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CON VOI! Continua lo sciopero/occupazione della Ssangyong
L’occupazione della fabbrica della compagnia automobilistica Ssangyong da parte dei suoi 800 dipendenti e’
entrata nel terzo mese.
La lotta si sta inasprendo con scontri giornalieri tra i lavoratori da una parte, dentro le aree occupate,
e polizia anti sommossa e milizie di destra dall’altra che tentano di sgombrare l’occupazione.
Una nuova tattica dalla polizia è l’uso di elicotteri che mentre sorvolano gli stabilimenti, bombardano i
lavoratori con gas lacrimogeni ed altri prodotti chimici che bruciano la pelle al contatto.
La confederazione sindacale KCTU ha chiamato per uno sciopero generale a tempo indeterminato,
chiedendo azioni di solidarietà in tutto il mondo. I cortei e le marcie di simpatizzanti
che tentano di rompere l’assedio della polizia sono oramai iniziative giornaliere.
Per fermare questi tentativi, la presenza della polizia è stata aumentata e si stima che adesso intorno alla fabbrica ci siano fino a 6.000 poliziotti anti sommossa.
Anche se la situazione dentro gli stabilimenti occupati è diventata durissima a causa della scarsità
di cibo, acqua, e il continuo aumento nel numero di feriti, i lavoratori non danno segno di voler cedere.
Questo sciopero/occupazione è diventato una prova di forza cruciale tra il governo e il padronato
contro i lavoratori.
A QUESTO LINK UN FANTASTICO REPORTAGE DI QUESTE GIORNATE!
Carlo Giuliani, quel passo in più
Dal blog Insorgenze, prendiamo queste parole per Carlo…
Quel passo in più mentre gli altri andavano indietro… La tua vita è tutta lì. Per questo ti vogliamo bene
I tratti addolciti del viso tradivano la sua giovane età. Si era staccato dal gruppo e in una mano teneva una pietra che scagliò con tutta la sua forza contro un drappello d’uomini bardati con scudi e mazze, caschi e stivali, armi da fuoco alla cintola. Quasi appagato da quell’incosciente gesto di sfida, s’era voltato per riguadagnare le fila dei suoi compagni. Teneva larghe le braccia mentre le mani erano nude come in quella foto dell’anarchico diventata un manifesto, quando l’eco d’alcuni colpi di pistola risuonò nell’aria. I suoi compagni urlavano, mentre un poliziotto aveva freddamente preso la mira per fucilarlo alle spalle. In quel momento il suo sorriso s’era trasformato in una smorfia di dolore.
Colpito alla schiena ma ancora incredulo continuava a camminare ma le sue falcate sembravano ormai passi di danza. Cadde sull’asfalto solo dopo aver compiuto una piroetta. Era il giugno del 2001, a Gotebörg. Il “movimento dei movimenti” solo per poco era scampato al suo primo morto. Un presagio maledetto che si avverò qualche settimana più tardi a Genova, in piazza Alimonda, dove un altro giovane, all’incirca della stessa età, venne ucciso da un coetaneo in divisa con un colpo in mezzo agli occhi.
Carlo Giuliani la morte l’ha vista in faccia mentre gli altri manifestanti avevano avuto il tempo d’indietreggiare di fronte a quell’arma spianata. Forse era troppo tardi per fermarsi o forse non voleva arretrare, ma andare fino in fondo per impedire a quel braccio teso, armato e in divisa di Stato, di continuare la sua minaccia. Due colpi, una quiete irreale cadde d’improvviso sul campo di battaglia rotta poi da nuove grida, mentre il corpo di Carlo veniva oltraggiato dalle ruote del Defender dei carabinieri.
“Fiori velenosi venuti solo per sfasciare”(1), non trovò migliore espressione una dirigente dell’organizzazione antimondialista Attac per liquidare i fatti di Gotebörg. Secca e adirata contro quella che ai suoi occhi sembrava una teppaglia neoluddista, madame Susan George, trovò più che normale che una pietra valesse un colpo di pistola tirato alle spalle. Autoconvocate, quelle orde d’insorti in cerca di sommosse non erano gradite. Disturbavano le ordinate kermes internazionali, i carnevali di strada, i convegni compunti dei professionisti dell’associazionismo, una nuova burocrazia della società civile che pensava di poter fronteggiare gli irruenti spiriti animali del capitalismo ultraliberale attraverso forme di regolazione economica, strumenti procedurali e regole etiche. Misure inadeguate quanto l’idea di poter fermare l’Oceano in tempesta con dei sacchetti di sabbia. Nello stesso periodo, un appello sottoscritto da intellettuali italiani e francesi, tra cui spiccavano le firme d’alcuni ex partecipanti ai movimenti politici degli anni Settanta, censurava le violenze e gli scontri di piazza, in modo particolre le brutalità commesse nei confronti di merci come “i cassonetti bruciati e le vetrine rotte”. Costoro invocavando manifestazioni ordinate e ottenevano nient’altro che forze dell’ordine.
Decisamente la storia non è intenzionata a smentire quell’adagio che vuole ogni tragedia ripresentarsi in farsa. Per nulla appagati da tanta stigmatizzazione etica prim’ancora che politica, prendiparola del Forum sociale genovese e leaders d’alcune componenti noglobal, sponsorizzati dai loro grandi elettori mediatici, lanciarono il ritornello infinito, e per giunta dopo un anno ancora non provato, degli infiltrati. Lo fecero a caldo, sopraffatti dal pregiudizio e da servile paura, quando il corpo straziato di Carlo Giuliani non aveva ancora un nome. Nei salotti volanti delle dirette Rai di prima serata che seguivano il G8 circolava ancora la voce che il giovane ucciso fosse uno spagnolo, di certo un basco, un black bloc in ogni caso. Gli invitati (2), ancora accaldati per aver sfilato nei cortei del pomeriggio, attaccarono le forze di polizia colpevoli d’inerzia per aver lasciato devastare la città da bande di facinorosi vestiti di nero. Le forze dell’ordine avevano assalito i cortei quando questi sfilavano ancora lungo i percorsi autorizzati, in diversi punti della città i carabinieri avevano fatto uso d’armi da fuoco, in risposta gli acuti esponenti noglobal invece di pretendere meno forze dell’ordine invocavano più forza pubblica in piazza. Sollecitati con tanto ardore, il sabato successivo le forze di polizia eseguirono con zelo il loro mandato fin dentro alla Diaz. Immemore o forse ignaro che solo nei paesi dove vi è un controllo autoritario dello spazio pubblico le forze di polizia organizzano e svolgono il servizio d’ordine nei cortei, l’arrogante e mai pago presidente della Lila, Vittorio Agnoletto, pretendeva la tutela poliziesca per le sue sfilate nonviolente. Solo in tarda serata, sopraggiunta la notizia che quel manifestante deceduto altri non era che il figlio di un noto sindacalista della Cgil genovese, il “reprobo” Carlo Giuliani divenne finalmente un ragazzo da difendere, un imbarazzante martire da far proprio.
(1) Le Courrier d’information, n. 246, Martedi 19 giugno 2001.
(2) Un isterico Vittorio Agnoletto e un fin troppo incauto Fausto Bertinotti.
A Carlo Giuliani, 8 anni dopo
Scrivere a te mi è stato facile per molto tempo, quasi naturale … ora non lo è più.
E’ ogni giorno, ogni anno più doloroso e gli anni ormai son tanti, son otto.
Otto anni fa eri ancora vivo, lo eri a pochi passi da me, lo eravamo ancora tutti.
Quell’urlo, le urla di ognuno di noi squarciarono quel cielo maledetto, quel cielo violentemente limpido,
che appariva lontanissimo per il persistere dei fumi dei lacrimogeni… quel maledetto cielo che sarebbe stato meglio ci cascasse addosso: sarebbe stato meno doloroso di quell’urlo maledetto. Genova assassina e maledetta, Genova che mai liberammo, Genova che spezzò le nostre gambe senza farle mai rialzare..
Quell’urlo indimenticabile…che c’ha ammazzato tutt@ sette anni fa, e che persiste…
Carletto col nostro stesso sangue, Carletto con la stessa identica necessità di noi tutt@ di essere lì quel giorno,
Carletto e la sua voglia di vivere che l’ha fatto scendere in strada,
Carletto e il suo estintore, e il suo istinto di re-azione davanti a quel nemico marciante, mai visto prima in quel modo.
Un nemico nuovo, mai più come prima.
E in quello spartiacque sei scomparso tu, sangue nostro.
Tu e il tuo magro passamontagna.
Tu, ad aggiungerti a già troppi nomi, tu ad aprire la lista dei morti nostri, della mia generazione.
Ciao Carle’, mi vivi dentro passo dopo passo
A Carlo Giuliani, al suo assassino stupratore
“Non è un tipo che si fa ingabbiare”
Dieci, Nessuno, Trecentomila
Genova, dieci anni dopo
La vergogna di Strasburgo
Quel passo in più
Arresti G-8 a Roma: video e petizione
La coscienza civile si risvegli, la libertà di dissenso va difesa
successione in questi giorni. Ne hanno fatto le spese le giovani e i giovani colpiti dai provvedimenti di privazione della libertà personale in un contesto che dovrebbe essere tra i più protetti in uno stato di diritto: quello della manifestazione di dissenso, anche il più radicale. Con sorprendente tempismo, nella settimana del secondo G8 presieduto da Silvio Berlusconi, dopo quello tristemente noto di otto anni fa a Genova, ordini di carcerazione sono stati eseguiti a carico di 21 partecipanti alla contestazione dell’Onda studentesca nei confronti del “G8 dei rettori” di Torino, risalente a due mesi prima. Il giorno seguente, durante le prime contestazioni all’incontro dei capi di Stato e di governo, in occasione del transito a Roma delle delegazioni internazionali verso la sede del summit a Coppito nell’Abruzzo terremotato, gli ordini di carcerazione hanno riguardato 8 dei 36 giovani fermati nel corso di un corteo partito dalla terza Università pubblica della capitale.
Un corteo caricato dalle forze dell’ordine senza ragione alcuna, nel momento in cui i manifestanti stavano per sciogliersi e raggiungere la manifestazione convocata all’Università la Sapienza contro gli arresti del giorno prima. Nulla aveva compiuto il corteo nei confronti di cose e persone, e non risulta, né è stata contestata agli indagati, lesione alcuna all’incolumità di chicchessia. Mentre tra i fermati, chi è stato trattenuto in carcere, in stato d’arresto e perfino in regime di semi-isolamento, è noto essere impegnato in quotidiane e trasparenti attività politiche e sociali. Esattamente come è avvenuto con gli arresti di esponenti dell’Onda e dei movimenti che l’appoggiano, effettuati il giorno prima in tutta Italia.
