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Occupy Wall Street invita Roberto Saviano: eccovi una traduzione di ciò che pensa del movimento italiano. A translation for US activists!
Questo è un appello pubblico al popolo di attivisti che riempie le piazze di Occupy Wall Street.
Un appello affinchè si rendano conto di quanto poco intelligente è stato il loro invito a Roberto Saviano: ma d’altronde non lo capiscono in Italia con facilità, quindi son completamente scagionati. 
Mi sento in dovere però di comunicare con loro CHI E’ Roberto Saviano…o almeno, chi è nei confronti del movimento studentesco, quali sono state le parole da lui usate a commento della manifestazione del 15 dicembre, dove migliaia di persone si scontrarono con la polizia per tentare di arrivare fino a Montecitorio.
Lui, che considera Maroni il miglior ministro dell’Interno della storia di Italia…
E’ probabilmente molto poco per capire chi è Saviano, ma può bastare.
Ma va con la scorta a Zuccotti Park?
mi dicono che questa traduzione è agghiacciante…
è la sola che per ora ho trovato in rete e stando a lavoro non ho avuto nemmeno modo di leggerla…
cerco altro appena scappo da qui.
SO, some people told me that this pages is google-translated, so maybe it’s impossible for you to understand it! Sorry, I’ll try to put the correct one as soon as possible
I give you this link, in english, about it READ IT! HERE YOU CAN FIND AN URGENT APPEAL FOR YOU!!!
15 ottobre: ecco la prima condanna
Che vergogna.
Sembra che abbiano deciso di far pagare tutto a lui.
Tutto il marasma mediatico insopportabile creatosi subito dopo gli scontri del 15 ottobre inizia a mietere vittime.
Ieri sera c’arriva la splendida notizia della scarcerazione di Leonardo Vecchiolla, trasferito poco prima nel carcere di Rebibbia per competenza territoriale. Scarcerato senza alcuna restrizione: libero.
Oggi invece la batosta.
Giovanni Caputi, l’unico che era ancora in stato di detenzione, dentro Regina Coeli, proprio perché senza alcuna dimora, è stato condannato questa mattina dal Tribunale di Roma a tre anni e 4 mesi di condanna per resistenza pluriaggravata a pubblico ufficiale con il rito abbreviato.
Ma la procura ci fa già sapere che forse non gli basta e che ora che ha ottenuto la trasmissione degli atti dal tribunale, vuole indagare anche per il reato di devastazione.
Tra gli arrestati del 15 ottobre, Giovanni è quello con la condizione più particolare: originario di Bari era in Spagna da divero tempo, non ha ottenuto la scarcerazione come gli altri perché privo di domicilio o di qualcuno che potesse ospitarlo, qui in Italia.
Così è rimasto in carcere ed oggi s’è preso la prima condanna per gli scontri del 15 ottobre scorso, in piazza San Giovanni: vogliono anche il risarcimento danni, sia il Comune di Roma che l’Ama, la società che gestisce lo smaltimento dei rifiuti e procederanno in sede civile dopo essersi costituiti parte civile.
Hanno trovato il capro espiatorio: il più debole paga per tutti.
Sarà contenta la redazione di Repubblica e tutti coloro che invocavano la polizia o impacchettavano fanciulli.
Noi ricordiamoci che il 5 dicembre ci sarà l’udienza per Robert, Stefano ed Ilaria:
NON LASCIAMOLI SOLI!
e scriviamo a Giovanni,
nel carcere di Regina Coeli, Via della Lungara 29, 00165 Roma
Frammenti di Oreste Scalzone, da Genova al 15 ottobre, passando per Matteo Renzi
12 anni bastano compagni.
Avete mai visto una rivoluzione, una sovversione, che continua a riprodursi per appuntamento, spettacolare.
Ce li organizza la società dello spettacolo, e noi appresso. Ogni volta s’è riprodotta così: chi faceva il pacifico, chi faceva il black bloc…ma fino a quando?Sappiamo già tutto, fino a quando andremo avanti?
Il 15 ottobre forse ha chiuso un cerchio.
[…]
La crescita, l’intergenerazionale…quelli del ’69, l’operaio comune eh, non io, Pifano, Curcio o Miliucci, ma quello delle canzoni di lotta continua: ha recuperato del reddito,no? ha mandato il figlio all’università? E mo si ritrova che fa da ammortizzatore sociale.
Pulisce il culo dei bambini, tiene in casa la nuora o il genero , c’ha già i genitori con l’Alzheimer (perché è l’aumento della speranza di vita dopo i 75 anni) aspetta di avercelo lui e gli dicono pure che ha rubato il futuro a quella faccia da cazzo di Matteo Renzi.
Come si fa a non amarlo?
Presidio a Regina Coeli: LIBERARE TUTT@
LA SOLIDARIETÀ È UN ARMA
LIBERARE TUTTE E TUTTI
Nell’affollatissima assemblea di domenica 6 novembre tenutasi al CSOA Ex SNIA si sono incontrate numerose realtà romane provenienti da percorsi molteplici ed a volte distanti, almeno quattro generazioni di compagni e compagne a confronto. La volontà di andare oltre il 15 ottobre e rilanciare percorsi di lotta e autorganizzazione, capaci di connettersi, con la voglia di protagonismo dei giovanissimi, con le tante vertenze nei territori e nei posti di lavoro, con la difesa dei beni comuni e contro profitti e speculazioni. Un sentimento comune nelle dovute differenze senza rimozioni e non senza fare i conti con quanto è successo in quella giornata.
Tutti i presenti si sono espressi per il rifiuto della logica del capro espiatorio alla base del sistema penale e della dicotomia buoni/cattivi con la quale si è voluto criminalizzare da più parti la piazza del 15 ottobre. Un meccanismo che abbiamo subito all’indomani di Genova 2001 con il quale non si è saputo fare i conti. Dopo dieci anni è ancora il paradigma black bloc – infiltrato ad essere riproposto dall’apparato politico, dai pennivendoli e mezzobusti. Un immaginario talmente digerito socialmente da aver scatenato il fenomeno inedito della delazione di massa. Occorre prendere parola e re-agire fuori dai recinti identitari.
In questa direzione, come primo passo, si è deciso di impegnarsi collettivamente perché nessuno rimanga solo a fare i conti con procure e commissariati. Organizzare per questo una campagna per far fronte alla morsa repressiva che si sta impiantando per controllare il crescente disagio sociale e disinnescare il conflitto contro la riorganizzazione del capitale e le politiche europee di austerity. Costruire una rete di solidarietà che si doti come prima cosa di una cassa per le spese legali, l’attivazione di una mailing list per coordinarsi ( https://www.autistici.org/mailman/listinfo/liberta15ott ) e un blog (http://liberatutto.noblogs.org/) per aggiornare le informazioni sui processi e comunicare le varie iniziative.
Si è deciso di scendere questa settimana in piazza, di chiamare Roma a dare una risposta. Le stragi e i disastri colposi che si sono verificati in queste settimane in tutta Italia, a partire dalla nostra città, ci danno il vero parametro della distruzione e del saccheggio che subiamo nei nostri territori, giorno per giorno sulla nostra pelle, niente di paragonabile a dieci vetrine infrante.
L’assemblea si è aggiornata per mercoledì 9 alle ore 20:00 al CSOA Ex SNIA per continuare il dibattito e per organizzare un presidio per sabato 12 novembre in solidarietà con Giovanni Caputi, Fabrizio Filippi, Leonardo Vecchiolla e Carlo Seppia gli unici a cui non sono state derubricate da carcere a obbligo di dimora fra i 14 arrestati durante e dopo il 15 ottobre. Un occasione per rompere il divieto di manifestare imposto da Alemanno e Maroni, per dare una risposta di massa alla criminalizzazione delle lotte, per la libertà di movimento, per la libertà di tutti gli arrestati e le arrestate.
PRESIDIO DI FRONTE REGINA COELI
SABATO 12 NOVEMBRE DALLE ORE 15:00
LUNGOTEVERE GIANICOLENSE
Per far sentire la nostra solidarietà a chi è ancora in carcere possiamo scrivere agli indirizzi forniti su http://liberatutto.noblogs.org
Per Sottoscrivere per le spese legali di tutti e tutte gli arrestati e le arrestate: venendo negli studi di ROR in Via dei Volsci 56 a Roma, tutti i giorni dalle 8 alle 21; oppure compilando un bollettino di conto corrente postale CCP n. 61804001 intestato a: Cooperativa Culturale Laboratorio 2001, Via dei Volsci 56 – 00185 Roma. Causale: “15 ottobre”; effettuando un bonifico bancario intestato a: Cooperativa Culturale Laboratorio 2001 Codice IBAN: IT15 D076 0103 2000 0006 1804 001 Causale: “15 ottobre”.
