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Quando Davide Diventa Golia

29 luglio 2010 Lascia un commento

GERUSALEMME: QUANDO DAVIDE DIVENTA GOLIA

I residenti di Silwan, quartiere di Gerusalemme Est, affrontano il gigante israeliano, ma per quanto potranno resistere ancora?

SERVIZIO SPECIALE DI ELENA HOGAN da Gerusalemme, 29 luglio 2010, Nena News (foto di Rebecca Fudala) –
Fakhri Abu Diab interrompe l’intervista improvvisamente, quando il suono allarmante di fischi lo raggiunge dalla strada. Si alza e si precipita fuori dalla tenda del “Centro Al Bustan”, una struttura di legno fatta alla buona e ricoperta da un telo nero, sul quale sono affisse foto ingrandite che ritraggono alcune scene della lotta popolare di questa area di Silwan, quartiere di Gerusalemme Est occupata e presunto sito della Città del Re Davide. Lo stesso Davide che sfidò Golia. Giovani ragazzi urlano e i fischi si moltiplicano mentre tre, poi quattro, jeep militari israeliane  sgommano per poi fermarsi davanti alla tenda. Un gruppo di sei o sette soldati che indossano  passamontagna neri e caschi, in tenuta antisommossa, salta giù, gridando  e puntando gli M-16, in assetto da combattimento.
“Vedi cosa accade?” chiede retoricamente Abu Diab, “Questa è la nostra vita. Questo è il problema. E’ così qui ogni giorno ormai.” Il suo sguardo passa dai soldati ai tre ragazzi piccoli, ad un metro di distanza che aspettano l’autobus. “E vedi quei bambini? Non hanno paura, non si spostano, restano lì…non vogliono dare ai soldati l’opportunità di sparare…vedi? Noi glielo insegniamo. Adesso le jeep se ne vanno.”
Abu Diab, presidente del Comitato popolare dell’area di Al Bustan a Silwan e membro del comitato popolare generale di Silwan (che unisce tutte e 12 le zone di Silwan), si volta e torna sotto la tenda.
Costruita nel febbraio del 2009 dagli abitanti della zona, la tenda è il luogo d’incontro per la lotta popolare collettiva di Al Bustan,  che tenta di proteggere 88 abitazioni, le case di più di 1.500 persone. 88 abitazioni i cui residenti hanno ricevuto multipli ordini di demolizione, perche’ al loro posto verra’ attuato l’ampliamento del sito archeologico israeliano della “Città di Davide”, un progetto di recupero di un patrimonio culturale che le autorità israeliane vorrebbero fosse esclusivamente ebraico; un progetto che però comporta l’espulsione di decine di famiglie palestinesi, che ad Al Bustan vivono da secoli. Alcune delle case di Al Bustan già segnalate per la demolizione, risalgono a prima della creazione dello Stato d’Israele nel 1948, mentre la maggior parte sono state costruite prima dell’occupazione israeliana di Gerusalemme Est nel 1967. Tutti pagano l’Arnona, la tassa municipale israeliana sui beni immobiliari, versata al municipio da quando Israele ha “annesso”, nel 1980, la parte est della città. Anche se dichiarata “nulla” dalla risoluzione ONU 478, in quanto atto che viola il diritto internazionale, quest’annessione continua a rappresentare una realtà di fatto che comporta conseguenze concrete per i palestinesi di Gerusalemme.
Abu Diab, come uno dei nove volontari eletti che formano il comitato popolare di Al Bustan, passa la maggior parte del suo tempo libero in contatto con gli avvocati che seguono gli 88 processi legali in corso nelle corti israeliane. E’ il portavoce di Al Bustan nelle riunioni con il municipio e tiene aggiornati i media, i suoi vicini di casa e i gruppi di attivisti israeliani sulle azioni militari e le demolizioni previste, attraverso il sito web del comitato e tramite contatti diretti.

Il centro Al Bustan dà luogo alla preghiera collettiva del venerdì, una protesta spirituale settimanale. In più, ospita campi estivi e corsi per il primo soccorso, la gestione della paura, il trauma infantile, e  lezioni in lingua inglese ed ebraica. Ma nonostante gli sforzi interminabili, dieci degli 88 edifici di Al Bustan sono già stati abbattuti. In più, tutti i suoi abitanti stanno pagando delle multe salate in quanto considerati occupanti abusivi, multe che ammontano a cifre pari ai 65.000 NIS (circa 13.000 euro), dal momento che i residenti rifiutano di andarsene.
“Non abbiamo nessun potere e  Israele è al di sopra della legge internazionale, quindi cosa dobbiamo fare?” chiede Abu Diab, “Possiamo aiutare la gente a contattare gli avvocati, ad organizzare le manifestazioni…ma quando vedo i miei figli o mia moglie, loro non sono felici…Quando torno a casa, vedo la cucina, le camere da letto, la sala, e dico ‘forse questa è l’ultima cena, l’ultimo caffè, l’ultima volta che mi siedo con i miei figli in casa mia’…molte famiglie soffrono di problemi psicologici, e per affrontare questi problemi, noi, la comunità, non riusciamo ad aiutarli”.

Abu Diab cita come esempio un ragazzo di Al Bustan di sette anni molto studioso. Il suo maestro ha cominciato a preoccuparsi quando il bambino ha smesso di prendere dei buoni voti. Un giorno il maestro ha fermato il ragazzo e gli ha chiesto se aveva bisogno di aiuto per i suoi compiti. Gli ha detto di aprire lo zaino, e quando il ragazzo l’ha fatto, il maestro ha scoperto che dentro era pieno di giocatoli anziché  libri di scuola. L’insegnante si è recato dai genitori del ragazzo per discuterne con loro. Quando la madre gli ha chiesto perché aveva lo zaino pieno di giocatoli, il bimbo ha risposto che aveva sentito i genitori discutere di come la loro casa sarebbe stata distrutta, ma che nessuno sapeva esattamente quando. Ha spiegato, che stava portando con sé a scuola i suoi giocattoli preferiti, per proteggerli dai bulldozer.

Ma la grave situazione di Silwan non è limitata ad Al Bustan. Sul pendio adiacente, nella zona chiamata Baten el-Hawa, sette famiglie palestinesi, dell’edificio Abu Nab, sono sotto minaccia costante di “sfratto” da parte delle famiglie di coloni israeliani che occupano l’edificio Beit Yonatan, li’ accanto. Abu Nab è costruito sul sito dove nel XIX secolo sorgeva una sinagoga yemenita, motivo più che idoneo per le autorità israeliane per sfidare il diritto di proprietà di qualsiasi palestinese. Appena più avanti sulla stessa strada, Zuhair Rajabi, padre di quattro bambini piccoli,  passa buona parte del suo tempo a documentare sistematicamente la violenza che circonda casa sua, tramite sei videocamere che ha montato in tutti gli angoli del suo palazzo.
Vive accanto ad un’altra casa occupata di Silwan, il Beit al-’Asl (conosciuta come Beit Haduash dai suoi occupanti). Il fatto che Zuhair possieda i documenti che attestano l’acquisto di Beit al-’Asl da parte di suo zio dalle mani di un’altra famiglia palestinese, prima che anche questa casa venisse dichiarata di proprietà di coloni israeliani, finora non lo ha aiutato. “Così stiamo lottando contro [i coloni] nel tribunale israeliano. Che cosa altro possiamo fare? Israele è forte e noi siamo deboli. Ogni settimana, due o trecento persone vengono alle riunioni del comitato popolare, ci stiamo chiedendo cosa possiamo fare, come possiamo resistere. L’ironia è che noi siamo residenti di Gerusalemme, quindi paghiamo le bollette dell’acqua, dell’elettricità, le tasse allo Stato d’Israele. E con questi soldi Israele finanzia il suo esercito e paga le sue forze di sicurezza per opprimerci”.
Zuhair mantiene contatti costanti con gruppi di attivisti israeliani come Tayoush, ICAHD, e Breaking the Silence, e fino a 20 attivisti alla volta passano la notte nel palazzo di Abu Nab per tentare di proteggere i suoi residenti palestinesi dai coloni israeliani. Insieme ai suoi video, Zuhair ha preservato tutti i bossoli degli M-16 che hanno colpito la sua casa e la sua macchina, e il fumogeno lanciato dentro la sua sala durante la notte del 26 giugno—l’ultima volta i coloni hanno deciso di mettere in scena un tentato esproprio ‘autogestito’ di Abu Nab—casomai dovessero servire un domani come prove legali.

Nella vallata di Wadi Hilwe all’entrata di Silwan, una bambina minuta, di circa otto anni, figlia di coloni, cammina per la strada. E’ seguita da una scorta armata privata, a sua volta seguita da un jeep militare israeliana. Una fila di case occupate spuntano su tutta la strada, facilmente identificabili dalle grandi bandiere israeliane che sventolano dai balconi: case da cui le famiglie palestinesi sono state cacciate per fare spazio alle ragioni dei coloni israeliani. La bambina e la parata armata che la scorta, sfilano di fronte al Centro di informazioni di Wadi Hilwe di Silwan, un’altra tenda fatta alla buona, eretta come risposta palestinese al Punto d’informazione turistico israeliano della Città di Davide, ubicato a pochi metri di distanza sulla stessa strada e circondato da soldati. “Abbiamo il diritto di raccontare la nostra storia qui e non soltanto di sentire gli altri che raccontano la storia di questo quartiere come se non fossimo mai esistiti qui”, spiega Nihad Siyam, uno dei membri fondatori del centro, “Siamo qui da migliaia di anni, anche se questo è un fatto che vorrebbero cancellare”. Il centro funziona come base per i tour archeologici alternativi di Silwan condotti in collaborazione con gli archeologi israeliani di Emek Shaveh, che sottolineano il ruolo politico dell’archeologia all’interno del conflitto israelo-palestinese e promuovono una visione di proprietà collettiva del passato archeologico della zona piuttosto che la sua appartenenza esclusiva ad un solo gruppo etno-religioso.

Così Davide è diventato Golia: un campione dell’impunità internazionale, ingabbiato da Israele nel retaggio storico di una narrazione esclusivamente ebraica.   E gli abitanti palestinesi di Silwan continuano le loro battaglie legali apparentemente senza speranza, dove la giustizia viene decisa dall’oppressore. Continuano con creatività ad ideare e ad organizzare iniziative dal basso, tecniche di resistenza e attività mirate a rafforzare la loro comunità. Ma per quanto tempo ancora Silwan potrà continuare a resistere di fronte a questa massiccia aggressione israeliana prima di esplodere affidandosi all’uso disperato di molto più che solo pietre e fionda? (Nena News)

Dopo gli spari in acque internazionali anche il furto dai conti correnti

9 giugno 2010 1 commento

La notizia ha dell’incredibile anche per chi, come me, raramente si stupisce per gesti ed eventi gestiti da Israele e i suoi soldati (di ogni divisa e forma).
Ma questa ha veramente superato il prevedibile.
Parliamo ancora una volta di Manolo Luppichini, il nostro compagno, che da regista freelance era imbarcato sulla Freedom Flottiglia: non a bordo della Mavi Marmara dove c’è stato l’eccidio israeliano, ma su un’altra delle imbarcazioni che componevano la flotta di aiuti umanitari, la “8000” come il numero dei prigionieri palestinesi nelle mani israeliane.

Ora le sue parole, in una dichiarazione di oggi, ci lasciano sconcertati: «Sono rientrato in Italia il 3 giugno – racconta- ma a Roma solo l’altro ieri, il 7 giugno. Sono andato subito in banca per bloccare la carta, ma dai tabulati risulta che è stata utilizzata in Israele il 4 giugno, quando io ero già rientrato, per due volte. Una prima volta sono stati prelevati solo 2 euro, probabilmente per fare una prova poi, una seconda volta, 52 euro, dopodichè il credito disponibile sulla carta si è esaurito. Non solo mi hanno sequestrato tutto il materiale di lavoro  telecamere, e registrazioni, ma, come se non bastasse, hanno anche speso i miei soldi, attingono al mio conto corrente, e questo è un fatto intollerabile. Sono basito e senza parole. Non capisco se si tratti di arroganza o ingenuità». «A questo punto – prosegue Luppichini – mi chiedo in mano a chi siano le mie cose. Pretendo di ricevere indietro tutto quello che mi è stato sequestrato»
E’ riportato dalle agenzie stampa…
mentre QUI potete ascoltarlo dai microfoni di Radio Onda Rossa

Manolo ancora a Tel Aviv, sequestrato dallo Stato d’Israele

3 giugno 2010 Lascia un commento

Come avrete notato questo blog è rimasto pietrificato davanti agli ultimi fatti avvenuti in acque internazionali, del nostro Mar Mediterraneo.
Un blog senza parole, che non si è mai aggiornato dalle montagne vacanziere dove si trovava poco prima dell’immane e inaccettabile tragedia.
E così solo due righe, per dire che son rientrati tutti tranne il nostro compagno, tranne Manolo che non è stato imbarcato sul volo dopo le 12 ore di fermo (ulteriori) dentro l’aereoporto di Ben Gurion (ci son passata, non l’auguro a nessuno).

L’Italia ieri ha votato contro la risoluzione dell’ONU… che c’è da commentare?
Non perchè io creda nelle risoluzioni dell’ONU contro Israele, ma insomma….facciamo veramente schifo.
E quindi ancora solo rabbia e tanta ansia: piena solidarietà a Manolo che ancora si trova sequestrato dallo stato sionista d’Israele,
solidarietà a Manolo, che ha risposto ad alcuni schiaffi dentro l’aereoporto verso un palestinese e non è stato lasciato partire.
Tanto, come si poteva immaginare, sono tutt@ partiti senza materiale e bagagli.
Nessuna foto, nessun video, nessun fermo-immagine è stato salvato dal sequestro.

LO STATO SIONISTA SI CONFERMA ESSERE LA FECCIA DI QUESTO PIANETA: UNO STATO OCCUPANTE, SEGREGAZIONISTA, TEOCRATICO E MILITARE.
UNO STATO DA ABBATTERE, PRIMA DI TUTTI GLI ALTRI

Per gli aggiornamenti ascoltare Radio Onda Rossa

Sosteniamo il centro Amal Al-Mustakbal nel campo di Aida, in West Bank

19 aprile 2010 Lascia un commento

Il centro Amal Al Mustakbal è nato nel 1987 nel campo profughi di Aida, nella zona di Betlemme (Palestina). L’idea di un asilo nasce dal desiderio di attivare progetti per strappare i bambini e le bambine dalle strade e fornire una preparazione prescolastica attraverso attività di gioco, danza, studio, sport e arte.

Foto di Valentina Perniciaro _a pochi passi dal campo profughi di Aida, Betlemme_ Marzo 2002

Nel 2002, con la costruzione del muro di separazione, l’economia interna al campo profughi è precipitata. La totale disoccupazione, l’espropriazione di terre coltivabili e la continua occupazione militare, sono le ragioni per cui la struttura oggi si trova senza alcun sostegno economico, contando unicamente sul lavoro volontario di donne e uomini del campo profughi.
Nonostante l’obiettivo sia di garantire a tutti e tutte la possibilità di studiare, sono solo 40 i bambini e le bambine che possono utilizzare gratuitamente gli spazi del centro e, attraverso la guida dei volontari, partecipano alle attività culturali e di apprendimento. Ogni giorno, dalle 8.00 alle 12.00, bambine e bambini partecipano ad attività e giochi con lo scopo di imparare a leggere, scrive e contare mentre nel pomeriggio il centro resta aperto per dare vita a laboratori di danza, arte e sport. Durante la pausa estiva le attività proseguono con i campi estivi. Il motivo per il quale scegliamo di parlarvi di questa realtà è perchè abbiamo attivato una cassa di sostegno alla vita del centro, considerando fondamentale il ruolo che svolge all’interno dell’esistenza drammatica delle persone che vivono nel campo profughi di Aida.
Da Marzo 2009 non esiste alcun finanziamento che possa garantire il regolare svolgimento delle attività. Le persone che s’impegnano a tenere in vita questo progetto, non percepiscono alcuna forma di reddito e non possono garantire la sopravvivenza del centro. I materiali non sono minimamente sufficienti per consentire un dignitoso svolgimento delle attività. L’edificio che ospita questo grande sogno richiede l’impegno costante nel pagamento dell’affitto.
Per queste ragioni il centro Amal Al Mustakbal ha dovuto sospendere le attività ma la forza dei volontari ha portato ad una riapertura provvisoria. Come gruppo che fa riferimento al blog freepalestine.noblogs.org abbiamo attivato da diversi mesi una campagna di sostegno al centro Amal Al Mustakbal che ha portato a coinvolgere diverse scuole della capitale. Si può aiutare il centro in diversi modi: economicamente, alcune scuole hanno devoluto i ricavati volontari delle recite scolastiche, con uno scambio di disegni tra bambini o mandando in Palestina tutto lʼoccorrente didattico per continuare lʼapprendimento o la ricreazione. Tutte queste forme aiutano una popolazione a non sentirsi sola, soprattutto
nei confronti di bambine e bambini le maggiori vittime di muri e separazioni.
Per info: carovanapalestina@autistici.org
VIDEO DAL CAMPO DI AIDA

Gerusalemme e la “collera”

17 marzo 2010 Lascia un commento

Ieri non ho avuto modo di aggiornare il blog, quindi non ci sono mie righe di commento ai fatti di Gerusalemme e, nemmeno, alla decisione del premier israeliano di accordare la costruzione di nuovi insediamenti, in barba non solo a decine e decine di risoluzioni ONU, ma anche alle direttive statunitensi.
Momento di tensione eccellente quindi, come poche voltre in precedenza: i rapporti diplomatici e politici tra Israele e Stati Uniti hanno preso una bella sprangata sui denti dopo questa decisione unilaterale di Nethanyahu.
Così ieri la popolazione è scesa in piazza, soprattutto a Gerusalemme, in quella che è stata denominata la “giornata della collera”.
Ieri ci sono stati scontri e pestaggi, barricate e sassaiole per la città che non sto qui a raccontare visto anche lo spazio che hanno trovato nei media mainstream.
Scrivo in ritardo di un giorno quindi, solo per ribadire la mia totale vicinanza a quel popolo in lotta, in una lotta che anno dopo anno è sempre più massacrante, estenuante e contro un nemico che fa rimpiangere i “mulini a vento”.
Ieri, oltre alla giornata della collera e dell’ira era anche l’anniversario della morte, dell’assassinio di Rachel Corrie, schiacciata da un bulldozer dell’esercito israeliano mentre manifestava pacificamente contro le demolizioni di case palestinesi nella Striscia di Gaza.
Ciao Rachel, sorella di Palestina.