Né si possono considerare integre, piene ed effettivamente tutelate le garanzie di agibilità democratica in un Paese, quando in esso l’autorità esercita forme di repressione generalizzata delle contestazioni collettive di dissenso, tanto più in occasioni delicate come un vertice internazionale di governi. La manifestazione del dissenso è infatti parte della normale dialettica di una società democratica.
Devono allarmarsi per le sorti della democrazia e della libertà di tutti: si comincia dalle posizioni radicali ma non si può prevedere dove ci si fermi.
Per leggere le firme e lasciare la propria questo è il link http://petizionearrestig8.noblogs.org
Qui invece il video di ricostruzione degli “scontri” dell’altro giorno con il simpatico atteggiamento della Digos
Comunicato dell’epicentro solidale in solidarietà agli arrestati di oggi
Abbiamo conosciuto Egidio i primissimi giorni dopo il terremoto, quando insieme ad altri compagni e compagne di Napoli è venuto a portare aiuti materiali e solidarietà umana.
Questa mattina, 6 luglio, è stato arrestato qui a L’Aquiila in maniera preventiva e senza precisi capi d’accusa, dopo aver partecipato alla grande fiaccolata pacifica della scorsa notte in ricordo delle vittime del terremoto. Crediamo che questo arresto come gli altri 20 avvenuti in tutta Italia con modalità intimidatorie, sia l’ennesimo tentativo di provocare e criminalizzare un movimento in vista del G8. Appare evidente che la gestione dell’emergenza legata al terremoto risponde alle medesime logiche imposte alle popolazioni del mondo dagli otto grandi. Per questo il percorso di ricostruzione della città dell’Aquila per noi è parte di tutti i momenti di lotta contro il G8.
Non possiamo far latro che esprimere la nostra piena solidarietà con tutti gli arrestati.
epicentro solidale
ARRESTI IN TUTTA ITALIA a poche ore dal G8
ONDATA DI ARRESTI E PERQUISIZIONI (SU MANDATO DELLA QUESTURA DI TORINO) DI DIVERSI COMPAGNI IN VARIE CITTa’ D’ ITALIA.
AD UN PAIO DI GIORNI DALL’INIZIO DELLE MOBILITAZIONI DI ROMA E L’AQUILA CONTRO IL G8 SI SCATENA LA REPRESSIONE SOPRATTUTTO AI DANNI DI CHI NEI PRECEDENTI MESI AVEVA LOTTATO ALL’INTERNO DEI MOVIMENTI STUDENTESCHI e DELL’ONDA, COSTRUENDO LA CONTESTAZIONE DEL G8 DELL’UNIVERSITA’, CHE SI E’ SVOLTO A TORINO TRA IL 17 E IL 19 MAGGIO.
SI PARLA GIA’ DI 21 ARRESTI DI CUI 4 GIA’ CONFERMATI.
LA CITTA’ PIU’ COLPITA E’ TORINO CON 15 COMPAGNI ARRESTATI, SOPRATTUTTO APPARTENENTI AL CENTRO SOCIALE ASKATASUNA: POI ALTRI 4 A BOLOGNA… PER PROSEGUIRE CON PADOVA, MILANO NAPOLI…
SOLIDARIETA’ AGLI ARRESTATI.
NIENTE FERMERA’ IL BISOGNO E LA NECESSITA’ DI MANIFESTARE.
Corrispondenze di Radio Onda Rossa: Venezia – Bologna – Torino –
9 LUGLIO : TUTT@ davanti al C.I.E. di Ponte Galeria
GIOVEDÌ 9 LUGLIO 2009, DALLE ORE 16.30 PRESIDIO DAVANTI AL CIE DI PONTE GALERIA
Nelle giornate in cui si svolgerà il G8 vogliamo stare a Ponte Galeria, mentre i cosiddetti “grandi della terra” saranno nascosti dentro una
caserma a parlare della crisi. I governi del mondo chiamano a gran voce la libera circolazione delle merci e dei capitali, pretendendo di
fermare e controllare i flussi migratori, mentre l’unica possibilità di movimento concessa alle persone sembra essere quella legata al mercato
del turismo o allo sfruttamento del lavoro.
Respingimenti, politiche securitarie e detenzioni indiscriminate sembrano essere le uniche risposte che i cosiddetti paesi industrializzati sono intenzionati a
praticare per fronteggiare questa crisi economica e sociale che hanno contribuito a creare. 
Vogliamo stare a Ponte Galeria perché nei CIE (Centri di identificazione ed espulsione) finiscono persone rastrellate per strada mentre tornano a
casa dopo una giornata di lavoro sottopagato, mentre fanno la fila per rinnovare il permesso di soggiorno, oppure mentre aspettano un amico per
uscire la sera. Puoi aver lavorato per vent’anni in Italia, puoi essere nata o nato qui, ed essere recluso solo perché non hai il permesso di
soggiorno.
All’interno dei CIE viene quotidianamente calpestata la dignità umana. Non è garantita l’assistenza igienico-sanitaria: spesso manca l’acqua
calda, non c’è ricambio di asciugamani e le persone dormono su lenzuoli usa e getta che sono costrette ad utilizzare per settimane. Ogni persona
ha diritto a un solo litro d’acqua al giorno, anche nei periodi più caldi. Molto spesso le persone detenute vengono imbottite di psicofarmaci, cosa che ha portato a collassi fisici, mentre viene rifiutata la possibilità di farsi visitare da un medico. Persone affette da malattie contagiose vengono lasciate a contatto con le altre, aumentando il rischio di epidemie, nell’indifferenza del personale sanitario e delle forze di polizia.
Chi è detenuto denuncia una carenza di comunicazione pressoché totale e le poche informazioni che sono disponibili non vengono tradotte nelle
diverse lingue. L’assistenza legale minima non è garantita. Le decisioni sulla detenzione e sulle espulsioni sono affidate ad avvocati civilisti
e giudici di pace, che non hanno le competenze necessarie per gestire i casi che si trovano di fronte.
Pestaggi e abusi da parte della polizia e della Croce Rossa (che gestisce il CIE di Ponte Galeria) sono all’ordine del giorno e chiunque si trovi a protestare subisce violenze fisiche e intimidazioni. Solo a Ponte Galeria negli ultimi tre mesi si sono registrate due morti: Salah Soudani, morto in circostanze poco chiare dopo che il personale sanitario ha rifiutato di fornirgli l’assistenza medica, e Nabruka Mimuni, che viveva in Italia da trent’anni e che, dopo aver
ripetutamente minacciato di togliersi la vita piuttosto che essere rimpatriata, è stata lasciata in balia del proprio destino.
Non è pensabile che persone che hanno scelto di andarsene dal proprio paese d’origine, mettendo spesso a rischio la propria vita per
costruirsi un futuro migliore, o per fuggire da un presente di oppressione, si trovino ad essere rinchiuse in un lager di stato.
La clandestinità non é un reato, ma una condizione imposta da politiche razziste, xenofobe, basate sullo sfruttamento. Noi non ci consideriamo
“italiani” o stranieri ma siamo tutti e tutte abitanti del mondo.
Reclamiamo la libertà di movimento di tutte e tutti.
Vogliamo la chiusura di tutti i Centri di Identificazione ed Espulsione.
Rifiutiamo la società dei recinti e delle frontiere.
GIOVEDÌ 9 LUGLIO, DALLE ORE 16.30
PRESIDIO A PONTE GALERIA: MUSICA, VOCI, PAROLE.
Portiamo tutta la nostra creatività, la nostra rabbia e la nostra forza davanti a quelle mura.
L’appuntamento è nel parcheggio della fermata “Fiera di Roma” del trenino per Fiumicino aeroporto
(Via Gaetano Rolli Lorenzini angolo Via Cesare Chiodi).
Francia: il servizio d’ordine del sindacato spranga i sans papiers
Segnalo due articoli che parlano di quello che sta accadendo a Parigi in questi giorni ma soprattutto di quello che ha accaduto una manciata di giorni fa, quando la Bourse du travail di Parigi è stata sgomberata (con il pestaggio di decine e decine di sans papiers) dagli uomini del servizio d’ordine del corrispettivo francese della CGIL.
Balordi picchiatori e bastonatori del sindacato.
Via, via, la nuova polizia!
Liberazione 25 giugno 2009, di Paolo Persichetti
Quando il servizio d’ordine del sindacato, di un sindacato che si dice «comunista», fa il lavoro della polizia e si mette al posto dei Crs, i reparti celere francesi, sgombera con le maniere forti, innaffiando di gas lacrimogeno, pugni e calci, donne e bambini, famiglie disperate e orgogliose di sans papiers,
colpevoli solo di lottare per avere il diritto di vivere, e che per questo occupavano da 14 mesi i locali della Bourse du travail di Parigi, vuol dire che questa sinistra non ha più nulla da dire. È morta. È un cadavere putrefatto. Una sinistra che è solo apparato. Che pensa solo ai suoi «beni». È successo mercoledì scorso verso le 12.30, quando una cinquantina di uomini col cranio rasato, il volto coperto, gli occhi protetti da occhialini da piscina e una fascia rossa al braccio, sono entrati con la forza nei locali della camera del lavoro vicino place de la Republique, e armati di bastoni hanno cosparso di gas lacrimogeno, inseguito e pestato i presenti, trascinandoli verso l’esterno (il grosso degli occupanti era impegnato a manifestare davanti alla prefettura). I testimoni raccontano di aver assistito a scene d’intensa violenza. «Era previsto e l’abbiamo fatto!», dichiara soddisfatto uno dei picchiatori. Increduli e scioccati, i circa 800 sans papiers carichi di fagotti e materassi fanno molta fatica a credere che la violenta aggressione abbia come origine proprio la Cgt, per altro spalleggiata dall’arrivo di decine di furgoni e centinaia di uomini della polizia schierati in assetto antisommossa. All’inizio molti passanti e commercianti avevano temuto un’aggressione lepenista. «Dopo aver tentato per mesi di negoziare una soluzione abbiamo deciso di mettere fine all’occupazione», si è giustificato Patrick Picard, segretario generale dell’Unione dipartimentale di Parigi. Da tempo il sindacato intratteneva relazioni molto tese con gli occupanti, in massima parte lavoratori di ditte di pulizie. Questi avevano deciso di riunirsi in un collettivo autonomo, il coordinamento sans papiers 75, rivendicando una regolarizzazione generale e non dei soli aderenti al sindacato.