Marx e una lezione sui “cosiddetti eccessi” popolari
“Ben lungi dall’opporsi ai cosiddetti eccessi, casi di vendetta popolare su persone odiate o su edifici pubblici cui non si connettono altro che ricordi odiosi, non soltanto si devono tollerare quegli esempi, ma se ne deve prendere in mano la direzione”.
Karl Marx, 1850. Indirizzo al Comitato Centrale della lega dei Comunisti
Grazie a Contromaelstrom
Da Oakland: are you a pacifist? e da che parte stai??
Roma: sono i più giovani a sfidare le ordinanze di Alemanno e i divieti stile ventennio
La Questura sta vagliando le posizioni di 300 persone..questo lanciano le agenzie poco dopo cena.
Trecento persone identificate oggi in quella pagliacciata a cui la questura di Roma ha costretto centinaia di ragazzi che manifestavano, la maggiorparte studenti medi, quindi minorenni.
Manifestazione non preavvisata, danneggiamento, invasione di terreni ed edifici, inadempimento delle autorità: questi sarebbero i reati che si profilano.
Ma ricominciamo da capo, senza troppi dettagli che questa giornata è stata eterna.
Alemanno dopo il 15 ottobre e gli scontri in Piazza San Giovanni decide per un delirante divieto di manifestare per un mese: i primi a sfidare questo divieto son proprio loro, coloro che hanno invaso la manifestazione del 15 ottobre e anche la piazza degli scontri, gli studenti.
Giovanissimi, tanti, incazzati, determinati, poco impauriti.
Oggi si son trovati davanti alle scuole volanti e blindati: il divieto di manifestare doveva esser garantito, il Sindaco non voleva che gli studenti muovessero un passo.
Al Mamiani fanno 50 identificati prima delle 8.30 di mattina e la risposta degli studenti è immediata: corteo per Prati, traffico bloccato.
Poi il tutto si sposta a Tiburtina: migliaia di ragazzi arrivano nei dintorni della stazione, che dopo un po’ viene chiusa. Mentre i treni son costretti a proseguire, facendo finta di non vedere la stazione Tiburtina, le migliaia di studenti vengono prima caricati, poi chiusi letteralmente in una tonnara senza via d’uscita, nella quale son rimasti intrappolati per ore.
Non c’è stato verso, non c’è stato modo di contrattare un’uscita dalla piazza se non attraverso l’identificazione di tutti: il tira e molla è durato un bel po’, gli studenti con i documenti in mano urlavano “TANTO NON VE LI DIAMO”…
Così è stato, nessun documento: ma peggio.
La tonnara è stata aperta solo in un punto.
L’ordine della Questura è: si esce a gruppi di 30 in fila indiana, con 7 secondi tra un gruppo ad un altro:
Non sto delirando, è precisamente quello che è successo: tutti in fila indiana (anche a tempo) davanti alle telecamere della polizia.
L’Apartheid israeliano oggi sembrava arrivato al tiburtino: checkpoint per minorenni, identificazioni di massa, qualche pestaggio che ci sta sempre bene, 10 arresti.
Una volta usciti tutti, gli studenti si son recati al Verano, davanti al commissariato di Polizia di San Lorenzo per chiedere il rilascio di tutti i fermati, ottenuto abbastanza rapidamente.
Una grande assemblea alla Sapienza e la promessa al sindaco che ci si rivedrà presto per le strade romane.
Nel frattempo, mentre gli studenti erano in piazza, la Digos entrava nelle scuole chiedendo ai presidi i registri per segnarsi i nomi degli assenti; qualcosa di estremamente vergognoso.
Che fate gli schedari di chi manifesta? Anche se hanno 15 anni?
Una pagina buia, che contribuirà a far alzare la testa a questi giovanissimi manifestanti.
Pagina buia anche leggere l’infinita solidarietà in rete da quelle stesse persone che invocavano la polizia o la aiutavano impacchettando persone e consegnandole alle camionette il 15 ottobre: oggi erano indignati nel vedere le scuole di Roma presidiate dai blindati.
Eppure, cari miei indignati pacifisti col vizio della delazione, gli studenti che oggi sono stati identificati son gli stessi che volevate in galera meno di tre settimane fa: siete un po’ ridicoli.
Ma lo sapete già
SUL SITO DI RADIONDAROSSA ci son delle corrispondenze effettuate dalla piazza.
Per quanto riguarda gli arrestati del 15 ottobre oggi è finalmente arrivata la prima buona notizia.
Il Riesame ha scarcerato praticamente tutti: alcuni ai domiciliari, altri con obblighi di firma.
Niente carcere però, niente blindati, sbarre, casanza, secondini, domandine, colloqui..
e non c’è cosa che mi rende più felice.
In carcere resta chi è stato arrestato successivamente al 15, come Chucky che continua a protestare contro il suo arresto con lo sciopero della fame.
Nina e Marianna un po’ più libere, i NOTAV festeggiano la revoca dei domiciliari!
Fratello, felice nel mio paese, ho dormito sulla terra;
L’ho abbracciata, stretta, tanto mi era mancata, vedi…
Goccia a goccia, il mio sangue di fuoco innaffia le vette.
Così avanza il nostro popolo;
Così sorge l’alba che vedranno i nostri figli.
(Anonimo palestinese)
Oggi, mentre veniamo a sapere di altri arresti inerenti agli scontri del 15 ottobre in Piazza San Giovanni , a Roma,
è anche lo stesso giorno in cui finalmente arriva la notizia di un pezzetto di libertà in più per le compagne notav arrestate quest’estate.
Nina e Marianna hanno ottenuto la revoca dei domiciliari e l’obbligo di dimora: malgrado fossero incensurate hanno passato due settimane in carcere e un mese in misure detentive domiciliari.
Non una vera e propria libertà, visto che rimangono indagate e non possono avvicinare i comuni di Giaglione e Chiomonte, ma sono almeno tornate ad un minimo di normalità e socialità.
E allora buona libertà Nina e Marianna, o almeno buon cammino …
QUI UN COMUNICATO IN SOLIDARIETA’ CON GLI ARRESTATI DEL 15 OTTOBRE
Anche oggi proseguono gli arresti: Chucky si dichiara innocente e prosegue lo sciopero della fame
Mentre le agenzie diffondono le prime informazioni sul nuovo fermo di un giovane di 28 anni, realizzato dai carabinieri di san Miniato, in Toscana, con l’accusa di aver preso parte all’incendio del blindato dei carabinieri che si era lanciato nel cuore di piazza san Giovanni, dove stazionavano migliaia di manifestanti, l’avvocato di Leonardo Vecchiolla, arrestato a Chieti sempre per lo stesso fatto, fa sapere che «Nel fascicolo dell’inchiesta non c’è alcuna prova della sua partecipazione al fatto».
Paolo Persichetti
dal suo blog Insorgenze
Non è tutto black quel che è bloc. Vacillano le accuse contro Leonardo Vecchiolla, lo studente di psicologia dell’università Gabriele D’Annunzio di Chieti, arrestato il 22 ottobre scorso e subito presentato ai media come uno degli «incappucciati» autori delle devastazioni avvenute durante la manifestazione del 15 ottobre scorso. Ad «incastrare» il 23enne, originario di Benevento ma residente ad Ariano Irpino, sarebbero state alcune intercettazioni telefoniche nelle quali il giovane, secondo l’accusa, si sarebbe vantato di aver preso parte all’incendio di un blindato dei carabinieri rimasto intrappolato tra i manifestanti dopo una carica giunta fin nel cuore di piazza san Giovanni. Luogo dove stazionavano ancora decine di migliaia di dimostranti dopo che per ore molti di loro avevano resistito alle cariche ed
ai caroselli delle forze dell’ordine.
L’utenza chiamata da Vecchiolla apparteneva ad un suo amico d’infanzia messo sotto ascolto nell’ambito di un’altra indagine condotta dai carabinieri di Avellino per ipotesi di reato che nulla hanno a che vedere con i fatti di piazza san Giovanni, e alla quale Vecchiolla è completamente estraneo.
