevano la lettera di licenziamento a casa. Caterpillar ha nel mondo circa 100 mila dipendenti. Un quarto di questi dovrà andare a casa. Così hanno fatto sapere. Lunedì abbiamo iniziato lo sciopero e poi siamo andati tutti in direzione, ma l’azienda non ha voluto negoziare.
E cosa è successo?
Niente violenza, né sequestro ma soltanto una decisa pressione affinché si riaprano i negoziati. Nel momento in cui l’azienda annuncia benefici record nel 2008 e distribuisce cospicui dividendi azionari, è nostra intenzione arrivare a un risultato favorevole per tutti i lavoratori.
Quali sono le vostre richieste?
Un piano di salvataggio. 30 mila ero a testa per i licenziati. È giusto che sia così. Va risarcito chi ha lavorato e prodotto ricchezza non i membri del consiglio d’amministrazione. I licenziamenti, poi, non devono riguardare solo le fasce più basse e dequalificate. Chiediamo anche la possibilità di prepensionamenti calcolati sull’ultimo salario per chi ha più di 55 anni e soprattutto le 32 ore settimanali con parità di retribuzione che, da sole, possono salvare 200 posti di lavoro.
Quanto durerà l’occupazione della direzione?
Abbiamo riconfermato lo sciopero. La notte passerà così. Vedremo domani (oggi per chi legge) se qualcuno verrà al tavolo delle trattative.
Nei giorni scorsi Nicolas Sarkozy aveva detto ai parlamentari della sua maggioranza che anche se nel Paese veniva criticato era lui ad avere «la banana in mano». Frase che ha suscitato subito molte polemiche. Forse sta sottovalutando un po’ troppo i lavoratori che non sembrano per nulla disposti a fare la fine dell’omino di Altan.
Il presidente francese avrà pure la banana ma gli operai sono armati con l’ombrello.
Lotta di classe? maybe…inshallah
Francia, fabbriche in rivolta: bloccati i premi per i manager
Si apre la discussione di fronte alla crisi economica
Paolo Persichetti
Liberazione 27 marzo 2009
«Rabbia populista» o nuova «lotta di classe»? Ieri sulle pagine dei più grandi quotidiani nazionali campeggiava questa domanda: un nuovo spettro si sta aggirando per il globo?
Commenti preoccupati e cronache inquiete s’interrogavano sul reale significato delle notizie provenienti dagli Stati uniti, dalla Francia e dalla Gran Bretagna. A New York, dopo l’arresto del magnate della speculazione finanziaria Maddof e la minaccia del Congresso di tassare con un’aliquota del 90% i bonus padronali, i dieci manager più pagati del colosso delle assicurazioni mondiali Aig, tra i più coinvolti nel crack delle Borse, hanno restituito i bonus milionari ricevuti come premi per i loro disastri. Per farli rinunciare a un po’ della loro famelica ingordigia è bastato un fine settima di picchetti organizzati da manifestanti davanti alle loro megaville blindate e con l’immancabile piscina.
A Edinburgo, in piena notte, il villone di Sir Fred Goodwin, l’amministratore delegato che ha portato al collasso la Royal bank of Scotland, per poi andarsene serenamente in pensione con un bonus di 16,9 milioni di sterline, alla faccia di migliaia correntisti ridotti al lastrico per aver creduto nei portafogli azionari offerti dai servizi finanziari dell’istituto di credito, è stato assalito da un gruppo di attivisti che hanno rivendicato l’azione con la sigla Bank bosses are criminals, «I banchieri sono dei criminali». Motto che riecheggia quello delle curve da stadio di mezza Europa, All corps are bastards, «Tutte le guardie sono bastarde».
Nel centro della Francia, a Pithiviers, Luc Rousselet, amministratore delegato della 3M, società farmaceutica americana in procinto di licenziare 110 dei suoi 235 dipendenti, è stato “trattenuto” negli uffici dell’azienda per oltre 30 ore dagli operai che era venuto ad incontrare. I lavoratori esigevano dei negoziati con l’azienda sulle modalità del piano di crisi che dovrà accompagnare la brusca riduzione di personale.
Ovviamente per gli operai non si è trattato di un «sequestro», com’è stato scritto sposando il punto di vista “padronale”, ma di un imprevisto prolungamento d’orario della giornata di lavoro del loro capo. Uno straordinario giustificato dall’eccezionalità della situazione venuta a crearsi. I 2700 lavoratori della 3M France, società ripartita su 11 siti, conosciuta per la produzione di “post-it” e del nastro adesivo “Scotch”, sono in sciopero illimitato dal 20 marzo. Un episodio analogo era già accaduto il 12 marzo scorso, quando il presidente-direttore generale di Sony France, Serge Foucher, era stato anche lui costretto a uno “straordinario notturno” in compagnia delle sue maestranze in lotta.
Lo stabilimento di Pontonx-sur-l’Adour, nelle Lande, impiega 311 persone e la sua chiusura è fissata per il 17 aprile prossimo. Al direttore della Continental, invece, è toccato in sorte un fitto lancio di uova da parte dei 1120 addetti dell’impianto di Claroix, che proprio ieri sono stati ricevuti in delegazione da un consigliere di Sarkozy all’Eliseo.
