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Posts Tagged ‘manifestazione’

Atac: non te pagamo… e 2!

21 Maggio 2012 1 commento

L’aumento del biglietto Atac a 1.50€, col relativo aumento di tutti gli abbonamenti e la riduzione delle agevolazioni per le categorie sociali più deboli, è un passo consistente nella direzione di una totale soppressione del diritto alla mobilità. 
Le giustificazioni fornite per l’aumento del ticket sono ingannevoli, dall’aumento del costo del carburante fino alla farsa della maggiore durata temporale del biglietto, da 75 a 100 minuti. In realtà l’aumento servirà solo in piccolissima parte ad appianare l’enorme debito di Atac, che nell’ultimo bilancio ammonta a quasi 630 milioni di euro. Però si continueranno a finanziare gli stipendi d’oro dei 100 dirigenti (1 ogni 120 lavoratori), con 70 retribuzioni oltre i 100.000 euro e uno stipendio che arriva a 600.000 euro.
Tutto questo nel vortice della
 parentopoli di Alemanno mentre le lavoratrici e i lavoratori dell’azienda rischiano il licenziamento a causa del processo di “razionalizzazione” che precede la privatizzazione a seguito del decreto liberalizzazioni. Infatti il nuovo piano aziendale prevede tagli alle linee e al personale, oltre a un aumento dei ritmi e degli orari di lavoro.
Noi non ci stiamo.
In una città dove il traffico e l’inquinamento sono un problema gravissimo e spesso si è costretti a ore di macchina per andare al lavoro, senza nessuna logica di trasformazione della mobilità in questa città, 
l’aumento del biglietto è una vera e propria provocazioneIn questo periodo di crisi l’aumento del biglietto colpirà soltanto le classi più deboli: chi non ha i soldi per pagare benzina ed assicurazione, chi abita nelle periferie, i pendolari, gli studenti, gli anziani, gli invalidi e chiunque veda nel trasporto locale non solo un bisogno ma una necessità.
Vogliamo far sentire nella città di Roma una voce che affermi con forza che di fronte alla crisi, e al modo assurdo e criminale con cui le istituzioni tentano di farvi fronte, non possiamo più essere noi a pagare. È chiaro che la privatizzazione del trasporto pubblico locale, come quelli di altri servizi collettivi come l’Acea, serva solo a far fare cassa ai grossi capitali di questa città che arrancano nella competizione economica di questo periodo.
Non abbiamo più niente da dare alle cricche che governano e strangolano Roma, così come non abbiamo più niente da dare al governo Monti e alla Banca Centrale Europea. Invitiamo tutte le realtà sociali di questa città a farsi carico di questa lotta, che può vincere solo se diffusa capillarmente nel territorio. Opporci alla privatizzazione della mobilità è uno strumento strategico in questa città, come lo sono le altre lotte cardine che cercano di fermare il tallone di ferro dell’austerità e dei sacrifici che ci vogliono imporre, e ci fanno sprofondare ogni giorno di più nel baratro della povertà. Per questo a partire dalla questione del trasporto pubblico, insieme alle altre lotte sociali, vogliamo costruire percorsi di riappropriazione che sappiano porsi come valida alternativa alle privazioni imposte.
È una lotta parziale, ma che riesce ad intercettare i settori più deboli e per questo è nostro compito, ognuno con le proprie pratiche e i propri percorsi, riuscire a captarla e vincerla.
 Invitiamo tutti e tutte, le realtà e le individualità, a partecipare alla prima giornata di mobilitazione e a produrre azioni dislocate in tutta la città nell’intero arco della giornata.

MOBILITAZIONE PUBBLICA SOTTO LA SEDE ATAC IN VIA PRENESTINA, VENERDÍ 25 MAGGIO ORE 13.

– Non vogliamo pagare i debiti accumulati per la mala gestione e per i loro stipendi milionari! 
– Vogliamo il ritiro del piano aziendale e la fine dei licenziamenti, e ci opponiamo alla privatizzazione di quello che è un servizio pubblico essenziale!
 
– Non pagare la crisi, non pagare il biglietto, per un trasporto gratuito!



Assemblea romana per le autoriduzioni – nonvipaghiamo.noblogs.org

26 MAGGIO: Manifestazione a Reggio in solidarietà con il CSOA Cartella

16 Maggio 2012 2 commenti

[A QUESTO LINK LA CAMPAGNA DI SOTTOSCRIZIONE PER RICOSTRUIRE IL CARTELLA]

Non ci poteva essere sveglia più triste a buttarci giù dal letto ieri mattina. La notizia che la struttura, che per dieci anni ci ha visto discutere, lavorare, creare, cantare, suonare, crescere, stava andando letteralmente in fumo è stata un pugno allo stomaco, un colpo tremendo. La vista poi di quelle pareti di cemento rimaste in piedi, mentre tutto quello che c’era dentro, sopra, di lato, era stato trasformato in cenere e detriti contorti dal calore, è stato il colpo del definitivo Knock Out.

Ma presto il senso di smarrimento, di confusione, è stato spazzato via dall’incredibile fiume di solidarietà che ci ha sommerso: dal quartiere, dalla città, dall’Italia tutta è stato un continuo chiamare, chiedere, offrire braccia, mezzi, soldi. Un abbraccio talmente caloroso da ridarci immediatamente forza, voglia, combattività. Una vicinanza talmente eterogenea quanto sincera, da essere per noi più legittimante di qualsiasi carta bollata, figlia del riconoscimento del lavoro svolto in questi anni.

Ricostruire il Cartella, più bello e più grande di prima, abbiamo detto nel corso di una partecipatissima assemblea, tenutasi ieri pomeriggio, vicino a quelle macerie ancora fumanti. Lo ricostruiremo noi, come abbiamo sempre fatto, con l’aiuto di tutti quelli che sono al nostro fianco, di tutti quelli che dalla Val di Susa a Palermo, dal Friuli alla Puglia, ci stanno dicendo di essere pronti a sostenerci in qualsiasi modo.

Lo ricostruiremo perché non abbiamo alcuna intenzione di arrenderci a chi, con questo vile atto, pensa di poter chiudere la nostra esperienza, e soprattutto distogliere il nostro impegno politico. Se la mano che ha compiuto questo vile atto è facilmente individuabile nella bassa manovalanza fascista e mafiosa, purtroppo sempre numerosa in questa città, la mente è per noi da individuare nella tanto famosa area grigia, in tutti quei gruppi affaristici, di interesse, che considerano questo territorio una enorme speculazione, e le casse pubbliche bancomat privati.
Vorrebbero che tutti i nostri sforzi si riversassero sulla difesa degli spazi, sullo scontro ideologico e sull’antifascismo, senza preoccuparci più della privatizzazione dei servizi pubblici, della svendita del territorio a fini speculativi, della tremenda crisi economica e soprattutto sociale in cui versa la nostra città. Se il fine è questo, hanno sbagliato di grosso!

Il Cartella è stato ferito sì, ma è vivo e vegeto.

Stiamo verificando le condizioni per una manifestazione contro ogni tentativo di far chiudere questa esperienza, per la difesa degli spazi sociali, da tenersi sabato 26 maggio.

Stiamo vagliando, insieme ai nostri tecnici e legali, le modalità per avviare al più presto la ricostruzione della struttura fortemente danneggiata, che sarà sostenuta dal lancio di una campagna nazionale di solidarietà.

Nel frattempoconfermiamo tutte le iniziative già programmate, e diamo appuntamento a tutte e tutti per sabato 19 maggio, per la chiusura delle tre giornate contro l’omofobia che l’ArciGay e gli altri promotori hanno deciso di far tenere al Cartella, e i cui proventi andranno nella cassa di solidarietà per la ricostruzione.

 “Voi non potete fermare il vento, gli fate solo perdere tempo”

“Potrete tagliare tutti i fiori, ma non fermerete mai la primavera”

www.csoacartella.org

comunicato in PDF
La corrispondenza con Radio Onda Rossa

 

Bahrain: ora hanno anche Nabeel Rajab

6 Maggio 2012 1 commento

E’ arrivato il turno di Nabeel Rajab, l’uomo a capo del Centro per i diritti umani in Bahrain.

E’ arrivato il suo turno, dopo il pestaggio di qualche mese fa, dopo tutto quello che qualunque attivista di quel paese subisce da sempre.
Era andato a Beirut per partecipare ad un convegno sui diritti umani, e ad esporre -come suo solito- le condizioni del piccolo paese arabo da troppi dimenticato.
Un rientro previsto per il 5 maggio, a Manama, proprio per potersi recare oggi perché era stato invitato a comparire in tribunale oggi, come racconta Hussain Yousif, coordinatore del Mena Bahrain Press Association ad Al-jazeera.
All’aereoporto lo attendevano due ufficiali e due uomini in borghese, che dopo avergli chiesto conferma della sua identità gli hanno comunicato il suo arresto e alla richiesta di una motivazione la sola risposta ricevuta è stato un “non lo sappiamo”.
Lo sappiamo noi invece, visto che nemmeno tre giorni fa altre organizzazioni che si occupano di diritti umani sono state chiuse dal democraticissimo monarcha sunnita,
lo sa chiunque ha nel cuore la sorte di Abulhadi al-Khawaja, a capo dello stesso centro di Nabeel Rajab, che per la sua attività in difesa della libertà e dei diritti umani, s’è conquistato un ergastolo, la tortura, ed ora vive in condizioni che nessuno conosce più, nel terzo mese di sciopero della fame.
Ora hanno nelle mani anche Nabeel, per la cui libertà dovremmo lottare tutti.
FREE NABEEL RAJAB
FREE Al_KHAWAJ
FREE BAHRAIN

Giorgiana Masi: come ieri, ancora oggi

5 Maggio 2012 3 commenti

Il 12 maggio del 1977 le squadre speciali dell’allora ministro dell’Interno Francesco Kossiga assassinavano Giorgiana Masi, compagna femminista scesa in piazza insieme a tante e tanti altri sfidando il divieto di manifestare, nell’anniversario della vittoria referendaria sul divorzio. Le forze di polizia risposero sparando candelotti lacrimogeni e colpi di arma da fuoco. Picchiati e maltrattati anche fotografi, giornalisti e passanti.

Pochi minuti prima delle 20, durante l’ennesima carica della polizia, due compagne furono raggiunte da proiettili sparati da Ponte Garibaldi, dove erano attestati poliziotti, carabinieri e agenti in borghese.
Elena Ascione rimase ferita a una gamba. Giorgiana Masi, 19 anni, studente del liceo Pasteur, venne centrata alla schiena. Morirà durante il trasporto in ospedale.

Le chiare responsabilità emerse a carico di polizia, questore, Ministro dell’Interno, porteranno il governo con la complicità vergognosa del PCI, a intessere una fitta trama di omertà e menzogne. Kossiga prima elogiò in Parlamento “il grande senso di prudenza e moderazione” delle forze dell’ordine, poi fu costretto a modificare la propria versione dei fatti, ammettendo la presenza delle squadre speciali ma continuò sempre a negare che la polizia avesse sparato, pur se smentito da testimoni, foto e filmati.

L’inchiesta per omicidio si concluse nel 1981 con sentenza di archiviazione del giudice istruttore Claudio D’Angelo “per essere rimasti ignoti i responsabili del reato”.

Questa, in breve, la storia di quella giornata da cui sono passati 35 anni.

Da almeno 15 anni non si svolge una manifestazione nazionale in ricordo di Giorgiana, l’ultima fu nel 1997. Da almeno 5 anni non si svolge neanche più un corteo cittadino.

In questi ultimi tempi assistiamo a una crescente repressione e violenza dello Stato contro movimenti e individui, diversi per pratiche e ispirazioni, ma tutti mossi da una critica alla società esistente.

Il numero delle persone arrestate, rinchiuse e trattate, perché socialmente non disciplinate, sale di giorno in giorno. A dimostrazione che alla brutalità delle forze dell’ordine è sempre seguita la solerte repressione della magistratura: dalle 10 condanne per devastazione e saccheggio per il G8 di Genova 2001 con le quali sono stati dati fino a 12 anni di carcere, agli ultimi arresti del 15 ottobre del 2011, condannati a pene esemplari per il semplice reato di resistenza aggravata.

Anche alle lotte contro la nocività e al movimento NoTav hanno presentato il conto: centinaia di persone ferite alcune anche in maniera grave, truppe d’occupazione, espropri, per non parlare degli ultimi arresti e denunce.

Nonostante questo noi vogliamo continuare a metterci in gioco in prima persona.

SABATO 12 MAGGIO ORE 15
APPUNTAMENTO A PONTE GARIBALDI

 le compagne e i compagni

Un appello per Abdulhadi Al Khawaja, prima che sia troppo tardi

27 aprile 2012 3 commenti

Grazie ad Annalena Di Giovanni
( per leggere altro sul Bahrain pubblicato in questo blog: QUI )

Di sciopero della fame non si muore mai. Si vince e basta. Prima o poi. Gandhi non e’ morto, ha vinto. Le suffragette, anche loro hanno vinto, e infatti oggi noi donne abbiamo diritto al voto. I prigionieri palestinesi, anche loro stanno vincendo. Di sciopero della fame non si muore.

E quindi neache Abdulhadi Al Khawaja, classe 1961, attivista e co-fondatore del Centro per I Diritti Umani in Bahrain, morira’ di sciopero della fame.

Eppure non sappiamo dove sia. Non sappiamo neanche quanto vivo sia, visto che il Governo del Baharain si rifiuta di provarlo. Abdulhadi porta avanti la sua protesta per avere diritto a un giusto processo. Gli e’ stata data la condanna all’ergastolo per reato d’opinione. Ha smesso di mangiare che era febbraio. Per tutta risposta, le autorita’ hanno di nuovo posticipato il processo di un’altra settimana. I giorni passano. Prima era il giorno numero settantasette, ieri era il numero settantotto. Il bahrain, chi lo conosce, e poi di ingiustizie e’ pieno il mondo, e insomma tanto alla fine abdulhadi, questo Gandhi arabo, mica morira’ di sciopero della fame, perche’ di scioepro della fame non si muore mai, si vince.

Giorno numero settantanove.

Il crimine di Abdulhadi e’ quello di aver speso una vita documentando e denunciando le violazioni dei diritti umani perpetrate in quest’isoletta nel bel mezzo del Golfo del petrolio, una briciola sulle mappe chiamata Bahrain, che conosciamo solo per la Formula Uno, perche’ ci stazionano i Marines della Quinta flotta piazzati a tener d’occhio l’Iran, e per i bordelli di Manama (la capitale) in cui i rampolli sauditi vanno a divertirsi ogni fine settimana. Pero’ questa briciola geografica ospita uno dei movimenti di resistenza passiva piu’ dignitosi, piu’ determinati e piu’ longevi del pianeta, unico in tutto il mondo arabo. Un movimento che Abdulhadi ha nutrito e ispirato per decadi, quando ha cominciato a gridare forte e chiaro dell’apartheid in vigore in Bahrain e di un re che premiava o torturava i propri sudditi in base alla confessione religiosa. Tanto e’ bastato perche’ Abdulhadi vincesse la sua fita di fuggitivo dal passaporto strappato, la schiena segnata dalle frustrate, le figlie cresciute a giro per il mondo con un documento di profughe politiche, un giorno in prigione l’altro fuori poi di nuovo in prigione e poi ancora le torture, fino a quel febbraio 2011 in cui le rivolte in Bahrain sono finalmente comparse su qualche testata internazionale, ed Abdulhadi, ritenutone colpevole, e’ stato condannato per non aver tenuto la bocca chiusa.