In questa pagina il ricordo che ho fatto lo scorso anno, con stralci delle sue lettere e un po’ di immagini!

UN ANNO DAL GENOCIDIO DI GAZA!

27 dicembre 2009 1 commento

Un giorno da ricordare, malgrado sarebbe bello potersene dimenticare.
Un anno fa il cielo di Gaza, il cielo, il mare, la terra della Striscia di Gaza si coprirono di un’ombra di morte che non li abbandonò per poco più di un mese. Più di 1400 persone se  ne andarono dietro a quell’ombra e fare il conto di quanti bambini sotto i 9 anni ci sono tra quei numeri, fa paura, orrore, dovrebbe far indignare, urlare e combattere.

13 morti, tredici, 13, tredici morti tra gli israeliani!

E invece parlando in giro, guardandosi intorno, si capisce come il ricordo di Gaza sia vago, malgrado 365 giorni non siano così tanti.
Se si sfoglia La Repubblica di oggi è palese quello che l’Italia ricorda: nulla.
Non una riga, non un titolo, niente che ricordi un attacco terroristico legalizzato e prolungato per 34 giorni su una cittadinanza inerme, completamente assediata, privata di qualunque possibilità di vita normale, di riscatto, di lavoro o studio, di una normale costruzione di relazioni personali.
Neanche tutta la sinistra ha il buon gusto di ricordare. Lo fa “il Manifesto”, lo fa “Liberazione”, ma già “Gli Altri” , divenuto da poco settimanale,  non ha avuto il buon gusto di sprecare una sola battuta d’inchiostro a riguardo. Malgrado le migliaia sprecate per cose poco leggibili. Buono a sapersi.

Nessun popolo al mondo vive la situazione di Gaza: nessuno vive con la densità di popolazione presente in quei vicoli sudici. Nessuno è costretto a nascere, crescere, fare figli e vederli morire in una stessa stanza da dividere minimo in 10. Stanza dove non esiste un giorno di intimità, dove non esiste niente di quello che rende una vita “normale”; stanza che poi viene meticolosamente, ripetutamente, abbattuta, bombardata, rasa al suolo.
Una striscia di terra stuprata, un terra di profughi che lì sono stati deportati, trasformati in detenuti a cielo aperto, in essere viventi privati di qualunque libertà, per poi condurre decenni di vita da animali in gabbia, da detenuti senza reato, da bambini dagli occhi profondi che non guarderanno mai più lontano di pochi metri.
Non riesco nemmeno a scriverne lucidamente: nel ricordare quell’operazione si dovrebbero dare dei dati, parlare degli armamenti usati, parlare degli studi fatti poi sui corpi e sul suolo che ci provano la pericolosità costante di chi vive su un territorio ormai completamente contaminato da sostanze chimiche e tossiche, cancerogene e pericolose.
Si dovrebbe parlare degli effetti che fanno i bombardamenti sui bambini, che vuol dire crescere con continue incursioni, in stanze sovraffollate con il cielo carico di cacciabombardieri. Si dovrebbe parlare di quanti aborti spontanei ci sono negli ultimi mesi di gravidanza durante le incursioni, si dovrebbe parlare dei rifugi ONU rasi al suolo poco dopo che avevano comunicato alle forze israeliane di aver accolto manciate di profughi.
Si dovrebbe parlare delle bombe DIME e di come tranciano le vene per lasciarti morire come un carboncino monco, di come il fosforo mangia gli organi interni e lascia i tuoi vestiti intatti.
E ancora, i media internazionali obbligati a rimanere fuori, gli attivisti rimasti dentro infilati in liste nere di gente da far fuori il più velocemente possibile; e poi, quanti bambini trovati morti con un solo colpo di fucile al cuore? Quanti neonati sono stati fotografati trapassati da parte a parte da un solo colpo, preciso, al cuore o in testa?
Le avete viste quelle foto? E come avete fatto a dimenticarle?
Come fate ad essere complici di un simile genocidio, come fate a comprare i prodotti israeliani, come fate a spalmare sulla vostra pelle creme di bellezza israeliane sapendo che la pelle dei bambini di Gaza quando non è lacerata da ferite mortali è incisa da malattie e malformazioni? Come cazzo fate a non sentire il bisogno di fare qualcosa, anche se questo qualcosa fosse solo RICORDARE?
Come fa un settimanale “di sinistra”(oggi ce l’ho con il giornale di Sansonetti come mai prima d’ora) a non pubblicare nemmeno una foto che riporti il pensiero a quei giorni così vicini? Come si fa a rimuovere così?
Come si fa a star fermi? Come si può ancora sopportare?

“Fratello, io credo nel mio popolo errante, carico di catene.
Ho preso le armi perchè un giorno I nostri figli prendano la falce.
Il sangue delle mie ferrite irriga le nostre valli;
Esso ha dei diritti su di te, è il debito che non può più aspettare” – Jalal al-din – 

Fosforo bianco per le strade di Gaza

 

Categoria del blog: OPERAZIONE PIOMBO FUSO 

Arrestato Jamal Juma’, portavoce della campagna contro il Muro

22 dicembre 2009 Lascia un commento

Free Jamal Juma’! – Free the anti-Wall prisoners!

Il 16 dicembre le autorità israeliane hanno arrestato Jamal Juma’. Questo arresto segue quello di Mohammad Othman, un altro attivista della Campagna Stop the Wall, e di Abdallah Abu Rahmeh, una figura di spicco in seno al comitato popolare di Bil’in contro il muro, così come quello di decine di altri che sono attualmente in carcere per la loro azione di difesa contro il Muro. Quest’ultimo arresto è l’ennesima prova dell’escalation di attacchi contro i difensori dei diritti umani palestinesi da parte di Israele che continua a reprimere il diritto alla libertà di espressione e il diritto di associazione.
Aderisci alla campagna per la liberazione di Jamal Juma’ e per la libertà dei prigionieri del movimento contro il Muro! E’ fondamentale che la società civile globale esprima la sua solidarietà alle sue loro controparti palestinesi.
Le azioni raccomandate:
Incoraggiare i soci a partecipare a questa campagna attraverso petizioni, manifestazioni e/o la scrittura di lettere e chiamate telefoniche. Si prega di fornire loro numeri e indirizzi di contatto.
Sollecitare i vostri rappresentanti presso gli uffici consolari di Tel Aviv e Gerusalemme/Ramallah a sostenere il rilascio immediato di Jamal Juma ‘, Mohammad Othman, Abdallah Abu Rahmeh e degli altri attivisti contro il Muro. Vedi proforma lettera qui sotto. (Per verificare i contatti della tua ambasciata, vedere: http://www.embassiesabroad.com/embassies-in/Israel # 11725)
• Rendere noto all’Ambasciata di Israele presso il tuo paese a sapere che stai sostenendo una campagna per la liberazione di Jamal Juma’ e degli altri prigionieri contro il Muro.

Jamal Juma' nella sua terra violentata

Denunciare le misure prese a danno degli attivisti contro il Muro all’attenzione dei media locali e nazionali.
Consultare e diffondere le notizie che appaiono nell sito, blog e gruppo di Facebook per quanto riguarda la questione:

Sito: www.stopthewall.org
Blog: http://freejamaljuma.wordpress.com/; http://freemohammadothman.wordpress.com/
Facebook: Free Anti-Wall prigionieri
Twitter: http://twitter.com/wallprisoners
Vi invitiamo a coordinare le varie azioni con noi, questo ci permette di sapere se ci sono altri attivisti e organizzazioni che stanno prendendo provvedimenti analoghi. Quanto migliore sarà il livello di coordinamento, tanto più efficace risulterà la nostra azione.
Per maggiori informazioni contattare: global@stopthewall.org

I FATTI

Verso la mezzanotte del 15 dicembre, i servizi di sicurezza israeliani hanno convocato Jamal Juma’ per un interrogatorio. Qualche ora più tardi, lo hanno ricondotto a casa sua. Una volta a casa, Jamal Juma’ è stato ammanettato, mentre i soldati hanno perquisito la casa per due ore, mentre la moglie e i tre figli piccoli stavano a guardare impotenti. Al momento di andarsene, i soldati hanno detto alla moglie che avrebbe potuto rivedere il marito solo attraverso uno scambio di prigionieri. Jamal Juma’ è stato quindi portato via e arrestato, col divieto di incontrare un avvocato o di ricevere familiari, senza che gli fosse fornita alcuna spiegazione per il suo arresto.
Jamal ha 47 anni, è nato a Gerusalemme e ha dedicato la sua vita alla difesa dei diritti umani palestinesi. L’obiettivo principale del suo lavoro è volto alla responsabilizzazione delle comunità locali perché reclamino i loro diritti umani di fronte alle violazioni dell’occupazione. E’ membro fondatore di diverse ONG palestinesi e reti della società civile e coordina la Campagna palestinese contro il Muro dell’Apartheid fin dal 2002. Il suo ruolo è riconosciuto a livello internazionale, è stato più volte invitato a presentare all’estero il dramma rappresentato dal Muro ed è intervenuto anche presso le Nazioni Unite. I suoi articoli e le sue interviste sono ampiamente pubblicate e diffuse e la sua opera è stata tradotta in diverse lingue. Essendo un personaggio di grande visibilità, Juma ‘non ha mai tentato di nascondere o mascherare le sue attività.
Quello di Jamal Juma’ rappresenta l’arresto di più alto profilo all’interno di una crescente campagna di repressione tesa a colpire la base diella mobilitazione contro il Muro e le colonie. Inizialmente sono stati arrestati attivisti locali dei villaggi colpiti dal Muro, ma recentemente le autorità israeliane hanno cominciato a spostare la loro attenzione sui difensori dei diritti umani di fama internazionale, come Mohammad Othman e Abdallah Abu Rahmeh. Mohammad, un altro membro della campagna Stop the Wall, è stato arrestato quasi tre mesi fa, di ritorno da un giro di conferenze in Norvegia. Dopo due mesi di interrogatori, le autorità israeliane non essendo in grado di formulare accuse specifiche contro Mohammad, hanno emesso un ordine di detenzione amministrativa in modo da impedire la sua liberazione. Abdallah Abu Rahma, una figura di spicco nella lotta non violenta contro il Muro a Bil’in, è stato prelevato dalla sua abitazione da soldati a volto coperto nel bel mezzo della notte, e dopo una settimana è seguito l’arresto di JamalJuma’.
Con questi arresti, Israele mira a indebolire la società civile palestinese e la sua influenza sulle decisioni politiche a livello nazionale e internazionale. Questo processo criminalizza chiaramente il lavoro dei difensori dei diritti umani palestinesi e palestinesi, la disobbedienza civile.
E’ fondamentale che la comunità internazionale si mobiliti contro i tentativi di Israele di criminalizzare chi lotta contro il Muro. La politica israeliana mettendo nel mirino le organizzazioni che pretendono che vengano riconosciute le responsabilità dello stato ebraico, intende sfidare le decisioni dei governi e degli organismi internazionali, come la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ), che denunciano le violazioni israeliane del diritto internazionale. Una sfida che non deve vincere

Lettera Pro Forma in italiano:

Cari x, 
Vi scrivo per esprimere la mia più profonda preoccupazione per la detenzione di Jamal Juma’, avvenuta in data 16 dicembre. Chiamato per un interrogatorio dai servizi di sicurezza israeliani a mezzanotte, è stato mantenuto in detenzione da allora. Pur essendo in possesso della carta d’identità di Gerusalemme est, a Jamal Juma’ sono stati applicati dli ordini militari vigenti in Cisgiordania, in modo da impedirgli di incontrare un avvocato per la prima settimana del suo arresto.Nessuna accusa è stata fatta contro di lui. Temo che la detenzione di Jamal Juma’ sia il risultato della sua critica pacifica delle violazioni del diritto internazionale da parte delle autorità israeliane. Le accuse contro di lui non sono state chiarite, ma non vi è motivo di credere che si tratta di un prigioniero di coscienza, arrestato solo per il suo lavoro sui diritti umani attraverso le organizzazioni legali. Il suo arresto segue una serie di altri arresti di natura analoga. Questo sembra dimostrare una violazione sistematica palestinese per la libertà di espressione e di riunione e un attacco sistematico rivolto ai  difensori dei diritti umani palestinesi da parte delle autorità israeliane. Vi chiedo di prendere tutte le misure appropriate, comprese le inchieste amministrative e di protesta, al fine di garantire il rilascio immediato e incondizionato di Jamal Juma ‘e di ogni altro palestinese, difensori dei diritti umani. presente nelle carceri israeliane. Inoltre, pur essendo detenuto, egli deve essere protetto da ogni forma di tortura o maltrattamenti, e le condizioni della sua detenzione devono soddisfare i requisiti del diritto internazionale.
Grazie per la vostra pronta attenzione a questo problema urgente.
Cordiali saluti,

in inglese:

Dear x,
I am writing to you to express my deepest concern about the detention of Jamal Juma’ on December 16. He was summoned from his home for interrogation with the Israeli security at midnight and has been kept in detention ever since. Though Jamal Juma’ is a Jerusalem ID card holder, West Bank military orders have been applied to bar him for access to legal counsel for the first week of his arrest. No charges have been made against him. I fear that the detainment of Jamal Juma’ is a result of his peaceful criticism of violations of international law by Israeli authorities. The charges against him have not been made clear, but there is reason to believe that he is a prisoner of conscience, arrested solely for his human rights work through legal organizations. His arrest follows a number of other arrests of similar nature. This seems to show a systematic disregard for Palestinian freedom of expression and assembly and a full-scale attack on Palestinian human rights defenders by Israeli authorities. I ask you to take all appropriate measures, including official inquiries and protests, to ensure the immediate and unconditional release of Jamal Juma’ and the other Palestinian human rights defenders in Israeli prisons. Furthermore, whilst being held, he should be protected from any form of torture or ill-treatment, and the conditions of his detention should fulfill the requirements of international law.
Thank you for your prompt attention to this urgent matter.

E’ caduto il muro??? A me ne sembrano nati così tanti!!

9 novembre 2009 3 commenti

Ancora ci vengono a raccontare che il muro è caduto, che vent’anni fa siamo diventati più liberi.
Non è caduto un bel niente, non è caduto un bel niente.
La “cultura” dei muri è all’apice della sua storia … ne vengono alzati di continui, anche su territori in cui sembrerebbe impossibile.
Il muro più alto ora, per noi europei, è eretto al centro del nostro mare, la culla liquida della nostra storia,
oggi cimitero di popoli pieni di speranza, con il futuro nello sguardo e nulla nelle mani.

muro2
1 Torre di osservazione munita di radar e ospitante soldati muniti di equipaggiamento per la visione notturna. 
2 Telecamera a infrarossi; completata da una sorveglianza video costante da palloni frenati e aerei senza pilota. Tutte le informazioni sono inviate in tempo reale verso un posto di comando. 
3 Rotoli di filo spinato affilato («razor wire») di 1 metro e 80 di altezza. 
4 Strada asfaltata per i movimenti delle truppe. Fra la strada e il filo spinato, una pista di sabbia permette di conservare le tracce di chiunque tenti di avvicinarsi. 
5 Recinzione metallica alta 3 metri, munita di sensori.
6 Lungo le sezioni considerate da Israele come « ad alto rischio », la recinzione è rimpiazzata da un muro di cemento alto 8 metri.
7 Strada per i veicoli di pattuglia. 
8 Fossato profondo due metri per impedire il passaggio dei veicoli palestinesi.
9 Rotoli di filo spinato affilato e sensori al suolo per individuare ogni movimento prima che venga raggiunta la recinzione.
 Il muro tra Messico e Stati Uniti Il muro tra Messico e Stati Uniti che miete decine di vittime tra coloro che provano ad attraversarlo: è una delle frontiere più lunghe del mondo

 

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Tra Marocco e Mauritania: campi minati per km a definire un altro confine illegale

 

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Il muro di Sadr City, zona sciita di Baghdad

Altro confine marocchino: questa volta a Ceuta, con la Spagna Questo è il muro di Ceuta, che divide il Marocco dalla Spagna

Purtroppo potrei continuare, continuare a metter foto di altri muri: quelli che esistevano prima del muro di Berlino, come la cortina che divide le due Coree..poi quelli asiatici che cercano di separare i pesanti confitti tra India e Pakistan o nelle zone calde come il Rajastan:
Insomma di muri ce ne sono troppi per poter parlare e far demagogia sull’unico che è caduto.
Poca retorica, poche parole, non mi va fondamentalmente di affrontare alcun discorso su Berlino e la cortina di ferro, non ho voglia di parlare delle polemiche uscite sui giornali di sinistra negli ultimi mesi tra chi (di nostalgici stalinisti ce ne son sempre troppi, purtroppo) ha nostalgia di quel cemento.
Io sono contro i muri, sono contro le frontiere, sono contro i confini, sono contro la segregazione dei popoli regolata da questo cemento..
Un cemento di controllo e repressione, di colonizzazione e imperialismo, di sfruttamento e privazione delle risorse della propria terra.
Il cemento è cemento, ogni volta che si sbriciola è una vittoria per i popoli in lotta, per chi crede nella libertà, 
per chi lotta per l’autodeterminazione!

 

Ottima intervista a Jeff Halper fondatore dell’associazione israeliana contro la demolizione di case palestinesi

25 settembre 2009 Lascia un commento

Jeff Halper ha fondato in Israele  nel 1997 l’ICAHD, Israeli Committee Against House Demolitions (www.icahd.org), associazione di persone che per vie legali e con la disobbedienza civile si oppongono alla demolizione delle case palestinesi, e che forniscono supporto economico e materiale per la loro ricostruzione.