Sgomberata con la forza dal servizio d’ordine della Cgt la camera del lavori di Parigi da 15 mesi occupata da un collettivo di sans paiers
Oreste Scalzone
L’Altro, 27 giugno 2009
Alle tre del mattino, poco prima del canto degli uccelli che risveglia il sole, sul largo marciapiede bagnato e corso da rigagnoli, un po’ sopraelevato che ha visto passare sul filo del tempo moltitudini di genti, fiumane di cortei di quelle classi pericolose che discendevano i faubourgs dalle ban-lieues, luoghi del bando e dei banditi, verso i cronotopi dei poteri costituiti, era coperto per duecento metri da fagotti di cenci.
Un ammasso di cenci circondato da transenne metalliche guardate a vista da sagome nere di poliziotti in tenuta antisommossa, a loro volta con le spalle coperte da teorie di camion. Avvicinandomi, comincio a distinguere facce, sagome, qualche brace di sigaretta, iskra che buca la notte. Potrebbero essere corpi – morti o ancor vivi, eccola la nuda vita ! – di deportati, respinti, cacciati a forza verso esodo forzato, in fuga senza fine. O corpi decisamente morti, di massacrati, di sterminati, di espulsi dall’umano, “sotto-uomini”. Sono bambini, donne, uomini avvolti in coperte, in sacchi a pelo o in niente, sdraiati su qualche brandina più o meno da campo, chi raggomitolato in un sonno che s’immagina buio, pesto e pesante e chissà se senza sogni, e incubi, o forse no. Parecchi stanno sollevati, appoggiati sul gomito a parlare. Overload di sottovoce, con qualche acuto, scoppio, abreazione, ragionamento. Quel marciapiede di corpi non è il fondo del peggio, navigando in rete si può trovare dell’incommensurabilmente più grave, più significativo, più tremendo. Ma, questo marciapiede, è qui, ora, su un piano di consistenza immanente, non più consistente di altri in sé, di per sé, ma per noi si.
Raggiungiamo i capannelli, si materializzano facce di compagni e compagne. Cerchiamo, troviamo quelli di noialtri che in questi quattordici o quindici mesi hanno dedicato passione, applicazione, tempo di vita a questa sorta di zattera ferma nel cuore di Parigi, fatto con i sans-papier giornali, radio, televisioni porta-a-porta, un sito nella Tela, dibattiti nella grande corte della Bourse de Travail di rue Charlot occupata, divenuta come una piazza di villaggio africano. Le Bourse de Travail sono antiche istituizioni territoriali dei movimenti operai, presto “formattate” dalle strutture sindacali. Cerchiamo, troviamo o ci dicono che sono qua o là – bisogna stare attenti a camminare per non calpestare coperte, quando non corpi –, Claudio, François o Michel, complici nella facitura di un aperiodico Quotidién des sans-papiers, poi del Journal de la Bourse du travail occupée, e altro ancora…
Incontriamo un sacco di gente, sans-papiers, “compagnerìa”. Ci dicono tutti quello che poi stamattina troviamo, chiunque può trovare, confermato sulla stampa, nella rete, addirittura sfrontatamente rivendicato nei comunicati. É stata una squadraccia, una squadra d’azione del servizio d’ordine della Cgt, la Confederazione generale del lavoro, padrona dei luoghi, gerente dell’edificio, che – dopo aver “schiumato” per tutti i quattordici mesi dell’occupazione – ieri verso mezzogiorno è passata all’atto. Tutti i disagi, i disfunzionamenti, le ragioni accampate hanno un loro fondamento (ma questo vale sempre, o comunque in tanti altri casi…).
Al limite, per uno come me, forse sarebbe stato ancora peggiore se avessero fatto la stessa cosa per interposta polizia invece che passando all’azione diretta, terrorizzando in proprio per primi i bambini, con una brutalità che a torto si usa – con termine etnocentrista e civilizzatore – definire «barbara» e «selvaggia». Ma queste sono sfumature, dettagli. Resta, che hanno compiuto un passo, un salto mortale, uno strappo, che non è nuovo ma è sempre un po’ nuovo e un po’ diverso. Fa di nuovo irruzione sulla scena lo chauvinismo del «socialismo dai colori della Francia» che aveva spinto al crimine trent’anni fa il sindaco Pcf di Vitry, il quale aveva rotto un tabù mandando le ruspe a radere al suolo un foyer d’immigrati magrebini (con il pretesto – che, come sempre, o quasi, aveva anche degli elementi di fondamento: e allora? Non è qui il nodo della cosa! – che gl’immigrati doveva prenderseli il sindaco giscardiano del comune attiguo, che la dislocazione delle residenze degli immigrati veniva fatta dalle autorità in modo non casuale, e provocava la spirale viziosa dell’impoverimento crescente dei comuni le cui entrate fiscali si abbassano in modo corrispondente alla modificazione della composizione sociale dei residenti, con i relativi effetti di degrado).
La breccia aperta allora dal sindaco di Vitry aveva creato le pre-condizioni per l’irruzione del lepenismo, di questo risentimento intruppato in mentalità e comportamenti da white-shit, di populismo xenofobo, nutrito d’antiche ossessioni antisemite e di più recenti pozzi neri viscerali e mentali colonialisti, post-colonialisti, corporativi, servo/padronali. Comportamenti e mentalità che in Francia, in generale, non sono passati all’azione diretta ma sono rimasti piuttosto su un piano ideologico-elettorale. Comunque più grave dei picchi lepenisti arrivati a sfiorare il 20%, era soprattutto per il loro effetto indiretto, quello di scatenare una corsa a “rasar l’erba sotto i piedi di Le Pen” facendo proprie, le rivendicazioni e proposte che incarnava. Quasi un modello di fascismo per motivi antifascisti….
Potremmo dire, tagliando rozzamente, che una serie di parole composte più radicali che una lama di rasoio po
ssono essere applicate, come definizioni critiche e criticissime, sia alla socialdemocrazia che – a maggior ragione data la sua potenza di mi[s]tificazione, e innanzitutto il potere di contraffazione onomastica e di manipolazione nel profondo delle soggettività, fino alle passioni, agli affetti più viscerali – alla variante boscevica, social-©omunista, del corpus del “marxismo volgare anti-marxiano”, kautsko-lassalliano, vera e propria controrivoluzione contro il comunismo comunardo. Possiamo parlare di socialismi lavoristi/padronali, capitalistici, statali, e dunque anche nazionalisti, colonialisti, imperialisti, xenofobi, razzisti, fascisti. D’altronde, il fascismo, il nazional-socialismo non sono forse, tra l’altro, nella loro effettualità sociale, l’intruppamento di milioni di proletari, e di operai, in forme stornate, deformate, mostruose che formattano l’odio di classe corrompendolo, snaturandolo, trainandolo verso una conseguenza abietta, il rifarsela sugli ancor più deboli, il riprodurre relazioni di sopraffazione, di sottomissione, a catena, a cascata, in una corsa miserabile spinta da concorrenza mimetica, in un gioco di scaricabarile o comunque, al massimo, di specularità subalterna, come ritorsione?
Senza rischiare di doverci sentir accusare di «banalizzazione», non possiamo vedere nell’uovo del serpente del cumulo di ambivalenze risolventisi in ambiguità a premessa di successive decantazioni, che connotava le prime scorribande delle SA nelle strade di Weimar, l’embrione di quello che sarà lo scenario risolutamente apocalittico degli ultimi anni ’30 e della prima méta dei ’40 ? Niente si ripete mai identicamente (e la frase di Marx sulla farsa come calco e replica della tragedia non è certo una regoletta catechistica). Niente si ripete identicamente, ma questo non vuol dire che ogni volta si debba cercare l’assolutamente inedito – è per questo che, nel finale dell’Arturo Ui, Brecht attira l’attenzione sul grembo sempre fertile che partorì la bestia immonda. Dev’essere però mostrato con chiarezza che ciò che ha deciso e fatto eseguire da elementi della sua truppa la Cgt ieri, è della stessa natura di ciò che la Lega Nord o i caricaturali nazistoidi di Saja, stanno inscenando nelle strade delle città italiane. Si tratta di formattazione del male di vivere nelle forme che, in una luminosa definizione benjaminiana, sono le più antitetiche all’autocognizione come classe, che è dunque forma autopoïetica.
Soldataglia coloniale, turba fascista, teppa shalamoviana – ognuna inquadrata dai corrispondenti gerarchi e relative catene: queste sono le definizioni appropriate.
I Thibaud (il segretario generale della Cgt) non sono, in sé, migliori o peggiori dei Maroni o Hortefeux (il suo omologo di Francia) – questa problematica comparatista su migliori, peggiori, men-peggiori ci sembra insensata. Sono – e chi non lo aveva rivelato interamente prima, in questo passaggio e momento della verità lo mostra inequivocabilmente – dei veri e propri nemici. Ma rispetto ad autorappresentazioni e proiezioni d’attesa e fiducia che essi irradiano, a partire dall’onomastica, i Thibaud rappresentano la componente dell’infamia. Non perché realmente «tradiscano» qualcosa (che, per come si ponevano ed erano, son sempre stati, c’era poco o niente da tradire…), ma perché la lunga persistenza del peso delle parole, quel dirsi comunisti, li ha legati per ragioni di catene genealogiche di cui resta comunque una conseguenza onomastica pregna di mistificazione ed equivoco, una conseguenza di omonimia. Se si farà un corteo sotto la sede della Cgt, non sarà questione di psicodrammi e di “lacrime e parole amare”, ma il dirigere la lotta, di volta in volta, là dove risiede il potere costituito responsabile di un atto d’ostilità, di vera e propria guerra sociale. Una nota – non già di speranza, ma di scommessa: dopo più di ventiquattrore, sono ancora tutti e tutte lì, su quel marciapiede, e a rischio di una retata che li porti in un centro di detenzione e di smistamento per la deportazione. La vita nuda mostra così la sua irriducibile potenza, la sua disperata vitalità, potenza di persistere nel proprio essere
Netanyahu a Roma…nel silenzio di tutt@
OGGI ALLE 14 SILVIO BERLUSCONI INCONTRERA’ IL PRIMO MINISTRO ISRAELIANO BENJAMIN NETANYAHU, A PALAZZO CHIGI.
DOV’E’ L’ONDA? E TUTTI QUELLI CHE MANIFESTAVANO CONTRO GHEDDAFI DOVE SONO?