Ho incontrato Zeinab, la figlia di Al Khawaja, per la prima volta nel novembre 2008. Mi ha detto “Sai, una volta che conosci i tuoi diritti, diventa difficile tenere la bocca chiusa”. Semplice. Questo le ha insegnato il padre, che una volta che hai imparato cosa ti spetta, la liberta’ che hai in testa e’ l’unica cosa che conta. Nessuno te la puo’ togliere, basta che impari a non tenere la bocca chiusa. Per questo settantanove giorni fa Abdulhadi ha smesso di mangiare: perche’ voleva essere libero. Perche’ sa che una volta che ti hanno tolto la liberta’ fisica per non essere rimasto zitto, il massimo di te che possono tenersi e’ soltanto la vita. E cosi’ sono passati settantanove giorni. Pero’ ditemi voi voi cosa fareste, se sapeste che vostro padre e’ lasciato li’ a morir di fame in carcere, terreste la bocca chiusa o scendereste a urlare in strada? Cosa farete, se di sciopero della fame si muore anche?

E no, di sciopero della fame non si muore mai, Abdulhadi non morira’. Ce lo dice anche il Governo del Bahrain, che non e’ morto e che e’ in buona salute. Peccato che a dirlo siano gli stessi che hanno impedito all’ambasciatore danese – Abdulhadi ha la cittadinanza, anzi per anni quelli danesi sono stati gli unici documenti che aveva – di incontrare di persona Abdulhadi per vedere se e’ ancora vivo, lo stesso governo che spara contro un sit-in disarmato, intossica gli ospedali con tonnellate di lacrimogeni e incarcera i medici che hanno soccorso donne e banbini. Lo stesso Governo che ha sancito e santificato l’apartheid contro una maggioranza che aveva la sola colpa di non essere di religione musulmano-sunnita, che ha manipolato campagne di demonizzazione a mezzo stampa, messo i cittadini gli uni contro gli altri, venduto l’isola, torturato con elettroshock e trapano chiunque cercasse di far trapelare cosa stesse succedendo in Bahrain in questi decenni, “importato” contadini baluci dal Pakistan per armarli e mandarli a sparare nei villaggi fuori da Manama. Quello stesso Governo che di fronte all’imminente morte per sciopero della fame di Abdulhadi ha deciso di posticipargli l’udienza di un’altra settimana, che magari e’ la volta buona per levarselo di torno, lui e quel suo vizietto di non tenere la bocca chiusa. E allora, davvero non si muore di sciopero della fame? vogliamo fidarci del governo del Bahrain, o vogliamo aprire la bocca?

Settantanove giorni. Da qualche parte, nella sua cella, probabilmente dopo una buona dose di sevizie come e’ d’usanza nelle carceri del Bahrain, Zeinab conta la distanza fra le sue ore, e la morte del padre. Che tanto, di sciopero della fame non si muore mai.

Vero?

Vero. Pero’ che facciamo se poi alla fine di sciopero della fame si muore anche. Che facciamo se Abdulhadi muore di sciopero della fame, se sappiamo, e restiamo a bocca chiusa. Con che faccia ci leggeremo gli occhi, domani allo specchio, se di sciopero della fame si muore anche.

Facciamo qualcosa. Qualsiasi cosa. Non restiamo a bocca chiusa. andiamo all’ambasciata del Bahrain, invadiamo internet, facciamo pressione, Sono settantanove giorni. Settantanove. Non c’e’ piu’ tempo. Liberta’ per Abdulhadi Al Khawaja.

http://byshr.org/

http://www.bahrainrights.org/en

Grazie al blog che vi link qui e che vi consiglio: Leggi ( also for the english version)

Una chiacchierata con San Pietroburgo

15 marzo 2012 2 commenti

San Pietroburgo, foto di Marco Clementi

Volevo mettervi il link di una corrispondenza radiofonica che abbiamo fatto mercoledì mattina, dai microfoni di Radio Onda Rossa, insieme allo storico Marco Clementi, da San Pietroburgo.
Proprio dalle pagine di questo blog avevamo dato l’allarme del suo arresto, raccontato dai suoi sms inviati da dentro al furgone dove attendeva, insieme a qualche decina di manifestanti, la traduzione in commissariato.
Era il day after della nuova rielezione di Vladimir Putin, giornata in cui migliaia di persone si sono riversate per le strade per manifestare contro quello che sembra essere un ennesimo impero, da abbattere.

Rilasciato, insieme agli altri, senza troppi problemi, ci ha aiutato a capir meglio la situazione attuale nel paese,
la composizione delle piazze, il livello repressivo e le aspettative prossime:
un’interessante chiacchierata che vi consiglio di ascoltare.

ASCOLTA LA TRASMISSIONE: QUI!

[Il blog di Marco Clementi / la sua pagina twitter]

Sabato di nuovo in piazza: con chi lotta contro la Tav, con chi lotta per il diritto alla casa, con chi lotta contro il carcere

12 marzo 2012 3 commenti

SIAMO TUTTI NO TAV  – SIAMO TUTTI SENZA CASA

Venerdì 9 Marzo circa 200 precari dei movimenti per il diritto all’abitare hanno messo in atto una protesta pacifica occupando l’androne ed il tratto di strada antistante il CIPE (comitato interministeriale per la programmazione economica), che proprio quel giorno approvava ulteriori finanziamenti a compensazione per la TAV.
1 km di TAV = 1000 case popolari questo era lo slogan della manifestazione con la quale si voleva affermare non solo il principio della solidarietà con i valsusini, ma che la lotta NO TAV, per quello che rappresenta è anche la lotta per i nostri  bi–sogni e per i nostri diritti.
Il pestaggio della polizia, il contemporaneo sgombero della tendopoli dello spreco in via Marcello Boglione in VII° Municipio, il successivo tentativo (fallito) di sgombero dell’occupazione di via di casal boccone con l’uso di lacrimogeni e la distruzione totale della struttura da parte dei reparti della celere, l’arresto di 4 attivisti (ora 3 a piede libero ed uno –paolo – agli arresti domiciliari con restrizione totale della possibilità di comunicare), hanno trasformato una protesta simbolica in una vergognosa giornata di repressione delle lotte sociali e del dissenso.
Le responsabilità di quanto accaduto sono chiare e precise. Vanno cercate nelle politiche liberiste ed antipopolari del governo Monti che dopo aver nuovamente massacrato il diritto alla pensione, prosegue ora nella privatizzazione e nella svendita dei beni comuni, in una nuova contro –riforma del mercato del lavoro che rinchiuderà definitivamente le nostre vite in uno stato di precarietà assoluta e permanente.
Vanno cercate nel Sindaco di Roma Alemanno  che prosegue nelle sue politiche di s–vendita del patrimonio pubblico e dei beni comuni – privatizzando ancora l’acqua ed i servizi pubblici locali, regalando ancora la città agli interessi forti delle banche e dei cementificatori. Vanno cercate nella persona del questore di Roma che, mentre la città cade nelle mani della criminalità organizzata, sceglie di prendersela con chi non può permettersi affitti e mutui da 1000 o 1500 euro al mese, promettendo un escalation di arresti e sgomberi.
Ora è chiaro, oltre all’emergenza legata alla crisi economica c’è n’è un altra. La chiusura di ogni spazio di agibilità sociale e politica, la repressione di chi reclama i propri diritti o semplicemente esprime il proprio dissenso e le proprie idee, come accaduto anche con le condanne e le accuse spropositate addebitate  ed inflitte a persone riconosciute o rastrellate a caso durante le grandi manifestazioni di piazza. Per questo crediamo che non solo i movimenti per il diritto all’abitare, ma una città intera, debba mobilitarsi per impedire questa deriva poliziesca e autoritaria.
2,7 miliardi di euro è il costo del solo tunnel TAV della valsusa. Oltre 20 miliardi di euro il costo della intera tratta Torino – Lione (senza contare i finanziamenti per le compensazioni).
Con questi soldi:
Quante casa popolari potrebbero essere realizzate? Quanti Asili Nido? Di quanti ospedali potrebbe essere impedita la chiusura? Quanti centri anti-violenza potrebbero  essere finanziati? Quanti luoghi potrebbero essere recuperati e messi  a disposizione della cittadinanza? Quanti precari e disoccupati potrebbero ricevere un reddito minimo garantito?
Fermiamo questa folle corsa ai profitti di pochi a danno di tutti. Continuiamo a lottare per il diritto alla casa e all’abitare. Per la difesa dei territori, dei beni comuni, dell’acqua pubblica. Per una cultura libera ed indipendente. Per l’accesso e la libera circolazione dei saperi e delle persone. Per la garanzia di servizi pubblici e di qualità. Per i diritti dei lavoratori e un reddito minimo garantito per disoccupati e precari. Per la libertà di pensiero e di movimento.
Le lotte sociali non si arrestano. I nostri diritti e le nostre idee non si sgomberano.
Un’altra Roma è possibile. Un altro mondo è necessario

SABATO 17 MARZO 2012 ORE 15.00
DA PIAZZA VITTORIO
CORTEO CITTADINO
Invitiamo ad organizzare in questi giorni mobilitazioni diffuse in ogni territorio
Paolo Libero! Tutte e Tutti i Liberi!
 
MOVIMENTI PER IL DIRITTO ALL’ABITARE
 
Per adesioni e comunicazioni: abitare@autistici.org

Il comunicato di Radio Onda Rossa sulle condanne per il 15 ottobre

24 febbraio 2012 Lascia un commento

Alla vigilia della manifestazione del 25 febbraio in Val di Susa a sostegno del movimento NO TAV, la magistratura ha inflitto condanne pesantissime a due imputati per i fatti accaduti durante la manifestazione del 15 ottobre 2011 a Roma:
5 anni di reclusione a Giuseppe Ciurleo e 4 anni a Lorenzo Giuliani che si vanno ad aggiungere a quelle di 3 anni e 4 mesi a Giovanni Caputi e 2 anni a Robert Scarlett, anch’essi inquisiti per i medesimi fatti.
A questo punto ogni componente del movimento non può evitare la domanda: perché la repressione opera oggi con tale ferocia?
Al di là della evidente sproporzione tra reati contestati e condanne, avvertiamo il peso tutto politico di questa sentenza. Emerge netta un’offensiva dello Stato che, nel quadro generale di costrizioni e minacce che stiamo vivendo, di attacco al salario, ai diritti e alle condizioni di vita, cerca di imporre al conflitto di classe rigide regole di comportamento.
Gli arresti del 14 dicembre 2010, del 15 ottobre 2011, del movimento NoTav sono tutte dentro questo tentativo di imposizione di regole e modelli che vogliono segnare uno spartiacque tra un “dentro” e un “fuori” delle compatibilità del quadro capitalistico di gestione della crisi.
Regole che, all’interno del movimento, hanno lo scopo di recidere ogni legame solidaristico tra i movimenti e di avallare la nauseante differenza tra “buoni” e “cattivi”. Di questo passo, per usare le affermazione del procuratore di Torino Giancarlo Caselli, gli articoli del Codice penale finiranno per essere gli unici strumenti regolatori del conflitto di classe.
Non cadiamo nel tranello, come sta avvenendo per le condanne di Genova 2001. Vediamo con preoccupazione il riproporsi di una sostanziale incomprensione di alcune componenti del movimento, pensiamo al contrario che queste sentenze, dal duro monito repressivo, non debbano passare sotto silenzio.
Radio Onda Rossa continua ad essere al fianco dei compagni e compagne arrestate per il 15 ottobre e di tutte e tutti coloro che pagano con le denunce e la galera la loro voglia di ribellione.

La redazione di ROR

Su quelle giornate e la repressione che ne è seguita:

Il comunicato su Giovanni Caputi
Ecco la prima condanna
Cobas contro Cobas
Un commento di Oreste Scalzone
Presidio a Regina Coeli
Infoaut risponde al comunicato dei Cobas
La solidarietà di Radio Onda Rossa agli arrestati
I “terroristi urbani”
Delazione e rimozione della propria storia
Gli scontri, i Cobas e la violenza dei non-violenti

Bahrain: di nuovo in arresto @angryarabiya

13 febbraio 2012 1 commento

Il volto di Zeinab!

Ancora lei, ancora piazza della Perla di Manama.
Ancora repressione, anfibi di regime, manette, caserme.
Le notizie degli ultimi minuti ci dicono che resterà in stato di fermo di polizia per almeno sette giorni.
Sappiamo quanto è forte questa giovane donna, sappiamo con quale dignità e coraggio manda avanti la sua esistenza, tra carceri e mobilitazioni: più di una volta abbiamo parlato di lei, ogni volta che è stata catturata, ogni volta che c’ha raccontato le condizioni di suo padre,
condannato all’ergastolo, e di suo marito, detenuto nello stesso carcere.
Il Bahrain non interessa a nessuno.
E’ un paesello piccolo, ricchissimo, dalle donne nere e dagli schiavi asiatici; è un paese di cui non si sa pronunciare il nome,
e non si vuole impararlo.

Domani sarà una giornata importante per quel paese: l’anniversario della prima manifestazione a Manama, l’anniversario dell’inizio delle inaspettate mobilitazioni che stanno mutando per sempre il paese, la sua popolazione, le sue donne.
Purtroppo Zeinab al Khawaja, che trovate su twitter come @angryarabiya non potrà esserci; costretta in una cella, come buona parte dei suoi cari.
Noi terremo gli occhi aperti.
FREE BAHRAIN
FREE ANGRYARABIYA!

AH! Dimenticavo…ieri il re Hamad bin Isa al-Khalifa, dittatore sanguinario del Bahrain, in un’intervista allo Spiegel Online fa un appello ad Assad. Gli dice, pensate voi la faccia come il culo, di prendere in considerazione le richieste del suo popolo.
Un torturatore, che chiede al capo dei macellai di esser clemente: se non ci fossero fiumi di sangue sarebbe una barzelletta.
In questo video, Zeinab…

Evviva i pompieri! Chapeau!

12 febbraio 2012 7 commenti

Che fate?
Ci innalzate l’età della pensione dai 58 ai 67 anni?
E dici che sulle scale antincendio con la pompa in mano ce la facciamo a 67 anni?
BHO!
Intanto ce la facciamo a sommergervi con l’acqua !
Ora ce la facciamo eccome!
RISPETTO INFINITO PER I POMPIERI DEL BELGIO CHE IERI HANNO ATTACCATO LA POLIZIA PER DIFENDERE I LORO DIRITTI, LE LORO PENSIONI, IL LORO FUTURO!
La crisi se la pagassero da soli: non un passo indietro, stretti stretti, passo passo verso la distruzione del capitalismo!

La polizia belga spazzata via dagli idranti!

Potrei guardarle ore queste immagini! 😉

La temperatura media ieri era di -9° ! Daje!

Egitto: J25 e le mobilitazioni di solidarietà dall’Italia

24 gennaio 2012 2 commenti

A quest’ora, lo scorso anno, anche e soprattutto coloro che sapevano di scendere in piazza il giorno dopo,
al Cairo, non avrebbero mai pensato che non sarebbero più tornati a casa.
Io pochi giorni dopo mi son precipitata in quell’immensa piazza Tahrir, ed erano ancora tutti là, dopo più di dieci giorni.
Tutti al Cairo, tutti a Mahalla al-kubra, tutti a Bur Said … nei luoghi dell’Egitto in rivolta che m’hanno accolto,
la sola cosa che risuonava immensa ed unanime era IRHAL (vattene) e A CASA NON TORNIAMO, FINCHE’ TUTTO NON SARA’ CAMBIATO.
A casa poi sono inevitabilmente tornati, e non tutto era cambiato, anzi, pochissimo.

L’affidare nelle mani di un esercito colluso e braccio armato del regime da quarant’anni non è stato certo il gesto più lungimirante,
ed è per questo che domani sarà solo una data, una tappa importante per ricominciare dagli stessi marciapiedi che non si pensava mai di calpestare così in tanti, diversi, tutti insieme.
E domani quella piazza sarà di nuovo piena, e non sarà solo lì a festeggiare il suo nuovo presidente… anzi.
La piazza probabilmente lì rimarrà, finchè l’esercito non tenterà per l’ennesima volta di spazzarla via.

