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Ciao Franca, cuore nostro
E’ morta la nostra compagna Franca Salerno.
La mamma di Antonio, lei che lo tenne in pancia durante il suo arresto, che lo partorì in cella e che gli diede i primi tre anni di vita a Badu e Carros, il terribile carcere di Nuoro.
Antonio l’ha lasciata poco dopo la fine della sua vita da detenuta.
Il suo amato figlio è morto sul lavoro, ammazzato dalla strage quotidiana della precarietà…
e il corpo stanco di Franca non ha retto.
E’ morta stanotte, dopo una malattia lacerante.
Franca ha una lunga storia che è la storia di tutt@ noi
Ciao Franca, abbracciaci Antonio, almeno quello!
PER CHI VOLESSE SALUTARLA, DOMANI (4 FEBBRAIO) DALLE 13 ALLE 16 CI SI VEDE AL LABORATORIO ACROBAX, EX-CINODROMO (PONTE MARCONI)
LINK:
Una vecchia intervista con Franca Salerno
Ciao Anto’
L’evasione di Franca Salerno e Maria Pia Vianale
I funerali di Franca Salerno
Albania: la morte va in diretta
Orribile il video che sta girando attraverso da poche ore su internet. Ripreso da un cameraman della televisione albanese News24, il luogo e le modalità in cui sono morti uno due dei tre manifestanti già uccisi dalla rivolta esplosa ieri a Tirana s’è fatto più comprensibile a tutti. I primi video che giravano a riguardo focalizzavano l’immagine sui manifestanti, ma queste nuove immagini, allargando la visuale, permettono a tutti di vedere come andavano le cose qualche secondo prima dello sparo, da dove è stato sparata e cosa stava facendo l’uomo che è rimasto ucciso da quel colpo di fucile. A sparare è inequivocabilmente un membro della Guardia Repubblicana, appostato e accovacciato in una nicchia all’interno della sede del governo. 
Le immagini parlano chiaro e vi invito a guardarle: lo si vede inginocchiato, perfettamente al riparo dal lancio di oggetti rivoltogli contro. Si vede bene la fiammata dello sparo e immediatamente dopo il corpo di un dimostrante cadere a terra esanime: non stava facendo nulla, con le mani lungo il suo corpo, osservava gli accadimenti rivolto con lo sguardo verso il suo assassino. Nelle stesse immagini si vede anche un secondo cadavere a terra, ucciso negli stessi istanti di quelli di cui abbiamo le immagini in diretta del suo assassinio: non si sa se a sparare sia stato lo stesso agente perchè non esistono immagini che lo dimostrino, ma non serve molto altro per capire com’è andata.
Altri 5 manifestanti hanno raggiunto gli ospedali feriti da armi da fuoco, mentre per i 6 poliziotti ricoverati le ferite sarebbero state causate solamente dal lancio dei sassi. Rama, sindaco di Tirana e capo dell’opposizione socialista, ha definito queste immagini la “pistola fumante” che inchioda Berisha e il ministro dell’interno Basha alle loro dirette responsabilità. Questa notte, proprio nella capitale, ci sono state molte retate e perquisizioni ed alcuni arresti su disposizione della procura e il numero dei fermi sembra si aggiri intorno ai 110 “manifestanti coinvolti in atti di violenza, accusati di aver colpito gli agenti e di aver dato alle fiamme alcune auto della polizia”, ci riferisce una portavoce della polizia di stato.
Un altro paese del nostro Mediterraneo che alza la testa, con manifestazioni di piazza e rabbia a non finire: la rivolta ci sfiora e si avvicina… noi per ora stiamo a guardare, tanto per cambiare: l’Algeria e la Tunisia ora stanno riempiendo ancora le loro strade di rabbia…
Srebrenica-Israele: a ciascuno il suo Eichmann
A ciascuno il suo Eichmann
Uno degli assassini di Srebrenica arrestato in Israele, dove viveva dal 2006
Ormai pensava di averla fatta franca. Quindici anni dopo la strage di Srebrenica lo zelante soldato Aleksander, il boia Aleksander, pensava di potersi godere la sua nuova vita, con moglie e figli, quando il governo israeliano aveva concesso la cittadinanza israeliana. Adesso è stato arrestato, a Gerusalemme, in attesa di estradizione verso la Bosnia – Erzegovina. Ha sbagliato i suoi calcoli, però. Perché il governo di Sarajevo, come il vecchio Simon Wiesenthal faceva con i nazisti, non ha mai smesso di dare la caccia ai criminali di guerra. Aleksander Cvetkovic é uno di loro. Tra gli esecutori materiali del massacro più grande della storia recente d’Europa. Miliziano delle formazioni serbo-bosniache durante la guerra in Bosnia, nel 1995 era tra coloro che massacrarono in poco più di ventiquattro ore almeno ottomila civili musulmani dell’enclave di Srebrenica e dintorni. Alla fine della guerra, nel 1995, ha fatto perdere le sue tracce, come tanti altri. Molti, in questi anni, sono stati catturati. 
Lo stesso Radovan Karadzic, leader politico dei serbi di Bosnia, langue nel carcere dell’Aja in attesa che il Tribunale Internazionale per la ex Jugoslavia emetta la sua sentenza. Manca all’appello ancora il generale Ratko Mladic, comandante militare dei serbo-bosniaci, ma si spera che arriverà presto il suo turno. Cvetkovic, oggi, ha 43 anni. Ha sposato una donna ebrea e, in base alla Legge sul Ritorno israeliana, che permette a ogni ebreo del mondo di chiedere e ottenere la cittadinanza d’Israele se si trasferisce a vivere nel Paese, ha ottenuto anche lui la regolarizzazione. Il mandato di cattura della magistratura bosniaca è stato recepito da quella israeliana e sarà una corte distrettuale di Gerusalemme a stabilire, nei prossimi giorni, se il fermo di polizia possa tramutarsi in estradizione.
Un problema non da poco, per Israele. In quanto cittadino israeliano, infatti, le accuse di Cvetkovic potrebbero non rientrare nella fattispecie dei crimini riconosciuti da Israele per l’estradizione. Tel Aviv, infatti, non ha mai ratificato i tribunali internazionali. Temendo di vedere, un giorno, i suoi militari o i suoi politici inquisiti per gli stessi crimini. Uno strano senso del diritto, questo. Nel 1960, a Buenos Aires, un commando del Mossad (servizio segreto israeliano) sequestrò Adolf Eichmann, gerarca nazista e ufficiale delle SS, con un ruolo di primo piano nello sterminio degli ebrei durante la Seconda Guerra mondiale, che si era rifugiato nell’America Latina dopo la guerra. Eichmann, senza che il governo argentino venisse coinvolto, venne trascinato in Israele, giudicato e condannato a morte. Lo spirito di quell’iniziativa era lampante. Non deve esistere nessun posto sicuro, al mondo, per chi si è macchiato di un crimine orrendo come quello della Shoah. Non è da meno il massacro di Srebrenica e lascia per lo meno esterrefatti che un Paese come Israele, noto per le sue procedure di sicurezza, non sapesse chi era Aleksander Cvetkovic quando questi ha richiesto la cittadinanza israeliana. Lascia ancora più perplessi, però, il mancato riconoscimento dei tribunali internazionali che proprio da quello di Norimberga presero la loro legittimazione etica e giuridica.
di Christian Elia, Peacereporter
Antonio Salerno Piccinino… cinque anni fa
Cinque anni che sei volato via.
Nel cuore mio sei sempre qui, sempre allo stesso posto.
Ciao Anto’, occhi belli!
Qui invece, un ricordo di un po’ di tempo fa, un po’ di scatti, un’intervista a Franca
Palestine: diario per immagini da Freepalestine
Per capodanno una delegazione di Freepalestine si è recata nei Territori occupati dall’esercito israeliano.
Questo un racconto-diario.

Siamo partit* in quattro di Free Palestine Roma ma all’aereoporto di Tel Aviv due di noi sono stati fermati e successivamente rimpatriati con un’espulsione per 5 anni. L’arbitrarietà e l’arroganza con cui questo è avvenuto sono tipici di Israele. La motivazione è stata che una dei due era stata già stata espulsa in aprile (cosa non vera perchè era stata fermata a casa di una signora sotto sgombero, ma aveva ricevuto solo un’ammonizione a stare fuori da quella zona per una settimana ma non un’espulsione) e per lui perchè viaggiavano insieme.

Con una buona dose di incazzatura siamo arrivate nella casa rimasta tagliata fuori dal muro che in quel punto separa la zona di Betlemme da quella di Gerusalemme, tutta la vita degli abitanto di questa casa la famiglia, il lavoro, sono al di là del check point. Questo chech point in 10 gg l’abbiamo passato tantissime volte, mettendoci ore o minuti a discrezione del soldato di guardia. Da una parte si esce a piedi e da una parte in macchina.

Dopo le 10 di sera, dalla parte pedonale, quasi sempre la guardia fa finta di non esserci, così aspetti un’ora chiamando inutilmente prima che qualcuno decida di premere il pulsante che apre il primo tornello e da’ accesso alla zona del metal detector, dove perdi almeno altri 10 minuti perchè continua a suonare e tu non sai più che cazzo devi toglierti .. I palestinesi devono infilare la mano in una gabietta e compare la loro faccia sul monitor della guardia, a noi basta mostrare il passaporto, ci rivestiamo bestemmiando e usciamo dall’altra parte.

Il centro Amal al Mustakbal di Aida Camp funziona bene, la mattina c’è la scuola per i bambini fino a tre anni, il pomeriggio i corsi di dabka (la danza tradizionale che si balla a tutte le età) e inglese per quelli più grandi. Con i soldi raccolti in italia si stanno facendo molti lavori di ristrutturazione e messa a norma, si pagano le bollette, si cerca di dare un rimborso alle volontarie che ci lavorano. Insieme ai bambini facciamo 2 murales

Radio Voce Unita è nata da pochi mesi a Deisheh Camp. Ci lavorano compagni con tanti anni di prigione alle spalle. La loro idea è fare una radio di tutti, lontana dalle influenze dei partiti, ma vicina ai bisogni dei palestinesi. E che dia un apporto culturale alla Palestina di oggi che invece vede sempre più nella religione le uniche risposte alle tante domande disattese. Tutti i venerdì in molti villaggi della Palestina i comitati di resistenza non violenta organizzano manifestazioni e azioni contro il muro che li isola e frammenta. Bil’in, 800 persone, un pezzo di terra rossa e ulivi, pietre, una rete lunga come l’orizzonte, dietro a questa una strada sterrata su cui passano solo mezzi militari, qualche altro centinaio di metri e il muro vero e proprio. Poi dietro ancora, in cima a una cava la colonia di Kiryat Sefer.