Intervista a Jeff Halper a cura di Lorenzo Galbiati – traduzione di Daniela Filippin
a cura di Lorenzo Galbiati (traduzione di Daniela Filippin)

Tu sei un cittadino dello “stato ebraico” di Israele, uno stato fortemente voluto nel Novecento dal movimento sionista e ottenuto dopo 50 anni di grande emigrazione degli ebrei europei nel 1948, sulla spinta della fine della Seconda guerra mondiale e del terribile crimine della Shoah. Che cos’è per te oggi, concretamente, il sionismo?

Jeff Halper

Jeff Halper

«Il sionismo fu un movimento nazionale che ebbe un senso in un determinato tempo e luogo. Mentre i popoli d’Europa cercavano un’identità come nazioni rivendicando i loro diritti all’autodeterminazione, allo stesso modo si comportavano gli ebrei, considerati all’epoca dalle nazioni d’Europa stesse un popolo separato. Tuttavia, due problemi trasformarono il sionismo in un movimento coloniale che oggi non può più essere sostenuto. Innanzitutto, il sionismo adottò una forma di nazionalismo tribale, influenzato dal pan-slavismo russo e dal pan-germanismo del centro Europa, culture dominanti nei territori dove la maggior parte degli ebrei vivevano in Europa, rivendicando la terra d’Israele fra il Mediterraneo e il fiume Giordano come fosse un diritto esclusivamente ebraico. Questo creò i presupposti per un inevitabile conflitto con i popoli indigeni, quelli della comunità araba palestinese, che ovviamente rivendicavano un proprio Paese dopo la partenza dei britannici. Se il sionismo avesse riconosciuto l’esistenza di un altro popolo nel territorio, “alloggiare” tutti in una sorta di stato bi-nazionale sarebbe stato ancora possibile. Ma pretendere la proprietà esclusiva, pretesa che anche oggi sussiste dai sionisti e da Israele, rende non fattibile uno stato “ebraico”. Il secondo problema fu che il paese non era disabitato. Una proprietà esclusiva del territorio avrebbe potuto funzionare se fosse stato completamente privo di abitanti. Ma visto che la popolazione palestinese esisteva ed era in effetti in maggioranza, cosa che sta avvenendo anche oggi, una realtà bi-nazionale esisteva già allora e doveva essere gestita come tale».

Molti anni fa tu ti sei trasferito dagli USA in Israele: è stata una scelta dovuta a motivi contingenti, personali, o spinta da una motivazione ideologica?

«Sono cresciuto negli Stati Uniti negli anni ’60. Sono sempre stato coinvolto nelle attività politiche della sinistra (o perlomeno la nuova sinistra): i movimenti per i diritti civili di Martin Luther King, il movimento contro la guerra in Vietnam ecc. Dunque, dopo il 1967 sono diventato critico dell’occupazione d’Israele (Israele non fu mai un argomento politico di grande rilievo prima di quel momento). Ma gli anni ‘60 furono anche un periodo in cui molti di noi cittadini americani bianchi di classe media rifiutavamo il materialismo americano e la conseguente superficialità della sua cultura, cercando significati più profondi attraverso la ricerca delle nostre radici etniche. Man mano che divenivo più distaccato dalla cultura americana, la mia identità di ebreo diventò centrale – ma in senso culturale e viscerale, non religioso. Ho viaggiato attraverso Israele nel 1966, mentre ero in transito per andare ad effettuare delle ricerche in Etiopia, e il paese mi “parlò”. Provai un senso di appartenenza che risultò soddisfacente alla mia ricerca di un’identità, pur restando conscio a livello politico dell’occupazione, a cui mi opponevo. Quando mi sono trasferito in Israele nel 1973, mi sono immediatamente unito ai movimenti pacifisti di sinistra. Le mie vedute negli anni sono cambiate coi tempi e le circostanze. Ormai non sono più un sostenitore della soluzione dei due stati, visto che non ritengo che Israele sia realizzabile come stato “ebraico”, sostenendo al contrario la soluzione dello stato bi-nazionale. Però credo ancora che gli ebrei abbiano legittimamente diritto a un posto in Israele/Palestina, anche come entità nazionale. Non siamo stranieri in questa terra e non accetto la nozione che il sionismo sia semplicemente un movimento coloniale europeo (sebbene si sia effettivamente comportato come tale)».

Demolizione di una casa per mano israeliana a Dwayat

Demolizione di una casa per mano israeliana a Dwayat

In Europa, e segnatamente in Italia, sta passando l’equazione antisionismo uguale antisemitismo; infatti, il nostro presidente Napolitano durante la Giornata della Memoria del 2007 ha detto che va combattuta ogni forma di antisemitismo, anche quando si traveste da antisionismo, e qualche mese fa, il presidente della Camera Fini ha detto in tivù, di fronte all’accondiscendente presidente della comunità ebraica romana Riccardo Pacifici, che oggi l’antisionismo è la nuova forma che ha assunto l’antisemitismo. Come spieghi questo fenomeno? Che significato ha a livello politico internazionale?

«Questo è il risultato di una campagna martellante da parte del governo israeliano per mettere a tacere qualsiasi critica contro Israele o le sue politiche. Diversi anni fa, in una riunione di strategia tenutasi al ministero degli affari esteri, un “nuovo antisemitismo” fu inventato, che sfruttava in modo conscio e deliberato l’antisemitismo per fini di pubbliche relazioni israeliane. Il “nuovo antisemitismo” affermava che ogni critica mossa contro Israele era anche antisemita. Tutto ciò non è solo falso e disonesto da un punto di vista politico, ma pericoloso per tutti gli ebrei del mondo. L’antisemitismo è effettivamente un problema che andrebbe combattuto assieme ad altre forme di razzismo. Definirlo solo in termini israeliani lascia altri ebrei della diaspora senza protezione. E’ quindi considerato accettabile essere antisemiti, vedi Fini e gli evangelisti americani come Pat Robertson, ad esempio, purché si è “pro-Israele”. Loro lo sono per vari motivi (principalmente perché Israele si è allineata con elementi destrorsi e fascisti ovunque nel mondo). Ma se sei critico di Israele come Paese, ed abbiamo tutti il diritto di esserlo, non sei antisemita però vieni condannato e zittito secondo la dottrina del “nuovo antisemitismo”. E’ conveniente per Israele ma pericoloso sia per gli ebrei della diaspora che per chiunque si batta a favore dei diritti umani e contro il razzismo».

In Israele hai fondato l’Icahd, l’Israeli Committee Against House Demolitions, con il quale ti sei opposto, anche fisicamente, alla demolizione di molte case palestinesi, finendo più volte in carcere per questo. Come giudichi le politiche israeliane per l’assegnazione della terra e per i permessi edilizi? Credi si possa parlare di apartheid?

«I governi israeliani più recenti hanno tentato di istituzionalizzare un sistema di apartheid, basato su un “Bantustan” palestinese, prendendo a modello ciò che fu creato nell’era dell’apartheid in Sud Africa. Quest’ultima creò dieci territori non-autosufficienti, per la maggioranza abitati da neri, ricoprenti solo l’11% del territorio nazionale, in modo da dare al Sud Africa una manovalanza a buon mercato e contemporaneamente liberandola della sua popolazione nera, rendendo quindi possibile il dominio europeo “democratico”.homedemo Questo è esattamente ciò che intenderebbe fare Israele – il proprio “Bantustan” palestinese comprenderebbe solo il 15% del territorio della Palestina storica. In effetti, dai tempi di Barak come primo ministro, Israele ha proprio adottato il linguaggio dell’apartheid. Quindi il termine usato per definire la politica di Israele nei confronti dei palestinesi è hafrada, che in ebraico significa “separazione”, esattamente come lo fu in Afrikaans. Apartheid non è né uno slogan, né un sistema esclusivo del Sud Africa. La parola, come viene usata qui, descrive esattamente un regime che può aver avuto origine in Sud Africa, ma che può essere importato e adattato alla situazione locale. Alla sua radice, l’apartheid può essere definita avente due elementi: prima di tutto, una popolazione che viene separata dalle altre (il nome ufficiale del muro è “Barriera di Separazione”), poi la creazione di un regime che la domina definitivamente e istituzionalmente. Separazione e dominio: esattamente la concezione di Barak, Sharon e eventualmente, Olmert e Livni, per rinchiudere i palestinesi in cantoni poveri e non autosufficienti.
La versione israeliana dell’apartheid è tuttavia persino peggiore di quella sudafricana. In Sud Africa i Bantustans erano concepiti come riserve di manodopera nera a buon mercato in un’economia sudafricana bianca. Nella versione israeliana i lavoratori palestinesi sono persino esclusi dall’economia israeliana, e non hanno nemmeno un’economia autosufficiente propria. Il motivo è che Israele ha scoperto una manodopera a buon mercato tutta sua: all’incirca 300.000 lavoratori stranieri provenienti da Cina, Filippine, Thailandia, Romania e Africa occidentale, la pre-esistente popolazione araba in Israele, Mizrahi, etiope, russa e est europea. Israele può quindi permettersi di rinchiuderli là dentro persino mentre gli vengono negate una propria economia e legami liberi con i paesi arabi circostanti. Da ogni punto di vista, storicamente, culturalmente, politicamente ed economicamente, i palestinesi sono stati definiti un’umanità di troppo, superflua. Non gli resta che fare da popolazione di “stoccaggio”, condizione che la preoccupata comunità internazionale sembra continuare a permettere a Israele di attuare. Tutto ciò porta oltre l’apartheid, a quello che può essere definito lo “stoccaggio” dei palestinesi, una della popolazioni mondiali “di troppo”, assieme ai poveri del mondo intero, i detenuti, gli immigrati clandestini, i dissidenti politici e milioni di altri emarginati.
“Stoccaggio” rappresenta il migliore, e anche il più triste dei termini per definire ciò che Israele sta creando per i palestinesi nei territori occupati. Siccome lo “stoccaggio” è un fenomeno globale e Israele è stato pioniere nel creare un modello di questo metodo, ciò che sta accadendo ai palestinesi dovrebbe essere affare di tutti. Potrebbe costituire una forma di crimine contro l’umanità completamente nuovo, e come tale essere soggetto a una giurisdizione universale delle corti del mondo come qualsiasi altra palese violazione dei diritti umani. In questo senso l’“occupazione” di Israele ha implicazioni che vanno ben oltre un conflitto locale fra due popoli. Se Israele può confezionare e esportare la sua articolata “matrice di controllo”, un sistema di repressione permanente che unisce una amministrazione kafkiana, leggi e pianificazioni con forme di controllo palesemente coercitive contro una precisa popolazione mantenuta entro i limiti di comunità murate con metodi ostili (insediamenti in questo caso), mura e ostacoli di vario tipo contro qualsiasi libero spostamento, allora, in questo caso, come scrive lucidamente Naomi Klein nel suo libro The Shock Doctrine, altri paesi guarderanno ad Israele/Palestina osservando che : “Un lato sembra Israele; l’altro lato sembra Gaza”. In altre parole, una Palestina Globale».

Ti abbiamo visto in alcuni filmati descrivere la situazione di Gerusalemme est, spiegare quante e quali case palestinesi sono state distrutte: che cosa sta succedendo a Gerusalemme est? Si può parlare di pulizia etnica per Gerusalemme est, come fa Ilan Pappé?

«Concordo con Pappé nell’affermare che la pulizia etnica non stia avvenendo solo nella Gerusalemme est, ma anche nel resto dei territori occupati e in tutto Israele stesso. L’anno scorso il governo israeliano ha distrutto tre volte più case dentro Israele – appartenenti a cittadini israeliani che naturalmente, erano tutti palestinesi o beduini – rispetto al numero che ha distrutto nei territori occupati. L’ICAHD ha come scopo quello di resistere all’occupazione opponendosi alla politica di Israele di demolire le case dei palestinesi. Dal 1967 Israele ha distrutto più di 24 000 case palestinesi – praticamente tutte senza motivo o giustificazioni legate alla “sicurezza”, oltre ad aver dato decine di migliaia di ordini di demolizione, che possono essere messi in atto in qualsiasi momento».

Foto a cura dell'Ichad _demolizioni a Zur Baher_

Foto a cura dell’Ichad _demolizioni a Zur Baher_

Israele negli ultimi 4 anni ha sostenuto due guerre di invasione sanguinarie, quelle contro il Libano e la Striscia di Gaza. Ha ricevuto da molte parti accuse di crimini di guerra, sia per il tipo di armi che ha usato sia per la volontà deliberata di colpire la popolazione e le strutture civili, impedendo in molti casi i soccorsi medici. Come spieghi l’apparente consenso di una grande maggioranza di cittadini israeliani nei confronti di queste guerre? Come spieghi l’adesione a queste soluzioni politiche da parte di intellettuali considerati “pacifisti” come Grossmann e Oz?

«In Israele, la popolazione ebraica è ben poco interessata sia all’occupazione che al più universale principio della pace. Sono entrambi non-argomenti in Israele (non credo che siano stati menzionati una sola volta durante la passata campagna elettorale). Gli ebrei israeliani stanno attualmente vivendo una vita piacevole e sicura, e Barak e gli altri leader sono riusciti a convincere la gente che non esiste soluzione politica, che agli arabi non interessa la pace (siamo bravissimi a dare la colpa ad altri per evitare le nostre responsabilità di grande potenza colonizzatrice degli ultimi 42 anni!). Finché tutto sarà tranquillo e l’economia andrà bene, nessuno vuole sapere nulla degli “arabi”. Credo che dobbiamo rinunciare a sperare di vedere il pubblico israeliano come elemento attivo del cambiamento verso la pace. La maggior parte degli israeliani non si intrometterebbero in una soluzione imposta se la comunità internazionale dovesse insistere nell’imporne una, ma non farebbero alcun passo significativo da soli in quella direzione. Alla stessa maniera dei bianchi in Sud Africa, che accettarono e in alcuni casi dettero il benvenuto alla fine dell’apartheid, e che al tempo stesso non sarebbero mai insorti contro di essa. Invece per quel che riguarda gli “intellettuali”, anche loro non vedono. E’ la dimostrazione che si può essere estremamente sensibili, intelligenti, ricettivi come Amos Oz e alcuni dei nostri professori, che tuttavia rimangono al sicuro nella loro “nicchia”».

Tu da qualche anno sostieni che non è più praticabile sul campo la soluzione due nazioni due stati, poichè Israele ha ormai occupato con il Muro, le colonie e le strade gran parte della West Bank. Sostieni quindi la soluzione di uno stato laico binazionale. Oggi, dopo la carneficina di Gaza, e dopo le elezioni israeliane, è ancora immaginabile questa soluzione?

«Noi dell’ICAHD crediamo che la soluzione dei due stati sia irrealizzabile – a meno che si accetti una soluzione da apartheid, un mini-stato palestinese sovrano solo a metà sul 15% del territorio palestinese storico, spezzettato in ciò che Sharon chiama quattro o cinque “cantoni”. Non li vediamo né come fattibili né giusti o pratici, sebbene Israele li veda come una soluzione e stia spingendo in questa direzione al processo di Annapolis. Per noi la questione non è solo di creare uno stato palestinese, ma uno stato autosufficiente. Non solo questo minuscolo stato palestinese dovrà sopportare il ritorno dei rifugiati, ma un 60% di palestinesi sotto l’età di 18. Se emerge uno stato che non ha alcuna possibilità di offrire un futuro ai suoi giovani, una economia autosufficiente che può svilupparsi, rimane semplicemente uno stato-prigione, un super-Bantustan. boycott-israel-free-palestine
Credo che se non si materializzerà la soluzione dei due stati, e la soluzione per uno stato bi-nazionale (che io preferisco) verrà effettivamente impedita da Israele e la comunità internazionale, allora preferirei una confederazione economica medio orientale che comprenda Israele, Palestina, Giordania, Siria e Libano, nella quale tutti i residenti della confederazione abbiano la libertà di vivere e lavorare all’interno della stessa. Israele/Palestina è semplicemente un territorio troppo piccolo per poterci infilare tutte le soluzioni necessarie – la sicurezza, lo sviluppo economico, l’acqua, i rifugiati. E alla fine, quanto sarà grande lo stato palestinese sarà importante solo se verrà concepito come un’entità indipendente, economicamente autonoma. Se ai palestinesi sarà concessa la sovranità anche solo di un piccolo stato, più ristretto rispetto ai confini del ‘67, ma comunque avente l’intera confederazione per sviluppare la propria autonomia economica, credo che questo potrebbe rivelarsi lo scenario migliore. Ma questa è una proposta ambiziosa e campata in aria per il momento, e resta finora senza sostenitori (sebbene Sarkozy stia anche pensando in termini regionali). Quando si vedrà che la soluzione dei due stati è fallita, credo che allora la gente inizierà a cercare una nuova soluzione. E credo proprio che allora l’idea della confederazione risulterà sensata».

Credi che esistano forze politiche parlamentari, in Israele, in grado di sostenere un accordo autentico con i Palestinesi, in vista di una pace e della creazione di uno stato palestinese?

«L’unico ostacolo a un’autentica soluzione dei due stati (cioè uno stato palestinese disteso su tutti i territori occupati, con pochissime modifiche agli attuali confini) è nella volontà di Israele di permettere che avvenga. Giudicando dai fatti che si vedono sul terreno, la costruzione di nuovi insediamenti in particolare, nessun governo israeliano, né di destra né tanto meno di sinistra o centro, ha mai veramente considerato la soluzione dello stato palestinese come fattibile. Per rendere le cose ancora più difficili, se un simile governo dovesse mai emergere (e non ve n’è uno in vista), non avrebbe alcun mandato, alcuna autorità per evacuare gli insediamenti e “rinunciare” ai Territori Occupati Palestinesi considerato l’estrema frammentazione del sistema politico israeliano. Semplicemente, fra i partiti politici non vi è alcuna unità d’intenti per concordare veramente una soluzione di pace e di due stati. Ecco perché, se la comunità internazionale dovesse forzare Israele a ritirarsi per una vera pace, il pubblico israeliano la sosterrebbe. Israele non è destrorso quanto la gente immagina. Ho quindi una formula per la pace: Obama, l’ONU o la comunità internazionale dovranno dire a Israele: 1) Vi amiamo (gli israeliani se lo devono sentir dire); 2) Garantiremo la vostra sicurezza (QUESTA è la preoccupazione maggiore del pubblico israeliano); 3) ora che è finita l’occupazione, sarete fuori da ogni centimetro cubo dei Territori Occupati Palestinesi entro i prossimi 2-3-4 anni (e noi, la comunità internazionale, pagheremo per il dislocamento). Credo che ci sarebbe gente a ballare per le strade di Tel Aviv se tutto ciò avvenisse. Questo è esattamente ciò che vorrebbero gli israeliani, ma non possono sperarci, visto il nostro sistema politico. E’ altamente improbabile che ciò avvenga».