Ed io sono con loro: con gli egiziani che sanno di essere solo all’inizio, con gli egiziani più orgogliosi e incazzati dello scorso anno,
e più belli, perchè son stati 365 giorni di consapevolezza, di scioperi, di crescita, di collettivizzazione, di lotta…

Anche Roma e il resto dell’Italia avranno diverse piazze organizzate per portare una rumorosa solidarietà al popolo egiziano,
non contento del suo primo pezzo di rivoluzione, non soddisfatto.
A Roma, dalle ore 17, un presidio sarà presente a Piramide, di cui potete leggere QUI il volantino.
Mentre domani mattina su Radio 3 potrete ascoltare direttamente le voci di Piazza Tahrir, registrate negli ultimi mesi e soprattutto nelle mobilitazioni di novembre, represse nel sangue dal Consiglio Supremo delle Forze Armate che domani gestirà l’organizzazione dei festeggiamenti serali. “I volti di tahrir” è un lavoro eccellente di Marco Pasquini, che vi consiglio di ascoltare, che trasmette la rabbia di chi aveva creduto di avercela fatta,  la rabbia di chi non si aspettava di nuovo carcere e tortura,
di chi pensava di aver smesso di seppellire i propri compagni uccisi dal piombo di stato.

Venerdì pomeriggio invece ci si incontra alla SNIA per questa splendida iniziativa:
UN ANNO DI RIVOLTE NEL MONDO ARABO: LE PIAZZE, I MOVIMENTI, LA STORIA.

Gennaio 2011: milioni di persone si mettono in movimento, scioperano, occupano le strade, tengono la piazza. Cade Ben Ali. Cade Mubarak. Il Mediterraneo si accende.

La gioia delle popolazioni arabe per le enormi prospettive di cambiamento e liberazione dall’oppressione dopo pochi mesi viene strozzata. Mentre si concludono processi elettorali che vogliono comunicare al mondo che ora c’è la democrazia, il controllo asfissiante e la dura repressione non cessano. Intanto le bombe della NATO hanno chiarito che l’Occidente non è intenzionato a cedere di un passo nella tutela dei sui interessi economici.

Come e chi ha seminato il germe della protesta generalizzata? Come e chi ha tentato e tenta ancora di bloccare il processo di emancipazione esploso solo pochi mesi fa? Chi è ancora sulle barricate e chi vuole tornare in piazza?

Venerdì 27 gennaio presso il CSOA eXSnia apriamo un ciclo di incontri partendo dall’Egitto.
Proiezioni, riflessioni e testimonianze dei protagonisti delle lotte, con collegamenti da Il Cairo, la piazza Tahrir che per l’anniversario del 25 gennaio ricorda i suoi “martiri” e rilancia la sfida alle forze contro-rivoluzionarie.
Dal vivo le rime del rapper egiziano MC DEEB, in tour in Europa, una delle voci della rivolta egiziana.

PROGRAMMA

Ore 18:00 – dibattito

introduzione e moderazione: Africheinmovimento (RadiOndarossa)
Il ruolo del movimento operaio in Egitto con Ilaria Lolini
Voci dal campo con Marco Pasquini dal Cairo e alcuni protagonisti del conflitto
La rivolta…Le rivolte. Il mondo arabo in movimento con Wasim Dahmash

Dalle 20:30 Cena araba
Ore 21:00 proiezione del film “Tahrir – Liberation square” di Stefano Savona, 2011 – 90′
Cairo, febbraio 2011. Tahrir è un film scritto con i volti, con le mani, con le voci di chi stava in piazza. La prima cronaca in tempo reale della rivoluzione, a fianco dei suoi protagonisti.

22:00 Arabic Hip Hop live (sot. 3 €)
da Il Cairo per la prima volta in Italia
MC DEEB
presenta Cairofornia EP

QUI il resto del materiale sull’Egitto pubblicato e prodotto da questo blog.

Solidarietà a chi è privato della libertà: presidio a Regina Coeli

23 gennaio 2012 1 commento

A tre mesi di distanza dalla giornata del 15 Ottobre, c’è ancora chi continua a scontare la repressione degli apparati giudiziari dello Stato.

Foto di Valentina Perniciaro _sbarre e privazione di libertà_

6 ragazzi, di cui 5 minorenni, sono denunciati a piede libero, in 9 si trovano agli arresti domiciliari, due ragazze hanno gli obblighi di firma, mentre Giovanni, condannato a 3 anni e 4 mesi, resta ancora rinchiuso in carcere.
Nonostante l’accanimento giudiziario nei confronti delle persone arrestate e la gogna mediatica montata ad arte su quella giornata, chi crede sia indispensabile ribellarsi allo stato di cose attuali ha espresso tenaciemente la propria solidarietà: le iniziative a supporto delle spese legali e a sostegno di chi è recluso, i presidi e i saluti dinanzi ai carceri di regina coeli e rebibbia, la presenza nelle infami aule dei tribunali durante i processi sono i gesti che disegnano il volto comune di tutti/e coloro che quotidianamente vogliono rompere le mura dell’indifferenza.

Per continuare a tenere viva la solidarietà nei confronti dei denunciati della giornata del 15 ottobre e per non lasciare solo o sola chi continua ad essere rinchiuso dentro una cella maledetta,
lanciamo un appuntamento per sabato 28 Gennaio, alle ore 13, durante l’ora d’aria dei detenuti del carcere di Regina Coeli, al faro della Passeggiata del Gianicolo.
Microfono aperto e casse puntate verso Regina Coeli, per farci sentire da Giovanni e da tutti coloro che che sono privati della loro libertà.

Affinchè le persone non finiscano dove comincia il carcere, la solidarietà è un’arma.

Libertà per tutti/e

Egitto: ad un anno dalla rivoluzione, anche Roma scende in piazza

20 gennaio 2012 2 commenti

Mercoledì sarà una giornata importante per la popolazione egiziana, quella residente nella terra bagnata dal Nilo, come quella migrata nel mondo, e qui.
Una giornata simbolica, di una lotta che considero appena iniziata… la transizione data  nelle mani dell’esercito che per 40 anni è stato servo e braccio armato del regime di Mubarak non ha minimamente garantito anche solo un punto dei tanti messi in piazza dai milioni di egiziani che son riusciti a far cadere Hosni Mubarak, il faraone.

Egitto,Il Cairo ... Mohammed Mahmoud, 25 novembre 2011

Il faraone è caduto, ma dietro di lui non s’è dissolta l’enorme piramide economica e militare da lui gestita…e la repressione non è tardata ad arrivare, a colpire chi di quelle piazze non s’è ovviamente accontentato,
chi di quei movimenti vuole portare la rivoluzione in ogni dove, in ogni luogo di lavoro, in ogni campo di cotone, in ogni caserma,
nella liberazione di tutti i prigionieri, nell’appropriazione totale della propria libertà.
Questo blog è stato sempre schierato da una sola parte nella rivolta egiziana, è stato nelle piazze colpite dalla repressione di novembre, è stato nei tribunali militari dove vengon continuamente processati e condannati gli esponenti e gli attivisti di tutte le componenti “in rivoluzione” di quella che ha preso il nome di “piazza tahrir”.
E così anche a Roma si scenderà in piazza per portare piena solidarietà a chi non ha smesso di credere nella rivoluzione egiziana,
a chi ogni giorno si confronta con la repressione dello SCAF,
a chi vuol portare la rivoluzione in ogni strato della sua vita, del suo lavoro, delle sue relazioni.
CON L’EGITTO RIVOLUZIONARIO,
CONTRO IL CONSIGLIO SUPREMO DELLE FORZE ARMATE E CHI LO SOSTIENE:
qui sotto il comunicato della piazza romana.

MERCOLEDI 25 GENNAIO 2012
ORE 17:00 SIT-IN
DI FRONTE ALLA PIRAMIDE
(piazzale OSTIENSE – metro B Piramide)

  Con la partecipazione di DEEB, rapper egiziano che con il suo Hip hop ha scandito i giorni della rivolta

UN ANNO DI RIVOLTA
LA LOTTA DELLA POPOLAZIONE EGIZIANA CONTINUA

UN ANNO FA, centinaia di migliaia di donne e uomini sono scesi per le strade d’Egitto per chiedere la fine di un regime dittatoriale. Seguendo l’esempio di migliaia di lavoratori e lavoratrici egiziani, che da più di un decennio hanno attivato percorsi di lotta a rischio anche della loro vita, L’INTERA POPOLAZIONE EGIZIANA HA COMINCIATO UN PERCORSO DI LIBERAZIONE  che non si è fermato dopo la cacciata di  Mubarak.

LA PIAZZA HA CACCIATO MUBARAK. MA IL PROCESSO RIVOLUZIONARIO NON SI ARRESTA.
LA PIAZZA CONTINUA OGGI A LOTTARE CONTRO CHI HA PRESO IL SUO POSTO!

Una piazza che sta cercando in tutti i modi di esprimere la propria opposizione ad una transizione democratica fittizia, ad un regime militare che si dice “garante della rivoluzione” e che allo stesso tempo massacra i manifestanti per le strade, li tortura nelle carceri, per mantenere il potere e i propri privilegi, soffocando ogni richiesta di giustizia sociale.

RACCOGLIAMO QUINDI L’APPELLO INTERNAZIONALE LANCIATO DALL’EGITTO PER UN 25 GENNAIO DI LOTTA  contro il Consiglio militare, contro le false celebrazioni che questo sta  organizzando per  nascondere le proprie colpe e contro il silenzio di quei  partiti politici  che si sono allontanati dalle piazze per avere un posto in Parlamento.

RIFIUTIAMO LA CONNIVENZA DELLE POTENZE OCCIDENTALI, SU TUTTE QUELLA DEL GOVERNO ITALIANO,  che continua a sostenere il massacro della popolazione in lotta attraverso la vendita di armi alle forze militari egiziane.

CONDANNIAMO GLI ACCORDI BILATERALI STIPULATI DALL’ITALIA CON TUTTI I REGIMI ARABI PER L’ESPULSIONE  DAL TERRITORIO EUROPEO DI IMMIGRATI che, ricattati e sfruttati, sono considerati solo merce di scambio in funzione di vergognosi  accordi commerciali. Non è possibile definire eroiche le lotte delle popolazioni in Nord Africa e poi considerare  le stesse persone “criminali e clandestini”quando attraversano il mediterraneo rimettendo nuovamente in gioco la propria vita. Non saranno governi o leader a fare accordi sulle nostre teste perchè vogliamo che il confronto tra popolazioni in lotta sia il motore del mondo che desideriamo.

per adesioni: tahrir@inventati.org
Solidali con tutte le popolazioni in lotta!

Per costruire una manifestazione nazionale in solidarietà agli egiziani in lotta

10 gennaio 2012 1 commento

Al fianco della popolazione egiziana in lotta: verso il 25 gennaio!

Foto di Valentina Perniciaro ...Il Cairo ... quando anche il Nilo chiama alla rivolta

Ad un anno dall’inizio delle rivolte della popolazione contro il sistema militare dittatoriale, in Egitto la rivoluzione continua.
Mubarak è stato cacciato da un movimento composto dalle categorie sociali oppresse che ha dato vita ad un moto di trasformazione reale del paese.
Ma questo processo di liberazione è ancora sotto attacco: le violenze sui manifestanti continuano, giorno e notte, per mano della giunta militare al potere, nonostante questo, le piazze continuano a lottare ed autodifendersi.

Attivisti, lavoratori, studenti, blogger, uomini, donne e bambini hanno risposto a testa alta alla repressione premeditata e mirata.
Anche la tenacia e la rabbia di migliaia di donne fanno parte della risposta al dominio militare che pensava di poter ricattare l’intera popolazione imprigionando più di 12.000 persone e usando violenza mirata nei confronti di donne e bambini.

Dall’Egitto un appello internazionale, raccolto già da alcune città italiane, chiama a mobilitarsi in tutto il mondo al fianco della popolazione che continua la lotta.
Il 25 gennaio le piazze egiziane torneranno a riempirsi, non per una celebrazione nazionale ma per cacciare la dittatura dello SCAF.

Per costruire insieme un 25 gennaio di mobilitazione anche a Roma incontriamoci in un’assemblea cittadina domenica 15 gennaio, alle ore 17.00, all’occupazione del Porto Fluviale, in via del Porto Fluviale 12 [Metro Piramide, Linea B]

 

QUESTO VIDEO RACCONTA LE VIOLENZE DELLO SCAF, POST CADUTA DI MUBARAK!

Grecia: capodanno davanti al carcere di Koridallos

3 gennaio 2012 1 commento


Concentramento di solidarietà fuori le prigioni di Koridallos 31 Dicembre 2011,
dalle ore 23.00 presso il parchetto di via Grigoriou Lambraki

Le nostre voci non smetteranno di crescere e passare attraverso le mura e le sbarre delle prigioni,
per essere uniti attraverso le voci con coloro che si trovano negli inferni dello Stato
e combattere per la dignità e la libertà.

I disoccupati nel frattempo si organizzano con espropri: QUI la traduzione di un volantino
Qui potete vedere un documentario sulle rivolte greche, a partire dalla morte di Alexis : GUARDA

Bahrain: a pestaggi, ergastoli e lacrimogeni, si aggiungono gli stupri

3 gennaio 2012 4 commenti

un ferito da un lacrimogeno al volto, poco prima di mezzogiorno oggi...per chiedere il rilascio di Hassan

Che giornate in Bahrain, dove da mesi si lotta per un po’ di libertà contro uno stato ed una repressione che ha pochi simili al mondo in violenza…il primo giorno dell’anno l’ennesimo funerale di un manifestante di 15 anni è stato scenario dell’ennesimo brutale attacco delle forze di sicurezza, con lacrimogeni, pallottole di gomma, e tante, tante bastonate.

Ogni tanto abbiamo parlato di quella piccola striscia di terra tra i mari,
abbiamo parlato di ergastoli e sentenze a morte nei confronti di numerosi attivisti per i diritti umani, abbiamo raccontato di come i medici sono stati arrestati…spesso tutto quel che son riuscita a raccontare veniva dalla testimonianza preziosissima e quotidiana di @angryarabiya,
giovane militante che ha conosciuto bene la repressione sulla sua pelle (l’ultimo suo arresto è di un mese fa) e su quella dei suoi cari: ergastolo al padre, una pesante condanna al marito.

Ieri si è parlato di revisione dei processi nei confronti degli attivisti, anche di quelli che son stati sentenziati a morte, o al carcere a vita: poi in realtà questa mattina in aula stanno cercando di accusare anche gli ergastolani di altre cose, precedenti ai fatti della condanna.
ieri, stessa giornata in cui alcuni villaggi soprattutto ad Al-Aker e Sitra, sono stati colpiti dalle cariche della polizia, dalle bastonature e dal fitto lancio di quegli strani lacrimogeni privi di etichetta che stanno intossicando il paese.
Strani mostri neri, senza nome nè composizione, sparati come fossero acqua su chiunque prova a manifestare.

E’ di pochi minuti fa la drammatica notizia dell’ennesimo arresto di Hassan Awns, che malgrado la sua età ha già conosciuto le prigioni del suo paese approfonditamente, tanto che questo è il suo quarto arresto.

Hassan Awns, 18 anni, stuprato e torturato... è stato riarrestato oggi

Hassan ha raccontato poco tempo fa quale tipo di tortura è stata compiuta sul suo corpo: è stato ripetutamente stuprato, oltre che pestato, e dal giorno del suo rilascio non ha mai avuto pace, con continue minacce e messaggi che lo stupro sistematico sarebbe ricominciato presto.
Ha riconosciuto nell’ufficiale  Yousif Al- Mulla Bkheet il suo aguzzino e stupratore, ed è probabilmente colui che lo tiene detenuto in questo momento
Tanto che dopo il suo arresto di questa mattina sul suo posto di lavoro, un centinaio di persone sono immediatamente corse a chiederne il rilascio davanti alla stazione di polizia dove è detenuto in questo momento, e dove ci son scontri da un’ora.
Hassan ha 18 anni, vive a Samaheej , Bahrain…un paese che interessa a pochi.