NESSUNO SENTE L’ESIGENZA DI MANIFESTARE CONTRO LE POLITICHE D’OCCUPAZIONE DELLO STATO D’ISRAELE, NESSUNO SEMBRA SENTIRE L’ESIGENZA DI MANIFESTARE CONTRO IL MURO DELL’APARTHEID, A NESSUNO BRUCIA PIU’ IL SANGUE PER QUELLO CHE SOLI 6 MESI FA E’ STATO FATTO ALLA POPOLAZIONE DELLA STRISCIA DI GAZA, NESSUNO SEMBRA INDIGNARSI PER I NUOVI PERSONAGGI SALITI ALLA KNESSET DOPO LE ULTIME ELEZIONI DI CUI NETANYAHU E’ IL LEADER…
Siamo tutte Neda!
Teheran, 22 Giugno 2009 (h. 10.08) — “Ieri avevo scritto un breve appunto perchè avevo un’idea fissa: ‘domani sarà un grande giorno [alla manifestazione] , ma io potrei essere uccisa…’ Invece ora io sono qui, viva, e a essere uccisa è stata mia sorella. Sono qui a piangere mia sorella morta tra le braccia di mio padre. Io sono qui per raccontarvi quanti sogni coltivava mia sorella… Io sono qui per raccontarvi quanto fosse una persona dignitosa e bella, mia sorella…Sono qui per raccontarvi come mi piaceva guardarla quando il vento le agitava i capelli… Quanto [Neda] volesse vivere a lungo, in pace e in eguaglianza di diriiti…. Di quanto fosse orgogliosa di dire a tutti, a testa alta, ‘Io sono iraniana’…”
“Di quanto fosse felice quando sognava di avere un giorno un marito con capelli spettinati, [sognava] di avere una figlia e di poterle fare la treccia ai capelli e cantarle una ninna-nanna mentre dormiva nella culla. Mia sorella è morta per colpa di chi non conosceva la vita, mia sorella è morta per un’ingiustizia senza fine, mia sorella è morta perchè amava troppo la vita… Mia sorella è morta perchè provava amore per tutte le persone…”
“Chiunque leggerà questa mia lettera, per favore, accenda una candela nera con un piccolo nastro verde alla base e ricordi Neda e tutti i Martiri di queste giornate, ma quando la candela si sarà spenta non dimenticatevi di noi, non lasciateci soli…”
Negato il Gay Pride: ORA BASTA!
L’assemblea conclusiva del Festival sociale delle culture antifasciste ha appreso che, attraverso il protocollo recentemente adottato dal comune di Roma (simile a molti altri adottati in altre città italiane), che limita i percorsi consentiti per le manifestazioni nella capitale e con il pretesto di feste religiose, presenza di ‘obiettivi istituzionali’ e quant’altro, l’amministrazione guidata da Alemanno sta negando l’autorizzazione a qualsiasi percorso appena plausibile per il Roma Pride, di fatto impedendone lo svolgimento.
L’assemblea del Festival sociale delle culture antifasciste ha adottato il comunicato di Facciamo Breccia riportato qui sotto e invita le realtà antifasciste ad aderire e a mobilitarsi.
Negato il Roma Pride. Facciamo Breccia invita alla mobilitazione.
Facciamo Breccia denuncia la gravità della situazione che si è creata a Roma dove, con pretesti di ordine pubblico, l’amministrazione guidata da Alemanno, sta impedendo di fatto lo svolgimento del Pride, la storica manifestazione di liberazione di lesbiche, trans e gay che dal 1994 ogni anno si svolge nella capitale. Tale divieto è inaccettabile non solo per lesbiche, trans e gay ma per tutte e tutti coloro per cui la libertà, la liberazione, il diritto di manifestare sono valori irrinunciabili, specialmente in un momento in cui la violenza nel nostro paese sta raggiungendo picchi altissimi.
L’attacco alle soggettività meno protette rappresenta da sempre un segnale chiaro e incontrovertibile dell’instaurarsi di un regime violento contro ogni forma di libera espressione e di dissenso. Accettare questo divieto significa scavare la fossa a quel residuo di libertà rimasta nel nostro paese e questo non è accettabile per chiunque ritenga l’autodeterminazione, la laicità, l’antifascismo principi irrinunciabili.
Il coordinamento Facciamo Breccia invita tutte le realtà antifasciste e autodeterminate alla mobilitazione per il pride del prossimo 13 giugno, in difesa dell’agibilità politica, della libertà di manifestazione e dell’autodeterminazione di tutte e tutti.
per adesioni: info@facciamobreccia.org
Aqel Srour, l’esercito israeliano e i proiettili nel cuore…
Oggi a Nilin, villaggio palestinese situato in Cisgiordania (vicino Ramallah) si stava svolgendo una manifestazione contro il muro della vergogna, il Muro dell’Apartheid come avviene ogni venerdì da diverso tempo, ormai. E’ un appuntamento per chi subisce la segregazione e l’occupazione militare e per tutti gli internazionali che sostengono la popolazione palestinse.
Aqel Srour, era questo il suo nome, aveva 35 anni e durante la manifestazione è stato colpito a morte dall’esercito israeliano con un colpo al cuore. Un ragazzo, un palestinese armato solo di desiderio di libertà e forse di qualche sasso.
Accanto a lui è rimasto ferito anche un ragazzo di 15 anni, anche lui del villaggio.
Lo scorso 17 aprile un altro trentenne è stato freddato in questo modo nel villaggio diventato simbolo delle mobilitazioni contro il muro, Bilin: la mano di chi ha sparato è la stessa dal 1948.
THE WALL MUST FALL! FREE PALESTINE!
DOBBIAMO CHIUDERLI!!!
CHIUDIAMO I CENTRI DI IDENTIFICAZIONE ED ESPULSIONE.
PER UN MONDO SENZA FRONTIERE E GALERE…. SIAMO TUTTI/E CLANDESTINI/E

Immagini dalla manifestazione sotto il Centro di Identificazione ed Espulsione di Ponte Galeria, fatta venerdì pomeriggio da alcuni attivisti. ABBATTIAMO LE FRONTIERE, ABBATTIAMO LE GALERE
Tutte le foto sono tratte da Indymedia
Ancona: si suicida invece di attendere lo sfratto…
Ci si suicida per paura di perdere casa e lavoro, nel paese che parla di Noemi, nel paese che non è più nemmeno in grado di sognare un qualcosa di diverso per noi, per i nostri figli e per i nostri vecchietti.
E’ successo in un quartiere della periferia di Ancona, questa mattina. Un uomo di 63 anni s’è ammazzato, con un colpo di pistola al cuore mentre aspettava lo sfratto. Aveva lasciato anche le chiavi di casa attaccate alla porta, già consapevole probabilmente che il suo corpo sarebbe stato proprio trovato dall’ufficiale giudiziario che lo cercava per consegnagli lo sfratto.
Gli ha lasciato le chiavi…
Nel frattempo un esempio di come vengono licenziate i lavoratori, con telegrammi ad effetto immediato… decine e decine al giorno.
MITTENTE:
_ _ _ _ _ _ SPA
ZONA INDUSTRIALE
74100 TARANTO
DESTINATARIO:
MARCO _ _ _ _ _ _
VIA _ _ _ _ _ _ _ N. _ _
74024 MANDURIA
TESTO:
IL PRESENTE PER COMUNICARLE L’AVVENUTA CESSAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO TRA LEI E L’AZIENDA _ _ _ _ _ SPA.
IL PRESENTE HA EFFETTO IMMEDIATO , QUINDI NON DEVE RAGGIUNGERE IL SUO POSTO DI LAVORO GIA’ DA DOMANI MATTINA. SEGUE RACCOMANDATA CON I DETTAGLI. CORDIALMENTE
DISTINTI SALUTI
IL RESPONSABILE RISORSE UMANE G. _ _ _ _ _ _
Franco Fortini: Israele e “decenza democratica”
Quel che “succede” (violenze, arresti, assassinii) accade a pochi kilometri da qui, alla periferia; e tutti i giorni, da diciotto mesi.
Sul Jerusalem Post di oggi la notizia degli ultimi due morti ammazzati, quelli di ieri (vittima uno di un colono, l’altro dell’esercito è nascosta in due righe, all’interno di un articolo. Non è, in alcun senso, una notizia. “E più nessuno è colpevole”.
Tornato da pochi giorni a Milano ho udito con le mie orecchie un distinto e anziano giornalista politico dichiarare nel corso di una pubblica tavola rotonda che la insistenza della stampa di sinistra italiana sui ragazzi palestinese ammazzati nel corso dell’Intifada altro non era se non la ricomparsa del mito fanatico che agli ebrei attribuiva l’assassinio rituale di bambini cristiani.
Mi sono alzato, con una stretta allo stomaco, e sono uscito.
Ma i più dei presenti anche se di avviso difforme da quello dell’oratore avranno certamente pensato che si debbono rispettare tutte le opinioni.
Avranno educatamente applaudito la fine dell’intervento.
Hanno imparato la virtuosa decenza democratica.
_FRANCO FORTINI_ “Extrema Ratio” 1989
LUNEDI’ 4 MAGGIO, dalle ore 18, PRESIDIO A LARGO ARGENTINA CONTRO IL BOIA LIEBERMAN, MINISTRO DEGLI ESTERI ISRAELIANO, LEADER DEL PARTITO XENOFOBO “ISRAEL BEITENU”

OSPITE NON GRADITO: Lieberman tra qualche giorno è a Roma
OSPITE NON GRADITO
Il 4 maggio sarà a Roma il Ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman del nuovo governo guidato da Benjamin Netanyahu, leader del partito xenofobo di estrema destra Israel Beitenu.
Tira brutt’aria per i padroni: WOW
Una nuova arma sociale per i lavoratori: il bossnapping
L’epopea borghese dei golden boys e degli yuppie non tira più. Kit antisequestri per i manager d’impresa
di Paolo Persichetti
Liberazione 11 aprile 2009
Brutti tempi per le gerarchie d’impresa chiamate a confrontarsi con un nuovo fenomeno chiamato bossnapping, «La nuova arma sociale dei lavoratori», scrive il quotidiano francese Libération. L’obbligo di non alzarsi più dal tavolo e uscire dagli uffici delle direzioni aziendali fintantoché non si è pervenuti ad un accordo accettabile. Davvero brutte nottate in bianco attendono i Patrons. La sensazione è che la crisi attuale abbia fatto girare il vento. È finita la pacchia. L’epopea borghese dei golden boys e degli yuppie non tira più. I manager sono sotto stress. Fa di nuovo capolino la «grande paura», quella raccontata da Cesare Romiti in un libro di Gianpaolo Pansa,
vera e propria autobiografia del ceto imprenditoriale italiano degli anni 70. Per fare fronte a questo trauma, un avvocato francese esperto di diritto e relazioni sociali, Sylvain Niel, ha preparato un piccolo manuale, pubblicato dal quotidiano economico la Tribune. Nell’opuscolo, l’esperto dispensa ai manager una decina di consigli «anti sequestro», per «evitare di cadere in trappola durante una trattativa» e su come comportarsi in caso di sequestro.
