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Del movimento notav e del PD: senza parole per commentare
Mai mi son sentita offesa per dichiarazioni o comportamenti di persone facenti parte del PD o partiti simili, raramente ho badato alle loro parole, MAI li ho sentiti parte di me, di quel che io penso sia esser compagni e così via…non serve nemmeno sprecare parole a riguardo.
Mi pare scontato.
Però questa volta mi pare che si stia cercando di esagerare, mi pare (questo il mio umile e nervoso parere) che questi quattro ceffi dalla vita garantita dal primo vagito stiano provocando in modo becero, eccessivo, infame.
Perché nessuno gli chiede di solidarizzare con la lotta notav e la popolazione della Valle, ma almeno la chiudessero quella loro bocca, se la cucissero, se la riempissero delle loro belle ricche pietanze e basta.

L'ultimo bollettino medico di Luca è buono: è stato svegliato e ha mosso le parti del corpo che i medici hanno chiesto di muovere, le fratture vertebrali sono dunque recuperabili. Oggi pomeriggio la risonanza magnetica accerterà quanto la folgorazione sia riuscita ad intaccare i tessuti: FORZA LUCA!!
Stefano Esposito è un consigliere regionale del PD, di cui ormai mi incuriosisce anche il curriculum.
Le sue parole ve le riporto per intero perché bisogna leggerle ed anche ricordarle bene.
La sola risposta che meritano lui, come la Finocchiaro, Zanda e LaTorre dello stesso partito, che hanno chiesto al comando generale dell’arma dei carabinieri di “poter stringere la mano in segno di solidarietà e di ringraziamento al carabinieri che ieri in Val Susa è stato vigliaccamente insultato da un dimostrante privo d’onore.”
Parlano di onore, loro, che schifo…intanto leggetevi Stefnao Esposito, lui e lo spauracchio del “salto strategico” sbandierato peggio di come farebbero Libero o Il Giornale…eccolo qui:
“Di fronte alla scelta del movimento No Tav di alzare la tensione, bloccando l’autostrada, e alle preoccupanti minacce che stanno circolando sui siti antagonisti (alcuni dei quali pubblicano minacce di morte nei confronti dei poliziotti, come nel caso di Indymedia) o attraverso le dichiarazioni deliranti dei vari Perino e soci, occorre una risposta corale e netta da parte della politica. Tutti, il Governo, le istituzioni locali e i partiti devono dire, in modo forte e chiaro, che la legalità deve essere rispettata e che nessuna azione violenta e illegittima potrà essere minimamente tollerata.
Anche in occasione della conferenza stampa dei comitati No Tav abbiamo avuto un’ulteriore dimostrazione della natura di questi soggetti che, dietro l’ipocrita paravento gandhiano, adoperano un linguaggio allusivo e pericoloso e annunciano una risposta militare per rispondere alla legittima azione dello Stato. Purtroppo quasi tutti i media hanno scelto di ‘mitizzare’ il povero Luca Abbà descritto come un contadino attaccato alla terra, un luddista postmoderno con scarsa dimestichezza con l’elettricità e le altre conquiste della tecnologia. Quasi tutti si sono dimenticati di dire che il coltivatore diretto di Exilles ha un curriculum giudiziario alquanto lungo e interessante, che è un pregiudicato e un pluridenunciato per fatti violenti. Né il circo mediatico – tranne rare eccezioni – si prende il disturbo di ricordare ai vari Plano e Perino, che ogni giorno parlano di illegalità del cantiere, che il cosiddetto legal team dei No Tav in questi anni ha presentato più di 50 ricorsi a tutti i livelli giudiziari, ricorsi sempre e costantemente respinti.
Deve essere a tutti chiaro che in Valle di Susa si stanno ponendo le basi per uno scontro molto duro e pericoloso. Che tutta la galassia anarco-insurrezionalista e i vari gruppi sovversivi che fanno capo al centro sociale Askatasuna hanno trasformato la vicenda della Tav nella loro ‘battaglia di tutte le battaglie’ e stanno utilizzando la vicenda di Luca Abbà come pretesto per aggredire violentemente le forze dell’ordine e le istituzioni. Descrivere l’Italia bloccata dai No Tav senza vedere che stiamo parlando di alcune centinaia di persone che appartengono al network antagonista, significa accreditare qualcosa che non esiste. Le iniziative che sono state annunciate per il fine settimana potrebbero rappresentare l’occasione per tali gruppi di tentare un ‘salto strategico’ dagli imprevedibili esiti. In questa vicenda né la pietà umana verso le sorti di Luca Abbà né i comportamenti di pochi amministratori che hanno abdicato alle loro responsabilità istituzionali possono in alcun modo condizionare chi rappresenta lo Stato e la democrazia italiana.
Non è la Tav ad essere illegale, ma l’illegalità è di chi ha scelto la via della violenza e del teppismo per opporsi non a un’invasione nemica, ma alla costruzione di una ferrovia. Sento da più parti appelli al dialogo, ma qualcuno si è chiesto come si può dialogare con chi pretende l’annullamento del progetto Torino-Lione, oppure con chi cerca di accusare le forze dell’ordine dell’incidente avvenuto al militante No Tav? Nonostante le immagini siano chiare ed inequivocabili, nonostante la registrazione della telefonata dimostri il contrario, anche la tv pubblica tende a far passare una tesi inesistente.
Quello che sta succedendo e che succederà da qui a sabato segnerà uno spartiacque tra chi difende la legalità e lo Stato e chi li ritiene invece principi à la carte, buoni a seconda della giornata e del luogo.”
(si nota il color MERDA?)
Sabato 3 marzo, ore 15:00, corteo NO TAV, partenza da Piazzale Tiburtino, ROMA
GIOVEDI 1 MARZO : LA SEDE NAZIONALE DEL PD, DI ROMA, E’ STATA OCCUPATA DA UN GRUPPO DI SOLIDALI AI NOTAV.
DAJE! UN PO’ DI VITA IN QUELLA SEDE DALL’ODOR DI CIMITERO.
LA VAL SUSA E’ OVUNQUE! SIAMO TUTTI NOTAV!
TUTT@ LIBER@
Anonymous contro TAV: atto secondo
HO PUBBLICATO NEMMENO 4 ORE FA LA NOTIZIA CHE ANONYMOUS ERA ENTRATO IN BATTAGLIA A FIANCO DEL MOVIMENTO NOTAV :
IL PRIMO OBIETTIVO E’ STATO COLPITO IERI E NON PENSAVO CHE LA PROMESSA DI CONTINUARE FOSSE COSI’ RAPIDA.
LEGGETE LEGGETE E GRAZIE A INFOFREEFLOW 😉
Questa volta è toccata ad Agostino Ghiglia. 