FREE BAHRAIN!
FREE BAHRAIN!
FREE BAHRAIN!

Alaa è libero! Ora tutti gli altri e poi l’Egitto

25 dicembre 2011 2 commenti

Alaa è libero…sono ore che voglio aggiornare questa pagina ma non era mica facile, nell’orgia di questo natale squattrinato …

L'aereoporto del Cairo, ora

Alaa Abd El Fattah è finalmente uscito dal carcere militare dove era rinchiuso da più di otto settimane con accuse deliranti riguardanti la notte di scontri al Maspero, in cui lo SCAF sparò e uccise decine di persone, riaprendo definitivamente il percorso rivoluzionario che sembrava sospeso in attesa dell’apertura delle urne elettorali.
Alaa ha un percorso politico che non nasce il 25 gennaio con la rivoluzione, ma vien da molto lontano…
è diventato papà durante la detenzione, con un bambino dolcissimo, partorito da una donna di una forza rara e meravigliosa.
Quindi è impossibile aggiungere parole: solo un grande augurio per Alaa, Manal e il piccolo Khaled,
che finalmente potrà sentire la barba del suo papà sulla sua pelle, e imparare da lui il sorriso.

Ora, vogliamo tutti gli altri liberi,

a partire da Maikel Nabil: TUTTI LIBERI! EGITTO LIBERO!
NO ALLO SCAF, NO ALL’ESERCITO EGIZIANO!

In questo momento invece centinaia di persone sono fuori l’aereoporto del Cairo, in attesa del loro Ahmed Harara, di ritorno da uno dei primi viaggi per capire se potrà far qualcosa per i suoi occhi, persi a distanza di nove mesi l’uno dall’altro, per mano dei cecchini dell’esercito israeliano.
In centinaia ad aspettarlo, urlando l’abbattimento della giunta militare!
Con voi!

Ecco Alaa e il suo Khaled!

Alaa scrive alla sua compagna e a suo figlio appena nato: da una cella

15 dicembre 2011 5 commenti

Questa lettera è stata scritta in una cella,
luogo capace di creare delle lettere d’amore uniche, piene di carne, di baci, di tatto, di strazio: le lettere d’amore da o per il carcere, sono la cosa che più lacera il mio cuore, son quello che ha cambiato la mia vita…
Quando conosci quella sensazione di privazione forzata non te ne liberi più, perché hai scoperto che la carta è carne, che lo diventa facilmente…immagino quante lacrime siano scese sul volto di Manal quando ha letto queste righe, immagino il modo in cui ha stretto suo figlio, in cui ha tenuto le sue manine nella sua, apparentemente enorme.
E allora il mio pensiero va a loro due, ad una madre privata della gioia di dividere l’emozione più bella con l’uomo che ama,
ad un padre…che non ha ancora sentito l’odore della pelle di suo figlio.
NO AI TRIBUNALI MILITARI
NO AL CONSIGLIO SUPREMO DELLE FORZE ARMATE
EGITTO LIBERO, ALAA LIBERO!

Om Khaled,

Mia partner, mia amica, mia metà, mio amore, madre dei miei figli, mio supporto in vita. MI MANCHI, TI AMO.

L’unica ragione per cui tollero di stare separato da te viene dal tuo supporto.
Ho le fotografie, sono confuso in merito a ciò che provo ora ma anche felice. Non è corretto che io non possa stare con te per confortarti, non è giusto che io debba aspettare te per stare bene e che sia tu a dover confortare me. E’ oltremodo scorretto che non posso tenere in braccio Khaled per ore come potei a suo tempo tenere in braccio innumerevoli neonati, dando amore e attenzioni a figli e figlie di amici e parenti. Ancora non posso fare lo stesso con mio figlio.

Vorrei sapere quanti anni potrà avere Khaled quando finalmente riuscirò ad uscire da qui, mi piacerebbe sapere.. cos’altro mi perderò? Le sue manine? La prima volta che stringerà le sue piccole dita? La prima volta in cui realizzi che i suoi occhi si stanno focalizzando su di te? O andrà ancora peggio ed io non potrò vedere il suo primo sorriso?

Che cosa si prova a tenerlo tra le braccia? Qual’è il suo odore? Com’è il suono del suo pianto?

Mio figlio, nostro figlio, il nostro piccolo Khaled.
Ho mostrato le fotografie a tutti nella cella, sono davvero felici per me ma come tutto per me in questa prigione, mi rende ancora più solo e mi fa sentire la solitudine.
Ho pensato molto alla nostra vita in Sud Africa al semplice piacere di stare insieme vivendo una vita semplice e piacevole, sempre continuando a fare un buon lavoro. Commentavamo spesso quanto la gioventù Egiziana aspiri solamente ad avere una casa ed una famiglia ed un lavoro per potersi sostentare. Succederà quando la popolazione avrà i suoi diritti, il giorno in cui potremo godere di poter essere una famiglia in Egitto con certezze per il futuro, felici nella nostra tranquillità e realizzati nei nostri lavori, sarà il giorno in cui la rivoluzione sarà finita.

Fino a quel momento per ottenere ciò dobbiamo restare uniti affrontando qualsiasi cosa la vita ci faccia capitare, sapendo che fin quando tutti saremo uniti, tutto sarà perfetto.
Mi manchi da morire, immagino che tu conosca questa sensazione, sono sopraffatto da quanto ciò è diventato scorretto e senza senso a questo punto, ma sò che siamo entrambi in buone mani, Khaled è protetto dall’amore incondizionato non solo dei suoi genitori ma di moltissime famiglie e centinaia di zie e zii, crescendo spero possa apprezzare tutto questo.

Alaa,
6-12-2011
cell 6/1 ward 4
Tora prison

Grecia: la società che riscopre il baratto, le ricette di guerra e gli espropri

7 dicembre 2011 2 commenti

Ieri erano 3 anni dall’omicidio di Alexis, che prima di incontrare il proiettile che l’ha ucciso era un 15enne in una serata tra amici, davanti ad un localetto del quartiere anarchico di Atene, Exarchia.
Da quel giorno nulla è stato più come prima: gli scontri e il livello di conflitto vissute nelle settimane immediatamente successive hanno decisamente cambiato il modo di stare in piazza della Grecia, prima che la grande crisi le spezzasse definitivamente le ossa.
Questo blog ha parlato tanto di Alexis, ha partecipato a quelle prime infuocate piazza, e non riesce certo a dimenticarlo.

Ora un paio di notizie dalla Grecia, per le quali ringrazio chi non smette di scovarle: da una Grecia che alza quotidianamente il livello di conflitto contro le misure di austerità prese dal governo, dal Fondo Monetario internazionale e dai mercati.
Un paese spezzato, spazzato via: un paese che però non si arrende, che sta imparando nuove pratiche ed alcune le sta solo rispolverando.
Un paese che se ha fame espropria supermercati … o che inventa nuove ricette come in questo caso…

Manuale dell’austerità

È l’ultimo manuale per stringere la cinghia: Non avete da mangiare? Mettete una melanzana nel tritatutto. Masticate il cibo abbastanza a lungo di modo che il vostro stomaco si senta pieno. E non dimenticate di spazzare via le briciole dal tavolo e conservarle in un vaso. Questi sono alcuni dei suggerimenti che i greci usavano per sopravvivere durante l’occupazione nella seconda guerra mondiale, e che sono stati raccolti in Ricette per la fame – un libro di cucina che è diventato un successo a sorpresa per milioni di greci che lottano per sbarcare il lunario in un nuovo periodo di profondo disagio causato dalla crisi economica. L’autrice, Eleni Nikolaidou, ha passato 18 mesi a copiare ricette e consigli che i quotidiani greci pubblicavano durante l’occupazione nazista dal 1941 al 1944.
Altri “consigli”: ferri di cavallo usati per rinforzare scarpe fatiscenti, sabbia cotta per conservare i limoni, e gatti e cani randagi cacciati nelle strade di Atene come cibo. Mancava lo zucchero, e veniva usata la polpa di uva passa come dolcificante, cosicché nei matrimoni venivano distribuiti confetti neri. Non  c’era caffè, sostituito da un intruglio di polvere di ceci.
Il libro è alla sua seconda edizione, e per quanto la situazione di guerra , che uccise per fame in Grecia 300.000 persone, non sia paragonabile a quella attuale, pure si moltiplicano sui giornali le ricette di cucina a poco prezzo, mentre preoccupanti segnali di miseria sono ormai indiscutibili. “La gente apre la dispensa e ci trova solo un misero sacchetto di farina chiedendosi: che ci faccio?” ha detto l’autrice. Molti bambini vanno a scuola senza aver mangiato a sufficienza, gli alimentari vendono meno, è precipitato il consumo di carne e la gente si orienta verso articoli a basso prezzo.

o il baratto:

E’ domenica a Volos, nel porto i pescatori espongono il loro pescato giornaliero, che oggi comprende merluzzo, sarde e polpo.
I prezzi sono stati ridotti, ma i clienti sono pochi.
Un pescatore ride amaramente. Gli affari vanno malissimo, è il momento di iniziare a scambiare merci.
“Dammi due chili di patate, e io ti do un chilo di pesce,” dice. “Perché no?
In effetti, molti in Grecia stanno facendo proprio questo: comincia una forma più semplice di commercio, il baratto.
E a Volos, il sistema del baratto serve anche a promuovere un nuovo senso di comunità.
In tempi recenti Volos, 100.000 abitanti, è stato uno dei centri più industrializzati della Grecia e ora la recessione ha colpito le sue fabbriche di cemento e acciaio, portando la disoccupazione al di sopra della media nazionale del 20%.
Ci si scambia anche servizi, non solo merci.
Ma gli abitanti, oltre a questo, usano una sorta di moneta locale alternativa, il TEM (equivalente ad un euro) che sotto forma di voucher viene accettata anche dai negozianti a pagamento parziale della merce (circa il 30%, e il resto in euro), e che poi gli stessi usano in altri esercizi.
Esiste anche un sito web dove le persone si iscrivono gratuitamente ad una rete di baratto,  in cui possono inserire annunci in cui  offrono e/o chiedono servizi come riparazioni, lezioni di inglese e  di computer, baby-sitting, visite mediche e altro: i membri scambiano beni e servizi accumulando TEM su un conto online..
Nell’ultimo anno, i membri del TEM a Volos sono cresciuti da poche decine a più di 500, e il movimento ha attirato l’attenzione di Atene. Nel mese di settembre, il parlamento ha approvato una legge che attribuisce alle reti di baratto lo status no-profit.
Il comune di Volos inoltre incoraggia attivamente la rete TEM. Il sindaco  ha detto che niziative come queste sono particolarmente importanti in un momento in cui la crisi economica smantella lo stato sociale..
Il Comune ha stampato volantini che spiegano il sistema del baratto e ha promosso dibattiti.
http://www.npr.org/2011/11/29/142908549/modern-greeks-return-to-ancient-system-of-barter

Arrestata e liberata @angryarabiya

26 novembre 2011 5 commenti

Zeinab al Khawaja è una donna straordinaria, che vive in Bahrain.
Un’attivista incredibile, istancabile, forsennata quasi nel suo non mollare mai, per la strada come in rete, nei tribunali come nelle carceri.
Si perché la storia di Zeinab, che conosciamo tutti grazie all’enorme e unico lavoro che fa in rete attraverso il suo twitter e il suo blog, è una delle più tristi di quel paese, il Bahrain, che sta massacrando la sua popolazione da mesi.
Da sempre: ogni volta che s’è provato ad alzare la testa per liberarsi del regime.
Il Bahrain però non molla, molla meno di molti altri paesi che in qualche modo hanno dovuto affrontare la primavera araba e il desiderio inarrestabile di farla fine con i regimi.
Zeinab ha suo padre in carcere, suo marito in carcere, suo zio in carcere: ma non la fermano lo stesso, anzi.
Se sappiamo qualcosa del Bahrain è grazie a questa donna, privata dei suoi affetti e di qualunque libertà, ma con un coraggio e una forza rara.

Oggi c’ha fatto decisamente prendere un colpo, durante l’ennesima manifestazione con scontri nella piazza delle Perle, a Manama, capitale del Bahrein: presa dalle forze di sicurezza, per un po’ non ha dato suo notizie, facendo mobilitare immediatamente migliaia dei suoi lettori.
Forse è stato questo il motivo, ma fortunatamente è tornata presto libera, almeno lei, di tornare a casa.
Bentornata alla libertà, cara @angryarabiya e non stare lì a scervellarti sul fatto che si più fortunata di altri, che il tuo nome risuona nel mondo e quindi non è facile impallinarti o darti il carcere a vita come è per gli altri: facciamo in modo che questo clamore abbracci anche tutti gli altri che lottano su quella rotonda, e per tutto il paese.
LIBERTA’ PER TUTTI I PRIGIONIERI DEL BAHRAIN
FREE BAHRAIN
QUI UN PO’ DI LINK DI QUESTO BLOG SUL BAHRAIN E LA SUA LOTTA PER LA LIBERTA’

Nel video le immagini di Zeinab, oggi

Ventiquattro anni, attivista in Bahrein, donna. Irriducibile.

di Annalena Di Giovanni

dal Bahrain

«Scendo in strada a protestare da quando avevo diciassette anni, ma il titolo di attivista di diritti umani me lo sono guadagnato soltanto l’anno scorso: finalmente la polizia mi ha picchiata. Qui, la gente è abituata che se sei un attivista devi aspettarti il manganello della polizia e finchè non ti capita, nessuno ti prende sul serio». Zeinab Al Khawaj, classe 1983, ha fatto il giro del mondo nelle foto che la ritraevano per le strade del Bahrein, munita di cartelli e megafono, a rivendicare i diritti della sua gente. Il padre, Abdelhadi al Khawaj, è tuttora sulla lista nera del governo al Khalifa, entrando ed uscendo dal carcere mentre la figlia si arrangia quotidianamente cercando di fare la giornalista in un paese in cui la stampa è cosa del re.

«Sono nata lontana dal Bahrein. Mio padre aveva studiava a Londra, poi ci siamo trasferiti in Danimarca. La pressione sulla mia famiglia era tale che mio zio venne arrestato per aver visto mio padre all’estero, e suo cugino sempliemente per avergli telefonato una volta. Sapevamo che rientrare nel paese sarebbe costato l’arresto a mio padre, e l’unica volta in cui ci ha provatoè stata quando è morto mio nonno; lo trattennero all’aereoporto per 14 gorni stracciandogli il passaporto ma non poterono arrestarlo e torturarlo perchè ormai era una figura troppo nota nelle associazioni per i diritti umani. Quel che faceva era semplicemente redigere rapporti per un’associazione di diritti umani su quanto accadeva in Bahrein. Negli anni novanta il notro paese era sottosopra, c’erano proteste e scontri con la polizia tutto il tempo. La gente del Bahrein, in genere, è molto sveglia dal punto di vista politico. E quando la gente conosce i propri diritti, difficilmente se ne sta zitta. Inoltre, al contrario degli altri paesi del Golfo – come gli Emirati arabi, dove i cittadini possono contare sul sostegno dello stato – , la povertà in Bahrein è altissima, e la minoranza sunnita governa una popolazione originaria sciita. E le ineguaglianze sono sotto gli occhi di tutti: ci sono i troppo ricchi e i troppo poveri, senza casa, senza lavoro e senza niente di cui sfamare la famiglia in una piccola isola che produce gas, petrolio e che è il centro mondiale delle banche islamiche. Anche adesso, quella del Bahrein rimane una dittatura. Ma è lontana dagli eccessi del precedente re Issa. Ai suoi tempi, la polizia semplicemente arrestava tutti, chiunque fosse in strada, compresi bambini di dieci o dodici anni. Le torture erano orrende: strappavano le unghie, usavano il ferro da stiro sui corpi, oppure li trapanavano. Alcuni torturatori erano personaggi molto noti, lo sono tuttora, sono sempre qui ed in genere fanno affari d’oro, ma per legge non li puoi processare o accusare di niente.»