Venerdì 31 dicembre è anche il 6° anniversario del comitato del villaggio di Bil’in, la manifestazione si prevede più partecipata, i compagni sono organizzati per tagliare la rete con delle tronchesi. Sulla strada che congiunge Ramallah a Bil’in e altri villaggi, spunta un posto di blocco, un check point volante con tanto di spunzoni in mezzo alla strada per impedire il passaggio. Il nostro taxi viene fermato. Siamo 3 italiane un basco e un palestinese col documento verde (cioè che si può muovere abbastanza liberamente nei territori). Un ventenne con mitra molto più grosso di lui dice che la zona è chiusa per 2 o 3 ore. Non da spiegazioni e non sente ragioni. Proviamo l’altra strada, stessa scena. Niente corteo per noi. .

La manifestazione si è fatta però, con 800 persone, la rete è stata tagliata in alcuni punti. L’esercito ha reagito con lacrimogeni, bombe sonore e gas. A causa delle inalazioni due giorni dopo morirà Jawaher Abu Rahmah, sorella di Bassem, diventato un po’ il simbolo della resistenza di Bil’in, ucciso 2 anni fa da un lacrimogeno ad altà velocità. Siamo state a Bil’in qualche giorno dopo a portare la nostra solidarietà e abbiamo deciso di tornarci per il corteo del venerdì successivo

Il campo profughi di Balata è sempre particolarmente sofferente e segnato dalle numerose incursioni militari che ci sono state negli anni, ha un gran numero di morti ammazzati per mano israeliana di cui molti bambini. Abbiamo incontrato i volontari dell’Happy child wood club e con loro abbiamo immaginato la possibilità di tornare. Nablus rimane una delle città più belle e più accoglienti della Palestina. Consigliamo sempre una visita in questa città resistente circondata dall’alto da sempre più colonie. Sulla strada tra Balata e Nablus l’Autorità Palestinese sta costruendo uno dei più grossi carceri che la storia della Palestina ricorsi. Questo per rendervi l’idea di cosa si respira oggi in quella terra repressa anche da questo. Silwan è un quartiere palestinese di Gerusalemme Est dove ogni giorno ci sono sgomberi e demolizioni per insediare nuove famiglie di israeliani, poi costrette a vivere sotto scorta sotto lo sguardo giustamente ostile dei residenti. Abbiamo incontrato il comitato, che tra i molti problemi ha denunciato una fortissima repressione soprattutto verso i ragazzini che cercano di contrastare l’occupazione.

Abbiamo deciso di tornare a Bil’in il primo venerdi del nuovo anno. La comunità è molto piccola e ruota intorno a due famiglie. Sono tutti molto ospitali e gentili. E sorridono e scherzano nonostante la brutalità esistenziale a cui sono costretti. Cantiamo bella ciao, balliamo, mangiamo i felafel più buoni di tutto il viaggio. Al corteo c’è un sacco di gente, ci sono i comitati delle donne di diversi vilaggi e città. Si arriva come sempre fino alla rete che viene tagliata in alcuni punti. Poi i lacrimogeni, le bombe assordanti, delle palle di ferro che piovono dal cielo cambiando direzione grosse come un pugno che sprigionano gas, e un idrante tutto bianco che spara per centinaia di metri un liquido nauseabondo che fa immediatamente vomitare, liquido che poi si è rivelato essere acqua di fogna addizionato con agenti chimici. Un venerdì come tutti gli altri negli ultimi 6 anni a Bil’in.
Tunisia (5): Carceri in rivolta ed evasioni di massa
Queste sono le notizie che vorrei dare quotidianamente, quelle che emozionano parola dopo parola e rendono difficile la scrittura.
Un paese che sta provando a liberarsi, la Tunisia, e passo passo sta tentando di mettere su strada quelli che sono i percorsi normali di un processo non dico rivoluzionario ma sovversivo e “liberatorio”.
E allora non si può passare che da lì…la liberazione di un popolo non può che passare per le celle delle proprie galere, non può che tranciare sbarre e abbatter blindati, non può che liberare i corpi reclusi e donare a loro nuova vita. E così la lista di nomi è lunga: sono circa mille i detenuti evasi solo dal carcere del Kasserine (una delle zone più calde della rivolta). Al-Jazira racconta che il direttore del centro ha deciso di aprire le celle, dopo una rivolta così violenta da non poter essre fronteggiata. Ma si è scappati ovunque nel paese e ovviamente qualche detenuto c’ha pure lasciato la pelle.
Nelle fiamme a Monastir, tra le pallottole della polizia a Madhia, a Sfax e Kairouan, a Biserta e Kram, a Cartagine e a Tunisi, nel carcere del centro città. Si parla di un centinaio morti tra i detenuti in rivolta di tutte le carceri tunisine e di migliaia di detenuti, ma poi arrivano conferme che sessanta morti sarebbero solo quelli contati nel carcere di Monastir, dove la tragedia è stata pesante. La rivolta ha portato i detenuti ad incendiare i propri materassi all’interno di uno dei bracci della prigione, dopo che dall’esterno si era provato ad abbattere i muri di recinzione con dei trattori, ed ora gli ospedali sono pieni di corpi devastati dalle fiamme.
Nel frattempo scende la sera e le strade, soprattutto dei sobborghi di Tunisi, si svuotano della popolazione a causa del coprifuoco; la voce diffusa è che le bande di cui si parla che starebbero saccheggiando e terrorizzando un po’ tutti sono uomini fedeli all’ex presidente Ben Ali, tanto che in molti quartieri la popolazione si sta autorganizzando e creando barricate per rendere più difficile la circolazione ai “razziatori”.
Ben Ali in fuga …
23 anni al potere, e se l’è data a gambe senza nemmeno annunciare la rinuncia al potere. Ha assunto quella carica il 7 novembre 1987, dopo una carriera militare che l’aveva portato ad essere direttore generale della Sicurezza Nazionale per il ministero dell’Interno e poi ambasciatore in Polonia. A Parigi? A Malta sotto protezione libica? Nemmeno il buon gusto di far ancora sapere dove si trova. Rieletto nel 1999 con il 99,66% dei voti e nel 2004 con il 94,5% dei consensi, aveva imposto una riforma costituzionale nel 2002 che aboliva ogni limite di durata alla carica presidenziale.
Oggi non ci fa sapere nemmeno dove si è rifugiato. Non ha rilasciato una parola al suo paese, alla popolazione che da anni controlla e reprime e che da settimane teme. Portavoci presidenziali francesi fanno sapere di non essere assolutamente al corrente dell’arrivo in Francia dell’ormai ex presidente tunisino, mentre da Malta ancora non arriva nessuna smentita né conferma.
Dalle 19 è un continuo batter d’agenzie, tutte estremamente vaghe: da pochi minuti sappiamo però ufficialmente che Mohammed Ghannouchi è presidente ad interim (è stato prima ministro per la Cooperazione internazione e gli investimenti esteri e dal 1999 ricopre la carica di primo ministro) . Durante il suo primo annuncio si è rivolto alla popolazione e alle “sensibilità politiche e sociali del paese” chiedendo di unirsi attorno allo spirito della patria..
Tunisia (4): Stato d’emergenza in tutto il paese dalle 17

Davanti al ministero dell'Interno di Tunisi, poco fa (Photo credit should read FETHI BELAID/AFP/Getty Images)
FLASH ORE 19: AL-JAZIRA COMUNICA CHE BEN ALI STAREBBE PER LASCIARE LA GUIDA DEL PAESE. TRA POCHI MINUTI DOVREBBE ESSERCI L’ANNUNCIO UFFICIALE, MENTRE GIRANO VOCI CHE LUI SIA GIA’ A PARIGI o a MALTA SOTTO PROTEZIONE LIBICA. I SUOI FAMILIARI SONO STATI ARRESTATI
Ieri sera e questa mattina i nostri media cercavano di dirci che la situazione stava tornando sotto controllo, che il presidente avrebbe abbassato i prezzi, ordinato ad esercito e polizia di smettere di sparare, che non si sarebbe ricandidato alle prossime elezioni…addirittura cercavano di dire che le settimane turistiche primaverili prenotate nelle coste tunisine non dovevano essere annullate perchè la situazione sarebbe velocemente rientrata in tutto il paese. In realtà sono stati rimossi tutti i membri dell’attuale governo con la promessa di elezioni anticipate entro 6 mesi, in pieno pomeriggio è stato dichiarato lo stato d’emergenza (quindi anche il coprifuoco) in tutto il paese a partire dalle 17 e il conto dei morti solo a Tunisi degli scontri della tarda serata di ieri è di 13 ragazzi uccisi dai proiettili di polizia ed esercito. E’ stato tentato l’assalto da parte di molte centinaia di persone della sede della banca centrale e del Ministero dell’Interno che la polizia ha difeso con un massiccio lancio di lacrimogeni e molti spari.
Le ultimissime parlano di spazio aereo chiuso e aereoporto di Tunisi occupato dall’esercito, coprifuoco in TUTTO il paese dalle 18 alle 6 di domani mattina per “preservare la sicurezza dei cittadini e la salvaguardia dei beni”. “E’ vietata ogni riunione di più di tre persone sulla pubblica via.