Questa volta gli operai non sono isolati, hanno alle spalle il sostegno dell’opinione pubblica indignata di fronte alla notizia dei mega compensi attribuiti ai manager d’imprese che licenziano o di banche in deficit dopo aver sperperato il denaro dei clienti.
La rabbia è montata di fronte alle parole di Laurence Parisot, presidente della confindustria francese, che si era detta indisponibile di fronte alla richiesta del presidente della repubblica d’intervenire sui consigli d’amministrazione affinché i manager rinunciassero ai premi elargiti sotto varie forme (stock options, ovvero azioni con remunerazioni privilegiate, liquidazioni d’oro o pensioni stratosferiche). Il primo ministro ha dovuto annunciare il varo di un decreto per vietare l’attribuzione di questi bonus e stock options per le aziende che ricevono aiuti dallo Stato. A questo punto, dopo le resistenze iniziali, Gerard Mastellet e Jean-Francois Cirelli, presidente e vice presidente di Gdf-Suez, il gigante francese dell’energia, hanno dovuto rinunciare ai loro compensi supplementari piegandosi – hanno detto con malcelata ipocrisia – al «senso di responsabilità».
I titoli tossici immessi nei circuiti finanziari stanno forse scatenando la reazione di sani anticorpi sociali? All’estero, certo non in Italia, l’ira popolare sta cambiando bersaglio: dalla «Casta» alla «Borsa», dai «politici» ai «padroni»; che la barba di Marx stia di nuovo spuntando?
Quel che sta accadendo, in particolare al di là delle Alpi, dimostra quanto devastante sia stata da noi la prolungata stagione del giustizialismo, con il suo corollario d’ideologia penale e vittimismo seguiti alle ripetute emergenze giudiziarie. Il decennio 90 si è accanito contro i corrotti della politica assolvendo i corruttori dell’economia, aprendo la strada non solo alla vittoria politica del partito azienda ma alla sua egemonia politico-culturale sulla società.
Vedremo più in là se ha ragione L’Economist quando descrive, un po’ alla Ballard, l’albeggiare di una rivoluzione del ceto medio proletarizzato; o se invece ci sarà un’irruzione di protagonismo del nuovo precariato sociale. Una cosa è certa: oltreconfine hanno individuato la contraddizione da attaccare. È tutta la differenza che passa tra allearsi contro i padroni o fare le ronde contro i romeni. Ma quel che resta della sinistra italiana l’avrà capito?
Tratto dal blog INSORGENZE
La pagheranno mai? @Corteo Nazionale in occasione del G-14@
LA CRISI LA PAGHINO BANCHIERI e PADRONI, EVASORI e CORRUTTORI
GIU’ LE MANI DAL DIRITTO ALLO SCIOPERO
GIU’ LE MANI DAI NOSTRI DIRITTI
FERMIAMO LA QUOTIDIANA STRAGE SUL LAVORO
A DOMANI.
in Francia ci spolverano la memoria: impiccano i padroni
Una fabbrica con più di 1100 operai, sta per chiudere a causa della crisi.
I lavoratori si mobilitano in modo sempre più radicale: dopo aver costretto il “Padrone” a fuggire con un fitto lancio di uova, ieri sono tornati a bloccare i cancelli del complesso industriale impiccando un manichino (saggi ‘sti lavoratori!) e facendo irruzione in una riunione tra sindacati e azienda,
con lancio di bottiglie e altri oggetti. Riunione che è stata immediatamente sospesa.

Ode a San Pietro contro lo sciopero virtuale
L’UNICO RIMEDIO ALLA PROPOSTA DI SCIOPERO VIRTUALE.
IO PROPONGO IL BUON VECCHIO SAMPIETRINO
CONTRO IL PACCHETTO SICUREZZA
Appello della Rete contro il Pacchetto Sicurezza
Il 19 gennaio prossimo è prevista in Senato la discussione del“Pacchetto sicurezza” (DdL 733), che provocherà una grande trasformazione del quadro normativo italiano, già fortemente repressivo e discrezionale nel suo impianto. Le norme contenute nel Pacchetto, infatti, prevedono una politica esplicitamente fondata su misure segregazioniste e razziste per le persone migranti, con o senza permesso di soggiorno, le prime a essere additate come figure pericolose e causa di “allarme sociale”, e su nuove e ancora più drastiche misure repressive contro chiunque produca conflitto e non rientri dentro le strette maglie del controllo.
Le norme del pacchetto sicurezza colpiscono in primo luogo le persone migranti. Se il Pacchetto sarà approvato chi è senza permesso di soggiorno non potrà più: andare al Pronto Soccorso e ricevere cure mediche, riconoscere figli e figlie, sposarsi e inviare soldi a casa. Il Ddl introduce inoltre: la detenzione nei CIE (ex CPT) per 18 mesi; la tassa di 200 euro su richiesta e rinnovo del permesso di soggiorno; controlli ancora più stretti per acquisire la cittadinanza; il reato d’ingresso illegale nello stato.