«Non avevamo passaporto, nei paesi arabi eravamo sulla lista nera e il nostro solo documento d’identità era un pezzo di carta del governo danese, l’unico disposto ad accoglierci, che ci dichiarava profughi politici. Quindi sono cresciuta in Danimarca, ma sono venuta sù con la testa in Bahrein. Senza averlo mai visto. Frequentavamo soprattutto i profughi come noi, ci facevamo spedire le cassette della televisione del Bahrein, e a casa mia si poteva parlare solo arabo. E quando siamo arrivati qui per la prima volta,avevo diciotto anni. Per me è stato un ritorno a casa. Ho ritrovato una famiglia che non sapevo di avere: centinaia di cugini, zii, nonne. In Danimarca, non ero nessuno. Qui sono Zeinab alKhawaj, e so da dove viene la mia famiglia. Qui, so chi sono.

Qui sono diversa da tutti, perchè sono cresciuta in Europa. Ma infondo sono diversa da quando sono nata. Portare il velo, in Danimarca, mi aveva già resa diversa da tutti. Anzi, il trauma di tornare qui è stato proprio il ritrovarmi uguale a centinaia di altre ragazze! In Danimarca era difficile: piangevo tutte le notti dicendo che volevo tornare al mio paese. C’è un gran razzismo, la gente ti urla contro in strada a volte, non è cosa comoda essere musulmani e portare il velo da quelle parti. Devi essere forte, saperci passare sopra. Adesso che sono tornata qua, so che sono quella che sono anche perchè sono cresciuta là».

Il Golfo sta cambiando in fretta. Sotto una pioggia di milioni e cemento, la cultura araba lascia il posto ad un retaggio artefatto nel quale al Bahrein – una piccola isola forte di una cultura millenaria meticcia, pescatrice e sciita – si cerca di sovrapporre una storia inesistente, fatta di cammelli e gente del deserto. Qualcosa che la avicini a Dubai, insomma. «C’è grande eccitazione nel Golfo, senza che nessuno si fermi a chiedere chi pagherà il prezzo del cambiamento. In Bahrein la gente non si pone il problema perchè la lotta è quotidiana, ogni giorno qualcuno finisce in prigione sotto elettroshock e tortura, non hai tempo di chiederti come stia cambiando la regione. Potrei accettare quello che il Bahrein sta diventando se fosse ciò che la gente vuole. Ma sento che ci sono categorie non rappresentare. Il governo vuole far sembrare il paese qualcosa che non è. Come i villaggi, dove la gente povera è nascosta da una facciata di belle case per impressionre i turisti. Una maschera. Anche Dubai ha spazzato via la cultura che c’era. Se parli con la gente degli emirati, te lo confermeranno. Tutto nuovo, tutto grande, tutto straniero. Quando vado là, sento che non c’è alcuna cultura, puoi soltanto fare shopping. Voglio dire, anche New York è una città recente piena di nuovi grattacieli, ma ha una sua cultura no? Per questo preferisco il Bahrein, anche se il resto del mondo non sa dove sia e pensa soltanto a Dubai. Ma negli Emirati i cittadini non sono poveri, il governo li mantiene, quindi là non trovi la lotta sotterrnea che agita il Bahrein, diviso com’è fra una maggioranza sciita povera ed oppressa ed una minoranza sunnita che ha in mano il paese, il petrolio, che manipola la storia e cancella la nostra identità persino nei testi scolastici. Passiamo il tempo a chiederci se faremo la fine dei nativi americani! Uno dei problemi che abbiamo, ad esempio, è che non abbiamo più accesso al mare, perchè la speculazione edilizia ha venduto tutte le spiagge agli stranieri. Ma noi siamo isolani, abbiamo bisogno del mare! Se vivrei a Doha o Dubai? Questo è il mio paese, e sento di avere degli obblighi nei suoi confronti. Mio padre dice sempre “Più cose sai, più resonsabilità sulle tue spalle”. E io sento la responsabilità di dover cambiare il mio paese, anche se è talmente frustrante».

Se nel Golfo stiamo diventando più religiosi? Credo che sia un fenomeno locale, non soltanto ristretto alla questione sciiti-sunniti in Bahrein. è un discorso identitario: vuoi cercare di preservare quello che sei. Ovunque vai, in Bahrein, trovi un Pizza Hut o un Macdonald. Ogni cosa è americana, film compresi. A volte ti fermi e pensi: io non sono così, non provego da questo mondo. Credo che per questo molta gente ricorre alla religione. Perchè, almeno nel nostro caso, la cultura popolare si è formata intorno alla religione. una questione culturale. In più, c’è il fattore dell’islamfobia mediatica, il fatto che noi musulmani siamo ritenuti tutti terroristi. Più hai l’impressione che la gente abbia dei pregiudizi su ciò che sei o credi, più ti ci attacchi».

«Poi c’è la questione dei diritti delle donne. Non siamo abbastanza protette dalle istituzioni, eppure la gente è ossessionata soltanto dalla questione del velo e dell’abbigliamento perde di vista i veri problemi. Ad esempio, le corti religiose (che regitrano matrimoni e divorzi, nda) qui sono molto ingiuste. Ti chedono tante di quelle prove, se vuoi divorziare da tuo marito. Eppure il divorzio, nell’Islam, è un diritto, tantopiù se tuo marito ti maltratta. Invece qui senti un sacco di aneddoti su donne che vanno in corte, dopo essere state picchate diverse volte, magari con un braccio rotto, e si sentono dire: “torna a casa e risolvila con tuo marito”. Poi ci sono le donne divoriate, spesso emarginate o lasciate senza alimenti. Ma la gente perde di vista questi problemi e si concentra sul velo. Adesso c’è tutta questa moda di attivismo in stile: “Vogliono obbligarci a portare il velo, ha ragione l’Occidente!” il fatto è che qui la questione non è il velo. Il velo è soltanto un pezzo di stoffa in testa. Puoi metterlo o non metterlo, non è una questione di diritti civili. I problemi, per le donne, sono ben altri. Ma la stampa occidentale ha trasformato il velo in un simbolo di oppressione. Ed è andata a finire che un sacco di gente, ormai, quando sente le donne rivendicare diritti la boccia come propaganda occidentale anti-velo, e il discorso si chiude lì.»

Fermati alcuni compagni italiani a Tahrir, più alcune immagini

26 novembre 2011 1 commento

Comunicato di “Indipendenti” sui fermi dei compagni italiani al Cairo!

Il Cairo, Egitto, 26 novembre 2011

La scorsa notte, al termine di una nuova intensa giornata di mobilitazione di massa intorno a piazza Tahrir, 4 mediattivisti, tre italiani e una giovane blogger palestinese di Gaza, sono stati tratti in arresto dalla polizia egiziana e sono tuttora trattenuti con la grave e ingiustificata accusa di sabotaggio.
I quattro raccontano di essersi trovati nei pressi di un incendio che aveva colpito le piante all’ingresso di un noto albergo del centro e, mentre stavano documentando quanto accadeva con macchina fotografica e telecamera, sono stati avvicinati da due uomini in borghese e non identificati che inveivano in arabo contro di loro.

Nella situazione concitata hanno preso un taxi per farsi portare a casa ma la vettura con i 4 a bordo é stata poco dopo fermata dalle stesse persone che, ancora una volta senza qualificarsi, hanno imposto al conducente di condurli al commissariato dove li hanno appunto trattenuti con la fantasiosa accusa di essere i responsabili dell’incendio.
Da ieri sera sono dunque in stato di fermo e da qualche ora sono stati tolti loro i telefoni cellulari attraverso cui eravamo in contatto con loro.
Sicuri che al più presto la situazione si risolverà nel migliore dei modi, non possiamo fare a meno di segnalare la preoccupazione per il trattamento riservato in questi contesti a chi si mobilita per garantire quello scambio di informazioni attraverso la rete, i twitter e i blog che tanto hanno aiutato le popolazioni di tutto il mondo a liberarsi dai regimi e a rivendicare una società più giusta e libera.

Tutte e tutti Liberi!
Roma, 26 novembre 2011

Queste foto e queste brevi righe le rubo da InvisibleArabs, perché raccontano tanto,
raccontano quel che spero di poter viver presto, di respirare con i miei polmoni.

La vecchia via Mohmmed Mahmoud è stata ribattezzata da chi sta a Tahrir.

La ribattezzata VIA DEI MARTIRI

Cuore della battaglia che ha opposto i  ragazzi di Tahrir alle forze della Sicurezza centrale (la polizia egiziana), via Mohammed Mahmoud è stata ribattezzata shara Shuhada, via dei Martiri, come si legge nella foto scattata da uno dei blogger/attivisti più conosciuti, Wael Abbas. E’ un dettaglio, nella storia complicata di questo capitolo della rivoluzione egiziana, ma serve anche a ricordare che in gioco, in questi giorni, c’è stata la vita e la morte di molti ragazzi. Oltre quaranta le vittime, migliaia i feriti. Ignoto il numero di chi ha perso un occhio.

L’immagine di questo capitolo è quella che ritrae Ahmed Harara, il giovane dentista che ha perso un occhio il 28 gennaio, e l’altro il 19 novembre. Un occhio per ognuno dei capi di questo filo che congiunge le fiammate della thawra, della rivoluzione. Tanto è stata simbolo, la perdita della vista, che la benda su di un occhio è stata usata sia dagli attivisti (come Wael Ghonim, il manager di Google che era stato in predicato di vincere il Nobel per la Pace) sia da uno dei Leoni che immettono sul ponte di Qasr el Nil. Ponte che, nei 18 giorni epici tra gennaio e febbraio, è stato al centro degli scontri. Anche il Leone di Qasr el Nil ha ora la benda, come mostra la foto di un altro attivista, Mosa’aberizing.

Il leone bendato di Qasr al Nil

Tahrir e la marcia del milione contro lo SCAF … un po’ di immagini di questi giorni

25 novembre 2011 2 commenti

Al-meliuniya --- La chiamata alla marcia di un milione è per oggi, in piazza Tahrir

La piazza, che da una settimana porta avanti la più dura delle battaglie, contro quello stesso esercito di cui si son fidati una manciata di mesi fa

Quasi 40 i morti fino a questo momento, tra colpi di fucile e soffocamento da gas di cui non c'è ancora dato sapere la composizione, ma i cui effetti abbiamo visto tutt@

La sinistra, i salafiti, gli ultras, gli studenti, copti e molte organizzazioni hanno chiamato alla grande marcia per questa mattina. I Fratelli Musulmani, ormai completamente collusi nelle dinamiche pre-elettorali, boicottano la piazza...

Forza Egitto, oggi può essere una grande occasione, anche per rispondere alla nomina di Ganzouri di ieri sera, ennesima presa per il culo dello SCAF

CONTRO L'ESERCITO, CONTRO I TRIBUNALI MILITARI, CONTRO LA GRANDE PRESA PER IL CULO A CUI NON VOGLIONO ASSOLUTAMENTE STARE! W LA RIVOLUZIONE EGIZIANA, CHE NON SI LASCIA PRENDERE IN GIRO

Noi, giovani palestinesi, rifiutiamo che Al-Aqsa e la causa palestinese vengano utilizzate come strumento per colpire la grande rivoluzione egiziana.
L’Egitto è testimone di una nuova ondata rivoluzionaria condotta da coraggiosi/e giovani egiziani/e che rifiutano che lo SCAF dirotti la loro rivoluzione. Mentre i/le giovani stanno resistendo all’oppressione delle forze di sicurezza, i Fratelli Musulmani hanno chiamato ad una marcia milioni di persone in solidarietà con Gerusalemme.
Consideriamo questo appello come una deviazione rispetto tutti i movimenti e settori egiziani che hanno annunciato per domani, venerdì, un corteo enorme per far cadere il Generale Tantawi.
I Fratelli Musulmani hanno il diritto di prendere le loro decisioni nelle questioni interne all’Egitto. Ma rifiutiamo che i Fratelli Musulmani prendano la testa dei tiranni arabi che sistematicamente usano la causa palestinese come strumento per praticare la loro oprressione.
La libertà di Al-Aqsa e della Palestina non arriverà passando sopra la dignità delle popolazioni arabe.
Siamo solidali con gli eroi di Piazza Tahrir e di tutte le città dell’Egitto.
La Palestina è più forte con un Egitto libero.

Versione araba/inglese

Tahrir si prepara al grande venerdì: oggi è stata un’altra lunga giornata

24 novembre 2011 1 commento

Dispiegatevi in marcia!
Non c’è posto per cavilli di parole.
Oratori, silenzio!
(Vladimir Majakovsij)

Sarà Kamal Ganzouri l’incaricato a formare il nuovo governo egiziano, su richiesta del Consiglio Supremo delle Forze armate del paese, che negli ultimi 6 giorni è stato responsabile della morte di 38 persone e 2256 feriti.
Oggi è stata una giornata relativamente più calma di quelle precedenti: tutto si muove intorno all’organizzazione della piazza di domani, forse il più importante venerdì da quando è iniziata l’avventura di Tahrir, cioè l’esplosione del desiderio di abbattere il regime, che ha coinvolto ogni provincia e villaggio del paese.
Il regime è solidissimo al suo posto, malgrado Mubarak e figli siano in attesa di giudizio in stato di detenzione; la transizione garantita dall’esercito s’è trasformata nel solito carnevale di repressione, tortura, tribunali e carceri militari per centinaia di attivisti.
E per attivisti non intendo i blogger, gli intellettuali, o chi cellulare alla mano guida le rivolte, come sento dire spesso anche dalla compagneria italiana: vuol dire anche occupanti di casa, lavoratori che scioperano, e tanto altro.

Domani sarà una grande giornata, una giornata che riempie di speranza almeno quelli come me che hanno sempre desiderato veder la rivolta egiziana trasformarsi in vera e propria rivoluzione: domani sarà una giornata che rideterminerà le presenze in questa battaglia e probabilmente sancirà nuovi nemici, nuove spaccature, nuove alleanze strategiche.
La piazza è stracolma di compagni, appartenenti alla sinistra più radicale e non…e di salafiti.
Son pochi i copti, molti meno di quelli che c’erano nei 18 giorni di Tahrir (tra gennaio e febbraio), molti meno di quelli che hanno riempito le mobilitazioni in questi mesi, fino al massacro del Maspero. Sarà dovuto a quello?

Arrestato, picchiato e torturato: sono a caccia di "giornalisti rivoluzionari"

Oppure, come la fratellanza, giocano un gioco che non vuole più svolgersi in piazza, sull’asfalto, tra i sassi e il gas tossico,
tra i blindati che sfrecciano e le pallottole di gomma sparate da tre metri in piena faccia…
oggi gli Ikhwan (proprio poco fa) si son schierati su Mohamed Mahmoud per cercare di evitare, con metodologie via via più arroganti e violente, che la gente affluisse verso la prima linea delle barricate e degli scontri: cercano di limitare la partecipazione…
chissà cosa faranno domani.
domani sarà una giornata lunghissima: che speriamo porti a compiere l’ennesimo balzo in avanti.
Che speriamo porti alla consapevolezza di quanto sia necessaria un’organizzazione capillare ora: per far cadere meno persone possibile sul selciato, per conquistare legittimità sasso dopo sasso, per gettar le basi vere di un nuovo Egitto.
Che rifiuta il regime e tutti quelli che tentano di mascherarlo.
Kamal Ganzouri era un uomo di Mubarak, un primo ministro di Mubarak, un suo servo.
Ora è stato nominato alla guida del nuovo governo: l’ennesima presa per il culo, utile solo a convincere definitivamente gli egiziani a non tornare a casa, finchè non si sarà costruito, tenendolo stretto in mano, il futuro.
La possibilità di autodeterminarsi.