Le forze di sicurezza e dell’esercito nazionale possono fare uso delle armi contro qualsiasi persona sospetta che non rispetti l’ordine di fermarsi o che cerchi di fuggire”. Poco dopo l’annuncio dello stato d’emergenza, alle 17, si sono udite sparatorie nel centro di Tunisi di cui ancora si sa poco, mentre sta bruciando in questi minuti la stazione centrale (a pochi passi dall’ambasciata italiana) e una concessionaria di auto di proprietà di un familiare di Ben Ali. Ansamed ci dice da pochi minuti di incendi in corso a Le Kram (periferia settentrionale di Tunisi) vicino alla zona fieristica dove la popolazione sta accorrendo sulla spiaggia per sfuggire al fumo asfissiante di cui ancora non si conosce l’origine. Incendi anche a Radsh, dove bruciano due banche, il commissariato, il municipio e la sede locale dell’ufficio delle finanze, senza che alcun uomo in divisa si veda nei paraggi.
L’unica notizia positiva è la liberazione di Hamma Hammami, leader del Pcot, arrestato mercoledì mattina a Tunisi nella sua abitazione poco dopo aver rilasciato un’intervista.
QUI le precedenti notizie sulla rivolta del carovita tunisina di questi ultimi giorni
MARCHIONNE DEL GRILLO!
Veramente stupendo
Tunisia (3): morti su morti, anche oggi. Un bollettino agghiacciante
Mentre il presidente tunisino Zine El Abidine Ben Ali fa annunciare al suo primo ministro che si provvederà ad abbassare i prezzi di quei prodotti base che in questi ultimi giorni sono vertiginosamente aumentati, la situazione degenera ancora una volta.
Le notizie si susseguono frettolose…Appena un’oretta fa si cominciava a parlare di fumi provenienti da barricate nel centro di Tunisi e anche del fischio di qualche pallottola, ora invece i bollettini hanno altre parole d’ordine, ogni momento più drammatiche. La polizia sta aprendo il fuoco contro un folto gruppo di manifestanti in Rue de la Libertè e in Rue Palestine (proprio così) in pieno centro e contemporaneamente sta blindando interi quartieri della capitale, come nella zona di via La Fayette. In pochi minuti siamo già ad altri due morti da aggiungere alla lunga lista pubblicata poco fa ed un ferito in condizioni drammatiche: tutti sembrerebbero essere stati colpiti in avenue de Lyon, così riferisce da pochi minuti FrancePresse.
Nelle ultime ore invece arrivano diverse notizie dalla città di Gafsa e altre, più drammatiche da Gabes.
Una violenta manifestazione in quest’ultima città (importante centro minerario del paese) avrebbe già un bilancio di 6 morti. Da Gafsa ci arrivano notizie attraverso le parole di un sindacalista in collegamento telefonico con al-Jazeera “«In questo momento la città di Gafsa versa in uno stato di anarchia completa con bande che stanno saccheggiando liberamente i negozi del centro. Questa mattina c’era stata una manifestazione sindacale caricata dalla polizia che è intervenuta con il lancio di gas, ferendo 4 persone – ha affermato – subito dopo la polizia si è ritirata e sono giunte in città bande di incappucciati che stanno saccheggiando i negozi». Secondo il sindacalista «si tratta di bande organizzate e legate al governo perché hanno come obiettivo quello di screditare il movimento di protesta e di portare il terrore tra i cittadini».
Io quando posso provo ad aggiornare
Tunisia…siamo arrivati a 66 morti
Ci sono 58 nomi e cognomi, quindi almeno questo numero purtroppo si può confermare. Cinquantotto morti ammazzati dalle pallottole e dalla repressione del governo, della polizia e dell’esercito tunisino, dall’inizio dei tumulti contro il carovita, iniziati il 17 dicembre scorso. 
E’ al-Arabiya che, citando fonti di alcune organizzazioni per i diritti umani tunisine, ci racconta nome per nome gli ultimi minuti di questi giovanissimi uccisi. E’ lo stesso Souhayr Belhassen, presidente del FIDH (Federazione internazionale delle leghe dei diritti dell’uomo) a dirci che a questo bilancio vanno aggiunti altri otto nomi, di persone uccise nel corso della lunga notte precedente, nella periferia di Tunisi.
Oggi ci sono stati diversi momenti di scontri finchè l’esercito non ha deciso di battere in ritirata lasciando nel centro città la gestione alle poche camionette di polizia posizionate nei punti nevralgici: poco fa è ricominciato un finto lancio di lacrimogeni intorno a Rue de Rome dove centinaia di manifestanti stavano tentando di arrivare ad Avenue Bourguiba. La situazione più critica stamattina sembra essere a Biserta, città vicino a Tunisi dove l’esercito è schierato per le strade da ieri sera in modo massiccio: le agenzie di tutto il mondo non fanno altro che battere notizie sui saccheggi che sono avvenuti nella cittadina appena la polizia s’è ritirata per lasciare mano libera all’esercito, che non sta ancora intervenendo.
Poco dopo però (lo riferisce l’Ansa) alcune decine di giovani hanno formato un corteo spontaneo per tentare di fermare i saccheggi e la distruzione dei negozi: molti tra la popolazione sostengono che siano stati organizzati e pianificati dalla polizia, «Non vogliamo saccheggi, la polizia è andata via perchè qualcuno li potesse fare. Noi non vogliamo saccheggi, sono atti premeditati». Non fanno altro che ripetere questo.
Sousse invece, terza città del paese, posizionata sulla costa mediterranea, sta vivendo un partecipato sciopero generale, indetto dai sindacati di Ugtt a sostegno del movimento di protesta che sta infiammando la Tunisia: domani a Tunisi sono previste due ore di sciopero generale. La rivolta sta avvolgendo anche località famose perchè importanti centri turistici: ieri anche ad Hammamet si sono registrati due morti, mentre a La Marsa e Sidi Bou Said la situazione sta rapidamente precipitando. Forse con questi nomi e queste località in fiamme il mondo si accorgerà di qualcosa.
Yalla Shabab, non vi lasciamo soli
AGGIORNAMENTI QUI
Tunisia: un resoconto di queste ultime ore
Alle 16 il bilancio della giornata parla già di “almeno dieci morti” in tre diverse città tunisine: Douz, Dagache e Qabali. E’ difficile seguire le notizie proprio per la quantità di mobilitazioni simultanee presenti in numerosissime città del paese.
Proprio a Douz è stato registrato anche il suicidio di un docente universitario dopo i due morti avvenuti, questo è quanto viene riferito dalla tv satellitare Al-Arabiya. A Sfax, dove già dalla prima mattinata sfilavano in piazza più di ventimila manifestanti, ci sarebbero due ragazzi colpiti alle gambe da pallottole esplose dai militari: la polizia si sta ritirando per lasciare la città in mano all’esercito. Nemmeno Tunisi è stata risparmiata: violenti scontri e l’uso di pesanti lacrimogeni che stanno torturando i ribelli, insieme al fischio dei proiettili che sempre più spesso taglia l’aria anche a pochi passi dalla sede del Consiglio dei ministri. Qui si è parlato per un paio d’ore di due giornalisti del Tg3 aggrediti dai manifestanti proprio nel centro della capitale, ma poco fa è stata la stessa Maria Cuffaro a raccontare all’Adnkronos che l’aggressione subita da lei e dal suo operatore è stata opera di poliziotti in borghese, che hanno preso e danneggiato la telecamera, manganellato l’operatore e lanciando a terra la giornalista.
Ben Ali, riferisce poco fa Al-Jazira, ha convocato il Parlamento per domani alle 14, per discutere della situazione. Chissà quanti altri morti ci saranno da qui a domani; le immagini che sempre più numerose affollano la rete, provengono sempre più spesso dagli ospedali che non riescono a reggere il numero dei feriti in continuo arrivo.
La nottata è stata pesante come le precedenti: retate e perquisizioni, estremamente violente, sono avvenute in molte località del paese e ancora non si riesce ad avere un numero preciso delle persone in stato di fermo o arresto. Oggi invece, il neo ministro dell’Interno Ahmad Faria, ha ordinato l’arresto di Hama al-Hamami. Ex detenuto politico scarcerato nel 2002, portavoce del Partito Comunista del Lavoro (fuorilegge nel paese) e leader della rivolta dei disoccupati: sarebbe stato prelevato dalla sua abitazione insieme al suo avvocato, trovato all’interno dell’appartamento.
Nell’attesa di nuovi aggiornamenti segnalo una notizia da Tozeur, città alle porte del deserto del Sahara, dove da circa tre ore il tribunale è avvolto dalle fiamme.
A Mario, dai muri della terra di Palestina
I muri della Palestina sanno cos’è la prigionia…
I muri della terra di Palestina sanno guardare al di là di quello che rinchiudono…
I muri della Palestina stringono con calore tutti i reclusi, tutti i combattenti per la libertà…
I muri della Palestina questa volta salutano Mario…
e i compagni lasciati dall’altra parte della frontiera.
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BUUUUM! Il Duka sugli scontri del 14 dicembre’10
MO IO NON SO UNA CHE DI SOLITO “AMMIRA L’ESTETICA” COME SCRIVE ALLA FINE IL DUKA,
MA QUESTA PAGINA M’HA FATTO SORRIDERE, NON POSSO NEGARLO!
Buumm! Sembra la festa di Fuorigrotta! Però questa volta le bombe di carta non scoppiano per festeggiare santi, ma solo le porchemadonne di chi sta pagando la crisi. Bumm! Buuum! BUUUUM! Uomini e donne attaccano i blindati e danno fuoco alla città indorata per gli acquisti natalizi. Buumm! Dopo Atene anche a Roma bruciano gli alberi di Natale!
Poco prima, nel preciso momento in cui dal palazzo filtravano notizie sulla scandalosa fiducia, si frantumava il mito di un popolo civile che protesta civilmente. Dove qualcuno tifava per un 25 luglio, si è aperta la strada di un 25 aprile. Buumm!
Lo scenario è cambiato in un botto. La parola è passata alle piazze. E mentre i media facevano retromarcia urlando alla guerriglia criminale, il reale ha squarciato il reality show. Buumm! Il sito di Repubblica impallidisce terrorizzato: dov’è finito il popolo educato dell’anti-berlusconismo? Dove sono andati i vostri immaginari bravi ragazzi? Buum!
