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Cosa accade al porto di Napoli?
cosa sta accedendo…
Una nave attraccata l’8 aprile fa nel porto di Napoli (molo Bausan, nella periferia orientale, verso San Giovanni a Teduccio) è stata fermata perchè aveva a bordo 9 migranti “irregolari”. Di queste nove persone, che la polizia di frontiera dichiara di nazionalità ghanese e nigeriana, cinque sono minorenni.
Secondo la ricostruzione accreditata dal comandante russo di questa grossa nave-merci (battente bandiera liberiana, ma di proprietà di una importante compagnia di armatori tedesca, la Peter Dohle di Amburgo) i migranti si sarebbero nascosti in un container al porto di Abidjan in Costa D’Avorio e avrebbero trascorso così l’intero viaggio.
La notizia è trapelata solo nella mattinata del 12 aprile, per la protesta dei lavoratori del terminal container, dovuta al fatto che il blocco del molo Bausan aveva interrotto molte delle attività lavorative legate allo scarico merci. Questa è sembrata essere anche l’unica preoccupazione dei media, che hanno trattato molto superficialmente la questione umanitaria dei migranti confinati forzatamente sulla nave sottolineando soltanto il danno economico che l’attracco della nave potrebbe costare, la necessità ripresa dei lavori nel terminal e i risarcimenti, dopo che i “clandestini” sarebbero stati fatti scendere dalla nave (vedi: canale9, il mattino)
In realtà le cose hanno rischiato di prendere una piega ancora peggiore: la nave è stata fermata e sequestrata dalla stessa magistratura in maniera preventiva rispetto alla eventuale copertura dei danni in seguito alla denuncia del Conateco, il consorzio napoletano terminal container, per il blocco del molo.
Quando il 13 aprile è scoppiata la protesta dei portuali, la mediazione tra polizia e comandante della nave è stata quella di far scendere solo tre dei cinque minori a bordo, esclusivamente per rientrare nel numero massimo di persone che consentisse alla nave di fare manovra.
La rete antirazzista si è subito mobilitata, cercando di entrare in contatto con i migranti, facendo notare che i minorenni non possono essere respinti e hanno diritto alla massima tutela da parte dello stato italiano, mentre gli adulti potrebbero voler presentare domanda di asilo politico o protezione umanitaria.
Ogni contatto è stato impossibile in un primo momento, perché la polizia di frontiera ha accampato una scusa dopo l’altra, impedendo di fatto che si rispettassero i diritti di queste persone. La motivazione della polizia di frontiera è stata che ci voleva l’autorizzazione del capitano della nave con cui è stato a lungo impossibile entrare in contatto diretto. Un chiaro escamotage, dal momento che lo stesso capitano ha tutto l’interesse e la volontà, più volte esternata, di far sbarcare gli immigrati.
Possibile infatti che oltre alle motivazioni umanitarie ce ne siano altre di carattere economico, perchè la perdurante presenza a bordo dei migranti, una volta appurata, potrebbe portare al divieto di scalo anche nel porto di Genova, dove la nave è diretta. Infatti, per fortuna, la Vera D non ha a bordo le gabbie in cui vengono a volte rinchiusi gli immigrati trovati sulle navi! Gabbie in cui vengono segregati fino al ritorno nei presunti paesi di origine in spregio a ogni aspetto del diritto internazionale, specie per profughi e rifugiati, ma tranquillizzando così le autorità di frontiera…
Dopo un’estenuante trattativa con l’armatore tedesco della nave, la capitaneria di porto, la questura di Napoli e la polizia di frontiera, nella tarda serata di ieri 13 aprile, un’ ampia delegazione della rete antirazzista che presidiava la nave Vera D è riuscita ad ottenere che tre persone salissero sulla nave e incontrassero i migranti. Fra queste tre persone l’avvocato del CIR (Centro Italiano Rifugiati) a Napoli. Durante la visita tutti e nove i migranti hanno firmato la delega all’avvocato manifestando, anche davanti a un pubblico ufficiale (il comandante della nave), la volontà di chiedere asilo politico, di cui l’avvocato ha preso richiesta scritta. Inoltre cinque persone si sono dichiarate minorenni.