Che giudizio dai all’azione politica dei dirigenti palestinesi di Fatah ed Hamas dalla morte di Arafat a tutt’oggi?

top_logo«Ovviamente l’andamento della leadership palestinese è altamente problematico. Dobbiamo ricordare, tuttavia, che negli ultimi 40 anni Israele ha sostenuto una sistematica campagna di omicidi, esili e incarcerazioni dei capi di governo palestinesi, quindi la leadership attuale è mutilata (si potrebbe essere ingenerosi e, alla luce delle campagne condotte dall’autorità palestinese contro la sua stessa gente, affermare che l’attuale leadership di Fatah sia ancora viva e funzionante perché Israele sa bene chi deve eliminare e chi risparmiare). Una delle mie maggiori critiche rivolte all’attuale leadership di Fatah riguarda la sua inefficacia nel veicolare la causa palestinese all’estero. Nonostante un cambiamento dell’opinione pubblica ormai più a favore dei palestinesi, soprattutto dopo l’invasione di Gaza, la leadership non ha saputo sfruttare il momento propizio per inviare i propri portavoce presso le popolazioni ed i governi del mondo (in effetti, nell’ultimo anno, incluso il cruciale periodo della transizione verso l’amministrazione Obama, non vi è stato un solo rappresentante palestinese a Washington – e i rappresentanti palestinesi all’estero, con qualche rara eccezione, sono generalmente inefficaci). Al contrario di Israele, pare che la leadership palestinese si sia quasi ritirata dal gioco politico. In questo vuoto lasciato da Fatah, Hamas è giunto sulla scena come il “salvatore”, la forza/partito/leadership che resisterà ad Israele, resisterà alla “soluzione” dell’apartheid, manterrà l’integrità palestinese e combatterà la corruzione. Mentre la sua ideologia religiosa ed il suo programma dovrebbero essere considerati inaccettabili per qualsiasi persona minimamente progressista, si dovrebbe perlomeno ammirare la resistenza di Hamas e ammettere che stia effettivamente controbilanciando ciò che è stata percepita come la collaborazione di Fatah con Israele».

Credi che se la classe politica palestinese usasse dei metodi di lotta nonviolenta, quali il digiuno pubblico, e se convincesse la popolazione palestinese israeliana o che lavora in Israele a forme di sciopero generalizzato potrebbe ottenere dei risultati concreti?

«I metodi non-violenti sarebbero potuti essere efficaci. Se la leadership palestinese fosse più portata alla strategia, potrebbe usare a proprio vantaggio metodi non-violenti, come il movimento BDS (Boicottaggio – Disinvestimento – Sanzioni) e altre campagne analoghe con gruppi di pressione efficaci. Ma non lo fanno».

http://www.nazioneindiana.com/

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Jeff Halper, ebreo israeliano di origine statunitense (è nato nel Minnesota nel 1946), è urbanista e antropologo, e insegna all’Università Ben Gurion del Negev. In Israele ha fondato nel 1997 l’ICAHD, Israeli Committee Against House Demolitions (www.icahd.org), associazione di persone che per vie legali e con la disobbedienza civile si oppongono alla demolizione delle case palestinesi, e che forniscono supporto economico e materiale per la loro ricostruzione. Per questa attività, e per il suo attivismo pacifista, Halper è stato arrestato dal governo israeliano una decina di volte, ed è ora considerato uno dei più autorevoli attivisti israeliani per la pace e i diritti civili. In questi giorni Halper è in Italia per un giro di conferenze e per promuovere il suo libro Ostacoli alla pace (Edizioni “Una città”). Il programma delle sue conferenze è consultabile su: www.unacitta.it . Oltre alle sue attività accademiche e per l’ICAHD, Halper scrive libri ed è un conferenziere internazionale. Nel 2006 è stato candidato al Premio Nobel per la Pace dall’American Friends Service Committe. Nell’agosto del 2008 Halper ha partecipato alla spedizione per Gaza del Free Gaza Movement: la spedizione era costituita da un gruppo internazionale di attivisti dei diritti umani, tra i quali l’italiano Vittorio Arrigoni, e ha raggiunto Gaza a bordo di un peschereccio partito da Cipro, rompendo così per la prima volta l’embargo marittimo imposto da Israele alla Striscia di Gaza.

Aqel Srour, l’esercito israeliano e i proiettili nel cuore…

5 giugno 2009 1 commento


Palestine Boy With Flag at Bilin
 Inserito originariamente da Alan Pacetta

Oggi a Nilin, villaggio palestinese situato in Cisgiordania (vicino Ramallah) si stava svolgendo una manifestazione contro il muro della vergogna, il Muro dell’Apartheid come avviene ogni venerdì da diverso tempo, ormai. E’ un appuntamento per chi subisce la segregazione e l’occupazione militare e per tutti gli internazionali che sostengono la popolazione palestinse.

Aqel Srour, era questo il suo nome, aveva 35 anni e durante la manifestazione è stato colpito a morte dall’esercito israeliano con un colpo al cuore. Un ragazzo, un palestinese armato solo di desiderio di libertà e forse di qualche sasso.
Accanto a lui è rimasto ferito anche un ragazzo di 15 anni, anche lui del villaggio.
Lo scorso 17 aprile un altro trentenne è stato freddato in questo modo nel villaggio diventato simbolo delle mobilitazioni contro il muro, Bilin: la mano di chi ha sparato è la stessa dal 1948.
THE WALL MUST FALL! FREE PALESTINE!

Lieberman all’attacco…

27 Maggio 2009 Lascia un commento

Prosegue, prosegue marciando al passo dell’oca l’avanzata nazionalista e xenofoba di Avigdor Lieberman, neo-ministro degli esteri israeliano, leader del partito di estrema destra Israel Beitenu. NAKBA_woman

Le novità sono due e fanno rabbrividire: la prima è quella su cui ha basato la sua campagna elettorale, che ora è diventato un’effettiva proposta di legge presentata alla Knesset. 

Parliamo di un giuramento di fedeltà, requisito necessario alla cittadinanza,  allo “stato di Israele, stato ebraico, sionista e democratico”. Chi non firmerà questo giuramento non avrà la possibilità di ottenere i documenti di identità. In aggiunta è stata proposta anche la possibilità di revocare la cittadinanza a discrezione del Ministero degli Interni. Il giuramento di fedeltà è assolutamente inaccettabile per tutta la popolazione arabo-israeliana, già cittadini di serie B all’interno del proprio stato. 

Oltre a questa proposta di legge, Lieberman e il suo partito hanno proposto il CARCERE (3 anni di prigionia) per chi dovesse azzardarsi a commemorare la Nakba, dicendo che questa legge “ha l’intenzione di rafforzare l’unità dello stato israeliano”. la Catastrofe, l’inizio dell’esodo per 700.000 profughi mai tornati alle loro terra… questo si vuole cancellare.

Cancellare la storia, ancora una volta. 

Questo non lo si può far passare, almeno la memoria, almeno l’importanza della storia: almeno questo difendiamocelo con i denti, con il cuore, con il sangue, con la vita.

 

“Io sto aspettando il momento in cui saro’ capace di dire – all’inferno la Palestina- , ma questo non accadra’ prima che la Palestina torni libera. Io non posso ottenere la mia liberta’ personale senza la liberta’ del mio paese: quando la Palestina sara’ libera,   saro’ libero anche io “. _M. Darwish_

Appello agli studenti per boicottare Israele

14 Maggio 2009 5 commenti

QUESTA LETTERA E’ PRESA DAL SITO BOICOTTA ISRAELE, E SAREBBE UTILE FARLA CIRCOLARE COME MEGLIO SI PUO’..ATTACCARLA NELLE BACHECHE DELLE SCUOLE, AI CANCELLI O DAVANTI GLI INGRESSI DI PARCHI.
INSOMMA…IMPARIAMO L’IMPORTANZA DEL BOICOTTAGGIO! e magari riprendiamo anche quelle belle usanze dell’attacchinare e volantinare in quartiere, nei propri posti di lavoro, nelle scuole…

Foto di Valentina Perniciaro _Palestina, Betlemme, giocando nei campi profughi_

Foto di Valentina Perniciaro _Palestina, Betlemme, giocando nei campi profughi_

Tra qualche giorno, care ragazze e ragazzi delle scuole elementari e medie avrete finito questa fatica. Sarete sicuramente promosse e promossi, ma se anche dovesse esserci qualche complicazione, qualche piccolo inciampo… suvvia non sarà la fine del mondo. Avete una vita davanti e tutto il tempo per recuperare brillantemente qualsiasi rallentamento e andare ancora più avanti. Alla vostra età si ha il tempo dalla propria parte, è un prezioso alleato il tempo, non dimenticatelo. Comunque vada sarà stato un anno importante. Avete imparato tante cose, fatto conoscenze interessanti, avete approfondito conoscenze precedenti…
Ricordate? Ogni mattina vi recavate, casomai un po’ insonnolite/i, con i vostri libri, quaderni, matite, pennarelli, che poi utilizzavate per trascorrere ore piacevoli e interessanti… Fermiamoci qui un momento e pensiamo: siamo sicuri che per tutti i bambini e le bambine del mondo ogni mattina era così ?

boycott-israel-free-palestineMacchè! Sono 100 milioni (fonte-Unicef) i ragazzi e le ragazze che non hanno la possibilità di andare a scuola: guerre, povertà, oppressione…
Prendiamo un esempio non lontano da noi: i vostri fratellini e sorelline palestinesi (sono duecentomila a Gaza) anche quando le bombe avevano smesso di cadere e nessuno sparava più, non potevano andare a scuola con i libri, quaderni, matite negli astucci colorati. Perchè?

Semplicemente perché i burocrati del governo di Israele, che mantiene uno stretto controllo su questa piccola striscia di terra lungo il Mediterraneo e sui suoi abitanti, anche dopo il ritiro dei coloni israeliani nel 2005, ritiene che la carta e l’inchiostro non siano “bisogni umani fondamentali”… e questa non è una bella cosa.
Anzi è una cosa talmente brutta che bisogna mettercela tutta per farli smettere.
Si può fare qualcosa? Certo! Dite ai vostri genitori, per esempio, di non comprare più i prodotti israeliani, che sono quelli che hanno il “codice a barre” che inizia con 729.
Per maggior informazioni leggi 
qui.

Fortini, questione palestinese ed “eredità” (di classe)

5 Maggio 2009 1 commento

Ancora oggi mi avviene di leggere, scritto da rispettabilissime persone rimaste con la testa nel nostro Partito d’Azione del dopoguerra, quando la pensavo proprio come loro, che la nascita dello  stato d’Israele fu “una delle più alte creazioni della nostra età”.
Già, perché non sapevamo, allora, quasi nulla sulle vicende politiche e militari di quella nascita e il mondo arabo ci appariva identificato con i suoi capi, amici dei fascisti e dei nazisti.intifada
I sentimenti di colpa e di pietà impedirono allora a quasi tutti, a cominciare da chi scrive, di vedere a quale prezzo avvenne la fondazione di quello stato.
In uno studio sui rapporti fra questione ebraica e sinistra in Italia si distingue tra vittime e vittimismo.
E certo noi consideravamo, allora, gli ebrei come vittime. Lo erano.
Quel che, con la sua goffaggine mistica, dice la parola “olocausto” era quella innocenza simbolica. Oggi, leggo, sarebbero i palestinesi a fruire  di quella eco simbolica (il giusto come vittima) e intorno a loro si farebbe del “vittimismo” ossia della retorica emotiva sulla condizione di vittima.
Ma i palestinesi dell’Intifada non sono vittime. Sono gente che si ribella ad una condizione che è stata loro fatta e che paga per la loro ribellione. Non sono vittime almeno fino a quando si ribellano. Debbono essere considerati come i combattenti dei ghetti. Non dobbiamo loro pietà ma – e possiamo scegliere- indifferenza o ostilità o aiuto.

intifada1990Coloro ( e non sono pochi fra gli ebrei italiani e i loro amici) i quali ritengono che non si debba seguire innanzitutto una logica di schieramento ma una di mediazione e di pace, dicono in realtà che quel conflitto non può né deve coinvolgere questioni di principio. Come se si trattasse, che so, della terribile e sanguinosa guerra tra Iran e Iraq o di un conflitto fra la Libia e il Ciad.
Se così fosse, avrebbero assolutamente ragione. Ma così non è. Possono non saperlo gli israeliani, non possono non saperlo qui, o in Francia o negli Stati Uniti. E non solo per motivi non troppo diversi da quelli che costrinsero la coscienza di molti francesi (ma anche d’altre nazioni) a scegliere di stare dalla parte degli algerini e di aiutarli e quella di tanta parte degli europei e dei cittadini degli Stati Uniti di stare dalla parte dei vietnamiti e di aiutarli; ossia perché si faceva rientrare quel conflitto in un processo mondiale di lotta anticolonialista. Per quanto è di me non ho dubbi che quel conflitto rientri in un momento del processo mondiale di emancipazione  dei popoli in senso anticapitalistico. Ma a chi mi obiettasse che questo non basta a spiegare il sovraccarico di attenzione e di passione che non pochi portano a quel conflitto, bisogna convenire che sì[1], il rapporto che la cultura nella quale mi sono formato e viva ha con l’ebraismo (e quest’ultimo ha con lo stato d’Israele) aggiunge motivi di attenzione e partecipazione ad un conflitto che non è riducibile a quello che i due popoli sembrano combattere ossia un conflitto di nazionalità.run_flag
Per me, stare dalla parte dei palestinesi, quindi contro la politica militare del governo israeliano, e chiedere pronunce di parte immediatamente prima che di pace, vuol dire ricordare ai miei connazionali –non dunque solo agli ebrei, anzi e soprattutto non a costoro ma a chi, nella sinistra italiana, è loro amico- che esistono cause ( di giustizia o di solidarietà, di lotta anticolonialista o antimperialista internazionale; e ognuno scelga tra queste quella che meglio gli si confà) per le quali può essere necessario rompere i legami più cari e ardui; ossia scegliere che cosa mettere al primo posto: la fedeltà ad una patria, a un’etnia, a una cultura, a una tradizione religiosa o familiare, ai propri morti oppure altro. Questo “altro”, io che scrivo l’ho messo al primo posto, ogni volta che mi si è presentato un conflitto di doveri e di fedeltà. Non vorrei che si scambiasse, ancora una volta e secondo l’andazzo pseudo democratico oggi di moda, il rispetto per l’espressione del pensiero altrui col rispetto per un pensiero, o per azioni, che si ritiene sbagliate o false. E aggiungo che, poco paradossalmente, compete ai palestinesi, alla loro cultura assai diversa (nel senso di non-europea) da quella cui si richiama Israele, di rappresentare e richiamare noi ai principi di libertà di coscienza e di diritto all’insurrezione contro la tirannia, che hanno celebrato a Parigi il proprio secondo centenario.

Non chiedo, va da sé, che siano seguite le mie scelte; ma di riconoscere come delle scelte esistano e che la sofferenza da esse indotta è tanto salubre quanto corruttrice  ogni sofistica per evitarle. Più leggo ormai da vent’anni il complicatissimo, e sovrabbondante (e spesso mistificatore) discorso degli ebrei su se stessi ( e dei non ebrei sulla questione ebraica) con le loro mille correnti, più ho evitato di dire la mia, dopo I cani del Sinai (1967). Ma si danno situazioni e circostanze in cui mi è impossibile dimenticare che, foss’anche solo per il cognome della mia famiglia, ho forse un po’ più d’altri ( ma appena un poco) qualche dovere di parola.
2550_67020203277_618018277_2260849_6765907_nNon posso rispettare il silenzio e neanche il possibile dolore di persone che stimo e amo e che hanno, si diceva una volta, cura d’anime. Non ho rispettato, a suo tempo, le belle anime di sinistra straziate dallo stalinismo e dalle sue sequele. Non mi rispetterei se non avessi parlato. Non riesco a capire perché dovrei non interferire nelle scelte di coscienza sul conflitto  tra palestinesi ed ebrei quando quel diritto ce lo riconosciamo, fino a farcene un dovere, per quanto è delle opinioni e delle scelte in materia di attività professionali, valori culturali, atteggiamenti politici.
Un ulteriore discrimine è infine proprio questo: nulla è meno “privato” di quel che è classificato come tale da una cultura fondata proprio sulla distinzione e opposizione di “pubblico” e “privato”, di bourgeois e citoyen.

Non chiedo partecipazione per i “poveri” palestinesi ma per i falsi ricchi che saremmo noi.
Ma non è forse, quello che domando, una passione per la scelta in quanto tale invece che per i suoi contenuti? Non è forse privilegiare quel che è più difficile in luogo di quel che è più necessario o utile? Mi pare di sentire la risata di Brecht. Non sono forse molto meno interessato alla sorte reale dei ragazzi palestinesei e dei soldati israeliani di quanto sia desideroso di costringermi, e di costringere, ad atteggiamenti di sfida e di oscuramente desiderata sconfitta, di “eroismo” e di antagonismo?
Sì, questa è una mia eredità (di classe, dovrei dire). Dai miei anni, la vedo come si vede un’immagine in acqua bruna. Essa è all’origine dei miei errori e, nel medesimo tempo, di quel che ho di meglio da proporre e chiedere.