Il deputato e consigliere comunale torinese in quota PDL è finito nel mirino del network di Anonymous, impegnato in Italia sul versante dei Green Rights a fianco della popolazione della Val Susa. A farne le spese il suo sito web personale, violato nella notte, le cui credenziali di accesso sono state rese pubbliche sullo stesso blog dove ieri erano apparsi i dump dei database dei siti di LTF e torino-lione.it
Il blitz dei cyber-attivisti arriva in risposta alle dichiarazioni rilasciate ieri a mezzo stampa dall’ex di AN. Figura nota in città per il suo protagonismo contro centri sociali, movimento No TAV e radio libere – dopo l’assedio alla Maddalena del 27 giugno, presentò un’ interpellanza parlamentare richiedendo la chiusura immediata di Radio BlackOut – Ghiglia ha definito come “anti-sviluppo” l’operazione Green Rights, schieratasi contro la costruzione di un’opera dall’impatto ambientale insostenibile. Il parlamentare ha stigmatizzato il modus operandi di Anonymous perché atto a «colpire, fisicamente o virtualmente, danneggiare e logorare imprese e istituzioni impegnate nella realizzazione della Torino Lione».
Per una volta le parole dell’esponente piemontese del PDL sembrano aver colto nel segno. L’operazione Green Rights infatti ricalca un insieme di tattiche consolidate, aventi l’obbiettivo di mettere sotto pressione, anche in rete, i responsabili delle costruzione della linea ad alta velocità Torino-Lione.
«Vi stiamo sorvegliando. Fermatevi o non vi daremo tregua!» è il monito lanciato attraverso questa ulteriore puntata italiana dell’#OpGreenRights: una campagna di informazione non convenzionale con cui Anonymous vuole disegnare una geografia degli interessi che ruotano attorno alla costruzione della TAV, producendo allo stesso tempo una sensazione di accerchiamento nei confronti dei soggetti attenzionati.
E se gli attacchi di ieri hanno scuscitato una certa eco all’interno del circuito mainstream (ne hanno dato notizia le edizioni on-line di Repubblica, Corriere e La Stampa), anche nei canali di discussione del movimento l’impresa dei senza volto è stata accolta con grande simpatia per l’intelligenza e la puntualità.
Un altro pezzo della lotta No TAV insomma cominciare a palesarsi all’orizzonte. Un altro modo di intendere l’assedio viene immaginato. Una pratica da agire collettivamente, non più “solo” (le virgolette sono d’obbligo) nei boschi che fanno da cornice ai non-cantieri protetti dai plotoni della celere, ma anche sui server dei siti delle lobby Si TAV, individuati come simbolo della connivenza tra malaffare e politica.
InfoFreeFlow (@infofreeflow) per Infoaut
Anonymous è NOTAV: più chiaro di così ;-) ! Target 1: colpito … attendiamo la seconda puntata!
L’avevano promesso. L’hanno fatto.
Ieri con poche telegrafiche righe dal blog Operation Green Rights Anonymous annunciava una sua discesa in campo a fianco del movimento No Tav. Detto fatto, ed in poche ore gli hacktivisti hanno mantenuto la parola. Questa notte il sito torino-lione.it (una delle tante appendici propagandistiche di Rete Ferroviaria Italiana) ed il database della LTF (Lyon Turin Ferroviaire) sono stati violati.
Schema consolidato ma sempre efficace: le informazioni di accesso al portale francese sono state rese pubbliche mentre la pagina del sito italiano, su cui prima campeggiavano i sondaggi geognostici, riporta un comunicato che riprende molte delle parole d’ordine del movimento valsusino. In un passaggio Anonymous denuncia come il mantra dello “sviluppo economico”, ripetuto fino alla nausea dalle lobby SiTav, nasconda in realtà la volontà di realizzare un’opera tanto dannosa per la salute e l’ambiente della Val Susa quanto proficua per le tasche di banche e ditte appaltatrici. Portafogli gonfi per pochi sulla pelle di molti.
Dunque un’ incursione che, a poche ora dai cortei che si svolgeranno in valle l’8 dicembre, esprime solidarietà con le proteste che continuano a dilagare in Valle a dispetto delle demonizzazione mediatica cui abbiamo assistito negli ultimi mesi. Ma tratteggia anche una sintonia di vedute con la popolazione della Val Susa in lotta che ha ben identificato nella realizzazione della Torino-Lione la tendenza distruttiva del capitalismo finanziario. Quella che vede tra i suoi protagonisti i Passera, le Marcegaglia o Intesa San Paolo. Quella che incapace di immaginare un’exit strategy dalla crisi gioca la carta della devastazione dei territori buttando sul piatto la vita delle popolazioni locali.
“Target 1” dicono gli attivisti di Operation Green Rights. Altri bersagli non mancano e sono a portata di mouse. Non resta allora che aspettare l’atto secondo con il fiato sospeso: magari in un corto circuito virtuoso con la mobilitazione permanente e tenace che i Notav insceneranno nei prossimi giorni.
«Torino-Lione.it: un canale dove ottenere informazioni oggettive sul progetto Torino-Lione (TAV), capirne e condividerne obbiettivi e valori» recita la bio dell’account twitter @Torino-Lione. E certo dopo le scorribande notturne di Anonymous sembra quasi essere vero.
More info
- Il blog Operation Green Rights
- Operation Green Rights on Twitter
- Il comunicato di rivendicazione di Anonymous
- La pagina defacciata del sito torino-lione.it
- LTF database owned!
Infofreeflow (@infofreeflow) per Infoaut
PLOGOFF: Pietre contro i fucili. UNA “GUERRA” VINTA, LA PROSSIMA SARA’ LA VAL DI SUSA!!
Questo documentario è ancora oggi attuale visto quello che sta avvenendo in Italia. Prima dell’incidente di Fukushima infatti, ogni opposizione al nucleare veniva bollata come ideologica e contro il progresso (come per il Tav del resto…) e l’epoca di Chernobyl appariva lontana e superata. Oggi è il solo opportunismo politico a spingere il governo a posticipare le tempistiche del riavvio della produzione nucleare made in Italy. Il loro obiettivo prioritario è quello di neutralizzare il referendum e impedire la creazione di reti autorganizzate che si oppongano all’installazione di centrali e determinate a lottare contro ogni provvedimeno legislativo che verrà preso in questo senso.
Primo assassinio in Val Susa!
Un blog che è andato in vacanza solo quattro giorni … e di tutto è successo!
Di tutto, in quei territori dove il mio corpo e la mia mente non hanno mai smesso di esserci, ogni volta che ho potuto.
La notizia letta stamattina al volo, davanti a questo mare commovente che domani saluterò è la peggiore che potessi leggere!
Una donna uccisa, calpestata da un blindato dei Carabinieri diretto a Chiomonte: un assassinio di Stato, per cui nessuno pagherà, come sempre.