Ci sono sedicenni con magliette azzurre e la scritta “Napoli ti seguiremo ovunque” che dopo aver lanciato i sacchi dell’immondizia fanno scoppiare petardoni in stile Terzigno. C’è uno sbarbato che ha tirato fuori dallo zainetto una picozza d’alpinista e ora sta sfasciando i vetri di una camionetta della finanza. Ragazze in passamontagna e felpa nera sfondano bancomat e telecamere. Punkettini in adrenalina recuperano sampietrini dal selciato. Ultras delle curve fanno girare le cinte di cuoio davanti alle guardie. Militanti di piccoli collettivi di periferia si buttano sui celerini con la loro bandierina rossa, spinti in missione da una forza interiore. Un liceale piccoletto con il casco in testa cammina come un robottino caricato a molla, avanza da solo verso gli scudi dei poliziotti. Un pezzo di legno in mano e gli occhi spiritati. Buum Buumm!
Piazza del popolo non c’è più. Buum Buumm! Gli sfigati, i soliti ignoti, occupano la scena. Da Londra all’Italia le fiamme illuminano la strada maestra. Il sapere non è più la sacra icona da difendere, ma è una mostruosa arma con cui fare male al nemico. È l’intelligenza collettiva di organizzarsi nello spazio metropolitano, di rendersi imprendibili, di farsi sciame e di attaccare nei punti migliori. Buum! Buum!!
Ci sono i rappresentanti della brigata Monicelli, erano in 2000 sul red carpet, ora sono solo in otto su via del corso, eppure si fanno sentire lo stesso. Sono guidati da un ciccione venticinquenne che fa lo sceneggiatore precario, i capelli lunghi e biondi alla Gérard Depardieu. Da novello Danton con il megafono in mano comizia: “La speranza, come diceva Monicelli, è solo una trappola dei padroni. Una presa in giro per noi giovani senza futuro, siamo noi che viviamo sulla nostra pelle le conseguenze umilianti di leggi modellate sui privilegiati.”
Una fiumana di gente subisce una carica, lo sceneggiatore si mette in mezzo alla via e con la sua mole blocca gli studenti impauriti. “Non scappiamo, non vi accalcate uno sull’altro. Piano! Piano! Andate piano.” E’ la prima volta che fa scontri eppure ha il senso di responsabilità di un generale napoleonico. Si sente di guidare uno spezzone piccolo ma importante di questo movimento, i lavoratori del cinema italiano. In un momento di pausa, in un attimo di calma, tra le nuvole dei lacrimogeni, grondando sudore, riappoggia le labbra al megafono, alza la testa verso il cielo, chiude gli occhi e urla: “La linea discriminante non corre più tra violenza e non-violenza, ma tra violenza dei governi, della polizia, delle banche e dall’altra parte la nostra forza costituente.”
Dove qualcuno tifava per un 25 luglio, si è aperta la strada di un 25 aprile. Buumm!
Chi sono? Chi sono? Sono tutti giovani. Gente mai vista! Sono radicali nei comportamenti, infuriati in piazza. Hanno afferrato la questione alla radice: o si trasforma tutto, o la crisi la pagheremo noi. Buum! Buum!! BUUMM!
Sommerso dalla baraonda mi sento preso da un sogno, e così al posto di scroccare la solita canna, al Danton con il megafono gli chiedo: “Che c’hai un sercio?” Non ce n’erano più di serci, né di pietre, né di bastoni o legnetti, niente di niente, tutto era già stato lanciato. Allora ho alzato lo sguardo insieme alle migliaia di persone di piazza del Popolo. Una colonna di fumo nero, un’enorme colonna alimentata da un blindato in fiamme, s’alzava all’imbocco di via del Babbuino. C’è stato un momento di silenzio, poi un gran boato di gioia. Esattamente come qualche giorno prima ai piedi del Big Ben londinese. La stessa scena ad uso consumo degli obbiettivi dei telefonini, per abbellire una pagina di Facebook con uno storico ricordo. Momenti che passano attraverso la stretta apertura del presente ed entrano indelebili nella memoria collettiva.
Forse non serve a niente attaccare d’inverno il palazzo, ma ogni tanto è bello vedere che l’ordine è messo sottosopra. Buum! Buum!
Non facciamo scempio di questo bel gesto compiuto proprio mentre dentro quello stesso palazzo se ne svolgeva un altro immondo, con le carogne in giacca e cravatta che si rubavano il portamonete a vicenda.
I lacrimogeni scoppiano a ripetizione, i blindati fanno caroselli, la piazza piano a piano si svuota, inizia la caccia all’uomo. I ragazzini vengono massacrati per terra. Corro via insieme a un tipo anziano bell’allenato “Faccio due ore di spinning al giorno nella palestra del mio quartiere.” mi dice “Per questo sono qui, quelli della mia età non ce la fanno più a reggere uno scontro, altrimenti sarebbero venuti.” Io e il pensionato vediamo un nugolo di poliziotti che s’accaniscono con i manganelli sulla faccia di uno studente già sdraiato per terra “ Nel 1968 a Parigi” mi dice lui “ Il prefetto aveva invitato le forze dell’ordine a non commettere violenza inutile perché rimane nell’occhio di un ragazzo che la vede. E non passa più.” Ecco, i processi della memoria riaffiorano ancora. A Genova non sfondammo la zona rossa. A Roma l’abbiamo varcata. Nel 2001 abbiamo lottato separati. Adesso siamo rimasti uniti. Allora i diciottenni scapparono perché non si attendevano l’inferno, oggi i diciottenni sono quelli che incitano gli altri a non scappare più.
Eppure il 14 dicembre non è la cura. Il 14 è solo il sintomo. Adesso bisogna dire stop alle contrapposizioni tra buoni e cattivi, chi c’era e chi non c’era. Cercare di non dividere, anzi sforzarsi di unire. Questo è un punto da tenere fermo. Un corpo sociale in grave sofferenza si esprime con rabbia contro chi l’ha condannato al male. Noi sosterremo sempre la spontaneità e la furia, ascolteremo il rombo di quelle acque. Ci caleremo dentro. Ma sappiamo anche che senza un corso in cui incanalarsi, senza argini tra i quali correre, l’acqua non forma più un fiume, ma solo una palude. Non dobbiamo fermarci al sintomo, ma trovare la cura. Andare oltre il momento della negazione. Serve il collegamento tra le lotte, serve organizzarsi, servono alleanze, servono saperi adeguati.
E’ vero, il fatto che si sia riaffacciata la metafora dell’assedio non fa capire nulla della natura del potere. Ma quando si innalza il livello dello scontro, non c’è niente oltre al “no future”.
È un non-senso bruciare le macchine, d’accordo, le banlieues ce l’hanno insegnato, ma per avere un senso si deve far crescere una consapevolezza comune.
Ma oggi non ci mettiamo a recriminare o a trovare ragioni politiche da una parte e dall’altra.
Per una volta proviamo ad andare oltre al No future, per una volta ammiriamo l’estetica.
Buumm! Buumm! BUUUMMM!
Vauro e il Manifesto si autocensurano: E FANNO BENE!
Il giorno dopo gli scontri di Piazza del Popolo, quel giornale ormai da molto illeggibile e reazionario qual è il Manifesto,
ha pubblicato in prima pagina una vignetta di Vauro sconcertante per la sua infamia.
Malgrado già da molte ore girassero notizie che il “ragazzo con la pala” era un manifestante, un giovanissimo compagno mandato al linciaggio mediatico,
il vignettista tanto caro alla sinistra salottiera confermava la teoria complottarda dell’infiltrato con la sua vignetta.
GIovanni Santone con la faccia di Kossiga e , l’ “infiltrato” di Piazza del popolo con quella di Maroni.
UNA VERGOGNA!
Una vergogna che Vauro poteva almeno smentire: innegabile la sua genialità e capacità ironica, quindi poteva avere il buon gusto di scusarsi.
In più, cosa ancora più comica, sul sito del Manifesto la vignetta non compare…
di solito dopo 48 ore vengono archiviate tutte in rete, mentre quella manca.
Menomale che hanno inventato gli scanner, perchè almeno quest’infamata di Vauro in rete ce la mettiamo uguale.
E magari la prossima volta che lo incontriamo in piazza ci ricordiamo di ricordarglielo!
Ed ora anche sul blog di Insorgenze un articolo a riguardo!
Diario haitiano (2): chiacchierando tra le barricate…
A passeggio tra le barricate, il giorno dopo gli scontri Haitiani
di Michele Vollaro, da Port-au-Prince
Il giorno dopo gli scontri, non si vedono più i fumi neri delle barricate per Port-au-Prince. La radio riferisce di manifestanti a Petionville, il quartiere ricco dove si trovano la sede della Commissione elettorale, le ambasciate e alcuni centri commerciali. La domanda “Chi è che può permettersi di andare in un centro commerciale in una città dove la maggior parte degli abitanti vive in tendopoli?” mi inquieta. Ma in questi giorni, a causa degli scontri, i negozi sono chiusi, le finestre sigillate dall’interno e resta perciò ancora una questione irrisolta.
La situazione sembra calma. Diventa quindi un obbligo uscire. La prima meta è la sede del partito ‘Inite’, data alle fiamme dai sostenitori di Martelly. Per strada si vedono i resti delle barricate, cumuli di macerie, rami, segnali stradali. I resti dei copertoni bruciati anneriscono l’asfalto. Ma la vita sembra tornare lentamente alla sua normalità. Le macchine, poche rispetto al normale e caotico traffico di questa città, salgono sul marciapiede per aggirare le barricate e proseguire il loro tragitto.
Ai bordi delle strade ci sono di nuovo le bancarelle che vendono ogni sorta di mercanzia, dai manghi e le uova ai dentifrici e i lubrificanti per le automobili. Su un banchetto, accanto a un boccione con un rubinetto pieno di un liquido giallognolo, alcune stecche di sigarette. ‘Comme il faul’: ‘Come si deve’ in francese, un nome un programma per le sigarette fabbricate ad Haiti. Rosse, ‘regulier’, o verdi al mentolo. Sessanta gourdes (poco più di un euro), il nome della moneta nazionale che prende il nome dal guscio di un tipo di zucche che Henri Christophe, che nel 1807 si fece nominare a capo del territorio settentrionale di Haiti, utilizzò per pagare ai contadini il raccolto di caffè nel primo anno del suo mandato e rivendette immediatamente ai mercanti europei facendosi pagare con dell’oro.