___FRANCO FORTINI: Extrema Ratio, 1989____

 

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Gli scontri di Umm al-Fahm _polizia israeliana anti-sommossa_

[1] In termini non molto diversi scrivevo sul Manifesto del 24 maggio 1989 attirandomi molte critiche e ingiurie: “[..] sono persuaso che il conflitto di Israele e di Palestina sembra solo, ma non è, identificabile a quei tanti conflitti per l’Indipendenza e la libertà nazionali che il nostro secolo conosce fin troppo bene. Sembra che Israele sia e agisca oggi come una nazione o come il braccio armato di una nazione, non diversamente dalla Francia in Algeria o gli Usa in Vietnam o l’Unione Sovietica in Ungheria o in Afghanistan. Ma, come la Francia era pur stata, per il nostro teatro interiore, il popolo di Valmy e gli Americani quello del 1775 e i sovietici quello del 1917, così gli ebrei, ben prima che soldati di Sharon, erano i latori di una parte dei nostri casi sacri, una parte angosciosa e ardente della nostra intelligenza, delle nostre parole e volontà. […]La distinzione tra ebraismo e stato d’Israele, che fino a ieri ci era potuta parere una preziosa acquisizione contro i fanatismi, è stata rimessa in forse proprio dall’assenso o dal silenzio della Diaspora. E ci ha permesso di vedere meglio perché non sia possibile considerare quel che avviene alle porte di Gerusalemme come qualcosa che rientra solo nella sfera dei conflitti politico-militari e dello scontro di interessi e di poteri. Per una sua parte almeno,quel conflitto mette a repentaglio qualcosa che è dentro di noi.

Ogni casa che gli israeliani distruggono, ogni vita che quotidianamente uccidono e persino ogni giorno di scuola che fanno perdere ai ragazzi di Palestina, va corrosa una parte dell’immenso deposito di verità e di sapienza che, nella e pa cultura d’Occidente, è stato accumulato dalle generazioni della Diaspora, dalla sventura gloriosa o nefanda dei ghetti e attraverso la ferocia delle persecuzioni antiche e recenti..
Ogni giorno di guerra contro i palestinesi, ossia di falsa coscienza per gli israeliani, a sparire o a umiliarsi inavvertiti sono un edificio, una memoria, una pergamena, un sentimento, un verso, una modanatura della nostra vita e patria comune. […] La nostra vita non è solo diminuita dal sangue e dalla disperazione palestinese; lo è dalla dissipazione che Israele viene facendo di un tesoro comune. Non c’è laggiù università o istituto di ricerca, non biblioteca o museo, non auditorio o luogo di studio e di preghiera capaci di compensare l’accumulo di mala coscienza e di colpe rimosse che la pratica della sopraffazione induce nella vita e nell’educazione degli israeliani. E anche in quella degli ebrei della Diaspora e dei loro amici.
Uno dei quali sono io. Se ogni nostra parola può togliere una cartuccia dal mitra dei soldati dello Tsahal, un’altra ne toglie anche a quelli, ora celati, dei palestinesi.

OSPITE NON GRADITO: Lieberman tra qualche giorno è a Roma

29 aprile 2009 2 commenti

Queer against Israeli Apartheid

25 aprile 2009 Lascia un commento

La lettera che riporto qui sotto è scritta da un regista gay canadese, John Greyson. E’ il rifiuto all’offerta di presentare la prima 

bds_poster_new_ldel suo film “Fig Trees” al Tel Aviv International LGBT Film Festival. E’ una lettera indirizzata a Yair Hochner, organizzatore del Festival, al quale spiega il motivo del suo boicottaggio al Festivale, non diretto alla kermesse cinematografica ma allo stato d’Israele e al regime d’Apartheid instaurato nei Territori Occupati e nella Striscia di Gaza. Un esempio importante.

7 marzo 2009

A: TLVFEST / Yair Hochner
Tel-Aviv Cinematheque,
2 Sprinzak St, 64738, Tel Aviv, Israel

Caro Yair,
dopo avere a lungo lottato con questi temi difficili, sono arrivato a una decisione: non posso mostrare “Fig Trees” al vostro festival, e non posso continuare il mio progetto di girare un film in Israele. Questa scelta è stata difficile da fare. Come ho già detto, ho grande rispetto per il lavoro che fate e so quanto dovete lottare per portare avanti il vostro festival.
Voglio essere molto chiaro: la mia decisione non è in opposizione al vostro festival, che ha fatto molto per promuovere le voci queer globali, o a voi, che avete fatto molto per la realizzazione dei film queer, e per mostrarli nella vostra città.
Ma sento di dovermi unire ai molti ebrei e non ebrei, israeliani e palestinesi, queer o altro, che fanno parte del crescente movimento  globale BDS (Boycott, Divestment and Sanctions) contro l’apartheid di Israele.
Sono arrivato alla conclusione che, in questo momento, non prendere questa posizione è impensabile, impossibile.
Perchè in questo momento? Potrei rispondere: un’altra casa palestinese rasa al suolo dai bulldozer nel settore est di Gerusalemme. I bambini palestinesi
che si stanno lentamente riprendendo dai roghi al fosforo. I civili uccisi venerdi’ a Gaza dai soldati israeliani.
Un bambino nato al checkpoint, perché l’ambulanza è stata trattenuta là per ore. Queste sono solo alcune delle notizie attuali, ma ricordano tante altre notizie simili, per tanti anni.
alnakba_bdsconferencepreviewQuesto momento è più intollerabile? In base a quale pietra di paragone? Il forum sull’apartheid di Israele tenuto questa settimana, e in particolare il discorso di Naomi Klein, mi hanno aiutato a chiarire i miei  pensieri. Le sue parole mi hanno riportato indietro al movimento BDS degli anni Ottanta contro l’apartheid sudafricana, e al primo film 16mm che ho fatto, che era a sostegno di quella lotta, e alcuni frammenti del quale sono inclusi in “Fig Trees”.
Il boicottaggio culturale ha funzionato nel caso del Sud Africa, e ha portato direttamente ai radicali cambiamenti e all’attivismo che “Fig Trees”
celebra nella canzone. Dunque, nello spirito del film, e di questi attivisti, penso che non ci sia più una scelta. Come te, aspetto con  ansia l’alba in cui questo orrendo conflitto finirà con una giusta pace conclusiva. Aspetto con ansia il pomeriggio in cui questo crescente movimento BDS possa essere dichiarato superato, perché non è più  necessario.
Aspetto con ansia la sera in cui potremo partecipare insieme alle  proiezioni di “Fig Trees” e di altre nuove opere queer, palestinesi e  israeliane, sia a
Tel Aviv che a Ramallah.
Con rispetto,     John Greyson

Durban 2: la polemica sul nulla

22 aprile 2009 Lascia un commento

Durban II: Conferenza sul razzismo, una polemica misteriosa
Pubblicato in Internazionale

Sedici pagine, cinque sezioni e 143 punti, ma nessun elemento polemico al suo interno nei confronti di alcun governo o gruppo particolare, ma solo, una burocratica e, volendo, anche noiosa sequenza formale di passi presi, da prendere e da mettere a punto per combattere il razzismo in tutte le sue forme. È questo quello che emerge da un’analisi approfondita della versione integrale della bozza del documento finale approvato venerdì scorso e che dovrà essere ratificato nella ‘Conferenza contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e le intolleranze connesse’ apertasi oggi nella sede Onu di Ginevra.un-logo-copy Dopo aver passato in rassegna tutti i 143 punti in cui è articolato il documento, non è stato possibile trovare traccia di alcun passaggio che potesse risultare offensivo nei confronti di alcun governo particolare o di alcun gruppo etnico, religioso preciso.
Seppur frutto di una revisione, il documento preso in esame integralmente questa mattina sembra (visti i toni formali e diplomatici che lo caratterizzano) difficilmente aver potuto lasciare spazio ad attacchi particolari. Nella versione approvata venerdì comunque (prima quindi che molti paesi occidentali confermassero la loro volontà di boicottare l’appuntamento) gli unici riferimenti precisi e degni di nota a qualche gruppo in particolare si trovano nella sezione più ampia (la quinta e ultima) e sono relativi ai migranti e ai richiedenti asilo, ai Rom-Sinti ai Gitani, alle popolazioni indigene di Asia e America Latina, ai discendenti degli schiavi africani, alle donne (discriminazione di genere), ai portatori di handicap o ai malati di Sindrome da immunodeficienza acquisita (Sida/Aids).

Sulla base della lettura effettuata, alcuni dei passaggi del documento politicamente più rilevanti e in una certa misura critici sono quelli in cui si ricorda agli Stati di “assicurarsi che qualsiasi misura presa nella lotta contro il terrorismo venga portata avanti nel pieno rispetto dei diritti umani, in particolare del principio di non discriminazione…” o, riguardo i migranti, l’invito a “prendere misure per combattere il persistere di comportamenti xenofobi o stereotipizzazioni negative dei non cittadini (ovvero migranti e richiedenti asilo, ndr) , anche da parte di politici, forze di sicurezza, funzionari dell’immigrazione e responsabili dei media, che hanno portato a violenze xenofobe, omicidi e attacchi a migranti, rifugiati e richiedenti asilo”.
Sempre sul fronte migranti – l’unico dove forse è possibile trovare passaggi che potrebbero aver irritato alcuni governi europei ed occidentali – il documento chiede un “approccio bilanciato e generale alle migrazioni”, invitando al dialogo internazionale e ad accordi di partnership tra paesi, oltre a “rinnovare la richiesta agli Stati di rivedere e, se necessario, modificare le politiche migratorie che risultano incompatibili con gli obblighi posti dal diritto umanitario internazionale”.

Riguardo alle polemiche relative a presunti passaggi antisemiti o anti-israeliani nel documento, dall’analisi effettuata non è stato possibile trovarne traccia.
Anzi, nella relazione al punto 12 si denuncia “l’aumento del numero di incidenti legati a violenza o intolleranza razziale o religiosa e che include islamofobia, anti-Semitismo, Cristianofobia, e anti-Arabismo”, mentre al punto 60 di chiede “con urgenza agli Stati di punire le attività violente, razziste e xenofobiche di gruppi fondati su principi neo-Nazisti o neo-fascisti e altre ideologie violente” mentre al punto 66 si “ricorda che l’Olocausto non deve mai essere dimenticato, e in questo contesto chiede agli stati membri di adottare le risoluzioni dell’Assemblea Generale 60/7 e 61/225”.
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C’è chi vuole un’altra guerra per la striscia di Gaza

19 aprile 2009 Lascia un commento

Ieri sera, centinaia di coloni e di estremisti ebrei hanno manifestato a Sderot per chiedere gaza-2009all’esercito di occupazione israeliano di attaccare nuovamente la Striscia di Gaza. Il deputato del partito “Mifdal”, Jacopo Kets, parlando ai manifestanti, ha chiesto al governo di eseguire l’operazione “Piombo fuso 2” e di rioccupare un’altra volta Gaza riportandovi i coloni. Fonti israeliane hanno aggiunto che la polizia ha chiuso le strade che portano alla Striscia di Gaza per impedirne l’accesso ai manifestanti. I coloni hanno tentato di ritornare alle rovine delle ex colonie di “Gosh Qtef”. La polizia israeliana ha arrestato decine di coloni a seguito dei disordini scoppiati durante la protesta.

Calcolando i personaggi che compongono il nuovo governo israeliano, non ci sarà da stupirsi il giorno che la Striscia di Gaza verranno nuovamente massacrate dalla violenza di Israele, sempre più caratterizzata dall’uso meticoloso di armi assolutamente vietate dalle convenzioni internazionale, e dalla messa in atto di un genocidio costante. Sono passati pochi mesi dalla fine dell’Operazione Piombo Fuso …
con Netanyahu, Lieberman e personaggi simili, aspettiamoci il ritorno dell’inferno molto presto.

Anche due giorni fa un raid israeliano ha colpito un edificio, radendolo completamente al suolo, vicino al valico di Kissifum

Comunicato del Fronte Popolare (F.P.L.P) sul nuovo governo Netanyahu

10 aprile 2009 Lascia un commento

 

Il 1° aprile 2009 il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) ha rilasciato una dichiarazione respingendo il governo Netanyahu come un governo di terrore, guerra e pulizia etnica e ha chiesto alla comunità internazionale di boicottare Israele e il suo governo.
La dichiarazione dell’FPLP ha sottolineato che questo governo, come nel complesso lo stato Sionista di Israele, è basato sull’assoluto rifiuto dei diritti dei Palestinesi all’auto-determinazione, al ritorno e a uno stato Palestinese indipendente. La dichiarazione rimarcava anche che questo governo dovrebbe essere rifiutato da tutti in quanto è incompatibile con i diritti umani e la legge internazionale ed è un governo di cultura del crimine.
pal_sassoLa composizione del governo include come Primo Ministro il noto razzista estremista Netanyahu; Barak, il direttore ufficiale dei crimini di guerra nella Striscia di Gaza coinvolto negli assassini dei leader Palestinesi a Beirut e Tunisi e nell’omicidio dell’eroico combattente Delal Mughrabi; e il Ministro degli Esteri Lieberman, il successore di Kahane, sostenitore del colonialismo e degli insediamenti e fautore dei trasferimenti e della pulizia etnica. Ai fini di rispettare gli standard politici, legali, etici ed umanitari, continuava la dichiarazione, gli stati Arabi e la comunità internazionale nella sua totalità devono boicottare questo governo per una vittoria della giustizia e della pace.
Il compagno Jamil Mizher, membro del Comitato Centrale dell’FPLP, ha affermato che il governo estremista di Netanyahu ha pianificato altre aggressioni contro il popolo Palestinese, incluso l’ebraicizzazione di Gerusalemme, la costruzione di insediamenti ed attacchi costanti. Il compagno Mizher ha sottolineato che è più urgente che mai giungere all’unità nazionale Palestinese per affrontare questa aggressione. Egli ha rimarcato che nessun governo Sionista, nonostante tutti i suoi crimini di guerra e attacchi in 61 anni, è riuscito a soggiogare il popolo Palestinese, e che anche quest’altro fallirà.

Traduzione a cura del Collettivo Autorganizzato Universitario – Napoli
coll.autorg.universitario@gmail.com
http://cau.noblogs.org

INIZIA IL PROGETTO PER AMPLIARE MAALEH ADUMIN: LA CISGIORDANIA SI SPACCA IN DUE

25 marzo 2009 1 commento

Malgrado la aperta opposizione dell’Anp e anche degli Stati Uniti, il governo di Benyamin Netanyahu progetta di estendere in maniera significativa la città-colonia di Maaleh Adumim e di collegarla di fatto alla zona metropolitana della vicina Gerusalemme. Lo ha affermato oggi la radio militare secondo cui esiste in merito una intesa verbale fra il Likud boycott_logoe il partito di destra radicale Israel Beitenu di Avigdor Lieberman. In una intervista alla emittente il sindaco di Maaleh Adumim Beny Kashriel ha confermato di aver ricevuto da Lieberman l’impegno che nei prossimi anni saranno realizzati importanti progetti edili nel suo insediamento. In particolare, secondo la radio militare, è prevista la costruzione di 3.000 unità abitative nella zona E-1, fra Maaleh Adumim e Gerusalemme. Gli Stati Uniti hanno già chiarito da tempo che la realizzazione di quel progetto rischia di spaccare in due tronconi la Cisgiordania e di rendere impossibile la costituzione di uno stato palestinese dotato di continuità geografica

Marce xenofobe in Israele contro la popolazione arabo-israeliana: che si incazza e si difende la città

25 marzo 2009 1 commento

Foto di David Silverman _Getty Images_  

Foto di David Silverman _Getty Images_

 

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Foto Getty Images _la marcia xenofoba inizia, i tetti brulicano di manifestanti_

Parlavamo, appena due giorni fa, di come s’era spostata verso l’estrema destra xenofoba e confessionale l’asse della politica israeliana. Politica non solo di palazzo, dopo le elezioni di febbraio e gli accodi per il governo di coalizione che da ieri procedono a passo di carica; anche politica di strada, con una manifestazione organizzata dall’estrema destra israeliana, ad Umm al-Fahm (città israeliana, importante centro arabo, situata nel distretto di Haifa, con una popolazione di 45.000 persone, la maggiorparte arabo-israeliani).
Una manifestazione che era stata più volte rinviata per i rischi sulla sicurezza, ma poi autorizzata dalla Corte Suprema, che aveva come obiettivo quello di ribadire la sovranità israeliana della città. Dalle stampa internazionale leggiamo la dichiarazione di Michael Ben-Ari, esponente del partito di estrema destra Unione Nazionale (appena eletto alla Knesset): “Se non isseremo la nostra bandiera a Umm al-Fahm, un giorno avremo uno Stato palestinese che arriverà fino a Tel-Aviv”.
Una marcia vera e propria per provocare la popolazione araba residente all’interno dei confini dello stato ebraico: manifestazione composta da militante provenienti soprattutte dalle colonie israeliane di Hebron (la zona caratterizzata da sempre dagli scontri più feroci tra coloni e popolazione palestinese) e del resto della Cisgiordania. Umm al-Fahm oltre ad essere roccaforte araba lo è anche del partito comunista, tanto che alla contro manifestazione annunciata e violentemente voluta da tutta la popolazione della città, si sono uniti attivisti israeliani appartenenti alla sinistra e al partito comunista. Immediatamente, per poter permettere a tutta la popolazione di partecipare alla contro-protesta, per evitare che la marcia potesse entrare in città, è stato dichiarato uno sciopero generale che ha avuto una partecipazione totale.