Quando la delegazione è scesa dalla nave ha chiesto subito alla Questura di prendere atto delle istanze di asilo e di venire a prendere i migranti per formalizzarle e provvedere all’accoglienza a terra, come è suo dovere legale. Il Questore (che ha interloquito anche con diversi parlamentari) ha invece preso tempo sostenendo che gli uffici potevano formalizzare tutto solo nella mattinata successiva.
[mercoledì 14]
Dopo una intera notte e mattinata trascorsa a picchettare ininterrottamente la nave “Vera D” gli immigrati sono scesi dalla nave (video) e il presidio si è spostato sotto l’ufficio stranieri, che dovrà determinare il percorso con cui i migranti arriveranno alla Commissione asilo, se in condizioni ordinarie e sacrosante di libertà e di accoglienza o con forme di restrizione della libertà (come ad esempio nei CIE) che rappresentano una grave coercizione all’esercizio del diritto alla protezione.
In ogni caso, nella gestione di questa vicenda molti restano i lati oscuri! Anzitutto la questione dei minorenni: ieri la questura dichiarava che “sulla nave non ci sono minorenni”, dopo aver fatto dei discutibilissimi esami biometrici solo a tre ragazzi sui cinque che pure erano stati censiti…!! Oggi, in seguito alle insistenze della rete antirazzista e alle varie forme di pressione, altri tre ragazzi sono stati portati a fare gli esami (ancora un’altra persona è risultata nella fascia anagrafica giusta). “Dobbiamo dedurre che se l’espulsione fosse avvenuta oggi, avrebbero proceduto senza verificare le esigenze di tutela dei minori! E’ una responsabilità grave!” “Dobbiamo pensare che senza la protesta dei portuali del molo Bausan tutto sarebbe avvenuto in silenzio e senza alcuna tutela?!”
Poi il misterioso decreto di respingimento, che ai migranti non è stato mai notificato e che in questura sostengono aver prodotto il 7 aprile… perchè finora non è stato notificato? L’espulsione sarebbe comunque sospesa dalla richiesta di asilo, ma l’ipotesi decreto sembra francamente solo una forma di accanimento per rinforzare l’ipotesi di una reclusione nei CIE dei migranti maggiorenni in attesa della valutazione in Commissione della loro richiesta di protezione umanitaria. Una condizione cui sicuramente faremmo ricorso, ma che secondo noi “testimonia ancora una volta il contesto irrituale in cui si svolgono i cosiddetti “respingimenti in mare”, che comportano sempre una violazione sostanziale dei diritti minimi e delle tutele dei rifugiati. Una “pratica” che almeno oggi la rete antirazzista è riuscita a inceppare!”
Rete antirazzista napoletana
SU INDYMEDIA NAPOLI TUTTI GLI AGGIORNAMENTI!
Fastweb non vende ai cittadini rumeni
PeaceReporter è entrato in possesso di una circolare che la responsabile dei venditori di Fastweb a Bologna ha recapitato a tutti i rivenditori autorizzati dell’Emilia Romagna.
Nel documento, datato 19 settembre 2009, si legge che l’azienda ha deciso di non stipulare più abbonamenti “Fastweb Mobile” a cittadini rumeni.
Evidentemente l’avvertimento era già stato divulgato in precedenza perché nella circolare è scritto: “Ciao a tutti, mi raccomando a voi, da ora in poi non fate più abbonamenti a cittadini rumeni. Dite chiaramente che non è possibile da sistema caricare abbonamenti Fastweb”. Il testo continua: “Ieri sono entrate 70 pda (proposte di abbonamento ndr) quasi tutte di clienti stranieri!!! Forse il messaggio non è stato trasferito alla rete con la giusta enfasi: “BLOCCATE LE VENDITE AI CITTADINI RUMENI”. L’ultima frase è scritta in rosso e a caratteri cubitali, in modo da far capire anche al più reticente il carattere definitivo della circolare.
La mail ci è stata passata da una fonte – che ovviamente vuole rimanere anonima – che si occupa dell’inserimento dei dati dei clienti. Questa persona ci ha riferito anche che è stato suggerito loro, non appena si accorgono di aver a che fare con un rumeno, di fingere che il sistema si sia bloccato e di tornare un altro giorno o di rivolgersi a qualcun altro.