L’acquisto delle sigarette diventa l’occasione per una chiacchierata sulle manifestazioni del giorno precedente con il crocchio di persone sedute attorno al banchetto, la cui attività principale scopro essere la vendita di rhum, il liquido giallognolo del boccione. Ognuno di quelli seduti ai lati del banchetto ha in mano una bottiglietta, che di volta in volta fa riempire al venditore di rhum.
“Ieri è stato incredibile, da pazzi, una marea di gente per strada”, dice Jean, capellino da basket in testa e un auricolare all’orecchio per ascoltare la radio. Eri anche tu tra i manifestanti, è la prima domanda, che viene immediatamente da fare. “No, io sono un poliziotto. Oggi non lavoro, ma ieri è stata dura. Ero più su, a Petionville. Era pieno di barricate, macchine date alle fiamme e persone con bastoni e pietre che volevano andare alla sede della Commissione elettorale. Oggi non lavoro e così stamattina posso stare un po’ con i miei amici a rilassarmi”. Jean non vuole dirci se e per chi ha votato, ma spiega che la gente è stufa. Stufa di politici che una volta arrivati al potere pensano soltanto a come arricchirsi. Stufa, undici mesi dopo il terremoto, di vivere ancora in mezzo alle macerie. “Questa è una crisi sociale, non è possibile continuare così”.
“Io non sono andato a votare”, gli fa eco biascicando un po’ Carrefour, che dice di essere un ‘sociologo di formazione’ e di condurre una trasmissione televisiva. Una rivista del 1996 su un festival di cultura creola e africana appoggiato sulle gambe, dopo che gli sono state offerte un po’ di sigarette, Carrefour ci spiega che non si fida di nessuno dei candidati. “Celestin fa parte della cricca di Preval, il presidente non ha fatto nulla finora se non continuare ad alcolizzarsi, figuriamoci cosa potrà fare questo che è il fidanzato della figlia: era stato messo a gestire il Dipartimento delle infrastrutture prima del terremoto e da allora si è preoccupato soltanto di ripulire un po’ le strade del centro un mese prima delle elezioni. La Manigat è una marionetta del marito, che è già stato presidente ed è un sadomasochista; lui ha anche detto che venderebbe la madre per conquistare il potere. Martelly è un cantante, non sa niente di politica: le hai mai sentite le sue canzoni? Ce n’è una in cui fa la parte di una prostituta che contratta il prezzo del suo corpo: possiamo avere un presidente così?”. Celestin no, Manigat no, Martelly nemmeno, e allora chi doveva essere presidente? “Ma lui! Lui si doveva candidare!”, scoppiano in una risata gli amici, continuando a sorseggiare rhum. L’atmosfera è allegra, anche a causa dell’alcol che circola nei corpi.
“Che ci vuoi fare? – dice Jean – Ad Haiti ormai siamo abituati a politici che fanno soltanto i propri interessi. Un gruppo si fa pagare per sostenere quello, un altro per sostenere quell’altro”. Ma perché allora la gente, il popolo non si organizza per conto proprio? “Beh, bisogna pur mangiare”. Ci congediamo dal gruppetto seduto attorno al venditore di rhum con questa frase, che mostra drammaticamente la capacità di questo popolo di adattarsi a ogni situazione. Mi sembra di intuire la coscienza di far parte di una macchina più grande, un ingranaggio in cui la vita degli haitiani non viene presa in considerazione. Né dallo Stato, ne tanto meno dalle organizzazioni umanitarie. Ma quello che ancora non ho visto è la volontà di prendere in mano la propria vita e organizzarsi per cambiare l’esistente.
Tutti sembrano restare in attesa di un cambiamento, ma nel frattempo ci si accontenta di quel minimo che viene offerto, dalle chiese o dalle organizzazioni umanitarie, adattandosi a vivere in condizioni miserabili.
Più avanti la sede dell’Inite è chiusa. Davanti al portone si vedono ancora i resti dei pneumatici bruciati e usati come barricate, alcune piante divelte. Salendo su un massetto si riesce a vedere al di là del muro di cinta. Nel cortile girano due poliziotti armati di mitra, mentre un po’ di fumo esce da un ufficio. La porta della casetta a un piano che ospitava la sede della campagna elettorale di Celestin non c’è più e il tetto di lamiera è collassato, dentro si intravede la desolazione di un luogo saccheggiato. “Oggi è tranquillo, ma ieri sono rimasti qui davanti per tutto il giorno – dice una signora che abita nella casa accanto – le fiamme sono durate per tutta la notte. Un ragazzo è rimasto anche ferito, i poliziotti lo hanno colpito di striscio a un braccio”.
È ora di tornare. Nel pomeriggio il programma è andare nella zona di Champ de Mars. Nemmeno il tempo di uscire di casa, che arriva trafelato un ragazzo. “Quelli di ‘Inite’ sono venuti in motocicletta dalla bidonville di Cité Soleil e hanno sparato sui sostenitori di Martelly per vendicarsi di ieri. Nella tendopoli di Champ de Mars c’è un morto”. Meglio non uscire. Nonostante gli appelli alla calma dei candidati e la notizia che la commissione elettorale riconterà i voti, la tensione è ancora alta a Port-au-Prince. Di sera si vede di nuovo un pennacchio di fumo al di là di Champ de Mars…
QUI LA PRIMA PUNTATA DEL DIARIO DI BORDO
GIOCHIAMO AI CARCERIERI?
Siamo alla frutta e non da poco, ma queste cose, soprattutto al mattino di un giorno di festa mi fanno salire una strana rabbia.
Va bene che il mondo ha il proprio orticello virtuale su Facebook, va bene la città milionaria da tirar su, va bene che costruisci il tuo supermercato, va bene che costruisci una casa di pupazzi di lusso….va bene un po’ tutto per me.
Infondo so’ nata nel 1982, son cresciuta con i videogiochi pre-era “manageriale” (mo’ vanno di moda così, non mi scandalizzo per questo!)…
ma GESTIRE UN PENITENZIARIO????
Ma come gli viene in mente?
Nuova applicazione per IPhone…a meno di 3 euro puoi diventare il secondino del secolo.
Basta scaricare l’applicazione e poi potrai portare sempre nella tua tasca il tuo personale penitenziario!
“Il nostro compito sarà quello di sorvegliare i detenuti della prigione stando attenti che nessuno dei carcerati sviluppi troppa aggressività o troppa stanchezza.” OH MY GOD!Dobbiamo farli mangiare, lavare, allenare, divertire, dobbiamo anche carpire del reddito grazie al loro lavoro: si supera il livello quando arrivano nuovi detenuti, alla faccia del sovraffollamento!
“L’unica pecca sta nel fatto che dopo un po’ che si gioca le azioni diventano ripetitive e col passere dei livelli e delle prigioni si rischia di cadere nella monotonia.” CAPITO SI? Potreste annoiarvi a fare i secondini, nel carcere la vita è monotona!
PALESTINA: storia di una pulizia etnica (1). Un po’ di citazioni, per iniziare a capire
“Il nostro pensiero è che la colonizzazione della Palestina debba avvenire in due direzioni: l’insediamento ebraico di Eretz Israel e la ricollocazione degli arabi di Eretz Israel in aree oltre confine. Il trasferimento di così tanti arabi può all’inizio sembrare economicamente inaccettabile, ma ciò non di meno è pratico. Insediare un villaggio palestinese su un’altra terra, non richiede troppo denaro.” _Leo Motzkin (pensatore liberale del movimento sionista) 1917_
“Uccidere la dirigenza politica palestinese.
Uccidere gli istigatori palestinesi e i loro finanziatori.
Uccidere i palestinesi che agivano contro gli ebrei.
Uccidere gli ufficiali e i funzionari palestinesi [ del sistema mandatario ]
Danneggiare i trasporti palestinesi.
Danneggiare le fonti di sussistenza palestinesi: pozzi d’acqua, mulini, etc
Attaccare i villaggi palestinesi vicini che avrebbero potuto partecipare ad attacchi futuri.
Attaccare i club, i caffè, i ritrovi palestinesi etc.”
_Piano C “Gimel” 1947_
“Possiamo far morire di fame gli arabi di Haifa e Giaffa se vogliamo farlo” _Ben Gurion, carteggio con Sharrett, dicembre 1947_![]()
“C’è il 40% di non ebrei nell’area assegnata allo Stato ebraico. Questa composizione non è una base solida per uno Stato ebraico. E dobbiamo affrontare questa nuova realtà con rigore e chiarezza. Tale equilibrio demografico mette in questione la nostra capacità di mantenere la sovranità ebraica… Soltanto uno Stato con almeno l’80% di ebrei è uno Stato stabile e sostenibile” _Ben Gurion, 3 dicembre 1947
“Si possono effettuare queste operazioni nella maniera seguente: distruggere i villaggi (dandogli fuoco, facendoli saltare in aria e minandone le macerie) e specialmente quei centri popolati difficili da controllare con continuità; oppure attraverso operazioni di rastrellamento e controllo, con le seguenti linee guida: circondare i villaggi e fare retate all’interno. In caso di resistenza si devono eliminare le forze armate e la popolazione deve essere espulsa fuori dai confini dello Stato” _Piano D “Dalet”, 10 marzo 1948_
TUTTE LE CITAZIONI SONO TRATTE DA “La pulizia etnica della Palestina” Ilan Pappe. Fazi Editore 2008
Passa la legge in Israele: si giura fedeltà ai VALORI EBRAICI.
Al governo c’è Bibi Netanyahu e si vede! Il gabinetto israeliano l’ha già approvata con 22 voti favorevoli ed 8 contrari..ora bisognerà vedere cosa accadrà nella Knesset, ma è facile intuirlo. Stiamo parlando di una legge altamente preoccupante, che lascia andare alla deriva forse definitivamente qualunque possibilità di dialogo con Israele. Un giuramento di lealtà ai “valori ebraici” dello Stato d’Israele per poter ottenere la cittadinanza. Un bombardamento a tappeto sui concetti di democrazia e cittadinanza, già perennemente calpestati all’interno e all’esterno dei confini di quello stato. “GIURO DI ESSER FEDELE ALLO STATO D’ISRAELE IN QUANTO STATO EBRAICO E DEMOCRATICO E DI RISPETTARNE LE LEGGI”.