Foto di Awad _Getty Images_

Foto di Awad _Getty Images_

La provocazione è scoppiata immediatamente in scontri con i 3000 poliziotti anti-sommossa schierati a difendere le fila fasciste della manifestazione. Poco, molto poco è durata la marcia, all’incirca una mezzora, sufficiente a far scoppiare poi ore ed ore di duri scontri iniziati con un fitto lancio di oggetti dalle strade e dai tetti della città, contro la marcia sionista che avanzava sventolando decine di bandiere con la Stella di Davide. Lancio che come risposta ha ricevuto idranti, granate assordanti ed urticanti che hanno causato 16 feriti tra i manifestanti,15 tra i poliziotti schierati e l’arresto di tre manifestanti (arabi, ovviamente). David Cohen, rappresentante della Polizia israeliana ha dichiarato di aver reagito in difesa della democrazia. Gli scontri sono terminati dopo che diversi agenti hanno riportato ferite a causa del lancio di oggetti e dopo l’uso di vari mezzi per disperdere la manifestazione”.
L’estrema destra che ha marciato è la stessa che sta formando il governo di coalizione che tra una decina di giorni prenderà le redini del potere politico e militare nello stato israeliano: il probabile ministro degli esteri Avigdor Lieberman (un vero e proprio nazista dichiarato, fondatore del partito Yisrael Beitanu) ha già proposto l’obbligatorietà di un giuramento di “lealtà” allo Stato ebraico per tutti gli abitanti di etnia araba. Anfibi sempre più neri marciano sulla terra degli ulivi, sulla terra di Palestina

Foto di Uriel Sinai/Getty Images

Foto di Uriel Sinai/Getty Images

SI VIENE A SAPERE DA POCO DEL FERMO DI 22 ARABI-ISRAELIANI CHE AVEVANO PARTECIPATO AGLI SCONTRI DI IERI CONTRO LA MARCIA XENOFOBA ORGANIZZATA ALLE PORTE DELLA CITTA’ UMM AL-FAHM. ACCUSATI DI AVER FOMENTATO GLI SCONTRI

65 anni fa, le Fosse Ardeatine

24 marzo 2009 2 commenti

65 anni dall’eccidio delle Fosse Ardeatine e i suoi 335 uccisi. Evento la cui memoria è necessaria, a maggior ragione in un presente come questo, dove eserciti indossano magliette che deridono centinaia di civili uccisi, dove si mandano avanti guerre contro popolazioni allo stremo, popolazioni in cattività, derubate della loro terra e della loro cultura, del lavoro e del futuro.
Terre dove non si può essere bambini, terre dove marcia un nemico che professa lo sterminio etnico, l’Apartheid, la segregazione con la scusa del diritto alla sicurezza.
SENZA MEMORIA NESSUN FUTURO, SENZA GIUSTIZIA NESSUNA PACE. 
                    OGGI PIU’ DI IERI, ORA E SEMPRE RESISTENZA
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Una donna incinta? Un colpo, due morti!! Tsahal si fa le magliette nuove

22 marzo 2009 15 commenti

468blau2L’obiettivo al centro del mirino sembra aver cambiato aspetto o, per meglio dire, divisa. L’esercito più preparato e equipaggiato del pianeta, Tsahal, Esercito di difesa dello Stato ebraico di Israele, è al centro di aspre polemiche dopo la pubblicazione  di alcuni reportage che hanno gelato l’opinione pubblica internazionale e anche alcune poltrone dei comandi militari israeliani. Di pari passo alle prime denunce al Tribunale internazionale dei diritti umani contro l’IDF riguardanti, tutte, il recente attacco ai danni della popolazione della Striscia di Gaza (l’Operazione “Piombo Fuso: 1342 morti di cui 904 civili accertati in tre settimane di bombardamenti e incursioni) coraggiosi giornalisti di Hareetz stanno martellando quotidianamente i loro lettori -cartacei e telematici- di servizi sulle aberr-azioni degli eroi in divisa di quella che si vanta d’essere la sola democrazia del Medioriente. Probabilmente i vertici militari stanno affannosamente cercando di capire chi tra i loro soldati abbia rilasciato tutte quelle dichiariazioni sul comportamento e sulle regole di ingaggio di quelle recenti settimane di massacri, ma nessuno è voluto uscire dall’anonimato e, dalla quantità di materiale che inizia a circolare,  sarà difficile far abbassare il polverone che si sta alzando.

m020031019Oltre alle tante dichiarazioni dei soldati, ai racconti di come venivano uccise intere famiglie, dell’incredibile permissività delle regole di ingaggio, la notizia che ha fatto più scalpore, rimbalzando sulle testate e sui blog del mondo intero, è quella di un’enorme fornitura di magliette arrivata a diversi battaglioni e brigate dell’esercito per celebrare la conclusione di alcuni corsi d’addestramento. Magliette che hanno fatto la fortuna, in poche settimana, dell’azienda tessile Adiv, di Tel-Aviv, specializzata nel rifornire i vari corpi dell’esercito di berretti, t-shirt e pantaloni.
Un’ordinazione “non ufficiale”, a quel che scriveva Uri Blau pochi giorni fa sulle pagine del suo quotidiano, effettuata attraverso un processo collettivo interno ai reparti, con la supervisione di alcuni sotto-ufficiali; tanto che, appena le immagini delle t-shirts hanno iniziato ad apparire in rete, l’esercito è accorso a fare mblau_soldier2dichiarazioni ufficiali di condanna che potessero placare un’eventuale bufera. “Non sono conformi ai valori delle forze di difesa israeliane e sono semplicemente prive di qualunque gust. Questo genere di umorismo è disdicevole e dovrebbe essere condannato”, si legge in un comunicato  dell’esercito di ieri. Aggiunge anche che i soldati che verranno trovati ad indossarle, saranno immediatamente puniti con un provvedimento disciplinare.

Una breve descrizione di quello che indossano orgogliosi questi soldati è sufficiente per capire la gravità dell’accaduto.

“Un colpo, due morti”: il disegno è un mirino di un cecchino, che punta su una donna completamente velata, sul suo pancione.
“Usa il preservativo”: questa volta l’immagine è diversa ma l’obiettivo è sempre lo stesso: una mamma ed il suo bambino, che questa volta tiene in braccio, morto.
Un’altra maglietta, richiesta dal battaglione Lavi, ha un fumetto con un bambino palestinese, che nel crescere diventa prima un giovane lanciatore di pietre, poi un miliziano armato; la didascalia dice “Non importa come inizia, siamo noi a decidere quando finisce la partita”.
“Ogni madre araba deve sapere che il destino del proprio figlio è nelle mie mani”: questa, su richiesta della Brigata d’elite Givati.
E purtroppo la lista potrebbe continuare. Già due anni fa era scoppiata una polemica perchè, tra i soldati di uno dei reparti d’elite dell’Israel Defence Force, circolava una t-shirt con disegnato un mirino che puntava un bimbo arabo e la scritta che recitava “Più è piccolo, più è difficile”, e nessuno era stato punito per questo.picphp

Oltre all’uso spietato di fosforo bianco, a quello massiccio dei nuovi armamenti composti dalle micidiali bombe DIME, all’aver colpito rifugi per profughi segnalati dalle Nazione Unite, all’aver impedito che stampa e soccorsi entrassero nell’intera Striscia di Gaza per settimane, oltre ad aver ucciso più di 1300 persone in una Guerra che non ha portato alcun risultato , il popolo palestinese deve subire anche lo scempio di queste magliette e il sorriso di chi le indossa.
Niente poi fa ben sperare dopo le elezioni di febbraio che hanno visto l’asse della politica israeliana spostarsi radicalmente a destra: la coalizione con a capo il leader del Likud, Benyamin Netanyahu appoggiato dai partiti confessionali e da quelli dell’estrema destra radicale, si prepara alla gestione del nuovo governo israeliano.   

Tutto ciò è ripugnante.
Non possiamo dire che l’esercito di Israele è peggio dei nazisti? Nessun problema.
Diremo solo che siete spietati assassini, che mirate ai bambini, che spesso i vostri cecchini si divertono solo a mutilarli colpendoli alle ginocchia, che se siete costretti ad usare le pallottole di gomma in situazioni particolari le puntate agli occhi in modo da causare lo stesso effetto. Che demolite casa, che sterminate intere famiglie, che colpite ospedali e scuole, che rubate acqua, terra, risorse e vita ad un intero popolo. E che per di più ne andate fieri. Vi stampate un genocidio sulle magliette e lo indossate con la vostra arroganza da occupanti.
Calpestando una terra rubata e stuprata con i vostri anfibi.    ______baruda_______

Ferito alla testa attivista americano: ISRAELE STATO ASSASSINO

14 marzo 2009 Lascia un commento

murosionista_1Ieri, a Nil’in, l’esercito israeliano ha aperto il fuoco contro 400 attivisti palestinesi, israeliani e internazionali che manifestavano pacificamente contro il Muro. Un cittadino statunitense è rimasto gravemente ferito alla testa da un lacrimogeno lanciato dai soldati israeliani. Testimoni locali hanno riferito che il candelotto gli ha provocato uno squarcio nella fronte rendendo visibile la materia cerebrale. L’attivista dell’ISM – International Solidarity Movement – è stato ricoverato in condizioni molto gravi in un ospedale di Tel Aviv. L’uomo si chiama Tristan Anderson, ha 37 anni ed è originario di Oakland, in California. Un attivista che era con lui, Jonathan Polack, ha denunciato all’edizione online di ‘Yediot Ahronot’ come ”non giustificato” l’operato delle forze di sicurezza israelialne, accusate di aver colpito Anderson quando si erano interrotti gli scontri degli attivisti contro i militari occupanti e per di più mentre Anderson era seduto a terra. Altre 4 persone sono state colpite da proiettili di metallo rivestiti di gomma e decine di altre sono state intossicate dai lacrimogeni. La manifestazione nonviolenta di Nil’in è un appuntamento settimanale, avviato da tempo, e, come l’analogo di Bil’in, è molto popolare. Pacifisti internazionali e israeliani si uniscono al corteo di palestinesi che parte ogni venerdì dalla cittadina e si dirigono verso il Muro costruito da Israele per sottrarre nuove terre ai palestinesi.

Sotto il cielo di Gaza

7 marzo 2009 Lascia un commento

n700429637_2237621_7757288Ecco le condizioni di Gaza dopo l’operazione Piombo Fuso, mentre si attendono i soldi per la ricostruzione.
Ecco quello che ha portato l’attacco israeliano compiuto contro la popolazione palestinese della Striscia di Gaza con la scusa della lotta al terrorismo contro Hamas, partito uscito vincitore dalle elezioni.
n700429637_2237622_3017632Vista la svolta elettorale che ha palesato un paese ormai devoto all’estrema destra xenofoba e devota ai regimi di apartheid e segregazione razziale, non si prospettano tempi migliori per Gaza e per il resto dei territori occupati. La coalizione che guiderà il prossimo governo israeliano sarà ancora più pericolosa per la sopravvivenza degli arabi nella zona.
Già girano decine e decine di agenzie stampa in cui viene tranquillamente dichiarato che è già pronta la seconda puntata dell’operazione. 
Il desiderio di sterminare il popolo palestinese  rimane il primo per Israele, il suo governo e il suo esercito.

Solana in visita a Damasco…

28 febbraio 2009 Lascia un commento

La Palestina al centro dei colloqui tra Siria e Unione Europea

di Valentina Perniciaro, pubblicato su Internationalia
28 febbraio 2009

Il presidente siriano Bashar al-Assad ha incontrato mercoledì Javier Solana, Alto rappresentante degli Affari esteri e della sicurezza dell’Unione Europea, per discutere un incremento delle relazioni ed un consolidamento bilaterale di progetti per contribuire alla pace e alla stabilità nella regione.
Sono stati discussi gli ultimi sviluppi internazionali e dell’area, con particolare attenzione alla recente aggressione di Israele ai danni della Striscia di Gaza che ha causato più di 1300 morti.

Foto di Valentina Perniciaro _bimbe damasceni_

Foto di Valentina Perniciaro _bimbe damasceni_

Il ministro degli Esteri siriano, Walid Al-Muallim, durante la conferenza stampa successiva all’incontro, ha chiesto che Israele sia posta sotto le leggi internazionali e sia incriminata e punita dai tribunali internazionali “per crimini di guerra contro l’umanità e per le sue operazioni di genocidio contro la popolazione”. La questione della Palestina e del suo popolo sono stati l’argomento centrale dei colloqui. I partecipanti hanno espresso l’auspicio, con l’arrivo della nuova amministrazione Obama alla guida degli Stati Uniti, di una svolta nel processo di pace in Medio Oriente e nella costruzione di uno stato palestinese unitario, che ristabilizzi la situazione interna e sia in grado di capire che Hamas è ormai interlocutore inscindibile dalla politica palestinese sia nella Striscia di Gaza che nei Territori Occupati. Un percorso di pacificazione che veda l’apertura dei valichi al movimento di merci, persone ed aiuti umanitari, che faccia finire l’assedio e permetta il ripristino di una vita normale e l’abbassamento dei tassi di disoccupazione, povertà e malnutrizione.

I colloqui hanno sottolineato l’importanza della ricostruzione con il contributo dei paesi arabi ma anche dell’Unione Europea.
Solana ha descritto il ruolo della Siria come centrale nella ricerca di una soluzione ai problemi della regione e con il ministro degli Esteri ha sottolineato l’ottima atmosfera creatasi con il presidente Assad. “Sono uscito dall’incontro estremamente fiducioso sulle possibilità di cooperazione che potranno nascere con Damasco, dove spero di tornare presto per iniziare a vederne i frutti”, ha dichiarato Solana.“Stiamo andando nella direzione corretta e faremo di tutto affinché il 2009 sia ricco di passaggi che portino alla stabilità della regione,alla ricostruzione e alla pacificazione. Non possiamo darci una scadenza per un vero e proprio accordo tra Siria e EU, ma siamo sulla buona strada”.

Grande Peres!

26 febbraio 2009 1 commento

Per la prima volta mi trovo in sintonia con un esponente politico israeliano.
Per la prima volta mi sento di sostenere in toto le sue dichiarazioni.
Per la prima volta spero si avverino le parole di un israeliano. Ci auguriamo che l’invito venga accettato.

“Se non te la senti di vivere nel tuo paese, il mio è un invito. Sei benvenuto in Israele. L’unica cosa che devi sconfiggere è la paura, perché ho visto morire tante persone che vivevano con la paura e sopravvivere altre che non temevano di vivere in condizioni estremamente difficili” ha dichiarato Shimon Peres in un incontro con Roberto Saviano, autore di Gomorra. Poi ha ovviamente proseguito delirando e dichiarando “Anche noi abbiamo la nostra camorra, caro Saviano. Si chiama Hamas. Non ha un obbiettivo razionale. E’ brutale. Ammazza anche le sue donne e i suoi bambini. E’ la nostra mafia incivile. Due settimane fa è morto Huntington, lo scrittore che teorizzava lo scontro di civiltà. Io non sono mai stato d’accordo, ne ho parlato anche con Benedetto XVI: questo è uno scontro, ma fra civiltà e inciviltà. La religione è solo un pretesto per ammazzare, non il contrario. E allora serve essere coraggiosi. E combattere queste mafie”

Vai Saviano, accetta l’invito, tanto hai sempre appoggiato la politica israeliana.

Israele: risultati preoccupanti. L’estrema destra avanza al passo dell’oca

11 febbraio 2009 Lascia un commento

Forse sono andate nel modo peggiore che si poteva immaginare. Le elezioni in Israele hanno palesato, con lo spoglio ormai al 99% (mancano i voti di soldati e detenuti), che ormai è un paese devoto all’ultra-destra religiosa e nazionalista.

Lo Tsahal durante l'operazione Piombo Fuso

Lo Tsahal durante l'operazione Piombo Fuso

Ci dicono che la Livni ha vinto le elezioni, ma basta uno sguardo superficiale per capire che le aspetta il compito di governare un paese ingovernabile, perchè non ha nemmeno lontanamente una maggioranza che le permetta di farlo. Una guerra tra falchi, tra partiti intrisi di razzismo e fondamentalismo religioso.
Il partito vittorioso, Kadima -partito di centro-, ha preso solamente un seggio in più rispetto al Likud di Biby Netanyahu e la lettura delle percentuali fa rabbrividire. L’ultra destra nazionalista e religiosa, divisa in quattro partiti (teniamo escluso il Likud da questo conteggio),  ha preso il 31% dei voti equivalente a ben 38 seggi. Se a questi aggiungiamo i 27 del Likud abbiamo uno specchio di quello che sta accadendo in Israele, a pochi giorni dall’ultimo massacro del popolo palestinese, l’ “operazione piombo fuso”. Il partito che ha vinto le elezioni non avrà alcuna autonomia e vedremo nei prossimi giorni se ricorrerrà ad un’alleanza con la destra per avere agibilità e possibilità di governare il paese.
La sinistra è ai minimi storici da quando esiste lo stato ebraico di Israele: il partito laburista, che per decenni ha governato con un’ampia e intoccata maggioranza, ha sfiorato a fatica il 10% accaparrandosi solamente 13 seggi. Tutti gli altri partiti della sinistra hanno preso, insieme, il 6% per un totale di 7 seggi.

Latuff

Latuff

La storia di Israele ha girato definitivamente pagina: stiamo iniziando a leggere la più buia, la più attaccata a valori nazi-fascisti, volti alla segregazione razziale, all’occupazione militare, alle leggi razziali anti-arabe.

ANCORA UNA LACRIMA A BAGNARE LA TERRA DI PALESTINA. LA PIU’ DOLCE DELLE TERRE.

Siamo tornati ai tempi del Kach, possiamo dire che il rabbi Meir Kahane ha vinto la sua battaglia a 18 anni dalla sua morte: il fondatore della dottrina del kahanesimo ha vinto la sua missione : il Kach, che venne messo al bando per istigazione all’odio razziale nel 1989 oggi è il vero vincitore di queste elezioni. Un partito la cui unica vocazione era la cacciata degli arabi dal paese ha oggi fatto passare tutti i suoi messaggi e parole d’ordine.
Inizia un’epoca ancora più nera per la terra di Palestinaarab-cartoon-israeli-election-campaign

Franco Fortini 1989: Lettera agli ebrei italiani

5 febbraio 2009 3 commenti

 


di Franco Lattes Fortini

(Apparve in prima pagina de “il manifesto” il 24 maggio 1989.)