Azioni legittime
Azioni legittime o azioni illegali? Il ricorso al bossnapping, cioè alla «trattativa forzata» da parte degli operai quando le aziende rifiutano di negoziare i piani di crisi, oppure nemmeno accettano di siedere al tavolo delle trattative comunicando semplicemente la lista dei dipendenti licenziati, fa discutere non solo la Francia.
Va detto subito che fino a questo momento si è trattato di un modello di lotta che oltre a riscontrare consenso nell’opinione pubblica è risultato “pagante”, come ha dimostrato fino ad ora l’esperienza concreta, seppur attuato in un contesto ultradifensivo che mira unicamente a ridurre i danni. Alla Caterpillar di Grenoble sembra che l’azienda abbia rinunciato a licenziare, garantendo l’apertura della fabrica per altri tre anni nella speranza che intervenga un nuovo ciclo espansivo. In altri siti, gli operai hanno ottenuto migliori indennità di licenziamento, ammortizzatori sociali, riducendo anche l’attacco portato ai livelli occupazionali.
Questo repertorio d’azione – come viene definito dal linguaggio asettico dei sociologi del conflitto che cercano di fotografare i comportamenti sociali senza caricarli di giudizi di valore -, comincia ad estendersi altrove seguendo un classico dispositivo d’emulazione. È arrivato in Belgio mercoledì scorso, dove tre manager Fiat sono rimasti bloccati per 5 ore negli uffici di una filiale commerciale di Bruxelles. C’è stato per l’ennesima volta in Francia, dove i dipendenti di Faurecia, azienda dell’indotto automobilistico filiale del gruppo Psa Peugeot Citroen, giovedì sera hanno bloccato per 5 ore tre quadri dirigenti del gruppo. In questo caso il bossnapping messo in pratica dai dipendenti ha assunto una valenza ancora più significativa perché il sito è costituito essenzialmente da uffici di un centro studi, dove le maestranze (circa mille) sono in prevalenza “colletti bianchi”, ingegneri, tecnici e amministrativi. Ciò vuol dire che il ricorso a pratiche di lotta radicale non è solo patrimonio della classe operai ma guadagna anche i ceti medi colpiti dalla crisi. Un blocco di manager nei loro uffici c’è anche stato in italia, alla Benetton di Piobesi, il 25 febbraio scorso, ma è passato sotto silenzio.
«Si tratta di azioni sindacali coordinate e organizzate assolutamente non paragonabili a dei sequestri», ha spiegato dalla Francia il segretario della Cgt, Bernard Thibault, che ha giustificato il ricorso a queste forme d’azione «fintantoché non producono rischi fisici sui dirigenti d’impresa». Azioni più che legittime dunque, capaci d’attirare per la loro alta simbolicità «microfoni e telecamere», se è vero che cortei, scioperi e picchetti non sono più sufficienti per costringere il padronato a trattare. Il succo del ragionamento è semplice: quando le gerarchie aziendali fanno orecchie da mercante, pensando d’imporre il loro punto di vista senza ascoltare quello della controparte operaia, occorre imporre loro la trattativa. Lì dove non c’è negoziato si apre allora uno spazio di conflitto ulteriore. È il «conflitto negoziato» che in Francia, a differenza dell’Italia, non ha mai perso agibilità politica e sociale. Le azioni «coups de poing» (colpo di mano), non appartengono solo al repertorio d’azione della Cgt, ma sono condivise oltre che da altri sindacati collocati sul fronte della sinistra radicale e anticapitalista, come le coordinazioni e Sud, anche dalle associazioni rurali,
dei contadini, pescatori e camionisti, spesso bacini elettorali delle forze moderate. Oltralpe la tradizione corporativa del conflitto ha mantenuto sempre piena legittimità. Fintantoché non vengono percepite come un attacco politico alla sicurezza dello Stato, queste forme d’azione collettiva sono ritenute domande sociali a cui la politica è chiamata a dare risposte. Semmai in quel che accade oggi emerge un forte deficit delle forze politiche della sinistra incapaci di fornire rappresentanza.
Embrioni vitali di autonomia operaia
Queste lotte difensive hanno il sapore di embrioni vitali di autonomia operaia. La sensazione è che la crisi attuale abbia fatto girare il vento. L’epopea borghese dei golden boys e degli yuppie non tira più. I manager sono sotto stress. Per fare fronte a questo trauma, un avvocato francese esperto di diritto e relazioni sociali, Sylvain Niel, ha preparato un piccolo manuale, pubblicato dal quotidiano economico la Tribune. Nell’opuscolo, l’esperto dispensa ai manager una decina di consigli «anti sequestro», per «evitare di cadere in trappola durante una trattativa» e su come comportarsi in caso di sequestro.
A leggerlo sembra una presa in giro, ma è tutto vero. Prima regola: conservare un «kit di sopravvivenza», un telefono cellulare di scorta con numero criptato e recapiti d’emergenza (polizia, famiglia), trousse per la toilette, cambio di biancheria nel caso si dovesse passare la notte in ufficio. Ma, suggerisce l’esperto, «è meglio prevenire» per non finire come quel responsabile del personale di un’azienda che si vide costretto ad uscire disteso in una bara dalla sala in cui era “ospitato” . Fondamentale allora è «una stima del rischio di ammutinamento contro la direzione», «individuare sempre i leader della protesta», «non andare mai da soli a negoziare con le parti sociali, ricorrere sempre ad un mediatore». Infine, se dovesse andare male «accettare tutte le richieste dei dipendenti perché gli impegni presi sotto costrizione non hanno valore giuridico».
Manca però la cosa essenziale, qualche buon libro di filosofia capace di aprire la testa dei manager per dare aria alle loro anguste visioni culturali, nutrite solo di manuali sulla gestione delle risorse umane, la performatività delle prestazioni, l’economia aziendale. Magari Discours sur l’inégalité parmi les hommes di Jean-Jacques Rousseau e il primo libro del Capitale del dottor Marx, tanto per cominciare.
Sanzione dal basso ad Impregilo: comunicato stampa
All’ ora di pranzo diverse decine di studenti delle scuole e giovani precari hanno dato vita ad un’azione di sanzione dal basso alla Benetton di Via Cola di Rienzo. Abbiamo bloccato l’ingresso dell’esercizio commerciale
con uno striscione con su scritto “Benetton e Impregilo vergogna!”, volantinato dentro il negozio e ai passanti, accesi diversi fumogeni.
La Benetton è infatti uno dei maggiori azionisti di Impregilo, l’azienda che ha costruito l’ospedale crollato all’Aquila e responsabile di progetti che violentano e devastano territori e popolazioni in Italia (vedi la TAV e l’emergenza rifiuti a Napoli) e all’estero (con progetti in Colombia, Turchia, Sud Africa). Mentre si svolgevano i funerali di stato con il cordoglio ipocrita delle Istituzioni, con questa azione abbiamo voluto denunciare i responsabili di speculazioni e malgoverno del territorio che hanno portato all’aumento delle vittime del terremoto in Abruzzo. Nelle prossime settimane continueremo a portare la nostra solidarietà dal basso alla popolazione colpita e a dare vita ad una campagna di denuncia delle responsabilità di quello che è successo, monitoreremo l’opera di ricostruzione e di aiuto alle popolazioni colpite e vigileremo sull’opera del governo e sulle operazioni di speculatori e avvoltoi.
Studenti e giovani precari solidali
40 anni dalla rivolta di Battipaglia
Il 9 aprile del 1969 si ebbero gravi incidenti a Battipaglia, al diffondersi della notizia della decisione di chiudere due aziende storiche come la
manifattura dei tabacchi e lo zuccherificio. Per la città è una tragedia, dal momento che metà della popolazione vive su queste due fabbriche, sulle coltivazioni e sull’indotto. La chiusura di queste aziende significherebbe quindi disoccupazione e miseria. Vengono indette manifestazioni di protesta e cortei, e lo scontro con le forze dell’ordine è drammatico. L’assedio dei dimostranti diventa un attacco, e la polizia perde la testa e spara sulla folla uccidendo due persone: Carmine Citro, operaio tipografo di 19 anni, e Teresa Ricciardi, insegnante in una scuola media di Eboli, che viene raggiunta al petto da una pallottola mentre è affacciata alla finestra di casa sua. Le cariche della polizia si susseguono per tutto il pomeriggio, ed in tutto si contano 200 feriti (di cui 100 da arma da fuoco) fra i dimostranti, e 100 tra i membri delle forze dell’ordine.
Il giorno seguente la gente scende in piazza inferocita, blocca ferrovie, strade e autostrade, dalle 17
alle 22 la città è in mano a tremila dimostranti, che devastano la stazione, incendiano il municipio, danno fuoco a duecento auto e poi assediano il commissariato di polizia e la caserma dei carabinieri. A Roma arriva invece la notizia che ci sono stati cinquanta morti e, temendo una insurrezione generale, viene subito trovato un accordo per la riapertura delle due aziende.
Battipaglia nove aprile
tutti in piazza sono scesi
rossi, bianchi, d’ogni colore
per difendere il lavoro.
Come sempre li padroni
la sbirraglia hanno mandato
con i mitra caricati
come ad Avola e Viareggio.
Chista è storia di oggi
storia di povera gente
ammazzata come cani
per difendere lu pani.
Nella terra di Campania
dove Cristo s’è fermato
scorre il sangue nella strada
della gente più sfruttata.
Carmine si chiamava
lu guaglione assassinata
e Teresa la maestra
che lu core ci hanno squarciatu.
E la storia si ripete
come sempre c’è l’inchiesta
gli assassini restan fuori
e i poveri in galera.
Continuano i sequestri di manager…non qui, in Francia
I lavoratori francesi sfidano l’ira di Sarkozy
Sondaggio: per metà dei francesi sono forme di lotta legittime
Paolo Persichetti, Liberazione 9 aprile 2009
Tre dirigenti britannici del gruppo di adesivi industriali Scapa, con sede a Manchester in Gran Bretagna, e un manager locale, trattenuti da martedì sera all’interno della filiale francese di Bellegarde sur Valserine sono stati rilasciati dai dipendenti nel pomeriggio di ieri.