La circostanza è servita ai Ros per confezionare un arresto ultramediatico a ridosso del corteo dei No tav in val di Susa, al quale anche Vecchiolla si accingeva a partecipare. ll giovane infatti è stato arrestato con il biglietto del treno in tasca mentre si recava in stazione. Serviva un colpevole immediato per puntellare il teorema dei violenti infiltrati nei cortei.
A distanza di giorni però non sono emerse le conferme tanto attese e forse per questo la procedura si è arenata: non ci sono foto o immagini che identificano lo studente tra le persone che hanno incendiato il furgone nonostante la scena sia stata immortalata in centinaia di foto e ripresa da più angolazioni. Anche il contenuto delle due intercettazioni resta dubbio ed è singolare che le bobine si trovino ancora presso i carabinieri di Ariano Irpino e non a Roma, sede titolare dell’indagine. All’avvocato Sergio Acona non è ancora pervenuta l’autorizzazione per ascoltarle: «La trascrizione della prima – ha spiegato il legale – non fornisce elementi univoci», in sostanza non consente di stabilire che Vecchiolla abbia partecipato all’incendio del mezzo blindato. Nella seconda, «ci sono molti punti di sospensione o parole indicate come incomprensibili». Frasi estrapolate e spezzettate all’interno di un discorso ancora tutto da verificare. La stessa scontata convalida della custodia cautelare pronunciata dal gip di Chieti non ha aggiunto elementi nuovi. Il magistrato si è limitato a confermare la detenzione per tentato omicidio, devastazione e resistenza a pubblico ufficiale, dichiarando al tempo stesso la propria incompetenza. Ora tocca alla procura di Roma che però va a rilento.
Intanto Leonardo, Chucky per gli amici, è in sciopero della fame e della sete. Nel corso dell’interrogatorio ha descritto il suo abbigliamento nel corteo e chiesto che venissero fatte indagini per accertare la sua esatta posizione: «Identitificatemi in mezzo alla piazza e vedrete che non sono io quello che ha dato fuoco o era vicino all’autoblindo», ha detto. Precisando di essere stato solo spettatore della scena da una certa distanza, insieme ad altre migliaia di persone. Ha spiegato anche che il giovedì precedente aveva partecipato al presidio sotto Banca d’Italia. Poi era rimasto con gli “accampati” in via Nazionale, sulla scalinata del palazzo delle Esposizioni, fino al sabato successivo quando si è aggregato allo spezzone di corteo partito dalla Sapienza.
Quanto ai suoi «precedenti», tanto sbandierati come un’intrinseca prova di colpa, riguardano la partecipazione alla proteste contro lo sversamento dei rifiuti napoletani in una discarica della sua città. In quella circostanza venne identificato insieme ad alcuni sindaci, tra cui quello di Ariano Irpino, ed alcuni avvocati del posto.
In sua difesa è giunto anche un comunicato dell’associazione “Ariano in movimento”, animata dai Giovani comunisti, nonché l’intervento di Riccardo Di Gregorio, capogruppo di Rifondazione alla provincia di Chieti. Intanto il numero degli arrestati per gli scontri del 15 ottobre è salito ancora con l’arresto, ieri mattina, di 5 minorenni per resistenza pluriaggravata e danneggiamento. Per loro, tutti liceali e incensurati (due risiedono a Guidonia, due nel quartiere di San Paolo ed uno ad Ardea) sono è stataa disposta la custodia cautelare ai domiciliari. I 5 erano stati bloccati dagli agenti di polizia in via Merulana, in una zona dove erano stati dati alle fiamme alcuni cassonetti della spazzatura, ma poi rilasciati per la minore età.
Un comunicato da Syntagma sul “partito comunista”
Dopo Varkiza [1], il Politecnico [2], la Scuola di Chimica (1979) [3] il dicembre 2008 [4] e una serie di altri casi, la realtà ancora una volta rivela il ruolo del Partito che tradisce sistematicamente le lotte popolari. E se fino ad ora hanno strangolato, con le loro cariche politiche ogni sciopero generalizzato e determinato in tutti questi anni, se hanno insultato tutte le rivolte come una “provocazione”, d’ora in poi la storia dimostra che non sono “semplici errori politici”, ma una posizione consapevole e coordinata per difendere la dittatura parlamentare e dei rapporti capitalistici finanziari e sociali.
Questo è quello che hanno fatto ieri (20/10), troppo, anche se fino a quel punto hanno chiamato il popolo alle manifestazioni per il rovesciamento del governo. Invece di proteggere chi circondava il parlamento ne hanno protetto il regolare funzionamento, hanno agito ancor più barbaramente della polizia, spaccando le teste e consegnando manifestanti alle forze della repressione. La cosa peggiore che hanno fatto è stato di legittimare lo Stato, che ha ucciso uno dei loro compagni, accusando dell’omicidio una certa violenza parastatale.
Da ieri, in modo definitivo e irreversibile, il cosiddetto “Partito Comunista” non è altro che una barriera contro il tentativo di seppellire il cadavere parlamentare. Qualsiasi essere umano libero che lotta per la propria dignità in questi giorni cruciali deve individuarlo politicamente come un bersaglio. Questa frase non deve essere letta come una scissione nel movimento. Potremmo avere problemi comuni e obiettivi comuni con gli elettori del “Partito Comunista”, ma la politica e la pratica della leadership dalle cui labbra pendono segue gli ordini del governo e degli inviati del FMI e UE della BCE. Non abbiamo mai marciato fianco a fianco con loro, non saranno mai con noi. Dobbiamo tutti tenere presente che il “Partito Comunista” agirà come una quinta colonna del regime dittatoriale, sperando ancora una volta di afferrare qualche briciola dal tavolo parlamentare, proprio come ha fatto nel 1990 [5].
La posizione di tutti i gruppi politici, siano essi parlamentari o non, che ha sostenuto gli atti del “Partito Comunista”, sia indirettamente che con il loro silenzio, o direttamente con le loro dichiarazioni, è altrettanto condannabile. Fino a quando questi partiti rimangono all’interno di un parlamento composto di destinatari degli ordini della Troika e continuano a ricevere i loro stipendi grassi, sono interamente corresponsabili di quello che è successo finora e di quello che verrà. Il loro voto negativo al memorandum e le leggi votate insieme rivelano con precisione il loro ruolo nella dittatura: fornendo l’alibi della democrazia e della pluralità delle voci, sostengono completamente il parlamento di rappresentanti, in modo che il popolo impoverito continui a contare i voti in ogni seduta fissa e predeterminata di voto delle leggi che cancellano il suo futuro – e al tempo stesso, sono alimentati con l’illusione che qualcuno parli in loro nome e nel loro interesse. Così, lasciano l’opposizione ai professionisti della politica, e non sentono il bisogno di reagire immediatamente e di persona. Qualsiasi voto, anche per i partiti extraparlamentari di “estrema sinistra” alle elezioni nazionali e locali non è altro che olio negli ingranaggi [della macchina] e una legittimazione della “correttezza” della dittatura parlamentare.
Dal 25 maggio, quando ci siamo radunati in piazza, abbiamo rivelato che la democrazia diretta è la capacità di ciascuno di noi di partecipare, di consultarci l’un l’altro, di modellare le idee insieme in modo autonomo, lontano dalle etichette ideologiche o parlamentari. Resteremo qui, contro il loro parlamentarismo e la loro burocrazia fallimentari.
Stiamo prendendo NOSTRA VITA nelle nostre mani
DEMOCRAZIA DIRETTA ORA
Assemblea popolare di piazza Syntagma, 21/10/2011
1. Riferimento al trattato del 1945 di Varkiza, dove il Partito Comunista ha tradito la lotta armata e migliaia di combattenti della guerra civile in cambio della sua legalità nel nuovo regime
2. Riferimento alla posizione originale del Partito comunista contro la rivolta del Politecnico del 1973, che determinò l’inizio del crollo della giunta fascista. Allora definì gli studenti, molti dei quali furono uccisi, “provocatori della polizia”
3. Riferimento agli incidenti del 1979 presso la Scuola Chimica di Atene, dove i membri del Partito comunista hanno spezzato l’occupazione della scuola, collaborando direttamente con la polizia
4. Un riferimento, ovviamente, alla più recente condanna della rivolta del dicembre 2008
5. Riferimento all’accordo del Partito comunista due principali partiti parlamentari, ND e PASOK, nel 1990
Scontri tra PAME e blocco anarchico: Grecia – Italia, “una faza una raza”
Quel che accade in Grecia dovrebbe starci più a cuore del solito, visto quel che è successo in piazza il 15 ottobre a Roma; non solo per comprendere la rabbia di un’intera generazione, ma soprattutto per guardarlo come laboratorio di quel che sta arrivando anche qui: una specie di regolamento di conti tra pratiche politiche, nel momento peggiore della crisi del paese.