Vi rendete conto? Per diventare cittadino siriano, libanese, iraqeno, giordano, yemenita, egiziano, sudanese, palestinese (continuo?) nessuno ti chiede di giurare sul Corano…proprio nessuno. Invece il democratico stato israeliano, come anche la sinistra del nostro paese ama definirlo, pretende che i suoi cittadini credano in valori ebraici… OH MAMMA! E Saviano, Raiz e tutti i 5000 partecipanti alla vergognosa manifestazione romana di qualche giorno fa cosa rispondono? Come commentano? E’ stato proposto anche di TOGLIERE, REVOCARE, la cittadinanza a chiunque “appoggi organizzazioni terroristiche come Hamas” … tra i nomi proposti già c’è anche una deputata araba del governo israeliano che ha tentato di rompere il blocco navale di Gaza a bordo della Freedom Flottiglia, attaccata dalla marina israeliana in acque internazionali manu armata.
Il Corriere della Sera, che almeno ha il buon gusto di riportare la notizia, commenta indignato sulla “deriva fascista” delineata da questa legge, e compie un processo ancora peggiore, quello di rimozione storica e occultamento della verità (verità di cui tanto parlano). E’ riportata la Dichiarazione d’Indipendenza del 1948, come baluardo di democrazia ed uguaglianza. MA COME SI FA? Nel 1948 si assisteva già da 7 mesi al compimento del Piano D (Piano Dalet) deciso (spesso in riunioni a casa sua e meticolosamente riportato nel suo diario personale) direttamente da Ben GUrion e dai suoi collaboratori. Un piano di pulizia etnica ben dettagliato, con operazioni chiamate “Ramazza” “Eliminazione del PUS”, TIHUR (trad. PULIZIA/PURIFICAZIONE) che hanno portato all’eliminazione a freddo di centinaia di persone e la distruzione di centinaia di villaggi.
Centinaia di villaggi dati alle fiamme o minati: Ayn al_zaytun viene distrutta il 2 maggio insieme ad altri villaggi in una delle giornate dell’operazione Ramazza, 13 giorni prima della dichiarazione d’esistenza dello Stato d’Israele (quella tanto elogiata oggi dal corriere): “il villaggio era stato completamente distrutto e tra le rovine c’erano molti cadaveri. IN particolare trovammo molti corpi di donne, bambini e neonati vicino alla moschea. Io convinsi l’esercito a bruciare i cadaveri” (Hans Lebrecht nei suoi diari). Per mesi e mesi la pulizia etnica è andata avanti, con l’ordine dato dalla stesso Ben Gurion di DEARABIZZARE tutto il territorio! Solo a Tantura, il 22 maggio, furono tra i 110 e 130 (la cifra non è certa) le persone giustiziate, con le mani legate, a sangue freddo, sulla spiaggia.
Centinaia e centinaia gli esempi che potrei fare, riportati con gioia sul diario di uno dei padri fondatori dello stato EBRAICO d’Israele (scrivo maiuscolo almeno son contenti).
LA PULIZIA DELLA PALESTINA RIMANE L’OBIETTIVO PRINCIPALE. Con l’utilizzo del termine BI’UR, traducibile con sradicare, eliminare. [BEN GURION, 11 maggio 1948]
Iniziamo a fare un po’ di storia: è necessario. LINK
Non paghi la tassa anti-incendio? Allora BRUCIA!
Ogni tanto quando leggo le agenzie rimango sconcertata e mi stupisco del fatto che sia ancora in grado di rimanere a bocca aperta spesso per notizie poco importanti, che non meriterebbero nemmeno una breve su un giornale.
Ma alcune piccole notizie di “cronaca” fanno capire come il mondo dei diritti non sia probabilmente mai esistito ma mai come ora è stato lontano dall’anche solo POTER esistere. In una cittadina del Tennessee, uno degli stati che compongono le 50 stelline della bandiera degli Stati Uniti d’America, i pompieri si son rifiutati di spegnere un incendio. Ma mica perchè erano in sciopero eh? Mica perchè stava bruciando una cosa insignificante e poco importante: proprio no! Una casa è stata lasciata bruciare completamente, mentre la squadra chiamata guardava l’incendio a braccia conserte e si adoperava a non far espandere le fiamme alle abitazioni adiacenti. Il motivo? Una tassa di 75 dollari che il proprietario non aveva pagato: i pompieri di South Fulton lavorano solo per la propria comunità, le case nei dintorni per avere un’assistenza (anche in casi di emergenza) devono pagare questa maledetta tassa.
Gene Cranick non l’ha pagata e la sua casa non è stata salvata dalle fiamme malgrado la sua promessa di regolarizzare la sua posizione. “Se la città consentisse alla gente di pagare la tassa solo dopo esser stata salvata da un incendio cesserebbe ogni incentivo a pagare il contributo anti-incendio”, questa la laconica risposta del sindaco David Crocker, al quale speriamo che bruci almeno la macchina…
in god THEY trust
a noi CE PIACE MILINGO…TANTO!
A PALERMO CENSURATO STRISCIONE “I LOVE MILINGO” DA ALTROQUANDO
Stamani, Domenica 3 Ottobre 2010, alle ore 11,30, numerosi agenti della polizia di stato in divisa e agenti della Digos hanno intimato la rimozione di uno striscione posto all’interno della vetrina della libreria AltroQuando in via Vittorio Emanuele 143 a Palermo. Lo striscione recitava la frase: I LOVE MILINGO.
Gli agenti lo hanno sequestrato assieme alle locandine della mostra “La Papamobile del futuro” da tre giorni allestita presso la stessa libreria.
La motivazione addotta al provvedimento è stata quella di ritenere offensiva una simile frase proprio nel momento in cui il corteo del pontefice sarebbe passato da corso Vittorio Emanuele. 
Riteniamo che questo provvedimento mini fortemente i diritti costituzionali sulla libertà di manifestazione del proprio pensiero, sia attraverso la critica che la satira. Riteniamo che il messaggio in questione non offendeva nessuno, né tantomeno istigava a comportamenti violenti.
Al contrario era un segno di quella politica dell’Amore che tanto ha fatto strada ultimamente in Italia.
Perché un messaggio d’amore e riconciliazione dovrebbe essere offensivo? Perché Papa Benedetto XVI dovrebbe ignorare la regola del perdono su cui si fonda la dottrina cristiana? Veramente Milingo non merita di essere amato? Palermo si merita davvero questo miracolo alla rovescia?
E i parlanti diventarono muti… Così. Per miracolo.
Palermo, 3 Ottobre 2010
http://www.scomunicazione.it/ UN SITO ECCEZIONALE!!
QUESTO VIDEO PARLA DA SOLO…
Un bel vaffanculo alla retorica risorgimentale: grazie Oreste!
…. Bé, immagino che il tutto fosse condito da tricolori che garriscono, ottoni lucidati che strombazzano l’Inno di Mameli. Ah, le matrioska di ambivalenze! Mazzini, tra madre giansenista e carboneria, “Dio & Popolo”, il cospirativismo antesignano della “propaganda attraverso il gesto” – che il povero Martone nel suo film gli è venuto il capogiro -, il patriottismo italounitario e l’europeismo del tipo “Giovine Italia”, “Giovine Europa”, i contatti con Bakunin e l’appello a Pio IX a mettersi alla testa del movimento per “l’unità d’Italia”, il triumvirato con Saffi e Armellini alla testa della Repubblica Romana nel ’49 e l’intervento francesde che schiaccia la stessa e rimette sul trono lo stesso Pio IX come “Papa Re”.
E poi Oudinot, col ‘gap tecnologico’ a vantaggio degli “chassepots” (dal nome dell’inventore, l’ingegner omonimo….un po’ come Kalashnikov….), che porta il tricolore de La République a rinverdire la retorica da Ancient Régime e San Luigi della “Francia figlia prediletta della Chiesa”…., e al contempo si trova che i Felice Orsini & i suoi compagni (la bomba all’Opera, attentato a Luigi Bonaparte, quello del 18 Brumaio…., e la lettera che gli invia dall’ombra del patibolo per scongiurarlo di non opporsi all’unità d’Italia), e quasi tutti i cospiratori insurrezionalisti, repubblicani e/o “sociali”, dei decenni successivi sono reduci dall’aver combattuto nelle file degli insorti e poi difensori della Repubblica Romana… da Carlo Pisacane, poi definito proto-anarco-comunista, ai componenti della “Banda del Matese”, Errico Malatesta e Carlo Cafiero in primis…. ; e poi le querelles tra Mazzini e Marx, Marx e Mazzini nell’Associazione Internazionale dei Lavoratori (postumamente inumata come “Prima Internazionale”, quella della Commune]…… Eh, anche allora la sensazione di carnevale della storia… roba da dare l’emicrania al povero Martone).
Chissà che penserebbe Gaspare De Caro dello sbandierar Salvemini e cosa direbbe Jakob Taube dopo questa teologia mondanizzata dello Stato, nel drittofilo della teologia politica di Paolo di Tarso….
E chi sono i “nanni”? Come dire “i ragazzi del ’99″…., le burbe, il Milite Ignoto, l’Altare della Patria, Gioacchino Murat, l’incontro di
Teano, Garibaldi fu ferito…., Bronte, i lazzaroni e i briganti, la stampella di Enrico Toti, il cuore gettato oltre i reticolati (e “Due
anni sull’altipiano”/”Uomini contro”, “sparare sul [proprio] quartier generale?
Certo ch’è una bella maledizione, sempre, sempre, sempre ‘incaprettarsi’ a scegliere fra testa o croce, peste o colera…. e intanto le via
Mazzini, Garibaldi, De Amicis, Roger de L’Isle, Goffredo Mameli, Cesare Battisti, persistono indenni tra il Regno sabaudo, il fascismo e il Re Imperaztore, la Costituzione repubblicana.