Gli operai protestavano contro il piano di crisi che prevede la chiusura completa dell’impianto. Lo si è appreso ieri da fonti sindacali e dell’azienda. Il direttore delle operazioni europee, il direttore finanziario e la direttrice del personale di Scapa France, tutti e tre britannici, così come il direttore generale, questa volta di nazionalità francese, sono stati trattenuti all’interno della fabbrica. Erano «liberi di muoversi, ma non di uscire», aveva precisato una fonte sindacale. I dirigenti che lavorano a Valence, dove si trova il principale stabilimento del gruppo in Francia, erano stati invitati a non lasciare i locali al termine di una seduta di negoziati con il personale. La trattativa riguardava le indennità di licenziamento di 60 dipendenti coinvolti nel piano di crisi, praticamente le intere maestranze dello stabilimento. La direzione di Scapa, che impiega 1500 persone nei diversi
stabilimenti ripartiti in vari paesi del mondo, intende chiudere la fabbrica di Bellegarde-sur-Valserine specializzata negli adesivi per automobili a causa del crollo di vendite del 50% riscontrato nel 2008.
La situazione si è sbloccata solo dopo la mediazione della prefettura, cioè del governo. Appena ottenuto il “permesso di uscita”, i quattro manager hanno raggiunto i locali del comune dove sono stati trasferiti i negoziati tra sindacati e direzione dell’azienda sotto la supervisione del viceprefetto.
Nel corso delle ultime settimane in Francia si sono ripetuti i sequestri di manager delle aziende in crisi che hanno annunciato licenziamenti e chiusure degli stabilimenti. Gli operai di Caterpillar, Sony France, 3M, hanno fatto parlare di loro inasprendo le forme di lotta. Oltre allo sciopero, si è diffusa come forma di azione legittima il sequestro dei dirigenti d’impresa quando i negoziati sindacali si rivelano infruttuosi.
Queste azioni, oltre ad illustrare una tensione sociale crescente, lasciano trapelare una strategia di lotta tornata patrimonio comune.
Di fronte al continuo ripetersi di questi episodi Nicolas Sarkozy ha alzato i toni martedì scorso annunciando che «non verranno più tollerati». Alle parole del capo dello Stato ha subito risposto Martine Aubry, segretaria del partito socialista, affermando che «la violenza sociale spiega perché si possa arrivare a tanto». La polemica si era scatenata dopo che l’ex candidata socialista alla presidenza della repubblica, Segolène Royal, aveva in qualche modo giustificato queste iniziative, affermando che dei salariati «resi sempre più fragili, calpestati e disprezzati» potessero fare ricorso anche a pratiche al limite della legalità.
Dichiarazioni che hanno subito scatenato gli esponenti della destra, convinti che i moderatissimi socialisti francesi e gli algidi centristi del MoDem stiano strumentalizzando «le angosce dei francesi, incitando mattina, giorno e sera alla violenza».
Eppure, secondo alcuni sondaggi, solo il 7% della popolazione condanna esplicitamente queste azioni; il 45% le trova accettabili; il 30% le approva, il 63% le comprende. Insomma i francesi non sono per nulla ostili.
Vista dall’Italia, la Francia è davvero lontana.
Il video che inchioda Scotland Yard
Questo il video, esclusiva del Guardian, sulla morte di Ian Tomlinson, morto a Londra durante le manifestazioni contro il G-20.
Si vede chiaramente Ian camminare tranquillo, con le mani in tasca. Aggredito a freddo, alle spalle, dalla polizia anti-sommossa, cade a terra sbattendo la testa sul marciapiede. Morirà 15 minuti dopo, accasciandosi a terra per strada.
Secondo Scotland Yard è morto per “cause naturali”.
ATESIA: la lotta non si processa
APPUNTAMENTO DOMANI 8 APRILE A ROMA, AI CANCELLI DEL PALAZZO DI GIUSTIZIA DI PIAZZALE CLODIO. ALLE ORE 9. L’UDIENZA SI TERRA’ NELL’AULA 16: GIUDICE ROMANO
Il 1 giugno 2006 lavoratori e lavoratrici in sciopero, sindacati di base e collettivi politici stringevano in assedio la più grande fabbrica di precariato di Roma: Atesia. Era il punto culminante di una serie di mobilitazioni contro la riduzione del salario e l’estrema precarizzazione nel comparto dell’ict. Chi scioperava e chi picchettava chiedeva che, ad Atesia, il padrone (il signor Tripi, uno dei grandi elettori del centro-sinistra) rispettasse almeno le disposizioni dell’infame legge 30. Almeno quelle! Chiedeva che fosse riconosciuta la natura subordinata della prestazione lavorativa, che fosse riconfermato il contratto ai quattrocento lavoratori mandati via dopo i primi scioperi, che si aumentassero i minimi salariali che non superavano le cinquecento euro mensili, che fossero finalmente assunti a tempo indeterminato lavoratori che da anni, ogni tre mesi, dovevano rinnovare il proprio contratto. La mobilitazione ebbe un grande successo: su quattromila lavoratori, ne entrarono quaranta. Nel pomeriggio l’azienda addirittura chiuse, nell’impossibilità di erogare il servizio.
La repressione, però, non tardava ad arrivare: oltre ai mancati rinnovi, questa volta partivano anche quindici denunce. Risibili i capi di imputazione, si parlava addirittura di “slogan contro l’azienda e contro la precarietà”. Ora non si può neanche protestare! Zitti, muti, le parole servono solo per rispondere al telefono o per offrire promozioni agli utenti. In-bound, out-bound: il lessico dei diritti finisce qui. Nel frattempo persino il giudice provinciale del lavoro afferma che non si può utilizzare il contratto di lavoro parasubordinato per le telefonate in-bound e che il contratto a progetto è incompatibile con il call-center. Persino l’ottuso governo di centro-sinistra stabilisce l’assunzione a tempo indeterminato di ventimila lavoratori del settore. Ma la lotta non è vinta: i salari sono sempre da fame, i tre porcellini dei sindacati confederali (con l’Ugl) continuano a firmare di tutto, ad Atesia si continua a lavorare da schifo. Soprattutto, si apre il processo contro i quindici compagn*.
Il Collettivo Precari Atesia, l’Assemblea Coordinata e Continuativa contro la Precarietà, la Confederazione Cobas e lo Slai Cobas invitano a partecipare all’udienza di mercoledì 8 aprile (h.9.30, ple Clodio, sezione 16). Solidarizzare con i compagni e le compagne denunciate significa dare un segnale alle istituzioni e ai padroni: su Atesia non si torna indietro!
Giovedì 23 aprile (h.10.30), inoltre, presso il Tribunale del Lavoro (v. Lepanto, 4) si apre un altro processo: questa volta la parte lesa sono i lavoratori. L’obiettivo è dare un segnale di cambiamento, dal momento che proprio tante recenti sentenze dei giudici del lavoro hanno contribuito a rendere drammatica la difesa dei propri diritti nelle fabbriche e nelle aziende.
Giovedì 23 aprile è anche il giorno dello sciopero generale: essere presenti al Tribunale del Lavoro significa rendere concreta quella giornata.
La questione Atesia ancora oggi rappresenta uno spartiacque: ha insegnato che le lotte autorganizzate possono vincere anche contro la repressione poliziesca, politica e sindacale. Per mutuare questa mobilitazione è necessario capire che lavorare ad Atesia non significa più (se mai la abbia significato in passato) mettere da parte i soldi per le vacanze estive. Dopo anni di precariato l’ex neolaureato che risponde al telefono “solo per pochi mesi” è una persona che non riesce a vedere per sé altre prospettive oltre al call center. La questione Atesia non riguarda solo quattromila individui (se quattromila sembrano pochi), ma gli stessi protagonisti dei movimenti studenteschi e universitari. Dove erano quando i lavoratori e le lavoratrici di Atesina picchettavano? Quando difendevano il posto di lavoro? Quando venivano denunciati?
RIPRENDIAMOCI I DIRITTI, RIPRENDIAMOCI IL LAVORO
Mercoledì 8 aprile, h.9.30, Tribunale Penale di Roma (p.le Clodio, sezione 16)
Giovedì 23 aprile, h.10.30, Tribunale del Lavoro di Roma (v. Lepanto, 4)
Ian Tomlinson: ma quale casualità
Sembrava a tutti molto strano che Ian Tomlinson, l’edicolante 47enne morto durante le cariche ai cortei di protesta contro il
G-20 a Londra, si fosse trovato lì per caso, perchè uscito di casa per fare acquisti. Ancora più strana la versione dalla morte naturale, cioè un improvviso infarto che l’avrebbe colpito mentre si trovava alla manifestazione (sempre per caso). La Indipendent Police Complaints Commission (IPCC) -commissione governativa indipendente che ha la supervisione del comportamento della polizia- ha ricevuto diverse testimonianze oculari secondo cui la vittima si è accasciata a terra dopo essere stata assalito da agenti anti-sommossa, armati di manganelli (ovviamente nella fitta nuvola di lacrimogeni).
La verità non è ancora ufficiale, ma un altro morto ha macchiato un controvertice in Europa. Ma quale casualità: siete solo assassini
Intervista a Benoît Nicolas, dopo il “sequestro” dei manager Caterpillar
Il magnate del lusso François Pinault assediato dai suoi lavoratoti Quattro manager della Caterpillar di Grenoble sequestrati nei loro uffici
Paolo Persichetti, Liberazione 1 aprile 2009
I padroni di Francia sono sotto assedio, braccati da operai in rivolta e manifestanti che non tollerano più il quotidiano stillicidio di licenziamenti mentre consigli d’amministrazione e dirigenti d’impresa si spartiscono super dividendi azionari e ricchi bonus. Come ai tempi dell’ancièn regime, oggi una noblesse de l’argent, composta dalle Spa, i consigli d’amministrazione, presidenti e amministratori delegati, quadri centrali d’impresa, vivono in una bolla di ricchezza alla faccia di una società che non arriva alla terza settimana del mese e vede minacciati i posti di lavoro.