Oggi è il secondo giorno di sciopero generale consecutivo in Grecia contro il voto definitivo che approverà le misure di austerità…e questa mattina alle 10 già migliaia di persone iniziavano ad accalcarsi a Syntagma, l’enorme piazzale del parlamento greco ad Atene
Ieri è stata una giornata di fuoco e fiamme, cosa che non è certo definibile una novità per le manifestazione greche, che dall’assassinio di Alexis nel dicembre 2008, non hanno mai visto sfilare cortei senza pesanti scontri con la polizia e l’uso massiccio di bottiglie Molotov.
Anche oggi sembrava quello il panorama, in strade e piazze che puzzavano ancora dei lacrimogeni di ieri, invece s’è presentato diverso già prima di mezzogiorno in piazza Syntagma, dove il servizio d’ordine degli stalinisti del PAME s’è schierato subito in difesa dei cordoni di polizia, per “contenere” qualunque attacco da parte di gruppi, ancor prima che buona parte della polizia e dei reparti speciali fossero visibili in piazza.
Poco prima delle 15, dopo qualche ora di questa ridicola manfrina, una buona fretta del blocco anarchico ha attaccato le linee del servizio d’ordine degli Stalinisti: il primo faccia a faccia è stato davanti al Great Britain Hotel, proprio sulla piazza: a centinaia si sono attaccati, a bottigliate, sassate e bastonate.
A quel punto l’escalation è stata rapida ed anche drammatica: una parte della piazza si scontrava col PAME, l’altra tentava azioni per avvicinarsi comunque al parlamento greco.
Il blocco stalinista è stato attaccato anche a colpi di Molotov, come ci racconta il sempre puntualissimo sito Occupied London.
Dalle 15 in poi la battaglia si fa assurda: la polizia decide di attaccare e in non molto tempo conquista la parte superiore della piazza, mentre il PAME si conquista l’altra: a quel punto la metodologia oltre alle botte del servizio d’ordine passa all’impacchettamento di chiunque faccia parte del blocco antiautoritario ed anarchico e sono in tanti quelli ad esser consegnati alla polizia, dagli stalinisti,
ormai avvelenati di vendetta ed ordine.
Dopo un’oretta, quindi nemmeno mezzora fa, il panorama è un po’ migliorato, perché la battaglia invece di calmarsi sembra allargarsi: componenti dei sindacati di base, e di diversi gruppi della sinistra antagonista, si sono uniti alle cariche contro gli stalinisti/sbirri del PAME.
E’ in questa seconda parte di scontri tra manifestanti che è iniziata a circolare la voce di un morto,
smentita poco fa.
La polizia ha appena permesso al PAME di allontanarsi da Syntagma aprendo Panepistimiou verso Omonia, mentre sta aumentando le forze davanti al parlamento, dove tutto il fronte autonomo e anarchico si è ricompattato e sta ora fronteggiando pesanti cariche e un fitto lancio di lacrimogeni.
16.50: CONFERMATA LA MORTE DI UN UOMO DI 53 ANNI, LAVORATORE EDILE, COLPITO DA UNA PIETRA E POI PROBABILMENTE MORTO PER ARRESTO CARDIACO. LA NOTIZIA E’ STATA CONFERMATA POCO FA DA ALCUNI ORGANI DI STAMPA GRECI.
CONFERMATO IL REFERTO MEDICO: IL COMPAGNO MORTO DURANTE GLI SCONTRI NON AVEVA FERITE ALLA TESTA. E’ MORTO PER UN ARRESTO CARDIACO CAUSATO MOLTO PROBABILMENTE DAI LACRIMOGENI
Due poliziotti invece sono stati trasportati in ospedale per gravi ustioni
Provo a dare aggiornamenti tra poco
Terroristi urbani: ecco il nuovo nemico
IL VIMINALE E IL SINDACO DI ROMA ATTACCANO IL DIRITTO DI MANIFESTARE
sulle pagine di Liberazione domani,
a firma di Paolo Persichetti
Quando in Italia si manifesta un’emergenza politico-sociale è subito pronta una legge d’eccezione. Un vizio che mette radici nei lontani anni 70. Anni tabù che si ripresentano continuamente sotto forma di spettro. Chi sabato scorso ha risposto ai pericolosi caroselli della polizia in piazza san Giovanni (tre mila secondo il Viminale) è un «terrorista urbano». 
Il ministro degli Interni Roberto Maroni, dopo l’invocazione venuta da Antonio Di Pietro di una nuova legge Reale (la famigerata normativa sull’ordine pubblico che dal 1975 al 1990 ha provocato 625 vittime, tra cui ben 254 morti per mano delle forze di polizia), ha subito risposto coniando una nuova tipologia criminale (in incubazione da oltre un decennio) che va ad accrescere la lunga lista dei nemici politici dello Stato. In parlamento il ministro di polizia ha spiegato che sono in cantiere una serie di misure calco dei dispositivi d’eccezione già applicati per reprimere la delinquenza negli stadi: l’arresto in flagranza differita, i Daspo anche per i cortei (in barba all’articolo 21 della costituzione), l’ennesimo specifico reato associativo per chi esercita violenza aggravata nelle manifestazioni politiche (oramai siamo quasi a quota dieci all’interno del nostro codice penale, oggi molto più repressivo del testo originale coniato dal guardasigilli del fascismo Alfredo Rocco).
L’idea cardine contenuta nel nuovo edificio legislativo d’eccezione è quella di arretrare il più possibile l’avvio del reato, e dunque l’intervento penale, sanzionando non più soltanto il fatto compiuto o il suo tentativo ma gli «atti preparatori». Nozione incerta, volutamente fumosa, assolutamente pericolosa poiché apre all’abisso del processo alle intenzioni. Giuristi come Luigi Ferrajoli dissentono profondamente: «occultare l’incapacità del governo e la cattiva gestione dell’ordine pubblico con nuove misure repressive non serve. E’ assurdo che addirittura un sindaco possa introdurre un limite alle libertà costituzionali come quella di manifestare».
Per Gianni Ferrara, «una legislazione repressiva di questo tipo è inammissibile perché in contrasto non solo con un sistema costituzionale e una civiltà risultato di secoli di lotte sociali e politiche, ma è soprattutto inutile e dannosa come lo fu a suo tempo la legge Reale». Stavolta però questa nuova emergenza giudiziaria non è calata dall’alto dei Palazzi arroccati della politica. L’invocazione di legge ed ordine è venuta dall’interno stesso della manifestazione di sabato 15 ottobre. La reazione scomposta di pezzi ampi di ceto politico, le grida avventate di personaggi e strutture navigate, che hanno recepito le violenze e gli scontri come uno spodestamento del proprio ruolo, insieme all’ambiguo protagonismo di settori crescenti di società civile legati alla multiforme galassia giustizialista, vero must culturale egemone che tiene insieme i vari pezzi di ciò che resta della sinistra, subito pronti a lanciare la rincorsa alla delazione, le dichiarazioni dei vertici del Pd, la pressione di Repubblica(che aveva tentato di mettere il cappello alla giornata di sabato amplificando la grottesca dichiarazione dell’estensore della lettera della Bce, Draghi, nella quale si chiedevano lacrime e sangue per la popolazione italiana), hanno aperto la strada alla discesa in campo di Di Pietro e alla sortita di Marroni. Un boomerang clamoroso che ha portato addirittura all’ukaze di Alemanno, il sindaco che ha sospeso per un mese l’applicazione della costituzione a Roma, vietando tutte le manifestazioni. La politica e morta e che come Valentino Parlato che, memore di altre epoche, sul manifesto di domenica aveva provato a ricordare che «nell’attuale contesto, con gli indici di disoccupazione giovanile ai vertici storici era inevitabile che ci fossero scontri con la polizia e manifestazioni di violenza […]segni dell’urgenza di uscire da un presente che è la continuazione di un passato non ripetibile», è rimasto solo.
Nel frattempo per giovedì 20 ottobre alle 17 è stato convocato un presidio in solidarietà con gli arrestati durante la manifestazione:
L’appuntamento è al Gianicolo, all’altezza dell’Anfiteatro, sopra al carcere di Regina Coeli dove son rinchiusi i fermati (uomini)
Grecia: inizia l’anno scolastico tra tagli e occupazioni

Atene, facoltà d'economia. Lo striscione urla OCCUPAZIONE mentre in alto c'è scritto "dove non arriva la mano dello stato arrivano le lame del para-stato, Solidarietà ai migranti"
La Grecia, sventrata da crisi e austerity non molla la piazza e la contestazione, in ogni sua forma.