Il diktat telematico è stato scritto da Micaela Serenari, Dealer Manager per l’Emilia Romagna di Fastweb. Le abbiamo chiesto spiegazioni:
Signora Serenari, la direttiva che lei ha emanato è un’iniziativa bolognese o è stata decisa a livello nazionale?
Certo, a livello nazionale perché abbiamo avuto tantissime frodi. Tantissime persone che sono venute a prendere dei cellulari e poi li hanno rivenduti aprendo dei conti che duravano un solo giorno. Quindi noi abbiamo regalato un sacco di telefoni.
E queste persone sono state prese?
Alcune sì, anche dai carabinieri. Era un’organizzazione che andava sempre negli stessi negozi. Venivano buttate le sim e venduti i telefoni.
Quest’organizzazione era composta da rumeni?
Nella nostra area diciamo di sì.
Non le sembra strano che se le persone sono state prese e i negozi erano sempre gli stessi la direttiva sia stata emanata a livello nazionale?
No non mi sembra strano. Comunque noi facciamo anche tanti controlli, tante cose, anche sui conti bancari.
Prima di questa intervista, abbiamo contattato telefonicamente due rivenditori dell’area bolognese fingendoci rumeni interessati al contratto “Mobile”. Non appena la nazionalità saltava fuori, l’operatore rispondeva che “… no allora non si può fare”, senza dare ulteriori spiegazioni.
Questo dimostrerebbe che nessun controllo viene fatto sul conto corrente o altro, si tratta semplicemente dell’applicazione di quanto scritto nella circolare. Abbiamo allora provato a contattare la direzione centrale di Fastweb Italia, a Milano, ma dall’ufficio stampa ci hanno detto che avrebbero dovuto fare accertamenti prima di rilasciare commenti.
Il responsabile delle relazioni esterne di Fastweb, Sergio Scalpelli, contattato da PeaceReporter, ha dichiarato che “si è trattato solo di un eccesso di zelo di una pur bravissima manager della zona, dovuta al fatto che tra il 2008 e il 2009 proprio in quella zono si sono verificate numerose truffe ai danni della azienda”. “In realtà – ha precisato Scalpelli – si tratta di un sistema di credit management che è in grado di verificare in tempo reale la solvibilità dei nuovi clienti e, essendo digitale, non fa distinzioni di razza, di sesso o di religione, proprio come l’azienda”.
Evidentemente, questo sistema deve essere così evoluto da essere in grado di verificare la solvibilità di un potenziale cliente, al telefono, anche solo dal tono della voce o dall’accento.
Marcello Brecciaroli
Fine Ramadan a Via Mattia Battistini, nel medioevo romano
Non sono nemmeno le nove di mattina: grigia domenica di settembre. Attraverso un po’ di periferia per raggiungere la fermata della metropolitana di Battistini.
L’attesa è più lunga del previsto, ma meno fastidiosa di quanto potevo credere: ferma con le 4 frecce ad un angolo ancora non trafficato, mi viene naturale dar le spalle alla ridicola pattuglia dell’esercito appostata sul marciapiede.
Lo spettacolo che si apre al mio sguardo nell’evitare le mimetiche è inaspettatamente straordinario: sono in tanti a dirigersi verso la Metropolitana.
E sono splendidi…mi basta far due conti rapidamente per capire che è il giorno dell’ ‘Aid, la fine del Ramadan.
Roma, in una delle sue tristi e involgarite periferie, stamattina sembra una metropoli europea con tutti i crismi. Ad attraversare la strada sono centinaia di sfumature: turbanti e vesti bianche per gli uomini, colori e strati di stoffe per le donne. Ognuno ha per mano i propri figli e lo sguardo è da giorno di festa.
Le bimbe hanno i ciucci colorati ai capelli, i maschietti si atteggiano a grandi e attraversano accanto ai loro candidi papà
Non so quanto tempo sono stata a guardarli, ma ero felicemente compiaciuta della mia città che mi trasmette solo fastidi e vergogna.
Poi giro la testa: non ci posso credere!
La maggiorparte di loro è davanti alla camionetta dei nostri valorosi soldati: fermati.
La mia reazione è immediate: scendo dalla macchina e mi vado ad impicciare.
Con quel poco di arabo che ancora ricordo provo a capire la situazione, poi vado dal primo soldato e gli chiedo se ci sono problemi, spacciandomi per una mediatrice culturale.