Ieri sera, Francois-Henri Pinault, il “re del lusso”, proprietario del gruppo Pinault-Printemps-La Redoute che controlla anche Gucci,
Puma, Christie’s, è stato bloccato da un centinaio di manifestanti, in prevalenza dipendenti della Fnac e Conforama, all’uscita della sede sociale del suo gruppo nel quindicesimo arrondissemment di Parigi. La polizia è dovuta intervenire per sgomberare la zona. Sia la Fnac che Conforama hanno annunciato il 18 febbraio scorso licenziamenti del personale per 1.200 unità. In mattinata, invece, quattro dirigenti della Caterpillar di Grenoble sono stati “trattenuti” dagli operai che contestano il piano di riduzione dell’organico. 733 licenziamenti secchi, un quarto dell’intero personale, giustificato dalla multinazionale statunitense con il calo del 55% delle vendite per effetto della crisi. Il direttore, Nicolas Polutnick, il direttore delle risorse umane, un responsabile del personale e un responsabile dei prodotti europei, non hanno più potuto lasciare gli uffici della direzione. «Stiamo discutendo in permanenza con loro», spiega al telefono Benoît Nicolas, delegato sindacale della Cgt mentre torna da un’intervista televisiva. L’indignazione sociale sale incontenibile. È la quarta volta nel giro di appena due settimane che le maestranze di fabbriche colpite da licenziamenti trattengono in azienda i loro direttori chiedendo in cambio l’apertura di negoziati. Il 12 marzo erano stati gli operai della Sony, nelle Landes, a costringere il loro amministratore delegato a un turno di “straordinari notturni“. Lo stesso era accaduto pochi giorni dopo per il direttore del sito farmaceutico 3M di Pithiviers. Ma ormai modalità di lotta analoghe si stanno diffondendo un po’ ovunque nel Paese, come alla Fci microconnections a Mantes-la-Jolie, nel dipartimento delle Yvelines, regione parigina. «I quattro dirigenti sembrano un po’ “sbalorditi – dice sempre Benoît – perché sembra che non abbiano grandi margini di manovra per il confronto». Le decisioni più importanti appartengono a un livello superiore.
Com’è venuta la decisione di bloccare i dirigenti?
La direzione ha sempre rifiutato il negoziato. Nella nostra azienda è già in vigore la cassa integrazione parziale. Il rischio è che i lavoratori ricevano la lettera di licenziamento a casa. Caterpillar ha nel mondo circa 100 mila dipendenti. Un quarto di questi dovrà andare a casa. Così hanno fatto sapere. Lunedì abbiamo iniziato lo sciopero e poi siamo andati tutti in direzione, ma l’azienda non ha voluto negoziare.
E cosa è successo?
Niente violenza, né sequestro ma soltanto una decisa pressione affinché si riaprano i negoziati. Nel momento in cui l’azienda annuncia benefici record nel 2008 e distribuisce cospicui dividendi azionari, è nostra intenzione arrivare a un risultato favorevole per tutti i lavoratori.
Quali sono le vostre richieste?
Un piano di salvataggio. 30 mila ero a testa per i licenziati. È giusto che sia così. Va risarcito chi ha lavorato e prodotto ricchezza non i membri del consiglio d’amministrazione. I licenziamenti, poi, non devono riguardare solo le fasce più basse e dequalificate. Chiediamo anche la possibilità di prepensionamenti calcolati sull’ultimo salario per chi ha più di 55 anni e soprattutto le 32 ore settimanali con parità di retribuzione che, da sole, possono salvare 200 posti di lavoro.
Quanto durerà l’occupazione della direzione?
Abbiamo riconfermato lo sciopero. La notte passerà così. Vedremo domani (oggi per chi legge) se qualcuno verrà al tavolo delle trattative.
Nei giorni scorsi Nicolas Sarkozy aveva detto ai parlamentari della sua maggioranza che anche se nel Paese veniva criticato era lui ad avere «la banana in mano». Frase che ha suscitato subito molte polemiche. Forse sta sottovalutando un po’ troppo i lavoratori che non sembrano per nulla disposti a fare la fine dell’omino di Altan.
Il presidente francese avrà pure la banana ma gli operai sono armati con l’ombrello.
Lotta di classe? maybe…inshallah
Francia, fabbriche in rivolta: bloccati i premi per i manager
Si apre la discussione di fronte alla crisi economica
Paolo Persichetti
Liberazione 27 marzo 2009
«Rabbia populista» o nuova «lotta di classe»? Ieri sulle pagine dei più grandi quotidiani nazionali campeggiava questa domanda: un nuovo spettro si sta aggirando per il globo?
Commenti preoccupati e cronache inquiete s’interrogavano sul reale significato delle notizie provenienti dagli Stati uniti, dalla Francia e dalla Gran Bretagna. A New York, dopo l’arresto del magnate della speculazione finanziaria Maddof e la minaccia del Congresso di tassare con un’aliquota del 90% i bonus padronali, i dieci manager più pagati del colosso delle assicurazioni mondiali Aig, tra i più coinvolti nel crack delle Borse, hanno restituito i bonus milionari ricevuti come premi per i loro disastri. Per farli rinunciare a un po’ della loro famelica ingordigia è bastato un fine settima di picchetti organizzati da manifestanti davanti alle loro megaville blindate e con l’immancabile piscina.
A Edinburgo, in piena notte, il villone di Sir Fred Goodwin, l’amministratore delegato che ha portato al collasso la Royal bank of Scotland, per poi andarsene serenamente in pensione con un bonus di 16,9 milioni di sterline, alla faccia di migliaia correntisti ridotti al lastrico per aver creduto nei portafogli azionari offerti dai servizi finanziari dell’istituto di credito, è stato assalito da un gruppo di attivisti che hanno rivendicato l’azione con la sigla Bank bosses are criminals, «I banchieri sono dei criminali». Motto che riecheggia quello delle curve da stadio di mezza Europa, All corps are bastards, «Tutte le guardie sono bastarde».
Nel centro della Francia, a Pithiviers, Luc Rousselet, amministratore delegato della 3M, società farmaceutica americana in procinto di licenziare 110 dei suoi 235 dipendenti, è stato “trattenuto” negli uffici dell’azienda per oltre 30 ore dagli operai che era venuto ad incontrare. I lavoratori esigevano dei negoziati con l’azienda sulle modalità del piano di crisi che dovrà accompagnare la brusca riduzione di personale.
Ovviamente per gli operai non si è trattato di un «sequestro», com’è stato scritto sposando il punto di vista “padronale”, ma di un imprevisto prolungamento d’orario della giornata di lavoro del loro capo. Uno straordinario giustificato dall’eccezionalità della situazione venuta a crearsi. I 2700 lavoratori della 3M France, società ripartita su 11 siti, conosciuta per la produzione di “post-it” e del nastro adesivo “Scotch”, sono in sciopero illimitato dal 20 marzo. Un episodio analogo era già accaduto il 12 marzo scorso, quando il presidente-direttore generale di Sony France, Serge Foucher, era stato anche lui costretto a uno “straordinario notturno” in compagnia delle sue maestranze in lotta.
Lo stabilimento di Pontonx-sur-l’Adour, nelle Lande, impiega 311 persone e la sua chiusura è fissata per il 17 aprile prossimo. Al direttore della Continental, invece, è toccato in sorte un fitto lancio di uova da parte dei 1120 addetti dell’impianto di Claroix, che proprio ieri sono stati ricevuti in delegazione da un consigliere di Sarkozy all’Eliseo.
Questa volta gli operai non sono isolati, hanno alle spalle il sostegno dell’opinione pubblica indignata di fronte alla notizia dei mega compensi attribuiti ai manager d’imprese che licenziano o di banche in deficit dopo aver sperperato il denaro dei clienti.
La rabbia è montata di fronte alle parole di Laurence Parisot, presidente della confindustria francese, che si era detta indisponibile di fronte alla richiesta del presidente della repubblica d’intervenire sui consigli d’amministrazione affinché i manager rinunciassero ai premi elargiti sotto varie forme (stock options, ovvero azioni con remunerazioni privilegiate, liquidazioni d’oro o pensioni stratosferiche). Il primo ministro ha dovuto annunciare il varo di un decreto per vietare l’attribuzione di questi bonus e stock options per le aziende che ricevono aiuti dallo Stato. A questo punto, dopo le resistenze iniziali, Gerard Mastellet e Jean-Francois Cirelli, presidente e vice presidente di Gdf-Suez, il gigante francese dell’energia, hanno dovuto rinunciare ai loro compensi supplementari piegandosi – hanno detto con malcelata ipocrisia – al «senso di responsabilità».
I titoli tossici immessi nei circuiti finanziari stanno forse scatenando la reazione di sani anticorpi sociali? All’estero, certo non in Italia, l’ira popolare sta cambiando bersaglio: dalla «Casta» alla «Borsa», dai «politici» ai «padroni»; che la barba di Marx stia di nuovo spuntando?
Quel che sta accadendo, in particolare al di là delle Alpi, dimostra quanto devastante sia stata da noi la prolungata stagione del giustizialismo, con il suo corollario d’ideologia penale e vittimismo seguiti alle ripetute emergenze giudiziarie. Il decennio 90 si è accanito contro i corrotti della politica assolvendo i corruttori dell’economia, aprendo la strada non solo alla vittoria politica del partito azienda ma alla sua egemonia politico-culturale sulla società.
Vedremo più in là se ha ragione L’Economist quando descrive, un po’ alla Ballard, l’albeggiare di una rivoluzione del ceto medio proletarizzato; o se invece ci sarà un’irruzione di protagonismo del nuovo precariato sociale. Una cosa è certa: oltreconfine hanno individuato la contraddizione da attaccare. È tutta la differenza che passa tra allearsi contro i padroni o fare le ronde contro i romeni. Ma quel che resta della sinistra italiana l’avrà capito?
Tratto dal blog INSORGENZE
La pagheranno mai? @Corteo Nazionale in occasione del G-14@
LA CRISI LA PAGHINO BANCHIERI e PADRONI, EVASORI e CORRUTTORI
GIU’ LE MANI DAL DIRITTO ALLO SCIOPERO
GIU’ LE MANI DAI NOSTRI DIRITTI
FERMIAMO LA QUOTIDIANA STRAGE SUL LAVORO
A DOMANI.
Marce xenofobe in Israele contro la popolazione arabo-israeliana: che si incazza e si difende la città
Parlavamo, appena due giorni fa, di come s’era spostata verso l’estrema destra xenofoba e confessionale l’asse della politica israeliana. Politica non solo di palazzo, dopo le elezioni di febbraio e gli accodi per il governo di coalizione che da ieri procedono a passo di carica; anche politica di strada, con una manifestazione organizzata dall’estrema destra israeliana, ad Umm al-Fahm (città israeliana, importante centro arabo, situata nel distretto di Haifa, con una popolazione di 45.000 persone, la maggiorparte arabo-israeliani).
Una manifestazione che era stata più volte rinviata per i rischi sulla sicurezza, ma poi autorizzata dalla Corte Suprema, che aveva come obiettivo quello di ribadire la sovranità israeliana della città. Dalle stampa internazionale leggiamo la dichiarazione di Michael Ben-Ari, esponente del partito di estrema destra Unione Nazionale (appena eletto alla Knesset): “Se non isseremo la nostra bandiera a Umm al-Fahm, un giorno avremo uno Stato palestinese che arriverà fino a Tel-Aviv”.