Questi giorni è stata Salonicco al centro della cronaca vista l’apertura della 76° Mostra Commerciale Internazionale, alla quale ha partecipato anche il primo ministro Papandreou.
Oltre due milioni di euro è ciò che è stato speso dal ministero dell’Interno solo per lo spostamento dei reparti celere dalla capitale a Thessaloniki per contrastare le proteste.
Tre giornate di scontri, ferro e fuoco: più di 40.000 persone si sono riversate per le strade con una determinazione che non smette di caratterizzare le piazze greche. Una città dove a 48 ore di distanza dall’ultimo lancio di lacrimogeni e altri tipi di gas urticanti, i parchetti pubblici antistanti le facoltà universitarie erano ancora ricoperti dall’odore irrespirabile.
La polizia è avanzata con le solite metodologie viste in questi ultimi tre anni di scontri in Grecia: la celere che fa pesantissimo uso di lacrimogeni e raramente arriva al contatto fisico, poi i M.A.T. (reparti speciali) invece si infiltrano a piccoli gruppi nei cortei con un massiccio uso di gas e granate assordanti, per tramortire e cercar di arrestare quanta più gente possibile. Poi ci sono i motociclisti, il reparto maledetto che carosella intorno ai cortei … che però di sassi e molotov ne prendono a tonnellate.
Scontri per giorni e notti intere, con una media di un centinaio di arresti al giorno.
A Salonicco, come ad Atene: dove lunedì sera anche il reparto di scorta del ministro della cultura è stato attaccato con un improvviso lancio di molotov che hanno completamente bruciato i mezzi e una parte della sede del ministero.
La protesta dilaga, la sua violenza non si placa, ma le misure di sventramento dell’economia del paese avanzano, sulla pelle di tutti. Ruota intorno ai 300 il numero dei dipartimenti universitari occupati dagli studenti che protestano contro la riforma e i tagli che ovviamente andranno a sventrare definitivamente scuola pubblica, università e ricerca con un’ondata allarmante di privatizzazioni, l’ingresso di agenzie che gestiranno le università come delle imprese, la cancellazione dell’asilo accademico e così via. Il primo giorno di scuola i cancelli dei licei sono stati presidiati dagli universitari, con un fitto volantinaggio sulla riforma e diverse assemblee spontanee: tanto che la notizia di oggi è che ci sarà il divieto di parlare di politica negli istituti scolastici.
Oltre che l’assenza di libri di testo; eh si, non è uno scherzo. Le scuole hanno riaperto lunedì ma non c’è speranza di una riga d’inchiostro prima di metà novembre:in Grecia i libri scolastici (ehhhhh, quando lottare permette le conquiste!) sono gratuiti e distribuiti dall’Organizzazione per i libri scolastici, ma dati i tagli, nulla comparirà prima di due mesi.
I taxisti sono in protesta da 48 ore davanti al parlamento.
Pochi minuti fa il governo ha annunciato 20.000 licenziamenti di dipendenti pubblici, come “ulteriore sforzo per frenare la crescita del debito”…
solo tutti insieme possiamo fermare questa maledetta europa della crisi, solo tutti insieme possiamo fare in modo che “i mercati” non mangino il nostro presente tentando di annullare il futuro.
Comunicato da Syntagma: NESSUN COMBATTENTE NELLE MANI DELLO STATO
Comunicato dell’iniziativa di solidarietà di supporto economico agli arrestati durante lo sciopero generale del 28 e 29 Giugno :
Questa iniziativa è stata creata Venerdi 1 Luglio in solidarietà verso con le persone arrestate. Il proposito della nostra iniziativa è quello di raccogliere le alte spese delle cauzioni e delle spese legali imposte con tempi ricattatori in una settimana.
Agiamo in via indipendente e non siamo associati con l’assemblea popolare di Piazza Syntagma anche se non agiamo altresi in’contrapposizione con i loro sforzi di raccogliere fondi per aiutare gli arrestati .
Dovremmo ricordare che abbiamo partecipato all’assemblea popolare di piazza Syntagma, abbiamo letto il testo originale della nostra iniziativa e abbiamo girato sul posto con una scatola per raccogliere fondi.
Tuttavia, per ragioni ideologiche, abbiamo rifiutato di sottoporre il testo con una delibera in modo da essere ‘legittimato’ dall’assemblea della piazza e, infine essere inserito come loro procedura.
Un importo di 2.700 euro è stato raccolto finora dalle scatole che abbiamo fatto girare in vari eventi socio-politici, ma anche dai contributi spontanei.
Lo sforzo per gli aiuti finanziari continuerà con una festa Giovedi, 7 Luglio sulla collina di Strefi (Exarchia, Atene).
Cerchiamo di essere tutti lì!
NESSUN COMBATTENTE NELLE MANI DELLO STATO
Iniziativa di aiuto economico per gli arrestati del 28 e 29 Giugno
solidaridad2829@yahoo.gr
PLOGOFF: Pietre contro i fucili. UNA “GUERRA” VINTA, LA PROSSIMA SARA’ LA VAL DI SUSA!!
Questo documentario è ancora oggi attuale visto quello che sta avvenendo in Italia. Prima dell’incidente di Fukushima infatti, ogni opposizione al nucleare veniva bollata come ideologica e contro il progresso (come per il Tav del resto…) e l’epoca di Chernobyl appariva lontana e superata. Oggi è il solo opportunismo politico a spingere il governo a posticipare le tempistiche del riavvio della produzione nucleare made in Italy. Il loro obiettivo prioritario è quello di neutralizzare il referendum e impedire la creazione di reti autorganizzate che si oppongano all’installazione di centrali e determinate a lottare contro ogni provvedimeno legislativo che verrà preso in questo senso.
Atene: è aria di rivolta! “LA DEMOCRAZIA E’ NATA QUI E QUI LA SEPPELLIREMO”
Alle dieci di sera, orario in cui apro finalmente questo blog, le persone presenti a Syntagma, la piazza del parlamento greco ad Atene si aggirano intorno alle 30.000. Una piazza che da questa mattina non ha vissuto un secondo di tregua, una piazza che alle 8 già vedeva i manifestanti iniziare ad ammassarsi e dodici ore dopo ( di cui molte di scontri pesanti e un lancio di lacrimogeni a tappeto difficile da dimenticare) sono ancora lì.
La giornata dell’ “ora parliamo noi”, dell’ennesimo sciopero generale paralizzante in un paese non piegato ma spezzato dalle riforme d’austerity decise dai grandi killer della finanza globale, come il Fondo Monetario.
Un paese piegato e incazzato, che non intende piegarsi più, che si definisce esausto ma contemporaneamente dimostra di avere delle energie che noi ci sogniamo. Perché sono anni che il movimento greco si struttura e si espande: dall’assassinio di Alexis, nel dicembre 2008, il livello di consapevolezza, di organizzazione e di scontro s’è alzato vertiginosamente cambiando forme e colori continuamente.
Dalle proteste radicali di studenti e migranti, che per un mese hanno bruciato Atene e Salonicco, le lotte operaie e dei portuali, così come di molte altre categorie hanno insegnato alla popolazione tutta cosa vuol dire riappropriarsi almeno della propria dignità.
Gli apparati della repressione oggi si sono mossi come son soliti fare ad Atene: normali reparti celere affiancati ai M.A.T., ma soprattutto al gruppo DIAS/DELTA, gli scagnozzi in motocicletta, che oggi hanno bastonato e caricato continuamente, per poi prenderne comunque tante.
Difficile fermare tanta rabbia e determinazione.
“PANE, EDUCAZIONE, LIBERTA’: LA GIUNTA NON E’ FINITA NEL 1973”, scandito da migliaia di persone, dopo un MPATSI, GOURUNIA, DOLOFONI (GUARDIE MAIALI ASSASSINI), lo slogan che dalla morte d’Alexis non ha mai smesso di rimbombare per le strade dell’ellade.
La piazza è stata territorio di guerra per molte ore, tanto che anche dentro la fermata della metropolitana sono stati lanciati moltissimi lacrimogeni e ancora non si riesce ad avere idea del numero di feriti.
La cosa che sembra apparire chiara è che la Grecia ha voglia di cambiare, ha voglia di prendere in mano il proprio futuro, ha voglia di parlare di RIVOLUZIONE.