Il tipo si innervosisce immediatamente, non capisce perchè mi sto intrufolando nella sua “missione” e mi guarda con sguardo che tenta di intimorire.
Mi innervosisco prima io e cerco, povera stupida, di spiegargli che oggi per loro è Natale. Che stanno andando a festeggiare la fine del digiuno, che l’unico pericolo che c’è è per il loro colesterolo che schizzerà alle stelle in qualche secondo dopo una luna di restrizioni alimentari. Un giorno di festa: il più bello.
“Hai presente il Natale? A te non ti mandano in licenza per festeggiare con la tua famiglia? Loro oggi stanno andando a mangiare tutti insieme, col vestito buono e la pelle appena lavata. Qual è il problema?”
La risposta è da barzelletta : “Ah, mica lo sapevo! Ma a lei signorì je pare normale che vanno tutti in giro mascherati?”
Rimango un secondo in silenzio: lo guardo dal basso all’altro (dall’anfibio lucido al berretto sbilenco) e dall’alto al basso (berretto – anfibio).
Ma come fa uno in mimetica, con 4 kg di fucile in spalla, al centro di un incrocio di una città che non vede guerre da diversi lustri … si io mi chiedo come può non capire che è lui il mascherato?
E son fatta così, apro bocca e gli do fiato:
“Scusa ma secondo me sei più mascherato tu!”
Mi guarda con odio.
Capisce pure che è meglio che la finiamo qui…e con gesto da pizzardone lascia i festosi migranti tornare per la loro strada … e anche la fastidiosa fanciulla che non si faceva gli affari suoi.
Loro sono i soli a rimanere lì, ostentando loro ridicoli costumi da Carnevale
عيــــــد مبـــــارك
IKEA nel paese della giustizia fai da te!
Nel paese dove i bambini nascono fantasmi e clandestini,
nel paese dove è nato il reato della clandestinità,
nel paese delle leggi speciali, delle carceri speciali, dei bracci speciali,
nel paese dell’odio all’immigrato, a quello più povero di noi,
nel paese di Di Pietro e Travaglio, nel paese che si sbrodola per Saviano (proprio quello che crede Israele il miglior paese al mondo),
nel paese dove si tortura per arrivare a dire che lo stupratore è straniero, romeno, diverso,
nel paese dove le donne vengono ammazzate e violentate dentro casa dai propri compagni…
proprio in Italia IKEA inventa un prodotto nuovo: SOKKOMB! http://www.sokkomb.com/
per i vostri giardini blindati, per difendere le vostre belle proprietà.
Comprate anche voi una ghigliottina da giardino!
In arrivo modelli adatti a saloni e camere per bambini!
ARRESTI IN TUTTA ITALIA a poche ore dal G8
ONDATA DI ARRESTI E PERQUISIZIONI (SU MANDATO DELLA QUESTURA DI TORINO) DI DIVERSI COMPAGNI IN VARIE CITTa’ D’ ITALIA.
AD UN PAIO DI GIORNI DALL’INIZIO DELLE MOBILITAZIONI DI ROMA E L’AQUILA CONTRO IL G8 SI SCATENA LA REPRESSIONE SOPRATTUTTO AI DANNI DI CHI NEI PRECEDENTI MESI AVEVA LOTTATO ALL’INTERNO DEI MOVIMENTI STUDENTESCHI e DELL’ONDA, COSTRUENDO LA CONTESTAZIONE DEL G8 DELL’UNIVERSITA’, CHE SI E’ SVOLTO A TORINO TRA IL 17 E IL 19 MAGGIO.
SI PARLA GIA’ DI 21 ARRESTI DI CUI 4 GIA’ CONFERMATI.
LA CITTA’ PIU’ COLPITA E’ TORINO CON 15 COMPAGNI ARRESTATI, SOPRATTUTTO APPARTENENTI AL CENTRO SOCIALE ASKATASUNA: POI ALTRI 4 A BOLOGNA… PER PROSEGUIRE CON PADOVA, MILANO NAPOLI…
SOLIDARIETA’ AGLI ARRESTATI.
NIENTE FERMERA’ IL BISOGNO E LA NECESSITA’ DI MANIFESTARE.