Vi incollo la notizia presa dal sito NOTAV
Ieri pomeriggio 29 giugno un mezzo blindato antisommossa dei Carabinieri diretto a Chiomonte ha investito e ucciso una pensionata a Venaria. Ci sentiamo di sottolineare da queste pagine quanto accaduto. E’ un’operazione militare a tutti gli effetti per la quantità di numeri e mazzi impiegata e nelle operazioni militari si sa ci stanno anche i morti. Dalle prime notizie l’autista dichiara di essersi fermato a fare rifornimento e poi essere ripartito per fermarsi dopo decine di metri al semaforo. Solo lì dice di essersi accorto di un corpo accasciato a terra dagli specchi retrovisori. Questi mezzi corazzati usati a Chiomonte sono mezzi da guerra dati in mano a dei criminali. Come a Genova ancora una volta l’arroganza e la guerra uccidono sotto gli pneumatici dei mezzi dei carabinieri. Fino a quando ancora? Questa morte è responsabilità della lobby si tav.
Il media mainstream dirà che questa è una forzatura strumentale dei notav. Non è così! In questi giorni decine e decine di mezzi incolonnati fanno su e giù per la valle. La realizzazione dell’opera prevede centinaia di tir – oltre ai mezzi delle forze dell’ordine – che fanno su e giù per decenni… Perché i giornali non scrivono che il mezzo che ha investito l’anziana signora era diretto al cntiere della MAddalena? Quando diciamo che il Tav è un’opera dannosa, nociva,necrogena intendiamo proprio questo: un costo sociale, umano e ambientale senza misura con i presunti “vantaggi”. Alla famiglia il nostro pensiero…
DOMENICA 3 LUGLIO, ORE 9:
TUTTE E TUTTI AL CORTEO PER DIFENDERE LA VAL DI SUSA!
CHIOMONTE SARA’ LA NOSTRA SYNTAGMA, CHIOMONTE SARA’ IL VOSTRO VIETNAM!
A SARA’ DURA!!
Territori occupati palestinesi: retate e arresti a Silwan, incursioni di coloni a Hawara
L’occupazione militare israeliana non si arresta mai nei suoi meccanismi multipli di repressione: da un lato le infinite ed noni presenti operazioni militari o gli arresti della polizia militare israeliana (come anche palestinese purtroppo), da un lato le azioni dei coloni, il lato più facinoroso, xenofobo e genocitario della società israeliana.Solo nelle ultime ore i Territori Occupati sono stati colpiti su diversi fronti, mentre Hamas e Fatah siglavano il loro accordo al Cairo e il mondo parla dell’ennesima e forse definitiva morte del n.1 della mostruosità planetaria (! bella battaglia ultimamente!) Silwan, quartiere arabo di Gerusalemme vedeva l’ennesima incursione dell’esercito. Sei arresti da quel che si dice per ora, cinque ragazzi e Suad al-Shoukhi, una ragazza di 24 anni, portata via dagli ufficiali israeliani “per un interrogatorio”. Suad è stata rilasciata due anni da da un’interrogatorio durato 18 mesi di detenzione amministrativa, per gli scontri avvenuti in quella zona tra abitanti palestinesi e le formazioni israeliane di estrema destra che hanno focalizzato le loro azioni in quel quartiere, prossimo alla città vecchia.
Altra bella notizia del giorno viene da poco distante, nella cittadina palestinese di Hawara, che questa mattina ha trovato il villaggio cosparso di scritte xenofobe contro arabi e musulmani e una moschea interna ad una scuola data alle fiamme.
Il villaggio di Hawara si trova nella zona meridionale della provincia di Nablus, circondata da 39 insediamenti.
Dibattito pubblico: Libertà per tutti e tutte, con o senza documenti
R.A.P. gruppo inchiesta, Radio OndaRossa, Rete no-Cie e occupanti di Casale de Merode
invitano tutte e tutti coloro che vogliono un mondo senza gabbie né frontiere
a partecipare a un dibattito pubblico sui Cie
DOMENICA 6 MARZO 2011
all’occupazione abitativa di via del Casale de Merode, 8 (Tormarancia)
– dalle ore 17.00:
dibattito pubblico: libertà per tutte e tutti! con o senza documenti!
per scambiarci informazioni ed esperienze sulle lotte contro i Cie e le deportazioni forzate,
sulle strategie di resistenza e sulle forme di autorganizzazione
mostre fotografiche sui Cie e sulle insurrezioni in corso nel Maghreb, materiali informativi, Nella tua città c’è un lager (bollettino bisettimanale sulle vicende che si susseguono nei cie), Scarceranda (l’agenda di Radio OndaRossa contro ogni carcere, giorno dopo giorno)
– a seguire:
cena con tutti i sapori del mondo
il ricavato della cena servirà ad acquistare delle radioline portatili da consegnare alle recluse e ai reclusi durante il prossimo presidio solidale del 12 marzo davanti al Cie di Ponte Galeria perchè ascoltare una radio è un modo per mantenere un contatto con l’esterno
PORTA UNA RADIOLINA A PONTE GALERIA!
contribuisci anche tu a rompere il muro del silenzio e dell’isolamento!
>> VERSO IL 12 MARZO <<
per un mondo senza gabbie né frontiere! chiudere tutti i Cie!
>> ASCOLTA LO SPOT DELLE DUE INIZIATIVE <<
>> ascolta/scarica/diffondi lo spot contro i Cie<<
“Fino a quando avrò un ulivo…”
Fino a quando avrò pochi palmi della mia terra!
Fino a quando avrò un ulivo…
un limone…
un pozzo…un alberello di cactus!..
Fino a quando avrò un ricordo,
una piccola biblioteca,
la foto di un nonno defunto.. un muro!
Fino a quando nel mio paese ci saranno parole arabe…
e canti popolari!
Fino a quando ci saranno un manoscritto di poesie,
racconti di ‘Antara al-‘Absi
e di guerre in terra romana e persiana!
Fino a quando avrò i miei occhi,
le mie labbra,
le mie mani!
Fino a quando avrò… la mia anima!
La dichiarerò in faccia ai nemici!..
La dichiarerò… una guerra terribile
in nome degli spiriti liberi
operai.. studenti.. poeti..
la dichiarerò.. e che si sazino del pane della vergogna
i vili… e i nemici del sole.
Ho ancora la mia anima..
mi rimarrà… la mia anima!
Rimarranno le mie parole.. pane e arma.. nelle mani dei ribelli!
SAMIH AL-QASIM
PALESTINA
[Trad. di Antonietta Giampaglia]
Vite di donne non conformi nell’Europa nazifascista
Veramente interessante quest’articolo!
Lo rigiro sul blog perché è stata una lettura veramente entusiasmante, di cose per lo più ignorate. La recensione di un libro di raccolte di saggi che va letto, va decisamente letto, soprattutto per l’interessantissima parte che parla della prigionia, del lesbismo, dalla lesbofobia e dell’antinazismo.
Ne voglio sapere di più!
“R/esistenze lesbiche” vite non conformi nella bufera nazifascista
In libreria, raccolta di saggi a cura di Paola Guazzo, Ines Rieder, Vincenza Scuderi
di Carla Cotti, 18 settembre 2010, Liberazione
All’avvento del Terzo Reich, K. vive già da anni con una compagna. Cominciano i guai. Alla padrona di casa chiedono se sa qualcosa sulla sua vita intima. Il caporedattore le ingiunge di sposarsi, pena la perdita del lavoro. K. decide una soluzione di copertura: con la compagna, si metterà a vivere insieme a una coppia gay. I quattro affittano un grande appartamento. Ma non basta. Il portiere-spia del partito non è convinto: «Non potete certo vivere more uxorio, non è gradito al Führer». Unica via di scampo: due matrimoni eterosessuali.