Ha voglia di farla.
LA DEMOCRAZIA E’ NATA QUI E QUI LA SEPPELLIREMO!
Qualche news da chi lotta in difesa dei migranti, da Santa Maria Capua Vetere alla Questura di Torino
Testimonianza telefonica dei profughi rinchiusi nel CIE Andolfato di Santa Maria Capua Vetere durante le cariche della polizia coi lacrimogeni e l’incendio del CIE stesso nella notte tra martedi e mercoledì
La questura di Corso Verona, sede dell’ufficio immigrazione della polizia torinese, ha chiamato oggi pomeriggio una quarantina di egiziani e li ha invitati a presentarsi per completare le pratiche in vista dell’ottenimento del permesso di soggiorno. Pronta per loro, però, c’era un’espulsione. Sono stati quindi caricati di peso sui mezzi della Polizia e trasferiti nella Questura centrale di Via Grattoni. Se in Corso Verona non c’erano che tre o quattro solidali e una decina di familiari, il passaparola dev’essere stato efficace e tempestivo, perché nel giro di poco tempo si è formato un assembramento che, tra solidali accorsi e amici e parenti, contava una sessantina di persone. Al di là dello schieramento dei Reparti Mobili di Polizia e Carabinieri a protezione dell’ingresso della Questura, si è intravisto un volto noto della direzione del Cie di Corso Brunelleschi e più di un funzionario della Digos piuttosto nervoso: il presidio volante era determinato a stare lì, e questo nonostante qualche militante cercasse di rasserenare gli animi, paventando azioni legali, incontri con il Questore e telefonate con i giornalisti.
È questione di attimi, le forze dell’ordine in assetto anti sommossa cercano di bloccare prima un lato, poi un altro della strada. È chiaro che stanno cercando di trasferire i bus carichi di clandestini per portarli via, ma a nessuno sta bene di farsi soffiare da sotto il naso un amico, o un fratello. Alle urla di “libertà, libertà” che i solidali gridano da fuori, si sentono i ragazzi egiziani all’interno rispondere, e vien da sé fare un giro un po’ più largo, evitare il blocco imposto dalla celere, raggiungere corso Vinzaglio, e cercare di impedire ai bus di deportare gli amici che sono all’interno. Ci si divide in due gruppi per coprire ogni possibile direzione.
La città sa regalare strumenti buoni all’occhio di chi li cerca, e in men che non si dica i cassonetti vengono rovesciati lungo due vie, e i rifiuti all’interno volano in direzione di Polizia e Carabinieri, che vogliono allontanare i manifestanti. I tubi innocenti dei cantieri, parte della pavimentazione stradale, altri cassonetti ancora. Tutto serve per fronteggiare i poliziotti e rallentare traffico, che si paralizza in qualche minuto, rendendo difficili gli spostamenti delle camionette in ausilio ai bus dei deportati. Il gruppetto di militanti italiani che in precedenza sperava di risolvere la situazione con una chiacchierata col Questore si volatilizza in un baleno, mentre su corso Matteotti i manifestanti se la cavano con un lacrimogeno e l’altro gruppo, su Corso Bolzano, sarà costretto a qualche corpo a corpo con gli agenti inferociti. Quando però si sparge la notizia che i pullman sono riusciti a partire, il fremito di sommossa si raffredda; qualcuno andrà in aeroporto a cercare di vedere i partenti, qualcun altro si dilegua per non incappare in brutti incontri. C’è qualche ferito tra i manifestanti, tra gli agenti non si sa.
Ha poco da scaldarsi la Digos. Quando, nel giro di un’ora, un tuo zio, cugino, cognato, fratello ti viene portato via, e per di più con l’inganno, la cosa più naturale è arrabbiarsi, e cercare di impedirlo. La cosa più bella è farlo insieme, in strada. E riuscirci, magari, per davvero.
macerie @ Giugno 10, 2011
LA BELLEZZA E’ PER LA STRADA!
COPIO QUESTA PAGINA DA UNO DEI MIEI BLOG PREFERITI
Memoria simbolica
Risate gioiose salgono su col fresco della notte.
Due ragazze si affacciano nella vetrina illuminata della bettola alternativa, giù dall’altra parte della strada. Le due eleganti silhouettes ora si annusano, le mani in tasca. Gli altri passanti sono arredamento che si allontana. Una protende il viso verso l’altro, la bacia, si baciano, e s’incamminano come se il marciapiede fosse improvvisamente diventato un tappeto di nuvole.
La bellezza è per strada.
Era lo slogan apparso in un manifesto del ’68 francese, una di quelle serigrafie che, emulando le scritte murali senza grigi e senza compromessi, dicevano tutto in una botta.
Come il sampietrino lanciato dalla ragazza: la ribellione è giusta, è violenta, è bella, è ciò che conta.
I cubetti di porfido, i selci, il pavé delle strade
ritrovavano la propria storica vocazione a volare. Del resto, come recita l’altro slogan ricordato nei decennali inventari per liquidazione del ’68, quando li si toglie dal suolo, al posto della strada si trova la spiaggia (sous le pavé, c’est la plage). E “chiude la strada ma apre la via”
-che pare una definizione tipo ‘1 orizzontale, nove lettere’- era uno dei modi di celeberare la barricata.
Il ‘piccolo San Pietro’ era ovviamente anche cantato. Tra i pezzi più famosi, quelli di Gianfranco Manfredi sul/nel movimento del 1977:
Ultimo mohicano
sampietrino in mano
solo qui nella via
e la barricata
dove l’han portata? non c’è proprio piùUltimo mohicano
sampietrino in mano
non c’è più polizia
ora a chi lo tiro?
vado a fare un giro,
entro in un caffè
Oggi, la bella lanciatrice di sampietrini dell’ultraquarantenne manifesto francese è ripresa e rieditata in omaggio ad un altro movimento, quello degli studenti iraniani.
Il risultato: fondo verde (in omaggio alla ‘rivoluzione verde’…), pantaloni anziché gonna (adeguamento o moda?), e lingua inglese, dove ‘freedom’ rimpiazza ‘beauté’.
Lo scarto con la reinvenzione della bellezza -identificata con l’immagine dell’azione e del movimento, non con quella di una cariatide- del poster del maggio ’68 (prodotto da un collettivo situazionista a Montpellier, come tra l’altro ricorda la tesi di Master di Victoria Scott), è grosso. E in fin dei conti, non si tratta qui del prodotto di una memoria collettiva che riprende, rielabora o fa tradizione del prodotto di un’altra memoria collettiva. Questo poster non nasce nel movimento degli studenti iraniani, ma su un sito americano, le strade cui è destinato sono solo quelle di facebook…
Buoni Bidelli versus Cattivi Maestri
Accade poi che una ragazza per strada lanci non un sampietrino, ma un ‘fumogeno’.
E subito tutti gridano al terrorismo, ché è ormai chiaro come non occorra impugnare armi di distruzione di massa per farsi etichettare così.
In un editoriale su La Stampa del 30.9.10, brillantemente intitolato “Tornano i cattivi maestri”, Luigi La Spina ci spiega quanto siano confuse le menti di molti giovani che non sanno distinguere la realtà dei nostri giorni dalla memoria degli anni 70 e 80. E che ripetono i “tre perversi schemi mentali che provocarono tanti lutti”. Il primo di quelli che chiama pure ‘tre peccati capitali’, è la “trasformazione di una persona in un simbolo”. Il secondo, è il “pretendere di rappresentare una intera categoria sociale senza averne avuto alcun mandato”. E infine “il semplicismo di chi collega fatti singoli, separati nello spazio e nel tempo (…) in una generica e comoda macchinazione unitaria, sapientemente eterodiretta…”, insomma “l’esagerazione della potenza avversaria”.
Ora, queste ch’egli chiama “catene linguistiche”, sono tratti comuni di qualsiasi attività politica. In politica, tipicamente si fanno analisi, collegando fatti singoli secondo una propria lettura, e se ne produce un discorso in relazione ad un interesse che è necessariamente collettivo. Chi fa e porta questo lavoro simbolico, si presenta come simbolo.
La Spina lamenta che molte menti siano imprigionate da quelle odiose catene linguistiche, che fanno sì che una persona sia “ridotta alla generica categoria di un nemico senza volto”, insomma un simbolo cui si finisce per sparare.