Corrispondenze di Radio Onda Rossa: Venezia – Bologna – Torino –
No all’agente solo, appello dei macchinisti
PERCHE’ NON PASSI QUESTO ULTERIORE SCEMPIO AL LAVORO E ALLA SICUREZZA. SCEMPIO CHE SARA’ RESPONSABILE ANNUNCIATO DELLE PROSSIME STRAGI SUI BINARI E SULLE STAZIONI DI QUESTO MERDOSO PAESE.
CON I LAVORATORI, CON DANTE DE ANGELIS, CON QUEI 16 MORTI NEL CUORE…
NO ALL’AGENTE SOLO!
Al Presidente della Repubblica
A tutte le istituzioni
Alla stampa
(Lettera firmata dai macchinisti alle istituzioni)
I sottoscritti macchinisti delle F.S. sottopongono al Presidente della Repubblica, al Governo e alle Istituzioni le seguenti osservazioni.
Dalla liberalizzazione della rete ferroviaria ad oggi si sono contati, per incidenti ferroviari, 54 macchinisti morti, oltre a tanti altri ferrovieri morti sul lavoro. Di qui la necessità di tener ben alta la guardia per evitare ulteriori disastri ferroviari e morti sul lavoro.
Siamo orgogliosi degli sviluppi della nostra tecnologia e degli investimenti sulla sicurezza ma nella dinamica ferroviaria, sottoposta a circolazioni non sempre prevedibili e, a volte, di emergenza la tecnologia non basta senza la presenza ed il controllo umano qualificato. Non a caso le F.S. italiane hanno tenuto testa, pur con tecnologie modeste, alle altre compagnie europee grazie al modulo di guida del doppio macchinista che, salvo gli ultimi anni del fascismo, è stato da sempre adottato nelle nostre ferrovie.
Questi investimenti, dovuti anche a leggi dello Stato che impongono ai datori di lavoro di dotarsi per la sicurezza della massima strumentazione tecnologica esistente, non possono però essere motivo per ridurre ad un solo macchinista la guida dei treni, come il nostro amministratore delegato ing. Moretti con forza intende attuare. Non solo perché questa tecnologia ancora non è conforme alle leggi (mancanza di soccorso in caso di malore, ecc.) ma perché si tratterebbe di una oggettiva una riduzione di sicurezza – rispetto agli attuali livelli – per noi e per i viaggiatori che porterebbe certamente più disservizi e forse anche a più tragedie, come a Crevalcore, dove la nuova tecnologia (e già un solo macchinista) ha causato 17 morti (su questo ricordiamo che sono sotto processo molti dirigenti delle ferrovie). Si dice che in Europa c’è già un solo macchinista, ma gli esperti sanno che le loro ferrovie sono strutturate per quel modello di guida e soprattutto che esse presentano un’incidentalità molto superiore in termini sia assoluti che relativi ! Perché dovremmo regredire ad una minor sicurezza? Sarebbe come dire che, siccome c’è in alcuni paesi la pena di morte, ce la dobbiamo avere anche noi?
Poiché l’unico argomento concreto è il risparmio, per altro ben modesto rispetto ai grandi risparmi che si potrebbero fare nelle nostre ferrovie, noi macchinisti siamo anche disponibili a ulteriori mansioni pur di mantenere una sicurezza maggiore per la nostra vita e per quella dei viaggiatori.
Infine si sappia che in presenza di nuove tragedie con un solo macchinista la colpa politica e morale non potrà ricadere su di noi ma su coloro che, per risparmiare, ci hanno imposto questo pericoloso modello produttivo per la guida dei treni, come purtroppo anche la tragedia ThyssenKrupp e tante altre insegnano.
Viareggio: 13 morti, per ora, per un treno di GPL che salta in aria
13 morti, decine di feriti di cui 16 in fin di vita. Ci sono dispersi, e migliaia di persone evacuate. Sembra un resoconto da Gaza… invece è Viareggio, in piena stagione turistica, dopo l’esplosione di un treno merci carico di GPL che è deragliato poco dopo la mezzanotte dentro la stazione scatenando una serie di esplosioni e poi l’incendio. Sembra sia entrato a velocità sostenuta, tanto da essere notato da più persone pochi secondi prima dell’inferno. l’esplosione ha investito anche 5 palazzine, in parte distrutte: in una di queste i vigili del fuoco non hanno ancora inizia a cercare superstiti, quindi il bilancio è estremamente provvisorio.