1938. Il questore di Roma chiede all’apposita Commissione provinciale il confino per Agata: «…la prostituta F. Agata in oggetto essendo affetta da una gravissima forma di ninfomania, è dedita a rapporti lesbici con altre prostitute e sottopone, a quanto sembra, a esosi sfruttamenti quelle pervertite sessuali che con essa hanno rapporti». Per Agata scattano tre anni di confino, in provincia di Nuoro.
Rosa Jochmann, nata a Vienna nel 1901, operaia, sindacalista, segretaria della sezione femminile e componente della direzione del Partito socialista austriaco, poi in clandestinità con il gruppo dei socialisti rivoluzionari, nel 1940 viene deportata (con l’annotazione “Ritorno indesiderato”) a Ravensbrück. Liberata nel 1945, entrerà in Parlamento, sarà presidente della sezione femminile del Partito socialdemocratico e infaticabile testimone degli orrori nazisti.
Ma nel 1949 una compagna di prigionia scrive al presidente della Repubblica Leopold Figl, denunciando che a Ravensbrück Rosa era nota come Mutti (mamma) e aveva una compagna soprannominata Vati (papà), che Vati aveva insidiato sua figlia provocando scenate di gelosia da parte di Rosa, che Rosa e il suo seguito lesbico rendevano la vita difficile alle altre prigioniere e godevano di privilegi per esempio sulle razioni alimentari, che Rosa si era presa cura delle prigioniere più giovani al solo scopo di sedurle. Rosa si difenderà disperatamente da queste accuse, scrivendo a sua volta al Presidente della Repubblica e chiedendo ad altre reduci di Ravensbrück di prendere posizione a suo favore: ripeterà che il sospetto di lesbismo al campo colpiva tutte le amicizie, che non ha mai sentito il soprannome Vati, che non può sopportare la calunnia di aver abusato di bambine, mentre i discorsi sul lesbismo non le interessano, la «lasciano indifferente».
Sono solo tre delle storie citate nella raccolta di saggi a cura di Paola Guazzo, Ines Rieder e Vincenza Scuderi R/esistenze lesbiche nell’Europa nazifascista in libreria per l’editrice Ombre corte di Verona (pp. 190, euro 19).
Cosa sappiamo dell’esperienza delle lesbiche europee negli anni Venti e Trenta? Molto poco, almeno in Italia. Gli studi sul tema sono stati aperti, per quanto riguarda il nostro Paese, da Fuori della norma. Storie lesbiche nell’Italia della prima metà del Novecento, a cura di Nerina Milletti e Luisa Passerini, uscito per Rosenberg & Sellier solo nel 2007. Tra le cause di questo vuoto, la reticenza della storiografia, anche quella femminista, come evidenzia Paola Guazzo nel suo contributo – l’unico dedicato al nostro paese – “Al ‘confino’ della norma”. Da qui l’importanza di questo progetto collettivo, che ha lanciato le sue reti in giro per il continente, per poi tradurre e presentare saggi editi e inediti di ricercatrici di area austro-tedesca, francese e spagnola, e ne ha prodotti di originali. I contatti avviati con studiose ungheresi, polacche ed ex jugoslave non hanno prodotto per ora lavori sulla realtà di quei paesi, così come non è stato possibile trovare traccia di lesbiche combattenti in unità partigiane, ma scrivono le curatrici, «restiamo convinte che questo non significa che non siano esistite».
In rapida carrellata, il volume illustra l’esperienza delle lesbiche tedesche dall’impero alla fine della seconda guerra mondiale (Claudia Schoppmann), la loro situazione sotto il nazismo (Ilse Kokula, saggio del ’92, uno dei «testi pionieri» sul tema), l’opzione dell’esilio (Vincenza Scuderi) e un caso emblematico di persecuzione politica (Ines Rieder sulla figura di Mopsa Sternheim), la vita lesbica in Austria tra gli anni Venti e i Trenta (di nuovo Rieder), quella nell’Italia fascista (Guazzo, già citata) e l’immagine del lesbismo tra le internate: a Ravensbrück, vista soprattutto con gli occhi delle prigioniere politiche francesi (Marie-Jo Bonnet, parte di uno studio più ampio sulla solidarietà nei campi, che affronterà anche Auschwitz-Birkenau), e nelle carceri franchiste, con gli occhi delle prigioniere politiche spagnole (Raquel Osborne).
Primo impegno del lavoro, ovviamente, quello di ricostruire e informare: modalità della repressione e forme possibili di interstiziale libertà delle lesbiche nei diversi paesi e situazioni non sono certo argomenti che, almeno in Italia, si studino a scuola. Rendere patrimonio comune la semplice nozione che l’olocausto riguardò, oltre gli ebrei e i “politici”, anche rom e omosessuali è già un processo faticoso: ma quante/i sanno che i “triangoli rosa” che condannarono i gay riguardarono assai poco le lesbiche, molto spesso deportate, torturate e uccise con la stella gialla (tante erano anche ebree) o nero (riservato agli “asociali”)?
Ma la raccolta è percorsa anche da un secondo impegno, dichiarato da Guazzo: quello di affrontare le “zone grigie”. Scrive Guazzo: «Il nostro libro, in particolare nell’intervento di Marie-Jo Bonnet, affronta alcune pratiche di complicità attuate da lesbiche verso il potere nazifascista nella situazione limite del lager. Mi sembra importante che, in linea con i più recenti esiti della ricerca europea, anche in Italia cominci a esprimersi una storia lesbica non limitata da zone grigie di silenzio. Se alcune biografie contraddicono in parte o completamente quella che forse è una residua “mitologia dell’oppressa” non per questo ha senso che queste siano cancellate dalla memoria o coperte di omissis». 
Ecco allora l’enigma delle julot di Ravensbrück, figure assai poco chiare di prigioniere stigmatizzate e temute dalle altre: per il loro lesbismo, ma anche per i privilegi alimentari e vestimentari guadagnati con la prostituzione e la disonestà e concessi ad altre internate pare in cambio di favori sessuali, e per il loro status di kapo. La definizione è usata dalle sopravvissute francesi, tutte prigioniere politiche, e si applica a tedesche in larga parte prigioniere comuni, intrecciando lesbofobia e antinazismo. Un fenomeno paragonabile a quello che si registra, in maniera più chiara ed eclatante, tra le prigioniere politiche nelle carceri franchiste: per sopravvivere a decenni di reclusione le repubblicane, e in particolare le comuniste, concepiscono e applicano una disciplina sessuale ferrea, che esclude drasticamente in quanto forma di debolezza, e quindi di
vulnerabilità di fronte agli aguzzini, l’esperienza lesbica (come anche l’autoerotismo). La prigioniere che si macchiano di queste trasgressioni alla morale collettiva vengono radiate dalle attività di studio e elaborazione politica comune che sono la principale fonte di resistenza delle prigioniere e definitivamente espulse dalla cellula di partito.