Altre norme, alcune già sperimentate sui/sulle migranti, vengono estese al resto dei cittadini e delle cittadine che non si adeguano alla retorica del “decoro urbano”: l’obbligo di dimostrare l’idoneità alloggiativa per ottenere l’iscrizione anagrafica (che colpisce migranti, senzatetto, occupanti e chiunque non possa permettersi un’abitazione “idonea”); le norme anti-graffito; l’inasprimento delle norme per il reato di danneggiamento.
Questo delirio securitario esplode mentre i governi decidono di sostenere le aziende e le banche in difficoltà, invece di pensare a nuove politiche sociali di sostegno alla cittadinanza colpita dalla crisi. Scaricando, tra l’altro, tutto il lavoro di cura sulle donne: in quest’ottica, l’unica immigrazione che sembra piacere è quella delle “badanti”. Ai sindaci e ai prefetti sceriffo si attribuiscono nuovi poteri, mentre il Ddl Carfagna criminalizza e stigmatizza le prostitute, imponendo norme di comportamento a tutte e tutti.
La loro risposta alla crisi è il governo della paura. La risposta, in Italia come in Europa, da Milano a Castelvolturno, da Atene a Malmöe… è stata un grido di rabbia e libertà:
NON ACCETTIAMO LA SOCIETA’ DEL RAZZISMO, DELLO SFRUTTAMENTO E DEL CONTROLLO!
Sabato 31 gennaio saremo ancora in strada con un corteo che attraverserà la città, toccando alcuni luoghi simbolo.Appuntamento alle 14.30 a Porta Maggiore per proseguire per Piazza Vittorio e Termini fin sotto al Ministero dell’Interno, per ripensare insieme un’idea di cittadinanza che garantisca a tutt@ i diritti fondamentali e la libertà di scelta e di movimento.
Contro il Pacchetto Sicurezza e il modello di società che impone
Per l’abolizione immediata della Bossi/Fini, perché perdere il lavoro a causa della crisi rappresenta per le persone migranti una condanna alla clandestinità
Per la regolarizzazione di tutte e tutti
Contro il legame tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro, dispositivo di controllo che imprigiona i migranti e le migranti e rende precaria la vita di tutte e tutti
Contro le classi separate per i bambini e le bambine stranier@
Contro la militarizzazione dei confini e delle città
Contro l’ansia e la paura in cui vorrebbero farci vivere
Per ripensare insieme un’idea di cittadinanza che garantisca a tutt@ i diritti fondamentali e la libertà di scelta e di movimento
LUNEDI’ 19 GENNAIO 2009: SIT- IN SOTTO IL SENATO dalle 10:00 a Piazza Navona
SABATO 31 GENNAIO 2009: MANIFESTAZIONE A ROMA alle 14:30 a Porta Maggiore
Invitiamo tutti e tutte – migranti, studenti e studentesse, scuole in mobilitazione, associazioni, movimenti di lotta per l’abitare, centri sociali, movimenti di donne, femministe e lesbiche, comitati di cittadini e cittadine, precari e precarie, lavoratori e lavoratrici, personale medico e sanitario, artisti e artiste – a partecipare, a moltiplicare le iniziative anche nelle altre città e a coordinarci per dare più voce alla nostra rabbia:
NOI… NON ABBIAMO PAURA!
RETE CONTRO IL PACCHETTO SICUREZZA
Per adesioni, informazioni, contributi, per mettere in rete le iniziative locali e dislocate nelle città attraverso questo bloghttp://nopacchettosicurezza.noblogs.org inviate un’e-mail a:pacchettosicurezza@anche.no
Okkio ai Koreani!
Hai capito i Koreani!
Dopo un bel po’ di ore di scontri tra polizia e lavoratori in sciopero,
i “tutori dell’ordine costituito” hanno alzato la bandiera bianca.
“Daje compà, famose ‘na dormita e poi ricominciamo!”
E così…..cordoni di protezione per chi dorme.
Poi si fa a scambio di posto: chi dormiva si cordona,
chi cordonava si sdraia a dormire.
ECCEZIONALE! Avrei pagato per assistere a questo.
PIU’ INCUBI PER LE FORZE DELL’ORDINE,
PIU’ PENNICHELLE STRADALI….
è che noi non siamo più capaci di farli faticare.
GRANDISSIMI I COMPAGNI KOREANI! GRANDISSSSSIMI!
ABBIAMO GLI OCCHI SEMPRE APERTI, NOI!
La strage quotidiana
Nella giornata di ieri ci sono stati 9 morti sul lavoro.
Questa mattina un’altra donna s’è aggiunta al lungo elenco.
Il genocidio perpetrato dai padroni non si ferma.
E noi si continua a morire sul posto di lavoro, a rimaner schiacciati,
asfissiati, incastrati, sommersi,
a volar giù dai ponteggi, a morire nelle stive, nelle cisterne,
nelle acciaierie, sotto le ruspe.
FERMIAMO QUESTO GENOCIDIO.
E lo si può fermare solo prendendo coscienza, ricominciando a lottare
su tutti i posti di lavoro, ricominciando ad avere potere nelle mani,
a sovvertire i rapporti di forza.





































































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