“….l’Italia s’è desta/dell’elmo di Scipio/s’è cinta la testa…. Alé!, retrodatiamo l’Italia a Roma capoccia, caput mundi, imperiale….tutti contro Amilcare Barca, Annibale, i Berberi, Delenda Carthago, coi vèliti e Massinissa come proto-Ascari, Harkis….., dov’è la vittoria/che porga la chioma/che schiava di Roma/Iddio la creò….” . Così in “Allon’z enfants de la Patri-i-e“,
non ci si deve abbeverare al “sangue impuro dello straniero?” Quello che il Piave mormorò “Non passa?”.
Allora, per non vedere “fascismo” dappertutto, occorre guardarsi dagli anacronismi. Ma bisogna farlo sempre, non a corrente alternata…
Ma in che epoca viviamo? Con Niki Vendola che fa l’occhietto come l’onorevole Angrisani che chiudeva un comizio a Nusco: “Dopo di me parlerà ll’onorevole Sullo…… che è anche nu poco ricchio-oo-ne!”. Ecché è, tutti nel manicomio postribolare di Fagioli?
Adesso, quel risucchio di Nulla […] che è Veltroni, viene a spiegare che Marchionne e Mimmo Mignano sono “una comunità di destino”.
Malatempora, o che? O il cielo che Bifo dava come “caduto sulla terra” ha abbozzato i neuroni alla grande? New age, commistioni continue di panglossismo e di cazzimme?
Oreste Scalzone, 20 settembre 2010
Un paese di questurini, che fa finta di occuparsi di lapidazioni (solo iraniane ovviamente)
Ne parlavamo l’altro giorno a quattr’occhi: non si evade più.
I numeri parlano da soli: nel 2010 ci sono stati 9 tentativi d’evasione dalle carceri italiane.
Nulla, se contiamo che mai come ora c’è stato un numero così alto di detenuti.
E non si evade…ti credo!
E dove vai? Esci per andare dove? Chi ti protegge? Chi ti nasconde? Chi batterà le mani al fatto che ti sei riappropriato della tua libertà?
Un paese di questurini, di ammiratori travaglisti dei tribunali e dei giudici, di lettori di Saviano e dei suoi amici Carabinieri, un paese che col suo popolo viola (l’avanguardia sinistrorsa no? mamma mia che schifo!) sa chiedere solo manette.
Un paese che si indigna per la lapidazione di Sakineh ma parallelamente espelle in Nigeria le prostitute fermate senza regolare permesso di soggiorno: faranno la stessa sorte di Sakineh, ma non è Iran, quindi non ce ne frega un cazzo!! Ipocrisia da P.D., ipocrisia da personaggi “di sinistra”, da non violenti, da pacifisti, da burattini manovrati quali sono!
E così anche i medici diventano guardie: i medici denunciano, i medici con il filo diretto con la Questura.
Ecco qui l’articolo da Macerie:
Trappole e vendette questurine
Mentre la Prefettura di Gorizia annuncia che sono stati autorizzati i lavori di ristrutturazionedel Cie – come ricorderete, già la settimana passata la polizia ha cominciato ad “alleggerire” le gabbie trasferendo gruppi di prigionieri in altri Centri – la caccia all’uomo dopo le evasioni di questa estate continua. E continua ben oltre i confini della provincia di Gorizia…
«Treviso. Il 15 agosto scorso, a Gradisca, in provincia di Gorizia, aveva architettato un’evasione di massa dal Cie, il Centro per l’identificazione e l’espulsione degli stranieri irregolari. Lui, E. T., 29enne dell’Honduras, lì in seguito a tre anni di carcere per rapina, era la mente: avevano appiccato degli incendi ed in una ventina avevano approfittato della baraonda per scappare. Una cosa organizzata anche con altri Cie sparsi per la Penisola. Durante la fuga, però, si era ferito in maniera seria ad un braccio con il filo spinato. Il giorno dopo si era presentato all’ospedale di Gorizia per essere medicato. I sanitari avevano avvertito le forze dell’ordine, ma lui era riuscito a scappare nuovamente. Da lì si era spostato in provincia di Treviso, dove ha dei parenti. La polizia l’ha atteso per gironi al Ca’ Foncello, dove si sapeva prima o poi sarebbe arrivato per farsi medicare la profonda ferita al braccio. E così è andata stamattina. Lui è rimasto di stucco quando si è trovato i poliziotti ad aspettarlo: non ha neppure provato a scappare. Immediata l’attuazione della procedura per l’espatrio.» (Da Oggitreviso.it)
Ratzinger e il posto fisso
“La domanda del posto di lavoro e con ciò quella di avere un terreno sicuro sotto i piedi è un problema grande e pressante”, si legge nel documento redatto dal Papa alla Giornata mondiale della gioventù, ma i veri “punti fermi” per i giovani risiedono nella fede e “nell’insieme dei valori che sono alla base della società” e che “provengono dal Vangelo”.
Veramente un simpaticone questo papa: non dobbiamo cercare il lavoro ma DIO.
Stiamo proprio messi bene!

Il boia Kossiga è morto!
E’ morto Cossiga.
Kossiga anzi, quello con le doppie S: “SS”
E’ morto quello che c’ha mandato contro i carri armati, quello che c’ha sparato addosso in pubblica piazza, alla schiena.
E’ morto Cossiga, che sulla coscienza non ha solo Giorgiana e Lorusso.
Ma, cavolo, quello si che è stato un nemico. Un nemico vero, che da nemici c’ha trattati.
Non da criminali, non da provocatori… nessuna dietrologia.
Un uomo che ha riconosciuto una guerra in corso, una vera e proprio guerra allo stato e l’ha difeso con tutto quello che aveva a disposizione: c’ha dato però la dignità dei nemici. Per Cossiga siamo esistiti: ci sparava addosso per quello.
Perchè aveva paura di noi, perchè doveva spazzare via migliaia di persone con una rabbia in corpo inarrestabile e pericolosa, troppo, per l’ordine costituito.
Io quindi, da questo blog, saluto Cossiga. (dai non fate quelle facce)
Lo saluto come si saluta un nemico vero.
Lo saluto, anche se non gli ho mai augurato del bene (assolutamente!), perché ho rimpianto di quel genere di nemici.
E di uno che, a guerra finita, ha detto chiaramente che tutt@ i prigionieri andavano liberati.
Ancora non è successo.
ADDIO BOIA ASSASSINO KOSSIGA
Poliziotti assassini a freddo, si permettono di querelare la mamma del ragazzo ucciso!
Melma, liquame puzzolente, merda secca, un “nuddu mischiato a niente”,
degli assassini, uomini e donne toturatori, bastardi. Assassini a sangue freddo di uno scricciolo di pochi kg e ancora meno anni.
Hanno querelato la mamma di Aldro,
quei 4 merdosi assassini, quei 4 che hanno ucciso a calci e pugni,
quei 4 che hanno ucciso montando sopra e soffocando un ragazzetto ammanettato e colpevole di nulla,
quei 4 vili assassini in divisa, quelle 4 MERDE assassine si sono permesse di denunciare Patrizia.
PATRIZIA SIAMO CON TE!
I 4 assassini, che indossano la divisa da tutori dell’ordine di questo Stato merdoso, si chiamano ENZO PONTANI, MONICA SEGATTO, LUCA POLLASTRI e PAOLO FORLANI.
L’ultimo si è astenuto dal firmare la querela.
Spero sappiano, questi 4, che nessuno ha mai dimenticato i loro nomi e che MAI avverrà.
QUI LE PAROLE DEL PADRE DI ALDRO, dal suo blog:
Questa mattina sono andato a prendere in posta un atto giudiziario…..indirizzato a Patrizia, mia moglie, la mamma di Federico, la madre di mio figlio ucciso il 25 settembre 2005 da 4 individui in divisa, come da sentenza del 6 luglio 2009. Credevo a una violazione magari al codice della strada, è facile sbagliare in questi tempi così caotici e frenetici per tutti.
Quel documento è invece una fissazione di udienza per il 18 giugno 2010 presso il Tribunale di Mantova dove Patrizia con altre due persone (due responsabili di testate giornalistice quali la Nuova Ferrara e l’ANSA) sono state citate a comparire per rispondere di non so quale reato o reati in quanto sul documento non vengono citati. Presumo io per frasi o parole ritenute diffamatorie o calunniose, chissà, visto che fra i citati ci sono due giornalisti.
Io di pazienza ne ho avuta tanta, forse troppa, ma quello che mi fa più male è il fatto che il Pubblico Ministero aveva richiesto l’archiviazione per questo fatto specifico, ma Pontani Enzo, Segatto Monica e Pollastri Luca (manca Forlani Paolo) coloro che sono stati ritenuti responsabili della morte di Federico, hanno pensato bene di non accettarla e di avvalersi del rito dell’opposizione. Il particolare che vorrei evidenziare è la data della richiesta di opposizione, 15 marzo 2010, e cioè alla luce di due sentenze chiare e ed inequivocabili, rispettivamente del 6 luglio 2009 e 5 marzo 2010
Qui
http://federicoaldrovandi.blog.kataweb.it/federico_aldrovandi/2009/10/05/motivazioni-della-sentenza/
e qui
http://federicoaldrovandi.blog.kataweb.it/federico_aldrovandi/2010/04/
Federico è morto di morte violenta senza alcun motivo e se non avesse incontrato Pontani Enzo, Pollastri Luca, Forlani Paolo e Segatto Monica sarebbe ancora vivo e non lo dico io lo dice lo Stato attraverso i suoi organismi preposti (Procura e Tribunale).
Avrei sperato e lo spero ancora, nonostante queste assurdità di violenze che continuano a soffocare e a bastonare Noi e chi ci è vicino, che questo orrore, questa arroganza, questo disequilibrio, questa cattiveria, presto abbiano una fine. Vorrei riuscire finalmente a sussurrare in pace, davanti a quel marmo che mi divide da quel corpo o da quello che resta di uno dei beni miei più preziosi, parole d’amore, quelle che con Federico ci siamo dette e scambiate, anche con gli sguardi, durante 18 anni fantastici e magnifici che nessuno potrà mai infangare e uccidere.
Come dovrei definirla sig. Pontani Enzo per quello che ha fatto quella mattina a mio figlio, per non incorrere in una querela?