Una marcia vera e propria per provocare la popolazione araba residente all’interno dei confini dello stato ebraico: manifestazione composta da militante provenienti soprattutte dalle colonie israeliane di Hebron (la zona caratterizzata da sempre dagli scontri più feroci tra coloni e popolazione palestinese) e del resto della Cisgiordania. Umm al-Fahm oltre ad essere roccaforte araba lo è anche del partito comunista, tanto che alla contro manifestazione annunciata e violentemente voluta da tutta la popolazione della città, si sono uniti attivisti israeliani appartenenti alla sinistra e al partito comunista. Immediatamente, per poter permettere a tutta la popolazione di partecipare alla contro-protesta, per evitare che la marcia potesse entrare in città, è stato dichiarato uno sciopero generale che ha avuto una partecipazione totale.
La provocazione è scoppiata immediatamente in scontri con i 3000 poliziotti anti-sommossa schierati a difendere le fila fasciste della manifestazione. Poco, molto poco è durata la marcia, all’incirca una mezzora, sufficiente a far scoppiare poi ore ed ore di duri scontri iniziati con un fitto lancio di oggetti dalle strade e dai tetti della città, contro la marcia sionista che avanzava sventolando decine di bandiere con la Stella di Davide. Lancio che come risposta ha ricevuto idranti, granate assordanti ed urticanti che hanno causato 16 feriti tra i manifestanti,15 tra i poliziotti schierati e l’arresto di tre manifestanti (arabi, ovviamente). David Cohen, rappresentante della Polizia israeliana ha dichiarato di aver reagito in difesa della democrazia. Gli scontri sono terminati dopo che diversi agenti hanno riportato ferite a causa del lancio di oggetti e dopo l’uso di vari mezzi per disperdere la manifestazione”.
L’estrema destra che ha marciato è la stessa che sta formando il governo di coalizione che tra una decina di giorni prenderà le redini del potere politico e militare nello stato israeliano: il probabile ministro degli esteri Avigdor Lieberman (un vero e proprio nazista dichiarato, fondatore del partito Yisrael Beitanu) ha già proposto l’obbligatorietà di un giuramento di “lealtà” allo Stato ebraico per tutti gli abitanti di etnia araba. Anfibi sempre più neri marciano sulla terra degli ulivi, sulla terra di Palestina
SI VIENE A SAPERE DA POCO DEL FERMO DI 22 ARABI-ISRAELIANI CHE AVEVANO PARTECIPATO AGLI SCONTRI DI IERI CONTRO LA MARCIA XENOFOBA ORGANIZZATA ALLE PORTE DELLA CITTA’ UMM AL-FAHM. ACCUSATI DI AVER FOMENTATO GLI SCONTRI
FUOCO AI C.P.T. e ai C.I.E.! MERDA AI RICCHI!
DOPO IL BLITZ DENTRO IL LUSSUOSO RISTORANTE TORINESE, PUBBLICHIAMO IL VOLANTINO CHE E’ STATO DISTRIBUITO E UN PO’ DEGLI ADESIVI CHE STANNO CIRCOLANDO PER LA CITTA’ PIEMONTESE.
LA MOBILITAZIONE CONTRO I CENTRI DI IDENTIFICAZIONE ED ESPULSIONE PER MIGRANTI STA CRESCENDO
Se immaginassimo uno straniero che, ignaro sugli usi del nostro paese, si facesse oggi un giro in questo supermercato del gusto, certamente si farebbe l’idea di una società civile e raffinata, ove ciascuno è libero di soddisfare come preferisce i propri appetiti e desideri. Purtroppo le cose non stanno così, e gli stranieri in particolare non se la passano affatto bene.
Per questo siamo qui oggi, affinché nessuno si dimentichi che questi privilegi sono possibili solo al prezzo
di vergognose diseguaglianze, sulle quali non è più possibile tacere. Non è un mistero per nessuno che ormai la stragrande maggioranza dei lavori più bassi e faticosi, dalla raccolta nei campi alla cura dei nostri anziani, dai cantieri edili alle pulizie, siano lasciati agli immigrati. Mal pagati, sfruttati e denigrati dai padroni italiani, sono costretti a vivere a testa bassa in cambio delle nostre briciole, col ricatto costante di essere trovati senza documenti ed essere trattenuti in un CIE. In questi luoghi i pestaggi da parte della polizia sono all’ordine del giorno, come le omissioni di soccorso del personale medico e gli psicofarmaci nascosti nel cibo per provocare un sonno lungo e silenzioso. Con le nuove normative in materia di sicurezza ora la prigionia è stata prolungata fino a sei mesi; poi c’è l’espulsione coatta.
E tuttavia questo regime di paura e segregazione non sembra togliere l’appetito agli italiani.
In questi ultimi giorni, da quando i reclusi del Centro di Lampedusa hanno deciso di ribellarsi e bruciare quel lager, in molti CIE si susseguono rivolte e gesti disperati, da Malta a Milano, da Bologna a Gradisca d’Isonzo. A Torino alcuni detenuti del CIE di Corso Brunelleschi si sono tagliati per protesta, qualcuno ha ingerito delle batterie e ne è rimasto avvelenato, qualcuno prosegue lo sciopero della fame e della sete, un altro ha cercato di impiccarsi, un altro ancora siccome ha reagito contro il poliziotto che gli toccava la ferita è stato arrestato e trasferito in carcere. A Bari si sono cuciti le labbra, a Roma dopo l’ennesimo morto i reclusi di Ponte Galeria sono entrati tutti in sciopero della fame. Il ragazzo algerino diceva di sentirsi male, ma il medico non l’ha voluto visitare, e gli è stato risposto che le medicine poteva andarsele a prendere al suo paese. È stato picchiato dalla polizia e il giorno dopo, giovedì mattina, è stato trovato morto.
Non staremo a guardare mentre politici di destra e di sinistra varano leggi razziste e
diffondono parole di odio e persecuzione. Non ci rassegneremo all’indifferenza dei più, né al silenzio imposto dall’informazione di regime, perché non possiamo più sopportare di vedere gente perbene che assapora delizie mentre altri ingoiano ferri e sono costretti allo sciopero della fame per essere ascoltati. Chiedono di essere lasciati in libertà, ed hanno bisogno del nostro aiuto. Siamo sicuri che tra un bicchiere di vino biologico ed un risotto equo e solidale in molti avranno lo scrupolo di riflettere su questi fatti gravissimi che succedono con sempre più drammatica frequenza. Qualcuno forse ci griderà contro, altri vorranno sapere come fare qualcosa, nessuno in ogni caso potrà rifiutarsi di fare un piccolo esame di coscienza.
Se a ragione si dice spesso che siamo quello che mangiamo, non possiamo più nascondere ai nostri occhi quel confine sempre più netto che separa chi ha tutto da chi non è niente, chi è libero da chi è schiavo.
CHIUDIAMO I LAGER! SOLIDARIETA’ CON TUTTI GLI IMMIGRATI IN LOTTA PER LA LIBERTA’!!!
Assemblea Antirazzista di Torino
Cariche alla Sapienza sugli studenti in corteo
CARICHE SUGLI STUDENTI DELL’UNIVERSITA’ DI ROMA.
Il protocollo votato dall’amministrazione comunale inizia già a dare i suoi frutti,
composti da drappelli schierati, da cariche violente, da manganellate contro chiunque voglia far sentire la
propria voce per le strade della sua città
Qui le corrispondenze effettuate in mattinata: 1 – 2 – 3 – 4
in Francia ci spolverano la memoria: impiccano i padroni
Una fabbrica con più di 1100 operai, sta per chiudere a causa della crisi.
I lavoratori si mobilitano in modo sempre più radicale: dopo aver costretto il “Padrone” a fuggire con un fitto lancio di uova, ieri sono tornati a bloccare i cancelli del complesso industriale impiccando un manichino (saggi ‘sti lavoratori!) e facendo irruzione in una riunione tra sindacati e azienda,
con lancio di bottiglie e altri oggetti. Riunione che è stata immediatamente sospesa.

DESIDERIO AL POTERE
“La voce del mio desiderio, il mio prezioso desiderio. La mia morale non si fa influenzare dai valori del mondo che mi circonda.
Li ho rifiutati da molto tempo, non ricordo nemmeno da quanto. E’ la mia morale a determinare e imporre le mie azioni, i miei principi sono quelli che mi sono data io. Mi importa solo l’effetto delle mie azioni su di me e sulla mia vita: il mio viso dopo l’amore, la luce nei miei occhi, il mio corpo che torna intero, le parole che mi scaldano e mi fanno nascere delle storie in petto.
Ho capito molto presto cosa volevo: un cervello attivo in un corpo attivo. Lo sapevo persino prima di trovare nei miei adorati testi erotici arabi la conferma dei miei pensieri.
Il Viaggiatore mi ha detto: L’unico uomo che hai conosciuto è tuo marito.
Ha detto: Ti neghi a ogni uomo che ti desidera perchè i tuoi principi morali ti fanno temere la società e il giudizio dell’uomo cui potresti dire di si.
Ha detto: Sono gli strascichi della tua educazione perbenista.
Ha detto: Vivi il tuo “si” come una resa umiliante.
Ha detto: HAi paura che il tuo valore si offuschi agli occhi dell’uomo che hai accettato.
Ha detto: Non sei sufficientemente sicura del tuo corpo per avere il coraggio di metterti nuda davanti ad un uomo.
Ha detto: Rifiuti di fare come la tua amica che dice di sì a ogni uomo, la ritieni una donna facile, una da poco.
Può essere, gli ho detto. Ed ero del tutto cosciente di esser ad anni luce dall’idea che aveva di me.
Può essere, gli ho detto. Per non dirgli: Negare a te il mio corpo non vuol dire negarlo per forza a tutti gli altri.
Può essere, gli ho detto. E mentre gli facevo credere che accettavo le sue conclusioni, avevo la conferma che il mio gioco in società funziona benissimo.
Avevo detto: “Puo’ essere” perché non volevo rivelarmi agli altri. Che cosa potevo dire? Che l’unica autorità che riconosco sono io, è la mia volonta? Non i loro principi, non i loro valori né la tradizione? Non il timore delle malelingue, non la paura del castigo né le fiamme dell’inferno?
Ho un animo poligamo, lo so, come quasi tutte le donne.”
_Salwa al-Neimi




























































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