Esperienza di repressione e autorepressione del lesbismo da parte di militanti antifasciste che paradossalmente mutua e rinforza quella del regime che combattevano. Un allineamento tragico, che più tardi qualcuna di queste “monache rosse” almeno in parte rimpiangerà: «Voglio dire che abbiamo voluto essere pure, pure, pure, però oggi ti deprime pensare che la cosa più umana sarebbe stata quella di non essere tanto rigide (…) Perché oggi è una cosa che si giustifica, che si difende, il fatto dell’omosessualità, ma noi allora lottavamo ferocemente contro questo (…). Nonostante ciò, continuo a credere che fosse abbastanza giusto».
Ecco, basterebbe il cono di luce acceso su realtà oscure come queste per giustificare R/esistenze lesbiche e augurarsi che l’esplorazione iniziata prosegua e si allarghi a raggiera. Tanto più che, come scrivono le autrici, “«a barra posta su r/esistenze indica che per le lesbiche la stessa esistenza può essere considerata una forma di resistenza (all’eterosessualità obbligatoria, alla cancellazione di sé e delle proprie passioni), vieppiù in periodi di forzata “normalizzazione” di tutte le donne come furono quelli dei fascismi europei del novecento. Trovare tracce di chi è “semplicemente” esistita è un lavoro difficoltoso tanto quanto lo è scrivere la storia di chi ha resistito».
Renoize 2010: a Renato Biagetti, 4 anni dopo
Il 27 Agosto di quest’anno saranno 4 anni che Renato è stato ucciso; un’aggressione fascista che si è trasformata in assassinio.
Quattro anni di vita, di lotte, di sorrisi e di lacrime, di rabbia, di processi, di partenze e ritorni, di nuovi arrivi e nuove nascite, di sogni realizzati e altri lasciati in sospeso ma mai persi.
Quattro anni di cambiamenti, di crisi, di crescente delirio securitario.
Quattro anni in cui, nonostante… il passaggio di questa città ad un’amministrazione di destra, i sani anticorpi antifascisti hanno continuato a difendere e a tenere viva la memoria di questa città ribelle e mai domata, di questa Roma Città Aperta.
Quattro anni di abbracci e sguardi forti, intrecciati con le storie di Dax, Carlo, Federico, di Carlos e Alexis, di Nicola, Aldo, di Stefano e di tanti altri purtroppo, per non dimenticare, per raccontare la verità, per chiedere giustizia.
Quattro anni in cui il nome di Renato ha risuonato ovunque, perché la sua storia è un pezzo di quell’ingranaggio collettivo che anima questa città e non solo.
Partigiani dei nostri tempi, con le radici forti strette alla memoria della Resistenza e con le ali robuste per volare e lottare nel tempo della crisi.
Per questo, anche quest’anno, quelli di Renoize vogliono organizzare un appuntamento pubblico nel territorio in cui viveva Renato:
Sabato 28 Agosto a Parco Schuster (San Paolo) con mostre, banchetti, buon cibo accompagnati dall’esibizione degli artisti su elencati a partire dalle 18 fino all’1.
Una serata di musica e parole in una serata di fine agosto, come quella che ci ha portato via Renato in cui dare voce alle lotte e ai percorsi che portiamo avanti durante tutto l’anno, e dare spazio alle note di chi suona nella sala prove Renoize e non solo.
Finchè ci saranno quelli/e come noi, ci sarà sempre il tempo di far vivere chitroppo presto, ingiustamente e con un’assurda e inconcepibile violenza ci è stato tolto. Finchè ci saranno quelli/e come noi, si potrà sempre dire: “è una questione di memoria”.
L’invito quindi è quello ad esserci, ancora una volta, anche quest’anno! Per ribadire che non facciamo un passo indietro e abbiamo gli occhi ben aperti, che i sogni di Renato vivono in noi, perchè chi pensava di fermarci ci vedrà muovere, chi pensava di zittirci ci sentirà urlare la verità!
“Per combattere questo nuovo fascismo non ci saranno i vostri nonni, o i padri dei vostri nonni. Affrontarlo toccherà a voi. “ Enio Sardelli “Partigiano Foco”
Sant’Anna di Stazzema e la Nakba
Anna aveva appena 20 giorni, sarà stata un fagottello accaldato, nell’estate rovente del 1944, dove il sole bruciava insieme al piombo di una guerra che sembrava interminabile.
Evelina invece quella mattina aveva iniziato a partorire, le doglie del parto contorcevano il suo corpo, corpo che finì straziato insieme ad altri 560. Genny invece, per difendere il suo bambino dalla morte si tolse uno zoccolo e lo tirò in faccia al soldato SS che aveva davanti.
Il sito internet di Sant’Anna di Stazzema ci offre questi volti trucidati per capire cosa fu quella mattinata di 66 anni fa, quando le SS uccisero tutti, trucidarono tutte e tutti per poi fare un gran falò di quei corpi, delle loro case, delle stalle, del raccolto, degli animali, dei ricordi.
Un deserto di cenere su quei corpi senza alcuna colpa.
Solo queste poche righe, per non dimenticarli.
La rabbia mi viene pensando che 4 anni dopo prese inizio la Nakba, e un altro popolo fu trucidato e cacciato. La metà della popolazione palestinese fu cacciata dalla propria terra, espropriata, segregata e trucidata.
Ma quella è una pulizia etnica che non ha diritto all’ “ufficialità” , al riconoscimento internazionale. Quella è una pulizia etnica i cui esecutori sono ancora oggi eroi nazionali …
“SONO FAVOREVOLE AL TRASFERIMENTO FORZATO: NON CI VEDO NULLA DI IMMORALE” _David Ben Gurion, giugno 1938_
50 anni di magliette a striscie: GENOVA 30 GIUGNO 1960
30 giugno 1960
Cavolo ma fa davvero 50 anni. Incredibile.
Mi stupisco più di tanti altri anniversari perchè ricordare il 30 giugno 1960 a Genova, ricordare i Camalli, i portuali dalle magliette a strisce che a suon di bastonate e sassaiole hanno cacciato i fascisti e chi voleva proteggerli.
Una giornata che ha segnato un passaggio, una giornata dove si sfoglia la pagina del libro e qualcosa cambia per sempre.
Per quello mi emoziona e stupisce così tanto che siano passati 50 anni e che quindi la prossima settimana siano 50 anni da Lauro Farioli, Afro Tondelli, Ovidio Franchi, da Marino Serri e da tutti gli altri, “morti di Reggio Emilia” che sento nel sangue da quando so che mi scorre del sangue dentro.
Il giorno prima a Roma un corteo fu caricato pesantemente e rispose con coraggio alle cariche a cavallo.
50 anni di storia mia, di corde vocali che quasi si spezzano per la tanta rabbia in gola.
50 anni di gente mia, di compagni e sangue, di resistenza e sorrisi come di troppi lutti e sconfitte.