Come dovrei definirla sig. Pollastri Luca per quello che ha fatto quella mattina a mio figlio, per non incorrere in una querela?
Come dovrei definirla sig.ra Segatto Monica per quello che ha fatto quella mattina a mio figlio, per non incorrere in una querela?
Come dovrei definirla sig. Forlani Paolo per quello che ha fatto quella mattina a mio figlio, per non incorrere in una querela?
Nessun problema, ci ha già pensato un Giudice al di sopra delle parti a descrivere perfettamente chi siete e non abbiamo bisogno insieme a chi ci è vicino (30 querelati), per il momento, di dire altro.
Purtroppo, per il momento, sono costretto a pagarvi anche lo stipendio e di conseguenza le vostre querele di fronte alla morte, ma non sarà all’infinito, anche se cautelativamente vi avrei visto a casa dal lavoro alla luce di orrori ed errori emersi palesemente.
Fino in fondo e oltre.
Lino
P.S. cliccando sotto, questo l’articolo per cui Patrizia è stata querelata ai sensi dell’art. 495 c.p. per diffamazione per quello da lei affermato nelle ultime due righe http://ricerca.gelocal.it/lanuovaferrara/archivio/lanuovaferrara/2008/07/05/UC4PO_UC404.html
Orbene, io Lino Aldrovandi mi chiedo cosa devo pensare e che terminologie utilizzare nei confronti di questi 4 individui, quando un Giudice in uno dei suoi innumerovoli illuminanti passaggi nella sentenza del 6 luglio 2009, arriva ad affermare che “l’aspetto che colpisce nella deposizione del dr. Marino (condannato anche questo signore, della polizia di indagine…, il 5 marzo 2010), nella parte in cui riporta in modo pedissequo e quasi pedante il decorso degli avvenimenti nel racconto dei suoi uomini, è come lo stesso non abbia rivolto agli stessi nessuna domanda, non abbia rilevato contraddizioni, incongruenze, omissioni, assurdità che invece si colgono a piene mani nel racconto degli agenti”. Qui un altro passaggio del Giudice tanto per intenderci nel concetto della morte violenta (cap. 4) “MORTE VIOLENTA ascrivibile a più forte ragione all’azione violenta, improvvida ed illegale degli agenti, lasciandosi peraltro aperti dubbi e ipotesi su una diversa, inquietante, realtà fattuale”
PUNTO
Il “padiglione delle madri”: prigioniere politiche in Argentina
Era molto tempo che volevo mettere queste righe.
Ma per mettermi qui a riscrivere queste due paginette ho dovuto trovare un po’ di coraggio.
Da quando sono diventata mamma non sopporto, ancor meno di prima, certi soprusi, certi abusi su donne, mamme e bambini.
Si diventa più sensibili, forse è vero. O è solo un fatto di “appartenenza”… dopo che hai sentito dentro di te tutto ciò niente è più come prima.
Quando diventi mamma il modo di amare cambia profondamente: e con quello, parallelamente, anche gli altri sentimenti prendono forma in altro modo, esplodono in altro modo. La rabbia che m’ha fatto provare questa testimomianza è rara.
QUESTE RIGHE agghiaccianti sono tratte da un libro MEMORIA DEL BUIO estremamente interessante, di cui ho già pubblicato un piccolo brano . E’ un libro documento, un racconto corale di 112 donne argentine che hanno vissuto insieme l’esperienza della prigionia nelle carceri argentine durante la dittatura, fra il 1974 e il 1983.
Non mi è facile scrivere del “Padiglione delle madri”, dove entrai nel febbraio 1974. La memoria mi tradisce e, per quanto mi sforzi, molti frammenti restano sfocati.
Tentare di ricordare sarà allora una prova, una sfida con me stessa.
Mi colpì la sporcizia, lo squallore del luogo. Si chiusero le sbarre. Sarei rimasta lì dentro per anni. A poco a poco, la gabbia si animò delle nostre voci di ragazze, dei nostri ricordi, e più tradi dei nostri FIGLI. Per l’esattezza, mio figlio, Eduardo Adolfo, nacque il 14 luglio.
Quando mi arrestarono ero incinta di tre mesi. Sembravo un’ “oliva”, secondo mio fratello. Non c’erano specchi in carcere, perciò non sono in grado di smentirlo. Quando venne l’ora di partorire, mi ricoverarono nel reparto maternità del Sardà. Ero sotto la custodia di agenti del Servizio penitenziario federale che, oltre alla porta della mia stanza, sorvegliavano i corridoi e le scale dell’ospedale. Una pattuglia di pliziotti piantonava la strada sotto le mie finestre.
Quando iniziò il travaglio, i medici decisero di farmi il cesareo. Mi portarono in sala operatoria incatenata alla barella. Il dottore cercò di convincere gli agenti di custodia ad aspettare fuori. Per tutta risposta, uno di loro indossò camice e mascherina chirurgica e non si mosse più. Appena mi sfilarono le manette, sibilai: “Lavatemi di torno il piedipiati”. Ma capii che era inutile, e allora dissi a me stessa: Concentrati sulla cosa più importante, la nascita del tuo primogenito. In quella gelida sala operatoria, l’umanità del personale medico mi dette coraggio. Tutti i mieri pensieri si rivolsero alla mia PICCOLA GRANDE VITTORIA: STAVA PER
NASCERE MIO FIGLIO.
E venner al mondo, bello come il sole. Niente e nessuno poterono più cenusare i miei sentimenti, le mie emozioni, la mia tremenda allegria che provai nel sentirlo piangere.
Passavano i mesi, Guarito cresceva. Nel gennaio 1975 il padiglione si era andato ormai affollando di prigioniere politiche. La maggior parte erano state picchiate e torturate. Non avevano risparmiato nemmeno quelle incinte.
A fine anno la repressione si acuì, e le carceri, di conseguenza, si affollarono. Fu in quel periodo che il grosso delle compagne venne smistato nei padiglioni della Sezione 6. Nel 49 restarono solo madri e puerpere, e da allora fu chiamato “Padiglione delle madri”. Durante quel periodo nacquero almeno 17 bambini. Ci organizzammo in modo da seguire i piccoli, mandare avanti le faccende quotidiane e contemporaneamente dedicarci all’attività politica. Mentre un gruppo cucinava, un altro faceva le pulizie, e un terzo studiava e discuteva la situazione argentina e mondiale, nonostante le scarse informazioni che ci arrivavano dai parenti.
Dopo il golpe, il Potere Esecutivo Nazionale promulgò un decreto di base al quale i figli potevano restare con le madri solo fino al compimento del sesto mese d’età. Così la maggior parte dei bambini che viveva con noi fu consegnato ai parenti. Per molti anni non ebbi più nessun contatto fisico con mio figlio. Ecco come è andata col mio Guarito.
Quando venne il momento di separarmi da lui, avrei voluto gridare: “lasciatemi andare con mio figlio, il mio Guarito”, ma soffocai la disperazione. Per dignità, o forse per “intellettualizzazione”. Dentro però, ero a pezzi. Guardai una compagna che stava consegnando suo figlio ai nonni. Soffriva anche lei come me. Ci abbracciammo, piangemmo, li maledicemmo insieme. Ci avevano costrette a dare via i nostri figli. Ci avevano tolto il sacro diritto alla maternità.
I nostri due piccoli se ne andarono insieme, e il cancello del Padiglione delle madri si chiuse alle loro spalle. Non sapevano che non ci avrebbero più rivisto per anni. Quel pomeriggio, nell’ameno cortile del carcere, circondato da alti muri coronati da una triplice barriera di filo spinato, nacquero quei versi:
“Che ti succede figlio mio lontano
che ti succede figlio mio strappato
via da queste braccia che ti hanno cullato.
E’ una rabbia infondo al petto
che si gonfia nel silenzio…”
La memoria non mi assiste, non riesco a ricordare quei versi carichi d’amore e di dolore. Per questo ho provato a scrivere i frammenti della mia storia, perchè non voglio che “memoria” resti solo una bella parola.
Padiglione delle Madri
“LA PETY” GRISELDA VARELA VEIGA
Tupolev-Tu 154!
Che caracca, mamma mia! Uno schianto come si deve, che ad elencarli vien la pelle d’oca: il presidente, il capo di stato maggiore, vice ministro degli esteri, governatore della banca centrale, 13 ministri, l’ex presidente Ryszard Kaczorowski, alcuni deputati, il candidato conservatore alle prossime presidenziali Przemyslaw Gosiewski e il vescovo cappellano dell’esercito (qui l’urlo di giubilo personale si fa più acuto!).
Particolarmente colpite le forze armate polacche (ululato orgasmico) : oltra al capo di stato maggiore anche quello delle forze sul campo, il capo dell’Aereonautica militare e quello dell’esercito. Per non farci mancare nulla era salito a bordo anche il capo delle forze speciali e il vice ammiraglio non so chi!
Insomma, una cosa così non c’era mai riuscito nemmeno Walt Disney!
Ci tengo a riportare le parole del papa, che esprime cordoglio per tutti i “servi di Dio” morti spiaccicati insieme al Gotha polacco.
“Profondo dolore” per la tragica morte del presidente polacco Lech Kaczynski e il suo seguito, è stato espresso da papa Benedetto XVI. “E’ con profondo dolore che ho appreso la notizia della tragica morte del Signor Presidente Lech Kaczynski, della sua moglie e delle persone che lo accompagnavano in viaggio a Katyn”, scrive Benedetto XVI in un messaggio. “Tra loro – continua il Pontefice – voglio elencare il Signor Ryszard Kaczorowski, l’ex Presidente della Repubblica in esilio, il vescovo foraneo Tadeusz Ploski, l’arcivescovo ortodosso foraneo Miron Chodakowski e il pastore militare evangelico Adam Pilsch”.
Penso che oggi vada rispolverata quella vecchia immagine usata per Haider ( se non ricordo male pure per Laudi, ma vabbè!)
Insomma, oggi si berrà vodka… mi pare il minimo.
E che darei per esser polacca oggi, pensa che senso di leggerezza!!






















































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