La giornata di oggi è stata caratterizzata anche dall’attacco ai giornalisti: la storia che più ha fatto scalpore è accaduta alla nota giornalista Mona Eltahawy, con doppio passaporto (usa-egitto).
Il suo arresto è durato fortunatamente solo 12 ore, all’interno della sede del ministero degli Interni, molte delle quali bendata: quel che più schifa son le metodologie usate nei suoi confronti, tutte a sfondo sessuale.
“In 5 o 6 mi son saltati addosso, mi hanno stretto il seno e afferrato con violenza la zona genitale. Non so quante mani hanno tentato di infilarsi all’interno dei miei pantaloni!” Dopo poco è stata rilasciata con tante scuse e le braccia spezzate: il suo passaporto con stelle e strisce le ha salvato la vita. A lei, non a tutte le altre che combattono in quella piazza e nel resto del paese.

Comunicato sulla condanna a Giovanni Caputi: COLPIRNE UNO PER RI-EDUCARNE MIGLIAIA

19 novembre 2011 17 commenti

Colpirne uno per…ri-educarne migliaia
E’ arrivata la prima condanna per le\gli arrestate\i del 15 ottobre. Una condanna pesante che ci sembra essere, ancora una volta, la vendetta della Legge nei confronti di chi ha poco o niente per difendersi.
Sembra che abbiano deciso di far pagare tutto a lui.
Dopo tutto l’insopportabile marasma mediatico creatosi subito dopo gli scontri del 15 ottobre, la repressione continua a colpire, sempre più seriamente.

Foto di Valentina Perniciaro, Genova 2002, TUTTI LIBERI

Giovanni Caputi, l’unico che era ancora in stato di detenzione, dentro Regina Coeli, proprio perché senza alcuna dimora, è stato condannato con il rito abbreviato dal Tribunale di Roma a tre anni e 4 mesi di detenzione per resistenza pluriaggravata a pubblico ufficiale.
Ma la procura fa già sapere che forse non basta e, ora che ha ottenuto la trasmissione degli atti dal tribunale, vuole indagare anche per il reato di devastazione.
Vogliamo continuare a sostenere chi si è trovato prima colpito da accuse pesanti e poi da una condanna che trasforma una persona nel capro espiatorio delle migliaia che c’erano in piazza.
Ora che il governo dei banchieri si è insediato, crediamo che sia ancora più importante sottolineare contro chi continueremo a scagliare la nostra rabbia: i padroni, le banche, la classe politica tutta. Tutti pronti ad abbracciare il commissariamento de facto delle istituzioni europee, per un modello economico giunto al capolinea.
Noi, però, abbiamo un’arma che loro non hanno.
Quella solidarietà che si mette in moto quando sentiamo che uno spirito affine è in difficoltà. E allora il nostro impegno deve essere quello di far sentire a Giovanni tutta la nostra solidarietà.
Lanciamo un appello alla Roma solidale, se ancora esiste: cerchiamo collettivamente un domicilio per Giovanni, affinché almeno possa uscire da quell’infame luogo che è Regina Coeli, seppur in regime di arresti domiciliari.
Raccogliamo dei soldi, affinché possa fare un minimo di spesa.
Mandiamogli dei vestiti, al contrario di quello che credono i buoni cittadini, in carcere fa molto freddo.
Regaliamogli dei libri, senza di loro dentro il tempo può sembrare infinito.
Scriviamogli lettere, per far sentire a Giovanni che fuori ci sono delle persone che lottano anche per lui.
Facciamogli sentire la nostra voce fuori dal carcere di Regina Coeli, e facciamola risuonare nelle strade.
Partecipiamo in massa il prossimo 5 dicembre all’udienza del processo contro Ilaria, Robert, Stefano.

 Continuiamo a sottoscrivere per le spese legali presso il c\c di Radio Onda Rossa: conto corrente postale CCP n. 61804001 intestato a: Cooperativa Culturale Laboratorio 2001, Via dei Volsci 56 – 00185 Roma. Causale: “15 ottobre”; effettuando un bonifico bancario intestato a: Cooperativa Culturale Laboratorio 2001 Codice IBAN: IT15 D076 0103 2000 0006 1804 001 Causale: “15 ottobre”.

Se il silenzio è il primo sintomo della loro vittoria, noi continueremo sempre a gridare.
 Le nostre lotte camminano con Giovanni e per Giovanni.
 Libere/i tutte/i

 I compagni e le compagne

Occupy Wall Street invita Roberto Saviano: eccovi una traduzione di ciò che pensa del movimento italiano. A translation for US activists!

18 novembre 2011 1 commento

Questo è un appello pubblico al popolo di attivisti che riempie le piazze di Occupy Wall Street.
Un appello affinchè si rendano conto di quanto poco intelligente è stato il loro invito a Roberto Saviano: ma d’altronde non lo capiscono in Italia con facilità, quindi son completamente scagionati.
Mi sento in dovere però di comunicare con loro CHI E’ Roberto Saviano…o almeno, chi è nei confronti del movimento studentesco, quali sono state le parole da lui usate a commento della manifestazione del 15 dicembre, dove migliaia di persone si scontrarono con la polizia per tentare di arrivare fino a Montecitorio.

Lacrimogeni e blindati in Piazza San Giovanni _foto Valentina Perniciaro_

Lui, che considera Maroni il miglior ministro dell’Interno della storia di Italia…
E’ probabilmente molto poco per capire chi è Saviano, ma può bastare.
Ma va con la scorta a Zuccotti Park?

mi dicono che questa traduzione è agghiacciante…
è la sola che per ora ho trovato in rete e stando a lavoro non ho avuto nemmeno modo di leggerla…
cerco altro appena scappo da qui.

SO, some people told me that this pages is google-translated, so maybe it’s impossible for you to understand it! Sorry, I’ll try to put the correct one as soon as possible
I give you this link, in english, about it READ IT! HERE YOU CAN FIND AN URGENT APPEAL FOR YOU!!!

Dai Cobas un comunicato condivisibile sul 15 ottobre, finalmente

15 novembre 2011 10 commenti

ATTORNO E DOPO IL 15
Per una critica di merito e di metodo

SUL DISSENSO

Partiamo dagli esiti: delle rare, quanto preziose, critiche ufficialmente espresse e fin qui giunteci dall’ interno della Confederazione Cobas sui fatti del 15 che ci riguardano, e su ciò che ne è seguito, non sembrano, ad ora, potersi rintracciare effetti visibili, udibili all’esterno.

Barricate in Via Merulana, 15 ottobre 2011

Delle due l’una: o davvero l’atteggiamento, tutto intero, avuto in quella giornata, e ciò che ne è seguito in termini di comunicati e interviste, sono condivisi dal corpo dei Cobas, o, se dissenso c’è, le difficoltà a farlo emergere sono tali da dover mettere in discussione la verticalità assunta da questa organizzazione.
Quale che sia il caso tra i due, noi, preferendo mantenere una concezione organizzativa orizzontale e libertaria, lontana dall’idea di ‘partito’ che emerge perfino dalle pettorine da alcuni indossate nell’occasione, scegliamo di dire la nostra, e deliberatamente lo facciamo in modo pubblico.

SULLA DELAZIONE

“La Repubblica” ha messo a disposizione di zelanti cittadini il proprio sito, a che si possano rintracciare e punire i “teppisti” del 15 ottobre. Fin qui nulla di nuovo.

Osservare però che, da parte delle “pettorine Cobas”, a calci e pugni qualcuno dei “teppisti” sia stato fatto allontanare dal corteo, a rischio di farlo cadere in mano alle “forze dell’ordine”; o che dal microfono uscissero richieste quali “La polizia ci dica dove dobbiamo andare!” (taluno cui ci sforziamo di non credere, ci ha riferito perfino un “Arrestateli!”); e riscontrare successivamente che in tutte le dichiarazioni provenienti dall’ “ufficialità” della Confederazione i suddetti “teppisti” fossero indicati come “sfasciacarrozze, sfasciavetrine, sfascioni”, senza neppure sfiorarne un’interpretazione sociale, o almeno generazionale, se non politica, e addebitando loro d’aver “violentato” tout court la manifestazione; riscontrare infine, da un lato l’assunzione acritica di comportamenti quanto meno discutibili: “il corteo ha reagito, si è ribellato…”, dall’altro, in proposito del mancato intervento della polizia nella prima fase dei disordini, l’affermazione “nessuna traccia di loro in tutto il corteo…”, quasi a poterne con-dividere l’eventuale uso di manganello e manette…, beh… tutto ciò fa sì che le distinzioni circa il fenomeno largamente più preoccupante emerso nella circostanza, quello cioè della delazione, dicesi delazione (interessante l’approfondimento in merito rintracciabile in Radioondadurto – O.S.), si facciano talmente sottili da divenire quasi trasparenti…

SULLE PETTORINE, SUI SERVIZI D’ORDINE

Solo perché ci appare calzante – non importa chi l’abbia usata in questi giorni, né lo conosciamo-, rubiamo la seguente espressione: “Nessuno pensa che assaltare qualche banca, bruciare qualche auto, perfino scontrarsi con la polizia in assetto di guerra sia “il preludio della rivoluzione sociale”, ma il problema della violenza, del suo uso, della sua oggettiva necessità, è un problema che non può essere ignorato né, peggio, affrontato con la logica del questurino”.

Possono tuttavia essere di notevole interesse, anche in dialettico contrasto con l’idea appena espressa, le (poche) esperienze di non-violenza-attiva, ove queste non siano malintese, come perlopiù accade, e interpretate come legalità… Fondamentale la differenza.
In merito all’intero argomento non abbiamo pregiudizi, né vogliamo relegare alle “circostanze particolari”, si tratti d’Egitto o Tunisia, l’uso delle forme di lotta.
Ma poiché s’affaccia, nel dibattito tra chi ha organizzato il 15, la possibile costituzione di “servizi d’ordine”, e almeno in nuce ve n’è già stata una pratica, è bene ricordare che la lunga critica in merito trova sue significative ragioni e che, in ogni caso, nel passaggio alla “forza”, sarebbe etico considerare innanzitutto il nemico, non chi lo combatte, sia pure in forme che non si dovessero condividere.

SU PIAZZA SYNTAGMA E ALTRO

In uno dei comunicati della Confederazione v’è una presa di posizione netta contro “gli anarchici greci” e in favore del “servizio d’ordine del Partito comunista greco (KKE) che scaccia a bastonate dalla piazza 500 anarchici che attaccavano la polizia…”.

Noi non abbiamo la pretesa, a differenza di chi, a ragione o a torto, si ritiene all’altezza di poterlo fare, di giudicare con tanta sicumera quei fatti, conosciamo tuttavia, e propendiamo per altre versioni e letture, anche problematiche. Abbiamo in ogni modo chiara l’immagine di un servizio d’ordine del KKE schierato a difesa del parlamento greco, già presidiato dalla polizia, e siamo tra i tanti che conservano buona memoria di servizi d’ordine di tal fatta a noi ostili, in passate circostanze e luoghi più vicini.
Non vorremmo essere mai partecipi di quanto – mal dissimulato, ma meglio sarebbe dire velleitariamente minacciato, nell’espressione “non crediamo affatto indispensabile l’uso di forze di dissuasione” – si profila all’orizzonte delle cosiddette “regole d’ingaggio”.

SU CIÒ CHE È STATO IGNORATO

Lacrimogeni e blindati in Piazza San Giovanni _foto Valentina Perniciaro_

Anche qui prendiamo in prestito, non importa da chi giacché siamo per un movimento senza nome e guardiamo al senso delle cose, un’espressione usata da altri, senz’altro aggiungere: “La novità vera è che i ragazzi delle periferie sono ricomparsi nel centro e non per fare lo shopping e lo faranno sempre più spesso, insieme a tutti gli altri e le altre che desiderano la fine del vecchio mondo. Il “teppismo” di questi ragazzi è autodifesa, la loro furia è direttamente proporzionale al desiderio che hanno di trasformare la loro vita. La cecità di chi si ostina a non voler vedere la decomposizione sociale in corso, una disabilità mentale coadiuvata da una sorta di revisionismo storico applicato al presente che sfocia in feroce risentimento contro l’attualità, dimostra solo la lontananza del ceto politico movimentista dalla verità del tempo e la sua esteriorità al movimento che trasforma lo stato di cose presenti”.

SULLA RAPPRESENTANZA

Posto che mai si dovrebbe dimenticare che i cobas stessi non sono nati su un’idea di rappresentanza, ma di movimento conflittuale, tanto meno si può pretendere di esportare, su una complessità sociale come quella attuale, un modello progressivamente trasformatosi e che mostra già le sue crepe. L’esperienza può solo essere utilizzata al fine di mettere a disposizione, non  tentando velleitariamente di egemonizzare, la propria intelligenza delle cose. La critica del “politico”, della “rappresentanza”, non solo quella istituzionale, è sempre più evidente, e resistere a questo può solo rispondere a interessi, presunzioni e risentimenti di ceto politico.

Si fanno i conti con la realtà e si è anche costretti a prendere atto di necessità imposte, così si utilizza anche la forma-sindacato, ma guai a dimenticare la propria genesi e adattarsi ad accomodamenti in successione. L’attualità di Oakland ci dice che si può fare scioperi anche senza sindacati e inamovibili leaders, quella di Roma, forse, che “Hessel non abita in Italia” (cfr. http://senzasoste.it/speciali/hessel-non-abita-in-italia-la-crisi-permanente-della-forma-movimento-basata-sul-primato-dell-opinione-pubblica )

PER FINIRE

E’ vero, singoli gesti -in singoli momenti non sempre-  hanno forse messo a repentaglio il corteo; gesti non condivisibili, certo, ma se così è avvenuto, non c’è da fare la litania autocentrata delle lamentele, tanto meno c’è da rilasciare interviste. Se si ha l’intento di mettere a disposizione dei conflitti la propria intelligenza per spingerli in avanti, c’è piuttosto da chiedersi quale tipo di previsioni si sono fatte prima. C’è da chiedersi, noi tutti, beninteso, se si è stati in grado di capire cosa bolle nel sociale, nella classe frantumata, non nella cosiddetta “società civile” (che odiosa espressione!) e dentro la crisi. C’è da chiedersi in che misura si è stati incapaci di interpretare, intercettare, eventualmente indirizzare la rabbia, correggendone la mira.

Ci sarebbe da starne alla testa, non alla coda.
Nell’immediato ci sembrano urgenti due cose:

  • si approfondisca e allarghi il confronto, che esso sia aperto e privo di timori sui temi, tutti, che il 15 ha posto in campo
  • si dia piena solidarietà agli arrestati, si assuma il compito della loro assistenza legale e della loro liberazione.

Cobas Scuola Milano
Cobas Scuola Varese

Presidio a Regina Coeli: LIBERARE TUTT@

9 novembre 2011 10 commenti

LA SOLIDARIETÀ È UN ARMA
LIBERARE TUTTE E TUTTI

Nell’affollatissima assemblea di domenica 6 novembre tenutasi al CSOA Ex SNIA si sono incontrate numerose realtà romane provenienti da percorsi molteplici ed a volte distanti, almeno quattro generazioni di compagni e compagne a confronto. La volontà di andare oltre il 15 ottobre e rilanciare percorsi di lotta e autorganizzazione, capaci di connettersi, con la voglia di protagonismo dei giovanissimi, con le tante vertenze nei territori e nei posti di lavoro, con la difesa dei beni comuni e contro profitti e speculazioni. Un sentimento comune nelle dovute differenze senza rimozioni e non senza fare i conti con quanto è successo in quella giornata.

Tutti i presenti si sono espressi per il rifiuto della logica del capro espiatorio alla base del sistema penale e della dicotomia buoni/cattivi con la quale si è voluto criminalizzare da più parti la piazza del 15 ottobre. Un meccanismo che abbiamo subito all’indomani di Genova 2001 con il quale non si è saputo fare i conti. Dopo dieci anni è ancora il paradigma black bloc – infiltrato ad essere riproposto dall’apparato politico, dai pennivendoli e mezzobusti. Un immaginario talmente digerito socialmente da aver scatenato il fenomeno inedito della delazione di massa. Occorre prendere parola e re-agire fuori dai recinti identitari.