50 anni, e quelli dei camalli non invecchiano malgrado facciano parte di un rimosso totale.
OGGI COME IERI, con le magliette a strisce e in mano un sasso per le vostre camionette.
Beit Jala, ancora una volta
22 Aprile 2010
Oggi a Beit Jalla vicino a Betlemme, cittadini palestinesi con alcuni internazionali hanno dato vita ad una manifestazione di protesta contro il muro dell’apartheid in costruzione in quella zona. Per diverse ore l’esercito ha sdradicato decine di ulivi centenari e buttato giù il portico di una cosa perchè proprio li soergerà la continuazione del muro dell’apartheid. I manifestanti hanno tentato di avvicinarsi alle case ma i militari li hanno respinti sparando lacrimogeni e proiettili di gomma. Sono state fermate 6 persone, tra cui 2 italiani, che ora sono nelle mani dell’esercito israeliano. Le accuse sono di violazione di una zona militare chiusa perchè, in maniera simbolica, hanno piantato una bandiera palestinese sul perimetro del futuro muro, dove era appena stata distrutta una parte di una casa di palestinesi.
Ascolta la corrispondenza di Radiondarossa e gli aggiornamenti
Il secondo giorno della V Conferenza Internazionale di Bil’in sulla Resistenza Popolare Palestinese comincia con la brutta notizia del riavvio dei cantieri per la costruzione del muro attorno a Betlemme. Numerosi bulldozer e circa dieci jeep dell’IDF sono entrati a Beit Jalla e Al Walaja per sradicare gli ulivi lungo il tracciato del muro e demolire il cortile di una casa palestinese.
Diversi attivist* internazionali (tra cui alcun* del nostro gruppo) e israeliani sono andati sul posto per portare la solidarieta’ attiva alla famiglia di Beit Jalla e, eludendo la sorveglianza, sono riusciti a rimanere al fianco dei palestinesi mentre procedeva inesorabile la demolizione. I militari israeliani sono intervenuti trascinando brutalmente gli/le attivist* per centinaia di metri, picchiandone e ferendone tre. Due attivisti israeliani sono stati arrestati.
Questa casa e’ stata al centro di un processo completamente falsato dalla giustizia israeliana: il terrazzamento del cortile era stato demolito qualche mese fa e poi ricostruito in seguito alla sospensione del processo stesso. Due giorni fa, il 20 Aprile, il tribunale ha definitivamente autorizzato il governo israeliano a dare inizio ai lavori di costruzione del muro che passera’ a pochi metri dalla casa stessa, isolandola e usurpandone la terra.
Nel frattempo, a pochissimi chilometri da li’ e a pochi metri dalla terra di Abed, nel villaggio palestinese di Al Walaja,altri bulldozer hanno sradicato almeno 50 ulivi e 50 alberi da frutta. Gia’ la settimana scorsa nello stesso villaggio ci sono stati 3 arresti e varie minacce e pestaggi intimidatori da parte dell’esercito; anche stavolta hanno minacciato di arrestare i membri del comitato popolare locale se avessero continuato a protestare contro il muro e la demolizione delle case.
Nel primo pomeriggio, terminati i lavori della conferenza internazionale, altr* attivist* internazionali sono tornat* a Beit Jalla per cercare di raggiungere la famiglia rimasta isolata dalla mattina, rompendo la zona militare chiusa.
Quando siamo giunti sulla strada che conduce alla casa i militari hanno messo di traverso i loro mezzi e steso il filo spinato per impedirci il passo. Abbiamo provato a forzare il blocco in maniera pacifica ma i soldati hanno reagito nervosamente puntando i mitra e minacciandoci con le granate in mano. Ne e’ seguito un tafferuglio e dopo 2 ore di blocco stradale, durante le quali i militari hanno impedito il passaggio di qualsiasi veicolo – compresa un’ambulanza -, un piccolo gruppo e’ riuscito ad aggirare lo schieramento e a raggiungere la famiglia portandogli da mangiare e piantando simbolicamente una bandiera della Palestina. Perche’ questa terra non appartiene alla prepotenza sionista.
Sei persone sono state fermate, ammanettate e portate alla stazione di polizia di Gush Ezion (una delle tante colonie israeliane in Cisgiordania) e stiamo attualmente in attesa della loro liberazione. Nel gruppo ci sono quattro ragazze e due ragazzi, tra questi un compagno e una compagna del nostro gruppo.
In seguito agli arresti i soldati hanno sparato lacrimogeni sul resto dei manifestanti, disperdendoli. Alcuni ragazzi palestinesi hanno iniziato a lanciare pietre, rovesciando cassonetti, e l’esercito ha sparato alcuni colpi.
WITHOUT YOUR FREEDOM WE’LL NEVER BE FREE
PALESTINA LIBERA
Per gli aggiornamenti seguire Freepalestine ed ascoltare Radio Onda Rossa
Sono passati 8 anni da quando ero per i vicoli di Beit Jala, caricati dall’esercito! Quella terra è dentro di me…
sono stretta ai compagni presenti nei Territori Occupati, stretta stretta a quella terra resistente
“Costituzione” e “democrazia” non sono valori che m’appartengono
La Costituzione??
La Democrazia??
Ma perchè? Perchè siamo diventati così?
Sarà dura per me stare in piazza questo 25 aprile: volevo portare il mio bambino al suo primo corteo di LIBERAZIONE ma non credo riuscirò a farlo.
Sono comunista, sono antifascista…ma quest’ antifascismo non mi piace, quest’antifascismo non m’appartiene.
Non riesco a vedere “compagni miei”, SANGUE MIO, invocare democrazia e Costituzione…
Non potete chiedermi di difendere la Costituzione…non la potete trattare come una cosa intoccabile, detentrice di valori eterni ed inviolabili.
Ma di cosa stiamo parlando?
Ma da quando amiamo la nostra Costituzione? La democrazia? Una costituzione che parla di “famiglia”, di “proprietà privata”?
La stessa democrazia che tiene i compagni in carcere da trent’anni, la stessa democrazia che ha regalato ergastoli e leggi speciali,
la stessa democrazia che sgombera le case, che carica i lavoratori e l’ha sempre fatto.
Quanti proletari sono stati ammazzati dalla nostra Costituzione???
Ieri ad Ostia c’è stata l’ennesima aggressione di Casa Pound: c’era un compagno solo ad attacchinare che s’è salvato per un pelo:
Volevo mettere il comunicato e non ne sono stata capace: si invocano le “forze sinceramente democratiche”… sul mio blog, scusate, non riesco a mettervi!
Non riesco a condividere strade e piazze nemmeno più con la retorica partigiana di personaggi come Bentivegna che poi hanno avallato ergastoli a go-go.
Basta, invece di capire questo, di superare quella retorica in modo antagonista e rivoluzionario facciamo addirittura passi indietro,
la peggioriamo, la rendiamo ancora più “democratica e populista”. Non ne posso più!
Vorrei contenuti di altro genere, vorrei parole nostre…non vorrei appellarmi solo al lessico borghese, alle Costituzioni borghesi e ai loro tribunali.