Ogni giorno siamo informati della repressione israeliana contro la popolazione palestinese. E ogni giorno più distratti dal suo significato, come vuole chi la guida. Cresce ogni giorno un assedio che insieme alle vite, alla cultura, le abitazioni, le piantagioni e la memoria di quel popolo – nel medesimo tempo – distrugge o deforma l’onore di Israele. In uno spazio che è quello di una nostra regione, alla centinaia di uccisi, migliaia di feriti, decine di migliaia di imprigionati – e al quotidiano sfruttamento della forza-lavoro palestinese, settanta o centomila uomini – corrispondono decine di migliaia di giovani militari e coloni israeliani che per tutta la loro vita, notte dopo giorno, con mogli, i figli e amici, dovranno rimuovere quanto hanno fatto o lasciato fare. Anzi saranno indotti a giustificarlo. E potranno farlo solo in nome di qualche cinismo real-politico e di qualche delirio nazionale o mistico, diverso da quelli che hanno coperto di ossari e monumenti l’Europa solo perché è dispiegato nei luoghi della vita d’ogni giorno e con la manifesta complicità dei più. Per ogni donna palestinese arrestata, ragazzo ucciso o padre percosso e umiliato, ci sono una donna, un ragazzo, un padre israeliano che dovranno dire di non aver saputo oppure, come già fanno, chiedere con abominevole augurio che quel sangue ricada sui propri discendenti. Mangiano e bevono fin d’ora un cibo contaminato e fingono di non saperlo. Su questo, nei libri dei loro e nostri profeti stanno scritte parole che non sta a me ricordare.
Quell’assedio può vincere. Anche le legioni di Tito vinsero. Quando dalle mani dei palestinesi le pietre cadessero e – come auspicano i ‘falchi’ di Israele – fra provocazione e disperazione, i palestinesi avversari della politica di distensione dell’Olp, prendessero le armi, allora la strapotenza militare israeliana si dispiegherebbe fra gli applausi di una parte della opinione internazionale e il silenzio impotente di odio di un’altra parte, tanto più grande. Il popolo della memoria non dovrebbe disprezzare gli altri popoli fino a crederli incapaci di ricordare per sempre.boycott-israel-free-palestine
Gli ebrei della Diaspora sanno e sentono che un nuovo e bestiale antisemitismo è cresciuto e va rafforzandosi di giorno in giorno fra coloro che dalla violenza della politica israeliana (unita alla potente macchina ideologica della sua propaganda, che la Diaspora amplifica) si sentono stoltamente autorizzati a deridere i sentimenti di eguaglianza e le persuasioni di fraternità. Per i nuovi antisemiti gli ebrei della Diaspora non sono che agenti dello Stato di Israele. E questo è anche l’esito di un ventennio di politica israeliana.
L’uso che questa ha fatto della Diaspora ha rovesciato, almeno in Italia, il rapporto fra sostenitori e avversari di tale politica, in confronto al 1967. Credevano di essere più protetti e sono più esposti alla diffidenza e alla ostilità.
Onoriamo dunque chi resiste nella ragione e continua a distinguere fra politica israeliana ed ebraismo. Va detto anzi che proprio la tradizione della sinistra italiana (da alcuni filoisraeliani sconsideratamente accusata di fomentare sentimenti razzisti) è quella che nei nostri anni ha più aiutato, quella distinzione, a mantenerla. Sono molti a saper distinguere e anch’io ero di quelli. Ma ogni giorno di più mi chiedo: come sono possibili tanto silenzio o non poche parole equivoche fra gli ebrei italiani e fra gli amici degli ebrei italiani? Coloro che, ebrei o amici degli ebrei – pochi o molti, noti o oscuri, non importa – credono che la coscienza e la verità siano più importanti della fedeltà e della tradizione, anzi che queste senza di quelle imputridiscano, ebbene parlino finché sono in tempo, parlino con chiarezza, scelgano una parte, portino un segno. Abbiano il coraggio di bagnare lo stipite delle loro porte col sangue dei palestinesi, sperando che nella notte l’Angelo non lo riconosca; o invece trovino la forza di rifiutare complicità a chi quotidianamente ne bagna la terra, che contro di lui grida. Né smentiscano a se stessi, come fanno, parificando le stragi del terrorismo a quelle di un esercito inquadrato e disciplinato. I loro figli sapranno e giudicheranno.
E se ora mi si chiedesse con quale diritto e in nome di quale mandato mi permetto di rivolgere queste domande, non risponderò che lo faccio per rendere testimonianza della mia esistenza o del cognome di mio padre e della sua discendenza da ebrei. Perché credo che il significato e il valore degli uomini stia in quello che essi fanno di sé medesimi a partire dal proprio codice genetico e storico non in quel che con esso hanno ricevuto in destino. Mai come su questo punto – che rifiuta ogni ‘voce del sangue’ e ogni valore al passato ove non siano fatti, prima, spirito e presente; sì che a partire da questi siano giudicati – pal_buldozzercredo di sentirmi lontano da un punto capitale dell’ebraismo o da quel che pare esserne manifestazione corrente.
In modo affatto diverso da quello di tanti recenti, e magari improvvisati, amici degli ebrei e dell’ebraismo, scrivo queste parole a una estremità di sconforto e speranza perché sono persuaso che il conflitto di Israele e di Palestina sembra solo, ma non è, identificabile a quei tanti conflitti per l’indipendenza e la libertà nazionali che il nostro secolo conosce fin troppo bene. Sembra che Israele sia e agisca oggi come una nazione o come il braccio armato di una nazione, come la Francia agì in Algeria, gli Stati Uniti in Vietnam o l’Unione Sovietica in Ungheria o in Afghanistan. Ma, come la Francia era pur stata, per il nostro teatro interiore, il popolo di Valmy e gli americani quelli del 1775 e i sovietici quelli del 1917, così gli ebrei, ben prima che soldati di Sharon, erano i latori di una parte dei nostri vasi sacri, una parte angosciosa e ardente della nostra intelligenza, delle nostre parole e volontà. Non rammento quale sionista si era augurato che quella eccezionalità scomparisse e lo Stato di Israele avesse, come ogni altro, i suoi ladri e le sue prostitute. Ora li ha e sono affari suoi. Ma il suo Libro è da sempre anche il nostro, e così gli innumerevoli vivi e morti libri che ne sono discesi. È solo paradossale retorica dire che ogni bandiera israeliana da nuovi occupanti innalzata a ingiuria e trionfo sui tetti di un edificio da cui abbiano, con moneta o minaccia, sloggiato arabi o palestinesi della città vecchia di Gerusalemme, tocca alla interpretazione e alla vita di un verso di Dante o al senso di una cadenza di Brahms?
La distinzione fra ebraismo e stato d’Israele, che fino a ieri ci era potuta parere una preziosa acquisizione contro i fanatismi, è stata rimessa in forse proprio dall’assenso o dal silenzio della Diaspora. E ci ha permesso di vedere meglio perché non sia possibile considerare quel che avviene alle porte di Gerusalemme come qualcosa che rientra solo nella sfera dei conflitti politico-militari e dello scontro di interessi e di poteri. Per una sua parte almeno, quel conflitto mette a repentaglio qualcosa che è dentro di noi.
Ogni casa che gli israeliani distruggono, ogni vita che quotidianamente uccidono e persino ogni giorno di scuola che fanno perdere ai ragazzi di Palestina, va perduta una parte dell’immenso deposito di verità e sapienza che, nella e per la cultura d’Occidente, è stato accumulato dalle generazioni della Diaspora, dalla sventura gloriosa o nefanda dei ghetti e attraverso la ferocia delle persecuzioni antiche e recenti. Una grande donna ebrea cristiana, Simone Weil, ha ricordato che la spada ferisce da due parti. Anche da più di due, oso aggiungere. Ogni giorno di guerra contro i palestinesi, ossia di falsa coscienza per gli israeliani, a sparire o a umiliarsi inavvertiti sono un edificio, una memoria, una pergamena, un sentimento, un verso, una modanatura della nostra vita e patria. Un poeta ha parlato del proscritto e del suo sguardo «che danna un popolo intero intorno ad un patibolo»: ecco, intorno ai ghetti di Gaza e Cisgiordania ogni giorno Israele rischia una condanna ben più grave di quelle dell’Onu, un processo che si aprirà ma al suo interno, fra sé e sé, se non vorrà ubriacarsi come già fece Babilonia.
La nostra vita non è solo diminuita dal sangue e dalla disperazione palestinesi; lo è, ripeto, dalla dissipazione che Israele viene facendo di un tesoro comune. Non c’è laggiù università o istituto di ricerca, non biblioteca o museo, non auditorio o luogo di studio e di preghiera capaci di compensare l’accumulo di mala coscienza e di colpe rimosse che la pratica della sopraffazione induce nella vita e nella educazione degli israeliani.
E anche in quella degli ebrei della Diaspora e dei loro amici. Uno dei quali sono io. Se ogni loro parola toglie una cartuccia dai mitra dei soldati dello Tsahal, un’altra ne toglie anche a quelli, ora celati, dei palestinesi. Parlino, dunque.

PROSEGUE RAPIDA LA COSTRUZIONE DI INSEDIAMENTI ISRAELIANI IN TERRITORIO PALESTINESE

28 gennaio 2009 Lascia un commento

La colonizzazione della West Bank continua a passo rapido. Gli insediamenti israeliani nei Territori Occupati crescono a vista d’occhio con una percentuale molto più alta dello scorso anno, cosa che alimenta l’impossibilità di vivere per i palestinesi, cosa che continua ad annullare qualunque idea di una continuità geografica del territorio palestinese ridotto a Bantustan circondati da un muro alto otto metri.
Un’agenzia stampa di pochi minuti fa dice: Nel 2008 il numero di nuove abitazioni negli insediamenti ebraici in Cisgiordania è cresciuto del 69 per cento rispetto all’anno precedente: lo rivela un rapporto dell’organizzazione ‘Peace Now’. In particolare sarebbero 1.518 le abitazioni realizzate lo scorso anno contro le 898 del 2007. Tale sviluppo si riflette sulla popolazione ebraica nella West Bank salita dalle 270 mila unità del 2007 alle 285 mila dello scorso anno, con un tasso di crescita superiore a quello di Israele. Sulla questione degli insediamenti, inoltre, pesa la promessa elettorale del leader del Likud Benyamin Nethanyahu che – in caso di vittoria nelle elezioni di febbraio – si è impegnato a permetterne lo sviluppo, considerato da molte parti come uno dei principali ostacoli alla definizione di un accordo di pace con i palestinesi.

POI CI PARLANO DEL PROCESSO DI PACE, DI HAMAS CHE CON I RAZZI BLOCCA QUALUNQUE POSSIBILITA’ DI TREGUA.
MA L’UNICA TREGUA DI ISRAELE E’ QUELLA DELL’OCCUPAZIONE MILITARE, DELLA CRESCITA DEGLI INSEDIAMENTI, DEL FURTO DI RISORSE IDRICHE E DI TERRA FERTILE. UNO STATO OCCUPANTE NON E’ DIFENDIBILE: QUELLA CHE LORO CHIAMANO PACE NON E’ ALTRO CHE APARTHEID, INACCETTABILE APARTHEID.
NESSUNA PACE SOTTO OCCUPAZIONE, NESSUNA PACE CON CHI RUBA LA TERRA ALTRUI, CON CHI STUPRA LA TERRA E UN INTERO POPOLO DA 61 ANNI!

CONTRO L’OCCUPAZIONE MILITARE DELLA CISGIORDANIA E DELLA STRISCIA DI GAZA
PER IL DIRITTO ALLA VITA DEL POPOLO PALESTINESE, PER L’ABBATTIMENTO DEGLI INSEDIAMENTI ISRAELIANI!

NAOMI KLEIN E IL BOICOTTAGGIO AD ISRAELE

12 gennaio 2009 10 commenti

 

Israele : boicottaggio, ritiro degli investimenti e sanzioni – 10/01/09

di Naomi Klein

È ora. Un momento che giunge dopo tanto tempo. La strategia migliore per porre fine alla sanguinosa occupazione è quella di far diventare Israele il bersaglio del tipo di movimento globale che pose fine all’apartheid in Sud Africa.boycott-israel-275x275
Nel luglio 2005 una grande coalizione di gruppi palestinesi delineò un piano proprio per far ciò. Si appellarono alla «gente di coscienza in tutto il mondo per imporre ampi boicottaggi e attuare iniziative di pressioni economiche contro Israele simili a quelle applicate al Sudafrica all’epoca dell’apartheid». Nasce così la campagna “Boicottaggio, ritiro degli investimenti e sanzioni” (Boycott, Divestment and Sanctions), BDS per brevità.
Ogni giorno che Israele martella Gaza spinge più persone a convertirsi alla causa BDS, e il discorso del cessate il fuoco non ce la fa a rallentarne lo slancio. Il sostegno sta emergendo persino tra gli ebrei israeliani. Proprio mentre è in corso l’assalto, circa 500 israeliani, decine dei quali artisti e studiosi rinomati, hanno inviato una lettera agli ambasciatori stranieri di stanza in Israele. La lettera chiede «l’adozione immediata di misure restrittive e sanzioni» e richiama un chiaro parallelismo con la lotta antiapartheid. «Il boicottaggio del Sud Africa fu efficace, Israele invece viene trattato con guanti di velluto…. Questo sostegno internazionale deve cessare.»
Tuttavia, molti ancora non ci riescono. Le ragioni sono complesse, emotive e comprensibili. E semplicemente non sono abbastanza buone. Le sanzioni economiche sono gli strumenti più efficaci dell’arsenale nonviolento. Arrendersi rasenta la complicità attiva. Qui di seguito le maggiori quattro obiezioni alla strategia BDS, seguita da contro-argomentazioni.

1. Le misure punitive alieneranno anziché convincere gli israeliani. Il mondo ha sperimentato quello che si chiamava “impegno costruttivo”. Ebbene, ha fallito in pieno. Dal 2006 Israele accresce costantemente la propria criminalità: l’espansione degli insediamenti, l’avvio di una scandalosa guerra contro il boycott_logoLibano e l’imposizione di punizioni collettive su Gaza attraverso un blocco brutale. Nonostante questa escalation, Israele non ha dovuto far fronte a misure punitive, ma anzi, al contrario: armi e 3 miliardi di dollari annui in aiuti che gli Stati Uniti inviano a Israele, tanto per cominciare. Durante questo periodo chiave, Israele ha goduto di un notevole miglioramento nelle sue relazioni diplomatiche, culturali e commerciali con moteplici altri alleati. Ad esempio, nel 2007, Israele è diventato il primo paese non latino-americano a firmare un accordo di libero scambio con il Mercosur. Nei primi nove mesi del 2008, le esportazioni israeliane verso il Canada sono aumentate del 45%. Un nuovo accordo di scambi commerciali con l’Unione europea è destinato a raddoppiare le esportazioni di Israele di preparati alimentari. E l’8 dicembre i ministri europei hanno “rafforzato” l’Accordo di Associazione UE-Israele, una ricompensa a lungo cercata da Gerusalemme.È in questo contesto che i leader israeliani hanno iniziato la loro ultima guerra: fiduciosi di non dover affrontare costi significativi. È da rimarcare il fatto che in sette giorni di commercio durante la guerra, l’indice della Borsa di Tel Aviv è salito effettivamente del 10,7 per cento. Quando le carote non funzionano, i bastoni sono necessari.

2. Israele non è il Sud Africa. Naturalmente non lo è. La rilevanza del modello sudafricano è che dimostra che tattiche BDS possono essere efficaci quando le misure più deboli (le proteste, le petizioni, pressioni di corridoio) hanno fallito. Ed infatti permangono reminiscenze dell’apartheid profondamente desolanti: documenti di identità con codici colorati e permessi di viaggio, case rase al suolo dai bulldozer e sfollamenti forzati, strade per soli coloni. Ronnie Kasrils, eminente uomo politico sudafricano, ha detto che l’architettura della segregazione da lui vista in Cisgiordania e a Gaza nel 2007 è “infinitamente peggiore dell’apartheid”.

3. Perché mettere all’indice solo Israele, quando Stati Uniti, Gran Bretagna e altri paesi occidentali fanno le stesse cose in Iraq e in Afghanistan? boycott-israel-free-palestineIl boicottaggio non è un dogma, è una tattica. La ragione per cui la strategia BDS dovrebbe essere tentata contro Israele è pratica: in un paese così piccolo e così dipendente dal commercio potrebbe effettivamente funzionare.

4. Il boicottaggio allontana la comunicazione, c’è bisogno di più dialogo, non di meno. A questa obiezione risponderò con una mia storia personale. Per otto anni i miei libri sono stati pubblicati in Israele da una casa editrice commerciale chiamata Babel. Ma quando ho pubblicato “Shock Economy” ho voluto rispettare il boicottaggio. Su consiglio degli attivisti BDS, ho contattato un piccolo editore chiamato Andalus. Andalus è una casa editrice attivista, profondamente coinvolta nel movimento anti-occupazione ed è l’unico editore israeliano dedicato esclusivamente alla traduzione in ebraico di testi scritti in arabo. Abbiamo redatto un contratto che garantisce che tutti i proventi vadano al lavoro di Andalus, e nessuno per me. In altre parole, io sto boicottando l’economia di Israele, ma non gli israeliani.

Mettere in piedi questo programma ha comportato decine di telefonate, e-mail e messaggi istantanei, da Tel Aviv a Ramallah, a Parigi, a Toronto, a Gaza City. A mio avviso non appena si dà vita ad una strategia di boicottaggio il dialogo aumenta tremendamente. D’altronde, perché non dovrebbe? Costruire un movimento richiede infinite comunicazioni, come molti nella lotta antiapartheid ricordano bene. L’argomento secondo il quale sostenendo i boicottaggi ci taglieremo fuori l’un l’altro è particolarmente specioso data la gamma di tecnologie a basso costo alla portata delle nostre dita. Siamo sommersi dalla gamma di modi di comunicare l’uno con l’altro oltre i confini nazionali. Nessun boicottaggio ci può fermare.
Proprio riguardo ad ora, parecchi orgogliosi sionisti si stanno preparando per un punto a loro favore: forse io non so che parecchi di quei giocattoli molto 1_882312_1_34high-tech provengono da parchi di ricerca israeliani, leader mondiali nell’Infotech? Abbastanza vero, ma mica tutti. Alcuni giorni dopo l’assalto di Israele a Gaza, Richard Ramsey, direttore di una società britannica di telecomunicazioni, ha inviato una e-mail alla ditta israeliana di tecnologia MobileMax. «A causa dell’azione del governo israeliano degli ultimi giorni non saremo più in grado di prendere in considerazione fare affari con voi né con qualsiasi altra società israeliana.»
Quando è stato interpellato da The Nation, Ramsey ha affermato che la sua decisione non è stata politica. «Non possiamo permetterci di perdere neppure uno dei nostri clienti: è stata pura logica difensiva commerciale.»
È stato questo tipo di freddo calcolo che ha portato molte aziende a tirarsi fuori dal Sud Africa due decenni fa. Ed è proprio questo tipo di calcolo la nostra più realistica speranza di portare giustizia, così a lungo negata, alla Palestina.