E per dirlo usa una simbologia più trita di una foglia di Betel nella bocca di un paria: quella del ‘cattivo maestro’. Bisognerà ricordarglielo ancora, che i cattivi maestri non tornano, come pretende il titolo del suo articolo, perché I CATTIVI MAESTRI NON SONO MAI ANDATI VIA.
Ci sono sempre, sono sempre presenti perché esistono solo in articoli come questo, spiriti chiamati in ogni occasione in cui non si sa che dire su quanto sostiene o pratica chi nel sistema di potere non è integrato.
L’espressione di ‘cattivo maestro’ non solo non appartiene, né linguisticamante né concettualmente, ad un movimento che rivendica l’egualitarismo, che rifiuta i ruoli gerarchici -padrone/servo, medico/paziente, e appunto maestro che inculca e alunno che esegue-, non solo gli è incomprensibile, ma gli si oppone, esiste solo per stigmatizzarlo. Nasce cucita addosso a Toni Negri, professore universitario che con altri docenti di scienze politiche di Padova viene arrestato il 7 aprile 1979, con l’accusa di essere la mente del terrorismo.
Come ricorda la tesi di laurea di Luca Barbieri, I giornali a processo: il caso 7 aprile, (pubblicata a puntate da Carmilla e che vale la pena di leggersi per intero), “cattivi maestri” è un’espressione che da allora non è mai caduta in disuso.
E tanto per rammentare qualche esempio negli ultimi anni:
Su il Messaggero del 25 agosto 1999, Franco Frattini, allora presidente del comitato parlamentare sui servizi di sicurezza, se la prende con la sentenza di assoluzione di Adriano Sofri, perché distingue la responsabilità dei cattivi maestri “che educavano alla lotta rivoluzionaria e gli esecutori dei loro insegnamenti”. “Come Toni Negri, tra gli altri”. Su questa falsariga, Sofri è dichiarato cattivo maestro da Marco Travaglio (Sette, 15.4.2004); dal procuratore generale al processo di revisione Gabriele Ferrari (la Repubblica 30.12.1999: “cattivi maestri due volte responsabili, per quello che hanno fatto e quello che hanno fatto credere”); da Marcello Veneziani (il Giornale 19.7.2003, “Ritornano i cattivi maestri”) che lo mette accanto a Herbert Marcuse, Eric Hobsbawn e… Toni Negri. Questi, che è il cattivo maestro per antonomasia, si può davvero permettere una rivendicazione, chiamandoli alla moltiplicazione e alla moltitudine. Lo ha fatto in Apologia del cattivo maestro, pezzo tratto da una sua pubblicazione in memoriam del compianto Luciano Ferrari Bravo, e che merita di restare in memoria.
“Il ritorno dei cattivi maestri” è un titolo che ritorna, come un rigurgito di stampa: per esempio quello di un pezzo di Paolo Chiariello, su Roma 14.4.2001, lì in occasione della protesta dei disoccupati napoletani;
Su la Repubblica del 4 marzo 2004 è Mario Pirani che si dedica ai cattivi maestri: sono quelli come Erri De Luca, Daniel Pennac e Philippe Solliers, che hanno osato opporsi alla estradizione di Cesare Battisti dalla Francia;
Su il Sole 24 ore del 21 marzo 2002, Andrea Casalegno ci spiega che “i dirigenti dell’estrema sinistra furono tutti, chi più chi meno, cattivi maestri”;
Ruggero Guarini, su il Tempo dell’8.3.2003, trova una variante ai cattivi maestri che non devono salire in cattedra: dice che non devono più andare in TV “a narrare e interpretare a modo loro questa o quell’altra Notte della Repubblica”.
Questa teoria dei cattivi maestri è una delle più imbecilli che abbiano mai attraversato un discorso pubblico, e che l’espressione piaccia, tra i tanti bidelli della società, anche ai magistrati d’accusa, non è certo una sorpresa, in Italia. Il pubblico ministero Stefano D’Ambruoso ha trovato cattivi maestri in alcuni centri sociali (Avvenire, 30.8.2001), il p.m. Rosario Priore invoca contro di loro il pugno di ferro (il Giorno, 26.8.2001) e così pure il p.m. Antonio Marini, che però ‘non vuole fare nomi’ (il Messaggero, 12.8.2001). Lo stesso recidiva qualche anno dopo sulla ‘tolleranza zero’, e così duetta con la giornalista che lo qualifica di “giudice storico” (?): “-Ci sono ancora 160 primule rosse del terrorismo… -Che possono diventare i cattivi maestri per le giovani leve.” (n.b.: i casi citati sono Cesare Battisti e Alessio Casimirri, il Giorno 21.3.2007: come ‘primule’, piuttosto appassite, ma poco importa a chi ha imparato a scrivere alla sagra del luogo comune).
E, a proposito di Battisti, s’è detto in un altro post di come Arrigo Cavallina si sia rivendicato suo cattivo maestro. C’è però ancora il guru della dissociazione, il Comandante Sergio Segio, secondo cui la teoria dei cattivi maestri è uno scudo giustificazionista; perché a rigor di logica se c’è un maestro cattivo, il pupillo che egli ha traviato non è così colpevole. E no, tuona l’ex-capo di Prima Linea, è una categoria che non va utilizzata (la Repubblica 26.2.2005).
Bisogna precisare che gli articoli qui citati sono solo una minima parte di tutti i pezzi in cui vengono evocati i cattivi maestri, a proposito ormai di ogni genere di occasione e persona: ma di un uso giustificazionista come quello contestato dal superbo Comandante non si trova davvero traccia.
Poco dopo l’episodio del fumogeno lanciato al comizio del segretario CISL Raffaele Bonanni, un altro episodio attizzò la ripetizione del concetto: il non-attentato al direttore del quotidiano Libero, Maurizio Belpietro. I non-fatti, lo si è capito, costituiscono un fondamento perfetto per parlar di cattivi maestri, e permettono pure di accedere all’universo vittimario; così Bonanni: “Io e Belpietro vittime dei cattivi maestri” (Libero, 3.10.2010)
Così conclude l’analisi di Mario Ajello (“I cattivi maestri e l’accusa di ‘servitù’ ritorna la sindrome degli anni di piombo” in il Mattino e il Messaggero del 2.10.2010) su “un allarme che si credeva sepolto nelle caverne della storia” (sic): “La prima riforma da fare -e negli anni di piombo funzionò- sarebbe quella della riconciliazione nazionale fra leader e partiti”.
Fra leader e partiti, appunto.
Tutti gli altri, che non sono né leader né partiti, non appena vedranno un articolo sui cattivi maestri, potranno ricordarsi che, se la monnezza è sulla stampa, la bellezza è senz’altro per strada.
‘Dire che la bellezza è per strada, è essere capaci di recepire tutte quelle pratiche d’invenzione e di libertà che vi nascono’ (L. Sagradini, Théorie critique 2008).
Francesco Lorusso, come ogni anno
L’appuntamento è alle 10,15 in via Mascarella dove saranno deposti fiori e dove ci sarà un momento di ricordo. Alle 11,15 ci si sposterà al monumento di Francesco, al Giardino Francesco Lorusso (entrata da via Berti 2/2).
Si tratta di cerimonie molto informali che, però, nel corso di questi anni sono state fondamentali per trasmettere elementi di memoria storica che in tanti hanno provato a cancellare, senza riuscirci.
Per quelli più giovani che nel ’77 non erano ancora nati o erano piccolisimi mettiamo a disposizione la testimonianza di Gabriele, compagno e amico fraterno di Francesco (era stata pubblicata nel 1997 sul giornale bolognese Zero in condotta), insieme a due piccoli resoconti tratti dal libro “Marzo 77: fatti nostri”.

Da Porta Zamboni giunsero le detonazioni tipiche del lancio di candelotti e il primo pensiero che mi colse fu quello di assistere in diretta ad una vera e propria “invasione di territorio”, dato che fino a quel momento nessuna iniziativa repressiva aveva riguardato la cittadella universitaria.
D’istinto mi coprii il volto con un lembo della bandiera e corsi verso la zona degli scontri, incontro al fumo denso che si allargava.
Qualcuno mi disse che era inutile tentare di avvicinarsi da quella parte e si decise di provare a passare per via Bertoloni.
Mi bastò affacciarmi per capire che non era aria neppure lì: sul muro, all’altezza dei cavi della corrente elettrica, vidi distintamente le scintille prodotte da colpi di arma da fuoco. Già questo fatto costituiva una “prima volta”, un innalzamento del livello di scontro.
Poi non ricordo perché, procedendo verso gli sbocchi successivi, si decise di non risalire via Centotrecento.