In questa direzione, come primo passo, si è deciso di impegnarsi collettivamente perché nessuno rimanga solo a fare i conti con procure e commissariati. Organizzare per questo una campagna per far fronte alla morsa repressiva che si sta impiantando per controllare il crescente disagio sociale e disinnescare il conflitto contro la riorganizzazione del capitale e le politiche europee di austerity. Costruire una rete di solidarietà che si doti come prima cosa di una cassa per le spese legali, l’attivazione di una mailing list per coordinarsi ( https://www.autistici.org/mailman/listinfo/liberta15ott ) e un blog (http://liberatutto.noblogs.org/) per aggiornare le informazioni sui processi e comunicare le varie iniziative.

Si è deciso di scendere questa settimana in piazza, di chiamare Roma a dare una risposta. Le stragi e i disastri colposi che si sono verificati in queste settimane in tutta Italia, a partire dalla nostra città, ci danno il vero parametro della distruzione e del saccheggio che subiamo nei nostri territori, giorno per giorno sulla nostra pelle, niente di paragonabile a dieci vetrine infrante.

L’assemblea si è aggiornata per mercoledì 9 alle ore 20:00 al CSOA Ex SNIA per continuare il dibattito e per organizzare un presidio per sabato 12 novembre in solidarietà con Giovanni Caputi, Fabrizio Filippi, Leonardo Vecchiolla e Carlo Seppia gli unici a cui non sono state derubricate da carcere a obbligo di dimora fra i 14 arrestati  durante e dopo il 15 ottobre. Un occasione per rompere il divieto di manifestare imposto da Alemanno e Maroni, per dare una risposta di massa alla criminalizzazione delle lotte, per la libertà di movimento, per la libertà di tutti gli arrestati e le arrestate.

PRESIDIO DI FRONTE REGINA COELI
SABATO 12 NOVEMBRE DALLE ORE 15:00
LUNGOTEVERE GIANICOLENSE

Per far sentire la nostra solidarietà a chi è ancora in carcere possiamo scrivere agli indirizzi forniti su http://liberatutto.noblogs.org
Per Sottoscrivere per le spese legali di tutti e tutte gli arrestati e le arrestate: venendo negli studi di ROR in Via dei Volsci 56 a Roma, tutti i giorni dalle 8 alle 21; oppure compilando un bollettino di conto corrente postale CCP n. 61804001 intestato a: Cooperativa Culturale Laboratorio 2001, Via dei Volsci 56 – 00185 Roma. Causale: “15 ottobre”; effettuando un bonifico bancario intestato a: Cooperativa Culturale Laboratorio 2001 Codice IBAN: IT15 D076 0103 2000 0006 1804 001 Causale: “15 ottobre”.

Da Oakland: are you a pacifist? e da che parte stai??

4 novembre 2011 4 commenti

Una risposta al documento dei Cobas, da Infoaut (grazie)

3 novembre 2011 7 commenti

Ho pensato e ripensato, durante il tanto tempo impiegato nella lettura delle 7 -sottolineo sette- cartelle della Confederazione Cobas sul 15 ottobre, se scrivere qualcosa a riguardo.
Ho pensato e ripensato anche di aver causato qualche mal di stomaco a chi ha scritto quel testo per quei due post, scritti molto a caldo e molto incazzati e letti in pochi minuti da migliaia di persone, sull’atteggiamento dei Cobas in piazza e soprattutto sulle parole urlate dalle trombe di quel camion, a me tanto caro per un buon decennio.
Poi cavolo…ma come si fa a rispondere a quelle pagine?

Foto Baruda

Io non ci son riuscita, non mi son voluta nè rodere il fegato nè scompisciarmi dalle risate pubblicamente, ma ringrazio chi al posto mio ha scritto e risposto, anche perché tirato direttamente e istericamente in ballo.
Quindi copio-incollo l’articolo a firma della redazione di Infoaut uscito poco fa sul loro sito, ma prima di farlo riprendo le parole che chiudono l’articolo chiedendomi: ma Piero Bernocchi, che da anni e anni e anni è portavoce di quella struttura … qualcuno l’ha mai votato?
Scusate, so’ polemica,
leggetevi l’articolo, che è meglio!

A proposito di un documento della Confederazione Cobas.

Sono ormai passati diversi giorni dagli eventi accaduti il 15 ottobre a Roma. Il dibattito che si è in seguito sviluppato all’interno del movimento sul corteo degli indignados, soprattutto in rete attraverso una serie di comunicati e testimonianze, è stato senza dubbio interessante. Fra le molte cose che abbiamo letto, di ogni tipo e colore, ci ha colpito negativamente il documento della confederazione COBAS. Complessivamente, le 7 cartelle (!) intitolate “UN IGNOBILE ATTACCO AI COBAS, L’ANALISI DEL 15 OTTOBRE E COME CONTINUARE” rappresentano dal nostro punto di vista più che l’analisi politica di un evento di piazza, una sorta di sfogo, tanto sguaiato quanto isterico, che davvero poco aiuta alla comprensione di quanto avvenuto. L’assunto di base, che il testo vorrebbe dimostrare, appare frutto di una lettura dietrologica degli accadimenti, che come sempre avviene in questi casi, rovescia le cause con gli effetti. Secondo i COBAS il 15 ottobre qualche mente diabolica avrebbe ordito un piano scellerato atto a distruggere il corteo degli indignados e quindi di impedire di parlare dai palchi in piazza San Giovanni, tanto per fargli “pagare” il presunto accordo elettorale con SEL. Aldilà della evidente infondatezza dell’assunto, vorremmo qui porre l’accento su alcuni passaggi del suddetto documento. A pagina 3 viene così scritto:

“Letteralmente agghiacciante, infine, la motivazione venuta da alcuni (tipo il comunicato su Info-Aut di una ben nota area, “Volevano fare un comizio. E invece…”, che irride agli organizzatori, considerati venduti al centrosinistra e che inneggia ai distruttori che avrebbero impedito il subdolo piano) secondo la quale il corteo sarebbe stato demolito giustamente perché nascondeva un patto scellerato con SEL da parte di alcuni dei promotori (Uniti per l’Alternativa).”

Fa comodo evidentemente fare finta di non capire. Intanto, il titolo dell’editoriale viene citato in modo distorto, piegato alle esigenze di una lettura forzata; quello corretto recita “Doveva finire con qualche comizio”, e solo ai più superficiali può sembrare che non vi sia differenza. In secondo luogo, il contenuto non è riassumibile nei termini in cui viene fatto dai COBAS. Il nostro editoriale, molto semplicemente, vorremmo dire materialisticamente, si limita a leggere quanto appena avvenuto e fornisce una prima impressione e alcune chiavi di lettura. Nessuno afferma che “il corteo è stato demolito giustamente”, né che la causa di ciò sia dovuta al “patto scellerato con SEL da parte dei promotori”. Quello che diciamo, lo ripetiamo per i duri d’orecchio, è che l’avere scelto di non passare con il corteo vicino ai palazzi del potere non poteva fare altro che lasciare mano libera alla spontaneità e all’improvvisazione. Il punto è questo, e ancora oggi non abbiamo letto da nessuna parte, COBAS compresi, perché sia stato scelto per il corteo un percorso che accuratamente evitasse l’incrocio con un qualsiasi luogo simbolo del potere. Gli organizzatori hanno promosso il solito rituale corteo da piazza della Repubblica a San Giovanni, prefetto e questore hanno tirato un bel sospiro di sollievo e di gioia quando ne sono venuti a conoscenza. Noi, pensavamo e continuiamo a pensare che un corteo come quello di Roma avesse il dovere quantomeno di provare ad avvicinarsi ad essi. E continuiamo a pensare che se così fosse stato, probabilmente oggi parleremmo di un altro 15 ottobre. Ma l’assenza di risposte su questo punto (o la ridicola scusa che piazza Navona sarebbe stata troppo piccola per contenere 2-300 mila persone, come se il corteo avesse dovuto concludersi per forza lì) non poteva che alimentare le voci che da tempo giravano sui presunti accordi sottobanco con SEL e ARCI ,voci che certamente non abbiamo messo in giro noi, e che oltretutto non è che suscitino chissà quale sorpresa.

C’è poi un altro elemento che vorremmo sottolineare. Ed è il linguaggio utilizzato dai COBAS nel comunicato. Siamo abituati da tempo immemore a leggere sulla stampa mainstream(una volta si sarebbe detto “borghese”) giudizi, formule e terminologie che più che

Foto Baruda _I Cobas il 15 ottobre_

raccontare e spiegare, definiscono e giudicano i movimenti e le lotte secondo una morale perbenista, quando non forcaiola. Ritrovare però quello stesso linguaggio dentro a un comunicato di un sindacato di classe, non concertativo, aut organizzato, di sinistra come i COBAS ci lascia appunto interdetti. Sorvoliamo ancora sulle numerose e pesanti allusioni che una mente nemmeno troppo sveglia leggerebbe come volgari giudizi sprezzanti verso di noi, e ci limitiamo a riportare alcune dei termini utilizzati: i soggetti sociali protagonisti degli scontri di Roma e coloro che in seguito si sono permessi di non condannarli al rogo, vengono definiti di volta in volta devastatori, sfasciavetrine, sfasciacarrozze, folli, sciagurati, “compagneria”, apprendisti stregoni, gruppettari politicanti, degradati, sedicenti antagonisti, distruttori ecc. Se questo è il linguaggio dei COBAS, ci chiediamo davvero cosa differenzi i suoi maitre à penser da quelli di Repubblica, Corriere e Libero.

Ma poiché conosciamo tante compagne e compagni dei COBAS, ci chiediamo se quello riportato nel comunicato sia davvero il pensiero e il linguaggio degli iscritti e dei militanti del sindacato. I tanti con i quali in passato abbiamo condiviso lotte e battaglie, alcune anche eroiche, e tutte vissute con partecipazione e trasporto non crediamo, e non vogliamo credere che possano riconoscersi in quel testo. Come non vi si riconoscono le tante nostre compagne e nostri compagni iscritti ai COBAS. Non vi si riconoscono alcune compagne del centro Italia che hanno partecipato al recente Feminist Blog Camp, che imbarazzate, ci hanno tenuto a nel loro intervento a prenderne le distanze (per quanto non fossero presenti in vesti sindacali). Non vi si riconoscono compagne e compagni che conosciamo e che insegnano nelle scuole a Torino, in provincia, in Valle di Susa. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi.

Tra il serio e il faceto sorge quindi, per concludere, un interrogativo. Chi ha scritto quel comunicato, rappresenta davvero gli iscritti e i militanti dei COBAS? Siccome a parlare, nei comizi e in tv, è sempre e solo Piero Bernocchi, potrebbe sembrare di sì. Ma abbiamo appena visto che la realtà che conosciamo è un’altra. Sorge quindi un’ulteriore domanda. Se in un apparato elefantiaco come la CGIL , negli ultimi 10 anni abbiamo visto avvicendarsi alla sua guida prima Cofferati, poi Epifani e ora la Camusso; nella CISL D’Antoni, Pezzotta e Bonanni, come mai nei COBAS continua a dominare ininterrottamente da quasi 15 anni la figura di Piero Bernocchi? Nemmeno vivessimo nella Bulgaria di Zivkov! Speriamo che questa eterna leadership abbia garantito un costante e progressivo aumento delle tessere sindacali. Potremmo sbagliarci. Ci risulta invece, e qui certamente non sbagliamo, che il buon Bernocchi sia da anni un pensionato. Non sarebbe il caso, per il bene di tutti e tutte, che passasse la mano a qualcuno più giovane e coraggioso, e concludesse la sua carriera come leader della categoria alla quale appartiene?

La redazione di Infoaut.org

sulla giornata del 15 ottobre:
Delazione e rimozione della propria storia
Gli scontri, i Cobas e la violenza dei non-violenti
Il comunicato su Giovanni Caputi
Pin va al 15 ottobre
Ecco la prima condanna
Cobas contro Cobas
Un commento di Oreste Scalzone
Presidio a Regina Coeli
La solidarietà di Radio Onda Rossa agli arrestati
I “terroristi urbani”

Roma: sono i più giovani a sfidare le ordinanze di Alemanno e i divieti stile ventennio

3 novembre 2011 10 commenti

La Questura sta vagliando le posizioni di 300 persone..questo lanciano le agenzie poco dopo cena.
Trecento persone identificate oggi in quella pagliacciata a cui la questura di Roma ha costretto centinaia di ragazzi che manifestavano, la maggiorparte studenti medi, quindi minorenni.
Manifestazione non preavvisata, danneggiamento, invasione di terreni ed edifici, inadempimento delle autorità: questi sarebbero i reati che si profilano.
Ma ricominciamo da capo, senza troppi dettagli che questa giornata è stata eterna.
Alemanno dopo il 15 ottobre e gli scontri in Piazza San Giovanni decide per un delirante divieto di manifestare per un mese: i primi a sfidare questo divieto son proprio loro, coloro che hanno invaso la manifestazione del 15 ottobre e anche la piazza degli scontri, gli studenti.
Giovanissimi, tanti, incazzati, determinati, poco impauriti.
Oggi si son trovati davanti alle scuole volanti e blindati: il divieto di manifestare doveva esser garantito, il Sindaco non voleva che gli studenti muovessero un passo.
Al Mamiani fanno 50 identificati prima delle 8.30 di mattina e la risposta degli studenti è immediata: corteo per Prati, traffico bloccato.
Poi il tutto si sposta a Tiburtina: migliaia di ragazzi arrivano nei dintorni della stazione, che dopo un po’ viene chiusa. Mentre i treni son costretti a proseguire, facendo finta di non vedere la stazione Tiburtina, le migliaia di studenti vengono prima caricati, poi chiusi letteralmente in una tonnara senza via d’uscita, nella quale son rimasti intrappolati per ore.
Non c’è stato verso, non c’è stato modo di contrattare un’uscita dalla piazza se non attraverso l’identificazione di tutti: il tira e molla è durato un bel po’, gli studenti con i documenti in mano urlavano “TANTO NON VE LI DIAMO”…
Così è stato, nessun documento: ma peggio.

La tonnara è stata aperta solo in un punto.
L’ordine della Questura è: si esce a gruppi di 30 in fila indiana, con 7 secondi tra un gruppo ad un altro:
Non sto delirando, è precisamente quello che è successo: tutti in fila indiana (anche a tempo) davanti alle telecamere della polizia.
L’Apartheid israeliano oggi sembrava arrivato al tiburtino: checkpoint per minorenni, identificazioni di massa, qualche pestaggio che ci sta sempre bene, 10 arresti.
Una volta usciti tutti, gli studenti si son recati al Verano, davanti al commissariato di Polizia di San Lorenzo per chiedere il rilascio di tutti i fermati, ottenuto abbastanza rapidamente.
Una grande assemblea alla Sapienza e la promessa al sindaco che ci si rivedrà presto per le strade romane.

Nel frattempo, mentre gli studenti erano in piazza, la Digos entrava nelle scuole chiedendo ai presidi i registri per segnarsi i nomi degli assenti; qualcosa di estremamente vergognoso.
Che fate gli schedari di chi manifesta? Anche se hanno 15 anni?
Una pagina buia, che contribuirà a far alzare la testa a questi giovanissimi manifestanti.
Pagina buia anche leggere l’infinita solidarietà in rete da quelle stesse persone che invocavano la polizia o la aiutavano impacchettando persone e consegnandole alle camionette il 15 ottobre: oggi erano indignati nel vedere le scuole di Roma presidiate dai blindati.
Eppure, cari miei indignati pacifisti col vizio della delazione, gli studenti che oggi sono stati identificati son gli stessi che volevate in galera meno di tre settimane fa: siete un po’ ridicoli.
Ma lo sapete già
SUL SITO DI RADIONDAROSSA ci son delle corrispondenze effettuate dalla piazza.