Questo 25 aprile mi sento molto sola, e non per i tanti fascisti in giro, ma per il modo in cui tentiamo di combatterli!
Arrestato Jamal Juma’, portavoce della campagna contro il Muro
Free Jamal Juma’! – Free the anti-Wall prisoners!
Il 16 dicembre le autorità israeliane hanno arrestato Jamal Juma’. Questo arresto segue quello di Mohammad Othman, un altro attivista della Campagna Stop the Wall, e di Abdallah Abu Rahmeh, una figura di spicco in seno al comitato popolare di Bil’in contro il muro, così come quello di decine di altri che sono attualmente in carcere per la loro azione di difesa contro il Muro. Quest’ultimo arresto è l’ennesima prova dell’escalation di attacchi contro i difensori dei diritti umani palestinesi da parte di Israele che continua a reprimere il diritto alla libertà di espressione e il diritto di associazione.
Aderisci alla campagna per la liberazione di Jamal Juma’ e per la libertà dei prigionieri del movimento contro il Muro! E’ fondamentale che la società civile globale esprima la sua solidarietà alle sue loro controparti palestinesi.
Le azioni raccomandate:
• Incoraggiare i soci a partecipare a questa campagna attraverso petizioni, manifestazioni e/o la scrittura di lettere e chiamate telefoniche. Si prega di fornire loro numeri e indirizzi di contatto.
• Sollecitare i vostri rappresentanti presso gli uffici consolari di Tel Aviv e Gerusalemme/Ramallah a sostenere il rilascio immediato di Jamal Juma ‘, Mohammad Othman, Abdallah Abu Rahmeh e degli altri attivisti contro il Muro. Vedi proforma lettera qui sotto. (Per verificare i contatti della tua ambasciata, vedere: http://www.embassiesabroad.com/embassies-in/Israel # 11725)
• Rendere noto all’Ambasciata di Israele presso il tuo paese a sapere che stai sostenendo una campagna per la liberazione di Jamal Juma’ e degli altri prigionieri contro il Muro.
• Denunciare le misure prese a danno degli attivisti contro il Muro all’attenzione dei media locali e nazionali.
• Consultare e diffondere le notizie che appaiono nell sito, blog e gruppo di Facebook per quanto riguarda la questione:
Sito: www.stopthewall.org
Blog: http://freejamaljuma.wordpress.com/; http://freemohammadothman.wordpress.com/
Facebook: Free Anti-Wall prigionieri
Twitter: http://twitter.com/wallprisoners
Vi invitiamo a coordinare le varie azioni con noi, questo ci permette di sapere se ci sono altri attivisti e organizzazioni che stanno prendendo provvedimenti analoghi. Quanto migliore sarà il livello di coordinamento, tanto più efficace risulterà la nostra azione.
Per maggiori informazioni contattare: global@stopthewall.org
I FATTI
Verso la mezzanotte del 15 dicembre, i servizi di sicurezza israeliani hanno convocato Jamal Juma’ per un interrogatorio. Qualche ora più tardi, lo hanno ricondotto a casa sua. Una volta a casa, Jamal Juma’ è stato ammanettato, mentre i soldati hanno perquisito la casa per due ore, mentre la moglie e i tre figli piccoli stavano a guardare impotenti. Al momento di andarsene, i soldati hanno detto alla moglie che avrebbe potuto rivedere il marito solo attraverso uno scambio di prigionieri. Jamal Juma’ è stato quindi portato via e arrestato, col divieto di incontrare un avvocato o di ricevere familiari, senza che gli fosse fornita alcuna spiegazione per il suo arresto.
Jamal ha 47 anni, è nato a Gerusalemme e ha dedicato la sua vita alla difesa dei diritti umani palestinesi. L’obiettivo principale del suo lavoro è volto alla responsabilizzazione delle comunità locali perché reclamino i loro diritti umani di fronte alle violazioni dell’occupazione. E’ membro fondatore di diverse ONG palestinesi e reti della società civile e coordina la Campagna palestinese contro il Muro dell’Apartheid fin dal 2002. Il suo ruolo è riconosciuto a livello internazionale, è stato più volte invitato a presentare all’estero il dramma rappresentato dal Muro ed è intervenuto anche presso le Nazioni Unite. I suoi articoli e le sue interviste sono ampiamente pubblicate e diffuse e la sua opera è stata tradotta in diverse lingue. Essendo un personaggio di grande visibilità, Juma ‘non ha mai tentato di nascondere o mascherare le sue attività.
Quello di Jamal Juma’ rappresenta l’arresto di più alto profilo all’interno di una crescente campagna di repressione tesa a colpire la base diella mobilitazione contro il Muro e le colonie. Inizialmente sono stati arrestati attivisti locali dei villaggi colpiti dal Muro, ma recentemente le autorità israeliane hanno cominciato a spostare la loro attenzione sui difensori dei diritti umani di fama internazionale, come Mohammad Othman e Abdallah Abu Rahmeh. Mohammad, un altro membro della campagna Stop the Wall, è stato arrestato quasi tre mesi fa, di ritorno da un giro di conferenze in Norvegia. Dopo due mesi di interrogatori, le autorità israeliane non essendo in grado di formulare accuse specifiche contro Mohammad, hanno emesso un ordine di detenzione amministrativa in modo da impedire la sua liberazione. Abdallah Abu Rahma, una figura di spicco nella lotta non violenta contro il Muro a Bil’in, è stato prelevato dalla sua abitazione da soldati a volto coperto nel bel mezzo della notte, e dopo una settimana è seguito l’arresto di JamalJuma’.
Con questi arresti, Israele mira a indebolire la società civile palestinese e la sua influenza sulle decisioni politiche a livello nazionale e internazionale. Questo processo criminalizza chiaramente il lavoro dei difensori dei diritti umani palestinesi e palestinesi, la disobbedienza civile.
E’ fondamentale che la comunità internazionale si mobiliti contro i tentativi di Israele di criminalizzare chi lotta contro il Muro. La politica israeliana mettendo nel mirino le organizzazioni che pretendono che vengano riconosciute le responsabilità dello stato ebraico, intende sfidare le decisioni dei governi e degli organismi internazionali, come la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ), che denunciano le violazioni israeliane del diritto internazionale. Una sfida che non deve vincere
Lettera Pro Forma in italiano:
Cari x,
Vi scrivo per esprimere la mia più profonda preoccupazione per la detenzione di Jamal Juma’, avvenuta in data 16 dicembre. Chiamato per un interrogatorio dai servizi di sicurezza israeliani a mezzanotte, è stato mantenuto in detenzione da allora. Pur essendo in possesso della carta d’identità di Gerusalemme est, a Jamal Juma’ sono stati applicati dli ordini militari vigenti in Cisgiordania, in modo da impedirgli di incontrare un avvocato per la prima settimana del suo arresto.Nessuna accusa è stata fatta contro di lui. Temo che la detenzione di Jamal Juma’ sia il risultato della sua critica pacifica delle violazioni del diritto internazionale da parte delle autorità israeliane. Le accuse contro di lui non sono state chiarite, ma non vi è motivo di credere che si tratta di un prigioniero di coscienza, arrestato solo per il suo lavoro sui diritti umani attraverso le organizzazioni legali. Il suo arresto segue una serie di altri arresti di natura analoga. Questo sembra dimostrare una violazione sistematica palestinese per la libertà di espressione e di riunione e un attacco sistematico rivolto ai difensori dei diritti umani palestinesi da parte delle autorità israeliane. Vi chiedo di prendere tutte le misure appropriate, comprese le inchieste amministrative e di protesta, al fine di garantire il rilascio immediato e incondizionato di Jamal Juma ‘e di ogni altro palestinese, difensori dei diritti umani. presente nelle carceri israeliane. Inoltre, pur essendo detenuto, egli deve essere protetto da ogni forma di tortura o maltrattamenti, e le condizioni della sua detenzione devono soddisfare i requisiti del diritto internazionale.