Ci trovammo infine in un piccolo gruppo – cinque, sei persone – a procedere per via Mascarella.
Qui, per una ragione che non so spiegare neppure ora (forse per rendermi più utile, forse per l’inesperienza a situazioni del genere essendo sempre stato “esonerato” dalla partecipazione a scontri con la Polizia in ragione del fatto che mi trovavo in regime di buona condotta per due sentenze definitive, forse per una strana forma di coraggio o…. di paura) decisi di fare corsa solitaria e parallela sotto il portico di sinistra.
Correndo, vedevo gli altri procedere verso via Irnerio. Uno di loro, portatosi in mezzo alla strada, tirò un sasso verso un gruppetto di carabinieri ma sbagliò clamorosamente la mira scheggiando il palazzo d’angolo.

Una sciocchezza, se non fosse che, dopo, quel segno diventò la “prova” che qualcuno aveva sparato anche da via Mascarella e alimentò l’assurda insinuazione che Francesco poteva essersi trovato al centro di un tiro incrociato e dunque poteva essere stato colpito dai suoi stessi compagni. Giunto a poco più di dieci metri dallo sbocco su via Irnerio vidi, in prossimità dell’incrocio un camion, del tipo di quelli dell’esercito, ed alcuni carabinieri: tutto sommato pochi, come pochi si era dalla parte di qua.
Poi non vidi più, per effetto di una prospettiva troppo obliqua, ma sentii i rimbombi secchi di otto – nove colpi almeno di arma da fuoco, in rapida successione.
Feci retromarcia immediatamente, così come facevano gli altri, parallelamente a me. Solo che loro portavano, ognuno per un arto, il peso di un corpo senza energia. Ci ricongiungemmo e ci fermammo davanti all’uscita posteriore di un cinema.
Francesco morì lì, tra sguardi sbigottiti, mentre gli rivolgevo parole vane.
Fermammo una macchina per tentare di raggiungere l’ospedale più vicino. Nel frattempo giunse un’ambulanza e caricò il corpo di Francesco, ma le facce degli infermieri non lasciavano speranze.
Andai comunque al S. Orsola per sentirmi dire quello che ormai era già tragicamente palese.
Seppi subito dopo che contro i carabinieri era stata lanciata una molotov, che Francesco aveva avuto il tempo di dire “mi hanno beccato” e di fare con le sue gambe circa dieci metri, fino al punto in cui cadde, dove poi fu posta la lapide.
Seppi anche che ad originare tutto era stato un diverbio e una scaramuccia tra qualche decina di compagni ed esponenti di Comunione e Liberazione riuniti in assemblea. Roba che in altri tempi si sarebbe risolta con due parolacce, qualche spintone e poco più.
Da quel momento fu chiaro ad ognuno che tutto sarebbe stato diverso.
Già nel primo pomeriggio, Piazza Verdi era piena di gente, ma il tono delle voci era sommesso. Si fece una rapida assemblea tra l’odore pungente della benzina: si decise di dirigere il corteo verso la sede della Democrazia Cristiana, l’Ufficio di rappresentanza del Resto del Carlino e la Stazione. Nessuno parlò di vetrine, nessuno fece niente per impedire che andassero distrutte. Certo, era inquietante il rumore dei tonfi dei vetri che andavano in frantumi ai lati del corteo: cascate di ghiaccio attorno a noi, che portavano nell’animo un gelo ben più grande.
Personalmente trovai offensivo che il servizio d’ordine del PCI presidiasse il Sacrario dei Caduti della Resistenza e trovai di gusto discutibile il saccheggio conclusivo del Ristorante “Al Cantunzein”. Ma erano pensieri silenziosi: io non avevo fame.
Il giorno dopo, dal primo pomeriggio cominciarono gli scontri all’università. In mattinata venne rifiutata la parola ad un esponente del Movimento alla manifestazione sindacale: il cerchio di ferro si chiudeva. Per otto ore si resistette: sulle barricate verso sera suonava un pianoforte. Poi qualcuno decise e praticò l’esproprio dell’armeria Grandi: in tutta risposta arrivò una raffica di mitra ad altezza d’uomo. Per me la misura era colma.
Il giorno dopo ci svegliammo coi blindati in città e i tiratori speciali sui tetti. Cominciarono gli arresti di chiunque per strada formasse gruppi superiori a cinque persone e rifiutasse di disperdersi: così finirono dentro decine di tifosi del Bologna, venuti in centro in modo organizzato e circa 260 compagni. La detenzione di limoni era considerata sufficiente a dimostrare una volontà di resistenza. Radio Alice era chiusa. (Gabriele G.)

Domenica, all’alba, circa 3.000 fra carabinieri e poliziotti, con mezzi blindati, diedero inizio all’occupazione della zona universitaria, dove non trovarono assolutamente nessuno; sfondarono, fra l’altro, la porta della sede centrale e devastarono il CPS (Collettivo Politico Studentesco) dove, all’apertura dell’università, erano state trovate scritte fasciste.
Verso le 10, la situazione era apparentemente tranquilla e in Piazza Maggiore c’erano parecchie decine di persone tra studenti e cittadini. A questo punto, la polizia, uscita con tre camions dalla questura, si fermò all’angolo tra Via Rizzoli e Piazza Re Enzo, e cominciò a sparare lacrimogeni e caricare la gente che fuggiva senza capire. Queste cariche continuarono per tutta la mattina senza che fosse accaduto nulla, tranne alcuni slogans gridati dai compagni che si tenevano a distanza.
Poi la polizia si ritirò verso la Questura, mentre tra gli studenti si sparse la voce di un concentramento nel pomeriggio in S. Donato per tenere un’assemblea. Sempre in mattinata ripresero le trasmissioni a Radio Alice, sotto il nome di «Collettivo 12 marzo», ma vennero disturbate da qualcuno che trasmetteva un fischio sulla stessa frequenza.
Nel pomeriggio si tenne la prevista assemblea dove si decide di mandare una delegazione in Comune e alla Camera del Lavoro per chiedere le dimissioni del rettore e la smilitarizzazione della città.
In serata la polizia continuò a mantenere il clima di tensione sparando lacrimogeni contro chiunque si riunisse, anche in gruppi di 5 o 6 persone, nella zona del centro.
Nel pomeriggio intanto era stata chiusa Radio «Collettivo 12 marzo»; veniva tolta la luce a mezzo quartiere, poi, quando la radio riprese a trasmettere con delle batterie su una frequenza leggermente allontanata dal fischio, ci fu l’arrivo della polizia, che trovò la porta sbarrata. I compagni, questa volta, avevano fatto in tempo di fuggire.
LUNEDÌ 14 MARZO: I FUNERALI ALLA CILENA
I funerali del compagno Francesco Lorusso furono stabiliti alle ore 10. L’ordinanza del prefetto che vietava ogni tipo di manifestazione nel centro storico impedì l’allestimento di una camera ardente nel centro della città; il funerale si tenne alla periferia della città, in Piazza della Pace. Per quanto riguarda i partiti: il PCI aderì ufficialmente, il PSI mandò una delegazione. Il sindacato indisse un’ora di sciopero con assemblee in fabbrica, proprio in coincidenza con l’orario del funerale… Gli studenti inviarono delegazioni nelle più grosse fabbriche, per spiegare l’accaduto e richiedere un prolungamento dello sciopero. Nonostante tutto vi fu una forte partecipazione da parte di operai, cittadini e studenti.
DOPO MARZO……
Seguì lo stato d’assedio e il divieto assoluto di manifestazione. Seguì la teoria del “complotto” imbastita dal PCI per estirpare dalla sua città-simbolo il corpo estraneo di un movimento che aveva il difetto di essere nato in contemporanea con la strategia del “compromesso storico” e di risultare indecifrabile e ingombrante per i criteri statici della loro lettura politica.
Nelle assemblee che seguirono si prese atto che quel processo straordinariamente innovativo che permetteva di tenere insieme differenze, devianze, soggetti diversi, in una convivenza certo non sempre idilliaca ma sostanzialmente tollerante, doveva omologarsi all’emergenza, far quadrato per difendere la propria identità senza degenerare.
Solo allora si diedero le condizioni perché qualcuno potesse definirsi con qualche approssimazione leader rappresentativo dell’intero Movimento, ma non si ricorda nessuno a fare gomitate per questo.
































































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