Per quanto riguarda gli arrestati del 15 ottobre oggi è finalmente arrivata la prima buona notizia.
Il Riesame ha scarcerato praticamente tutti: alcuni ai domiciliari, altri con obblighi di firma.
Niente carcere però, niente blindati, sbarre, casanza, secondini, domandine, colloqui..
e non c’è cosa che mi rende più felice.
In carcere resta chi è stato arrestato successivamente al 15, come Chucky che continua a protestare contro il suo arresto con lo sciopero della fame.

Il cuore di Majak…e un po’ anche il mio

2 novembre 2011 Lascia un commento

Egitto: altro rinvio per Maikel Nabil ormai allo stremo, e grandi mobilitazioni in solidarietà di Alaa

1 novembre 2011 1 commento

Ieri la mobilitazione in sostegno di @Alaa, blogger e attivista politico di spicco nel movimento di piazza Tahrir condannato a scontare quindici giorni per essersi rifiutato, da civile, di rispondere alle domande postegli dalla corte militare, è stata massiccia. Alaa è un personaggio molto noto, che aveva già conosciuto le carceri egiziane del regime di Hosni Mubarak e le manifestazioni in suo sostegno ci son state al Cairo, ad Alessandria e in Tunisia, oltre alla grande mobilitazione avvenuta in rete. Il fratello, altro noto attivista, che è riuscito ad avere un colloquio con lui, ci racconta di una cella priva di luce, con la possibilità di uscire per recarsi al bagno solo due volte al giorno, per venti minuti.
Migliaia di persone si sono riunite in piazza Talaat Harb, a pochi passi da piazza Tahrir, per manifestare solidarietà al compagno e amico Alaa e urlare la propria rabbia cntro il Consiglio Supremo delle Forze Armate, la grande delusione (anche troppo scontata per quel che ci riguarda) della rivoluzione del gennaio di quest’anno.
Tra i cingolati dei carri armati dello Scaf trovavano riparo e letto le migliaia di persone che per settimane hanno abitato i marciapiedi e l’asfalto della downtown del Cairo, nelle mani di quei soldati hanno imprudentemente consegnato la loro lotta, convinti che gli sarebbe stata garantita una transizione pacifica verso delle elezioni democratiche a cui tutti sono impreparati.
Ma insomma, era un po’ come crede alle favole e il sogno dell’esercito buono dalla parte del popolo e contro agli ancestrali meccanismi e mandri di un regime quarantennale si è spappolato come le teste dei coopti che manifestavano davanti alla sede nazionale della Tv di stato, pochissime settimane fa.
Decine di morti, molti schiacciati sotto le ruote dei blindati di quell’esercito tanto amato: quella sera è stata definitivamente tirata una linea di demarcazione, e lo SCAF è dalla parte del regime, del potere, della repressione, del carcere, della tortura, degli assassinii.
E i nomi iniziano ad esser troppi, da quella lunga notte in cui fu ucciso anche il giovane blogger Mina Daniel, tra quelle 40 persone, accorse immediatamente in sostegno dei copti colpiti.
Maikel Nabil è un altro blogger, un ragazzo coraggioso che dalle sue pagine ha denunciato per primo il test della verginità sui corpi delle donne che venivano fermate in piazza, o negli scioperi: tre anni di condanna inflittagli da un tribunale militare, contro il quale ha iniziato uno sciopero della fame. Una storia processuale un po’ rocambolesca, un continuo posticipare le udienze – proprio come avvenuto anche questa mattina- che sta portando il corpo di Maikel a non farcela più.
Oggi, allo sfiorar del settantesimo giorno senza cibo, lo scheletrico Maikel Nabil Sanad s’è visto schiaffeggiare con un altro rinvio: altre due settimane, forse quelle fatali viste le sue condizioni.

Questi alcuni dei casi, insieme a quello di Essam, il ragazzo torturato a morte di cui si son fatti i funerali nella piazza simbolo della rivoluzione nemmeno una settimana fa, che stanno facendo esplodere la rabbia egiziana verso l’esercito.
Ancora una volta è l’inaspettato ad aver la meglio nelle mobilitazioni: mai si sarebbe pensato a slogan contro Mubarak fino allo scorso anno e abbiamo visto quel che è stato.
Mai si sarebbe pensato, nei mesi successivi alla sua caduta, di sentire migliaia di persone urlare per l’abbattimento dell’esercito con tanta determinazione: ora è quello di cui risuonano le strade.

Nina e Marianna un po’ più libere, i NOTAV festeggiano la revoca dei domiciliari!

28 ottobre 2011 1 commento

Foto di Valentina Perniciaro, Genova 2002

Fratello, felice nel mio paese, ho dormito sulla terra;
L’ho abbracciata, stretta, tanto mi era mancata, vedi…
Goccia a goccia, il mio sangue di fuoco innaffia le vette.
Così avanza il nostro popolo;
Così sorge l’alba che vedranno i nostri figli.
(Anonimo palestinese)

Oggi, mentre veniamo a sapere di altri arresti inerenti agli scontri del 15 ottobre in Piazza San Giovanni , a Roma,
è anche lo stesso giorno in cui finalmente arriva la notizia di un pezzetto di libertà in più per le compagne notav arrestate quest’estate.
Nina e Marianna hanno ottenuto la revoca dei domiciliari e l’obbligo di dimora: malgrado fossero incensurate hanno passato due settimane in carcere e un mese in misure detentive domiciliari.
Non una vera e propria libertà, visto che rimangono indagate e non possono avvicinare i comuni di Giaglione e Chiomonte, ma sono almeno tornate ad un minimo di normalità e socialità.
E allora buona libertà Nina e Marianna, o almeno buon cammino …

QUI UN COMUNICATO IN SOLIDARIETA’ CON GLI ARRESTATI DEL 15 OTTOBRE

Anche oggi proseguono gli arresti: Chucky si dichiara innocente e prosegue lo sciopero della fame

28 ottobre 2011 3 commenti

Mentre le agenzie diffondono le prime informazioni sul nuovo fermo di un giovane di 28 anni, realizzato dai carabinieri di san Miniato, in Toscana, con l’accusa di aver preso parte all’incendio del blindato dei carabinieri che si era lanciato nel cuore di piazza san Giovanni, dove stazionavano migliaia di manifestanti, l’avvocato di Leonardo Vecchiolla, arrestato a Chieti sempre per lo stesso fatto, fa sapere che «Nel fascicolo dell’inchiesta non c’è alcuna prova della sua partecipazione al fatto».

Paolo Persichetti
dal suo blog Insorgenze

Non è tutto black quel che è bloc. Vacillano le accuse contro Leonardo Vecchiolla, lo studente di psicologia dell’università Gabriele D’Annunzio di Chieti, arrestato il 22 ottobre scorso e subito presentato ai media come uno degli «incappucciati» autori delle devastazioni avvenute durante la manifestazione del 15 ottobre scorso. Ad «incastrare» il 23enne, originario di Benevento ma residente ad Ariano Irpino, sarebbero state alcune intercettazioni telefoniche nelle quali il giovane, secondo l’accusa, si sarebbe vantato di aver preso parte all’incendio di un blindato dei carabinieri rimasto intrappolato tra i manifestanti dopo una carica giunta fin nel cuore di piazza san Giovanni. Luogo dove stazionavano ancora decine di migliaia di dimostranti dopo che per ore molti di loro avevano resistito alle cariche ed

Foto Ansa di Massimo Percossi

ai caroselli delle forze dell’ordine.
L’utenza chiamata da Vecchiolla apparteneva ad un suo amico d’infanzia messo sotto ascolto nell’ambito di un’altra indagine condotta dai carabinieri di Avellino per ipotesi di reato che nulla hanno a che vedere con i fatti di piazza san Giovanni, e alla quale Vecchiolla è completamente estraneo.
La circostanza è servita ai Ros per confezionare un arresto ultramediatico a ridosso del corteo dei No tav in val di Susa, al quale anche Vecchiolla si accingeva a partecipare. ll giovane infatti è stato arrestato con il biglietto del treno in tasca mentre si recava in stazione. Serviva un colpevole immediato per puntellare il teorema dei violenti infiltrati nei cortei.
A distanza di giorni però non sono emerse le conferme tanto attese e forse per questo la procedura si è arenata: non ci sono foto o immagini che identificano lo studente tra le persone che hanno incendiato il furgone nonostante la scena sia stata immortalata in centinaia di foto e ripresa da più angolazioni. Anche il contenuto delle due intercettazioni resta dubbio ed è singolare che le bobine si trovino ancora presso i carabinieri di Ariano Irpino e non a Roma, sede titolare dell’indagine. All’avvocato Sergio Acona non è ancora pervenuta l’autorizzazione per ascoltarle: «La trascrizione della prima – ha spiegato il legale – non fornisce elementi univoci», in sostanza non consente di stabilire che Vecchiolla abbia partecipato all’incendio del mezzo blindato. Nella seconda, «ci sono molti punti di sospensione o parole indicate come incomprensibili». Frasi estrapolate e spezzettate all’interno di un discorso ancora tutto da verificare. La stessa scontata convalida della custodia cautelare pronunciata dal gip di Chieti non ha aggiunto elementi nuovi. Il magistrato si è limitato a confermare la detenzione per tentato omicidio, devastazione e resistenza a pubblico ufficiale, dichiarando al tempo stesso la propria incompetenza. Ora tocca alla procura di Roma che però va a rilento.
Intanto Leonardo, Chucky per gli amici, è in sciopero della fame e della sete. Nel corso dell’interrogatorio ha descritto il suo abbigliamento nel corteo e chiesto che venissero fatte indagini per accertare la sua esatta posizione: «Identitificatemi in mezzo alla piazza e vedrete che non sono io quello che ha dato fuoco o era vicino all’autoblindo», ha detto. Precisando di essere stato solo spettatore della scena da una certa distanza, insieme ad altre migliaia di persone. Ha spiegato anche che il giovedì precedente aveva  partecipato al presidio sotto Banca d’Italia. Poi era rimasto con gli “accampati” in via Nazionale, sulla scalinata del palazzo delle Esposizioni, fino al sabato successivo quando si è aggregato allo spezzone di corteo partito dalla Sapienza.
Quanto ai suoi «precedenti», tanto sbandierati come un’intrinseca prova di colpa, riguardano la partecipazione alla proteste contro lo sversamento dei rifiuti napoletani in una discarica della sua città. In quella circostanza venne identificato insieme ad alcuni sindaci, tra cui quello di Ariano Irpino, ed alcuni avvocati del posto.
In sua difesa è giunto anche un comunicato dell’associazione “Ariano in movimento”, animata dai Giovani comunisti, nonché l’intervento di Riccardo Di Gregorio, capogruppo di Rifondazione alla provincia di Chieti. Intanto il numero degli arrestati per gli scontri del 15 ottobre è salito ancora con l’arresto, ieri mattina, di 5 minorenni per resistenza pluriaggravata e danneggiamento. Per loro, tutti liceali e incensurati (due risiedono a Guidonia, due nel quartiere di San Paolo ed uno ad Ardea) sono è stataa disposta la custodia cautelare ai domiciliari. I 5 erano stati bloccati dagli agenti di polizia in via Merulana, in una zona dove erano stati dati alle fiamme alcuni cassonetti della spazzatura, ma poi rilasciati per la minore età.

Terroristi urbani: ecco il nuovo nemico

18 ottobre 2011 12 commenti

IL VIMINALE E IL SINDACO DI ROMA ATTACCANO IL DIRITTO DI MANIFESTARE
sulle pagine di Liberazione domani,
a firma di Paolo Persichetti

Quando in Italia si manifesta un’emergenza politico-sociale è subito pronta una legge d’eccezione. Un vizio che mette radici nei lontani anni 70. Anni tabù che si ripresentano continuamente sotto forma di spettro. Chi sabato scorso ha risposto ai pericolosi caroselli della polizia in piazza san Giovanni (tre mila secondo il Viminale) è un «terrorista urbano».
Il ministro degli Interni Roberto Maroni, dopo l’invocazione venuta da Antonio Di Pietro di una nuova legge Reale (la famigerata normativa sull’ordine pubblico che dal 1975 al 1990 ha provocato 625 vittime, tra cui ben 254 morti per mano delle forze di polizia), ha subito risposto coniando una nuova tipologia criminale (in incubazione da oltre un decennio) che va ad accrescere la lunga lista dei nemici politici dello Stato. In parlamento il ministro di polizia ha spiegato che sono in cantiere una serie di misure calco dei dispositivi d’eccezione già applicati per reprimere la delinquenza negli stadi: l’arresto in flagranza differita, i Daspo anche per i cortei (in barba all’articolo 21 della costituzione), l’ennesimo specifico reato associativo per chi esercita violenza aggravata nelle manifestazioni politiche (oramai siamo quasi a quota dieci all’interno del nostro codice penale, oggi molto più repressivo del testo originale coniato dal guardasigilli del fascismo Alfredo Rocco).
L’idea cardine contenuta nel nuovo edificio legislativo d’eccezione è quella di arretrare il più possibile l’avvio del reato, e dunque l’intervento penale, sanzionando non più soltanto il fatto compiuto o il suo tentativo ma gli «atti preparatori». Nozione incerta, volutamente fumosa, assolutamente pericolosa poiché apre all’abisso del processo alle intenzioni. Giuristi come Luigi Ferrajoli dissentono profondamente: «occultare l’incapacità del governo e la cattiva gestione dell’ordine pubblico con nuove misure repressive non serve. E’ assurdo che addirittura un sindaco possa introdurre un limite alle libertà costituzionali come quella di manifestare».
Per Gianni Ferrara, «una legislazione repressiva di questo tipo è inammissibile perché in contrasto non solo con un sistema costituzionale e una civiltà risultato di secoli di lotte sociali e politiche, ma è soprattutto inutile e dannosa come lo fu a suo tempo la legge Reale». Stavolta però questa nuova emergenza giudiziaria non è calata dall’alto dei Palazzi arroccati della politica. L’invocazione di legge ed ordine è venuta dall’interno stesso della manifestazione di sabato 15 ottobre. La reazione scomposta di pezzi ampi di ceto politico, le grida avventate di personaggi e strutture navigate, che hanno recepito le violenze e gli scontri come uno spodestamento del proprio ruolo, insieme all’ambiguo protagonismo di settori crescenti di società civile legati alla multiforme galassia giustizialista, vero must culturale egemone che tiene insieme i vari pezzi di ciò che resta della sinistra, subito pronti a lanciare la rincorsa alla delazione, le dichiarazioni dei vertici del Pd, la pressione di Repubblica(che aveva tentato di mettere il cappello alla giornata di sabato amplificando la grottesca dichiarazione dell’estensore della lettera della Bce, Draghi, nella quale si chiedevano lacrime e sangue per la popolazione italiana), hanno aperto la strada alla discesa in campo di Di Pietro e alla sortita di Marroni. Un boomerang clamoroso che ha portato addirittura all’ukaze di Alemanno, il sindaco che ha sospeso per un mese l’applicazione della costituzione a Roma, vietando tutte le manifestazioni. La politica e morta e che come Valentino Parlato che, memore di altre epoche, sul manifesto di domenica aveva provato a ricordare che «nell’attuale contesto, con gli indici di disoccupazione giovanile ai vertici storici era inevitabile che ci fossero scontri con la polizia e manifestazioni di violenza […]segni dell’urgenza di uscire da un presente che è la continuazione di un passato non ripetibile», è rimasto solo.

 

Nel frattempo per giovedì 20 ottobre alle 17 è stato convocato un presidio in solidarietà con gli arrestati durante la manifestazione:
L’appuntamento è al Gianicolo, all’altezza dell’Anfiteatro, sopra al carcere di Regina Coeli dove son rinchiusi i fermati (uomini)