Traduzione di Manlio Caciopo per Megachip

Articolo orginale: http://www.thenation.com/doc/20090126/klein?

“…mia figlia ‘Ala ha 3 anni”

30 dicembre 2008 1 commento

TESTIMONIANZA DA GAZA, PRESA DA MISNA:
“A mia figlia ‘Ala, che ha tre anni, dico che c’è una festa e che c’è gente che si diverte facendo scoppiare palloncini colorati”: Tamer al-Bahari, palestinese e operatore di un’organizzazione non governativa attiva a Gaza, non sa più cosa inventarsi per evitare che la figlia di tre anni si ammali di nuovo per la paura; raggiunto dalla MISNA nel corridoio della sua casa, al-Bahari racconta di attacchi di una violenza inaudita e mai conosciuta, di nuovi strumenti di guerra utilizzati dagli israeliani e della piccola ‘Ala che ieri lui stesso ha portato in ospedale perché aveva la febbre altissima. “Non è influenza né raffreddore è paura – aggiunge, mentre la cornetta si trasforma in nitida testimone di nuove esplosioni – i medici dicono che non è l’unico caso e che a causare la febbre sono i boati delle esplosioni, i vetri che vanno in frantumi, i rumori di questa guerra; mi resta avvinghiata tutto il giorno, non posso allontanarmi, la devo abbracciare in continuazione, farle sentire che le sono vicino”. A Gaza non ci sono solo i morti, ci sono anche gli effetti indiretti di ore ininterrotte di incursioni aeree e bombardamenti: “Stanno usando di tutto – continua ancora al-Bahari – ci bombardano dal mare con le navi, ci bombardano dal cielo con elicotteri, aerei e droni, ci lanciano contro i loro carri armati; ci resta solo la speranza che tutto finisca presto”. Come la maggior parte dei palestinesi di Gaza, anche al-Bahari deve fare i conti con l’acqua e l’elettricità che mancano, e con le scorte alimentari che non bastano. “Possiamo restare chiusi in casa per altri due giorni – aggiunge – poi non avremo null’altro da mangiare; stiamo razionando tutto e cerco di tenere carica la batteria del mio telefono cellulare. Per ogni esplosione che sento provenire da nord chiamo il resto della mia famiglia che vive lì per sincerarmi che stiano bene. L’esercito israeliano ci sta inviando anche messaggi di vario tipo; sul mio telefono ne è arrivato uno in cui offrono 20 milioni di dollari per informazioni su Gilad Shalit, il soldato israeliano tenuto in ostaggio a Gaza”. Altre esplosioni; nel corridoio della sua casa la piccola ‘Ala si stringe al padre: “Ma lo sa il mondo cosa sta succedendo qui – si chiede Tamer – lo sanno che dall’alba di oggi non si sono mai fermati? Che non ci sono solo centinaia di morti, ma anche tante piccole ‘Ada, l’angoscia di tanti genitori? Lo sa il mondo che stiamo morendo?”.

E INVECE POCHI MINUTI FA, L’AGENZIA DI STAMPA PALESTINESE MAAN, CI RACCONTA DI DUE SORELLINE DI 4 E 11 ANNI UCCISE A BORDO DI UN CARRETTO TRAINATO DA UN ASINO IN UNA STRADA DI KHAN YOUNIS, CAMPO PROFUGHI A SUD DI GAZA.
NESSUNA AGENZIA ISRAELIANA HA ANCORA PASSATO O COMMENTATO LA NOTIZIA.
IL NUMERO DI MORTI E’ SALITO A 363, CON CIRCA 1700 FERITI: LE NAZIONI UNITE ANCORA HANNO IL CORAGGIO DI PARLARE DI CIRCA UNA 50INA DI CIVILI UCCISI. ASSASSINI.

“Piombo fuso” a Gaza (3)

28 dicembre 2008 1 commento

Grossa ressa a Rafah, valico tra la Striscia di Gaza e il Sinai egiziano.

il bantustan di Hamas sotto attacco

Preso da Limes: il bantustan di Hamas sotto attacco

La popolazione in fuga e in cerca di farmaci e viveri è riuscita a rompere una breccia nel muro di confine e in centinaia sono riusciti a passare. Molte centinaia di persone sono invece ammassate lì vicino, circondate dalle forze di sicurezza egiziane ed israeliane.
Per ora l’operazione “Piombo Fuso” (nome, Oferet Yezukà in ebraico, preso da una celebre filastrocca ebraica scritta per la festa delle luci, l’Hanukà, che ricorreva pochi giorni fa) è limitata all’aviazione, ma diverse decine di tank e blindati si stanno ammassando alle porte della striscia. Il ministro degli Esteri dichiara di non voler occupare Gaza (?!) ma solo di voler proseguire la missione fin quando sarà necessario: l’ufficiale guerra contro Hamas è un attacco trasversale contro l’intera popolazione di Gaza, che ormai conta quasi 400 morti.
Nel frattempo, durante le giornate  di ieri e di oggi, sono stati violati anche i cieli libanesi, con voli di ricognizione dell’aviazione israeliana che hanno immediatamente surriscaldato l’atmosfera anche nel paese dei cedri, ancora in ricostruzione dopo la sesta guerra contro lo Stato ebraico d’Israele dell’estate 2006. Oggi è stato assediata l’ambasciata egiziana a Beirut, ma Nasrallah, leader degli Hezbollah, la formazione sciita che ha portato avanti la resistenza durante l’ultimo attacco,  ha convocato un “grande raduno in solidarietà con Gaza e in segno di lutto per i martiri” palestinesi.
 La manifestazione convocata da Hezbollah si terrà domani a partire dalle 15.00 locali (le 14.00 in Italia) al Malaab ar-Raya «Stadio del Vessillo»,a pochi passi da Haret Hreik , il quartiere sciita completamente raso al suolo due anni fa dai bombardamenti israeliani.
Nel frattempo il movimento armato sciita ha mobilitato i suoi combattenti nel sud del paese.

Seguiranno aggiornamenti

“PIOMBO FUSO”…il massacro prosegue

28 dicembre 2008 Lascia un commento

Prosegue la mattanza a Gaza e nei campi profughi della Striscia. Il governo di Tel Aviv ha autorizzato poche ore fa il richiamo di 6.500 riservisti, sia facenti parte delle unità combattenti che della protezione civile: così ha riferito il ministro della difesa Ehud Barak. Per la prima volta da quando è partita l’operazione detta “piombo fuso”, si inizia a parlare di una probabile operazione di terra che appoggi quella dell’aviazione iniziata ieri mattina.MIDEAST ISRAEL PALESTINIANS
Oltre ai 180 poliziotti morti negli attacchi alle caserme, si contano già centinaia di civili  massacrati nelle strade, nelle loro abitazioni, nelle moschee , nelle scuole. Il sionismo continua a mostrare la sua vera faccia: quella degli assassinii ciechi, quella dell’occupazione militare, quella della totale eliminazione della popolazione palestinese.
Non ci sono parole per descrivere le azioni israeliane: il Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite ha condannato l’operazione definendola massacro, ma senza una condanna esplicita allo stato d’Israele. Tanto, sarebbe completamente inutile, si aggiungerebbe alle centinaia di risoluzioni che l’hanno precedentemente fatto in questi 60 anni di stupro di un popolo e di una terra.
CON LA RESISTENZA PALESTINESE,
CON IL POPOLO PALESTINESE,  
CONTRO IL SIONISMO, CONTRO L’OCCUPAZIONE MILITARE, CONTRO IL MURO DELL’APARTHEID

Pochi minuti fa è arrivata la notizia che anche le due carcere di Gaza, al-Mashtal e al-Saraya,  sono stati colpiti dai missili lanciati dagli F-16 con la stella di Davide. Molti detenuti sono rimasti  uccisi. Carceri ovviamente pieno di detenuti appartenenti a Fatah, cosa che palesa quanto siano false le notizie che caratterizzanto quest’attacco come diretto solo ed esclusivamente contro la formazione di Hamas. Se così fosse non si colpirebbe un carcere pieno di loro “nemici” interni.

ALTRA AGENZIA:”Numerosi abitanti della striscia di Gaza affermano di aver ricevuto da ieri telefonate minacciose su apparente iniziativa dell’intelligence di Israele. In questi messaggi registrati, in lingua araba, viene fatto presente che «chiunque nasconda armi nella propria abitazione la trasforma in un obiettivo per la aviazione israeliana». Tali armi devono dunque essere rimosse, viene precisato nel messaggio. Altri abitanti dicono di aver ricevuto nel loro telefono un altro messaggio registrato in cui viene promesso un premio pecuniario a chi sia in grado di fornire informazioni utili alla localizzazione di Ghilad Shalit, il soldato israeliano prigioniero di Hamas dal giugno 2006.”

I Tank israeliani sono alle porte di Gaza, ancora fermi, ma non lasciano ben pensare. Nel frattempo il numero delle vittime sta iniziando a sfiorare la cifra 400 con più di 1000 feriti.


ISRAELE: Espulso Richard Falk, inviato ONU per i diritti umani

15 dicembre 2008 Lascia un commento

Due agenzie (entrambe di questo pomeriggio) che vanno a confermare com’era necessario tradurre e far circolare le dichiarazioni di un esponente del Likud, Moshe Feiglin su Hitler:  Su Peacereporter: NUOVI FALCHI SU ISRAELE 

Gerusalemme, 15 dic. – (Aki)  Richard Falk, l’inviato delle Nazioni Unite che paragonò gli israeliani ai nazisti, è stato espulso oggi dallo Stato ebraico. A marzo il Consiglio per i diritti umani dell’Onu con sede a Ginevra aveva assegnato a Falk, un ebreo americano e professore emerito alla Princeton University, un incarico di sei anni per monitorare la situazione umanitaria nei Territori palestinesi.

F.P.L.P in corteo_

Foto di Valentina Perniciaro _Palestina: F.P.L.P in corteo_

 Dopo che alla Bbc aveva paragonato il trattamento che gli israeliani riservano ai palestinesi a quello dei nazisti con gli ebrei durante l’Olocausto, il ministero degli Esteri israeliano aveva annunciato a settembre che non avrebbe permesso a Falk di entrare nel Paese. Il precedente incaricato delle Nazioni Unite per i diritti umani nei Territori, John Dugard dal Sudafrica, aveva paragonato il trattamento riservato ai palestinesi da Israele all’apartheid. In ogni modo, lo Stato ebraico ha anche contestato il fatto che la missione di Falk sia diretta solo a valutare le violazioni dei diritti umani da parte di Israele nei confronti dei palestinesi e non viceversa. L’organizzione per la difesa dei diritti Adalah ha condannato oggi l’espulsione di Falk, definendola un «duro colpo ai diritti della popolazione civile palestinese che vive sotto l’occupazione israeliana, una popolazione alla quale va garantita la protezione in base alle leggi umanitarie internazionali». Secondo l’ong, «negare l’ingresso al professor Falk danneggia anche il lavoro delle numerose organizzazioni e dei difensori dei diritti umani che lavorano in Israele». 

New York, 15 dic. – (Aki) – Il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha espresso rammarico per il fatto che Israele ha negato l’ingresso all’inviato speciale nei Territori palestinesi del Consiglio per i Diritti Umani Richard Falk. Il portavoce di Ban, Michele

Naji Al-ali    _Handala scrive il nome della sua terra_

Naji Al-ali _Handala scrive il nome della sua terra_

Montas, ha dichiarato in conferenza stampa che il Segretario Generale chiede alle autorità israeliane di «cooperare pienamente con le procedure speciali del Consiglio per i Diritti Umani». A Falk, in missione nei Territori palestinesi, è stato impedito all’aeroporto Ben Gurion di entrare in Israele. Montas ha aggiunto che le autorità israeliane erano state avvisate del suo arrivo. L’anno scorso Falk, professore emerito dell’Università di Princeton, ha dichiarato che gli israeliani si comportano con i palestinesi come i nazisti contro gli ebrei. Quando Falk ha rifiutato di ritirare il controverso paragone il ministero degli Esteri israeliano ha avvisato che non gli sarebbe stato consentito l’ingresso nel Paese.

L’O.N.U. e il boicottaggio ad Israele …e Napolitano??

8 dicembre 2008 3 commenti

IL PRESIDENTE DELL’ASSEMBLEA GENERALE DELL’ONU INVITA AL BOICOTTAGGIO DEL REGIME ISRAELIANO DELL’APARTHEID.
MA IN ITALIA TUTTO TACE…NON SI PUO’ DIRE, NON SI PUO’ SAPERE!

“Sono stupefatto che si continui ad insistere sulla pazienza mentre i nostri fratelli e le nostre sorelle palestinesi sono crocifissi. La pazienza è una virtù nella quale io credo. Ma non c’è alcuna virtù nell’essere pazienti con la sofferenza degli altri”.

L’Assemblea generale dell’ONU ha esaminato il 24 e 25 novembre 2008 il rapporto del Segretario generale sulla situazione in Palestina.

Il Presidente dell’Assemblea, Miguel d’Escoto Brockmann (Nicaragua), ha fatto di questo dibattito una questione di principio. Aprendo la seduta, ha dichiarato: « Io invito la comunità internazionale ad alzare la sua voce contro la punizione collettiva della popolazione di Gaza, una politica che non possiamo tollerare. Noi esigiamo la fine delle violazioni di massa dei Diritti dell’uomo e facciamo appello ad Israele, la Potenza occupante, affinché lasci entrare immediatamente gli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. Questa mattina ho parlato dell’apartheid e di come il comportamento della polizia israeliana nei Territori palestinesi occupati sembri così simile a quello dell’apartheid, ad un’epoca passata, un continente più lontano. Io credo che sia importante che noi, all’ONU, impieghiamo questo termine. Non dobbiamo avere paura di chiamare le cose con il loro nome. Dopotutto, sono le Nazioni Unite che hanno elaborato la Convenzione internazionale contro il crimine dell’apartheid, esplicitando al mondo intero che tali pratiche di discriminazione istituzionale devono essere bandite ogni volta che siano praticate.

FRONTE POPOLARE DI LIBERAZIONE DELLA PALESTINA

FRONTE POPOLARE DI LIBERAZIONE DELLA PALESTINA

Abbiamo ascoltato oggi un rappresentante della società civile sudafricana. Sappiamo che in tutto il mondo organizzazioni della società civile lavorano per difendere i diritti dei Palestinesi e tentano di proteggere la popolazione palestinese che noi, Nazioni Unite, non siamo riusciti a proteggere. Più di 20 anni fa noi, le Nazioni Unite, abbiamo raccolto il testimone della società civile quando abbiamo convenuto che le sanzioni erano necessarie per esercitare una pressione non violenta sul Sud Africa. Oggi, forse, noi, le Nazioni Unite, dobbiamo considerare di seguire l’esempio di una nuova generazione della società civile chef a appello per una analoga campagna di boicottaggio, di disinvestimento e di sanzioni per fare pressione su Israele. Ho assistito a numerose riunioni sui Diritti del popolo palestinese. Sono stupefatto che si continui ad insistere sulla pazienza mentre i nostri fratelli e le nostre sorelle palestinesi sono crocifissi. La pazienza è una virtù nella quale io credo. Ma non c’è alcuna virtù nell’essere pazienti con la sofferenza degli altri. Noi dobbiamo agire con tutto il nostro cuore per mettere fine alle sofferenze del popolo palestinese (…) Tengo ugualmente a ricordare ai miei fratelli e sorelle israeliani che, anche se hanno lo scudo protettore degli Stati Uniti al Consiglio di Sicurezza, nessun atto di intimidazione cambierà la Risoluzione 181, adottata 61 anni fa, che invita alla creazione di due Stati. Vergognosamente, oggi non c’è uno Stato palestinese che noi possiamo celebrare e questa prospettiva appare più lontana che mai. Qualunque siano le spiegazioni, questo fatto centrale porta derisione all’ONU e nuoce gravemente alla sua immagine ed al suo prestigio. Come possiamo continuare così?».

L’ambasciatore Miguel d’Escoto Brockmann è un sacerdote cattolico, teologo della liberazione e membro del Comitato politico del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (FSLN). Personalità morale riconosciuta, è stato eletto per acclamazione, il 4 giugno 2008, Presidente dell’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite.

L’Anti-Defamation League (ADL) è stata la prima organizzazione sionista a reagire, chiedendo al Segretario Generale dell’ONU, Ban Ki Moon, di mettere fine a questo « circo » così come alla « cosiddetta giornata di solidarietà con il popolo palestinese ». Infine, ha denunciato il carattere a suo dire « antisemita » delle proposte del Presidente Miguel d’Escoto Brockmann che essa ritiene ispirate da un secolare antigiudaismo cattolico.

Foto di Valentina Perniciaro _Betlemme in corteo_

Foto di Valentina Perniciaro _Betlemme in corteo_

SONO PASSATI QUASI DIECI GIORNI DA QUESTE DICHIARAZIONI, MA LA STAMPA ITALIANA, QUELLA “UFFICIALE” E LETTA DA QUESTO MISERO POPOLO CHE SIAMO NE HA CONTINUAMENTE TACIUTO. 

FORSE NAPOLITANO DOPO IL VIAGGIO IN ISRAELE, MOLTO RECENTE, NON HA AVUTO MODO DI REALIZZARE LA DITTATURA MILITARE CHE E’ L’OCCUPAZIONE ISRAELIANA DEI TERRITORI PALESTINESI.

NON SI PUO’ STARE DALLA VOSTRA PARTE..CHI APPOGGIA ISRAELE HA LE MANI SPORCHE DI SANGUE.
DI SANGUE INNOCENTE, SANGUE DI UN POPOLO STUPRATO DA OLTRE 60 ANNI, SANGUE DI UNA TERRA MASSACRATA.
PALESTINA LIBERA….STOP OCCUPATION
IL MURO CADRA’ SUI VOSTRI CARRIARMATI, SULLE RUSPE, SULLE SEGHE CHE TAGLIANO ULIVI MILLENARI.