Grazie per la vostra pronta attenzione a questo problema urgente.
Cordiali saluti,
in inglese:
Dear x,
I am writing to you to express my deepest concern about the detention of Jamal Juma’ on December 16. He was summoned from his home for interrogation with the Israeli security at midnight and has been kept in detention ever since. Though Jamal Juma’ is a Jerusalem ID card holder, West Bank military orders have been applied to bar him for access to legal counsel for the first week of his arrest. No charges have been made against him. I fear that the detainment of Jamal Juma’ is a result of his peaceful criticism of violations of international law by Israeli authorities. The charges against him have not been made clear, but there is reason to believe that he is a prisoner of conscience, arrested solely for his human rights work through legal organizations. His arrest follows a number of other arrests of similar nature. This seems to show a systematic disregard for Palestinian freedom of expression and assembly and a full-scale attack on Palestinian human rights defenders by Israeli authorities. I ask you to take all appropriate measures, including official inquiries and protests, to ensure the immediate and unconditional release of Jamal Juma’ and the other Palestinian human rights defenders in Israeli prisons. Furthermore, whilst being held, he should be protected from any form of torture or ill-treatment, and the conditions of his detention should fulfill the requirements of international law.
Thank you for your prompt attention to this urgent matter.
Secondo giorno di scontri ad Istanbul, dove in piazza si muore “per infarto”
E’ il secondo giorno che Istanbul è “in fiamme”, con le strade occupate da manifestazioni e scontri di piazza che stanno infastidendo il vertice annuale dei padroni del mondo, il Fondo Monetario Internazionale.
I giovani resistenti, turchi e kurdi di Istanbul, stanno attaccando la polizia da ieri mattina a suon di sassi e molotov e di contro stanno avendo come risposta molte decine di arresti (solamente ieri mattina ce ne sono stati più di cento) e pesanti cariche con un fitto uso di lacrimogeni e di idranti.
Oggi anche la moderna piazza di Taksim, simbolo della nuova Istanbul, è stata luogo di scontri, con numerose banche attaccate da centinaia di manifestanti decisi a disturbare il vertice bancario-finanziario che decide le sorti del pianeta: le cariche, effettuate da polizia antisommossa e militari, sono ogni momento più pesanti.
Ieri ha perso la vita un manifestante di 55 anni: la polizia ha dichiarato che è morto per arresto cardiaco.
BRAVI COMPAGNI! SIAMO CON VOI
PIENA SOLIDARIETA’ A TUTTI COLORO CHE SONO STATI ARRESTATI E CHE STANNO RESISTENDO ALLA POLIZIA TURCA!
Quel che esporta la Folgore!
Ci chiedono di piangere gli “eroi della patria”. I soldati che “portano pace e rischiano la vita tutti i giorni”.
Oltre al ribrezzo che provo a pelle per la parola EROI…da dire a riguardo ce ne sarebbe e non poco, ma nemmeno mi va.
Nient’altro che “occupanti”, occupanti in una terra straniera da anni e scusate se allora considero quello di ieri non un “ATTENTATO”, ma un’azione di RESISTENZA contro occupanti stranieri, portatori di morte.
I piloti italiani in questo momento sono impegnati in un addestramento speciale negli Stati Uniti e si sono portati da casa (pensate quanto può essere costato) i nuovi cacciabombardieri dell’esercito italiano. I cacciabombardieri di solito non portano PACE.
Anzi…quello che bombardiamo continuamente è Uranio impoverito.
Vi ricordate i bimbi deformi di Baghdad?
Bhè, questi sono quelli afghani: questo è quello che portano “gli eroi della patria”.
Questo è quello che continuamente esportiamo in Afghanistan ed Iraq, quello che abbiamo portato in Somalia (anche quello che cade ogni giorno sul territorio sardo di Quirra, intorno al poligono interforze).
Io piango gli operai che muoiono ogni giorno, piango i migranti che a centinaia si perdono nel mediterraneo e con loro la speranza di altro.
Io non piango assassini, mutilatori, stupratori, mercenari, occupanti.

Lieberman all’attacco…
Prosegue, prosegue marciando al passo dell’oca l’avanzata nazionalista e xenofoba di Avigdor Lieberman, neo-ministro degli esteri israeliano, leader del partito di estrema destra Israel Beitenu. 
Le novità sono due e fanno rabbrividire: la prima è quella su cui ha basato la sua campagna elettorale, che ora è diventato un’effettiva proposta di legge presentata alla Knesset.
Parliamo di un giuramento di fedeltà, requisito necessario alla cittadinanza, allo “stato di Israele, stato ebraico, sionista e democratico”. Chi non firmerà questo giuramento non avrà la possibilità di ottenere i documenti di identità. In aggiunta è stata proposta anche la possibilità di revocare la cittadinanza a discrezione del Ministero degli Interni. Il giuramento di fedeltà è assolutamente inaccettabile per tutta la popolazione arabo-israeliana, già cittadini di serie B all’interno del proprio stato.
Oltre a questa proposta di legge, Lieberman e il suo partito hanno proposto il CARCERE (3 anni di prigionia) per chi dovesse azzardarsi a commemorare la Nakba, dicendo che questa legge “ha l’intenzione di rafforzare l’unità dello stato israeliano”. la Catastrofe, l’inizio dell’esodo per 700.000 profughi mai tornati alle loro terra… questo si vuole cancellare.
Cancellare la storia, ancora una volta.
Questo non lo si può far passare, almeno la memoria, almeno l’importanza della storia: almeno questo difendiamocelo con i denti, con il cuore, con il sangue, con la vita.
“Io sto aspettando il momento in cui saro’ capace di dire – all’inferno la Palestina- , ma questo non accadra’ prima che la Palestina torni libera. Io non posso ottenere la mia liberta’ personale senza la liberta’ del mio paese: quando la Palestina sara’ libera, saro’ libero anche io “. _M. Darwish_





































































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