Il corpo di un bambino è stato ritrovato completamente carbonizzato sul seggiolino della macchina: i genitori ce l’avevano appena portato per trarlo in salvo, erano rientrati a prendere l’altro figlio, risultano tra i dispersi.
Una palazzina si è sbriciolata, un’altra ha completamente preso fuoco, molti altri palazzi sono stati evacauati per paura di successive esplosioni di altri vagoni. Vi sono 13 cisterne piene di GPL all’interno della stazione di cui 4 rovesciate e l’operazione oltre ad essere molto rischiosa sarà lunga diverse ore.
Le Ferrovie fanno sapere che probabilmente ha ceduto il carrello i uno dei primi carri cisterna… e la cosa non stupisce viste le continue segnalazioni da parte dei ferrovieri che ora rabbiosi denunciano come erano stati più e più volte segnalati i rischi connessi al cattivo funzionamento dei carrelli e all’uso di materiali troppo vecchi. La TAV luccica…gli altri esplodono in aria.
Con Petru fino all’ultimo suo respiro… e con la sua compagna
E’ un video che non si può guardare, un video che non avrei mai voluto vedere ma che non posso non mettere sul blog.
Per renderci conto che paese siamo diventati, per renderci conto di quanto grave è la situazione che ci circonda.
Mi sento male… l’indifferenza della gente mi massacra, quella donna che urla sola la sento dentro di me.
Io non posso rimanere in questo paese, non sono capace di stare a guardare quindi forse è meglio pensare solo di partire.
Di non dare altri figli a questa terra…
DOBBIAMO CHIUDERLI!!!
CHIUDIAMO I CENTRI DI IDENTIFICAZIONE ED ESPULSIONE.
PER UN MONDO SENZA FRONTIERE E GALERE…. SIAMO TUTTI/E CLANDESTINI/E

Immagini dalla manifestazione sotto il Centro di Identificazione ed Espulsione di Ponte Galeria, fatta venerdì pomeriggio da alcuni attivisti. ABBATTIAMO LE FRONTIERE, ABBATTIAMO LE GALERE
Tutte le foto sono tratte da Indymedia
Ancona: si suicida invece di attendere lo sfratto…
Ci si suicida per paura di perdere casa e lavoro, nel paese che parla di Noemi, nel paese che non è più nemmeno in grado di sognare un qualcosa di diverso per noi, per i nostri figli e per i nostri vecchietti.
E’ successo in un quartiere della periferia di Ancona, questa mattina. Un uomo di 63 anni s’è ammazzato, con un colpo di pistola al cuore mentre aspettava lo sfratto. Aveva lasciato anche le chiavi di casa attaccate alla porta, già consapevole probabilmente che il suo corpo sarebbe stato proprio trovato dall’ufficiale giudiziario che lo cercava per consegnagli lo sfratto.
Gli ha lasciato le chiavi…
Nel frattempo un esempio di come vengono licenziate i lavoratori, con telegrammi ad effetto immediato… decine e decine al giorno.
MITTENTE:
_ _ _ _ _ _ SPA
ZONA INDUSTRIALE
74100 TARANTO
DESTINATARIO:
MARCO _ _ _ _ _ _
VIA _ _ _ _ _ _ _ N. _ _
74024 MANDURIA
TESTO:
IL PRESENTE PER COMUNICARLE L’AVVENUTA CESSAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO TRA LEI E L’AZIENDA _ _ _ _ _ SPA.
IL PRESENTE HA EFFETTO IMMEDIATO , QUINDI NON DEVE RAGGIUNGERE IL SUO POSTO DI LAVORO GIA’ DA DOMANI MATTINA. SEGUE RACCOMANDATA CON I DETTAGLI. CORDIALMENTE
DISTINTI SALUTI
IL RESPONSABILE RISORSE UMANE G. _ _ _ _ _ _
Mediterraneo, il mare nostrum è sempre più un cimitero liquido
“Non è spuntato ancora un Omero per cantare le imprese colossali e desolate dei migratori che traversano il mondo a piedi e salgono sulle onde ammucchiati in zattere. Non si è affacciato un poeta cieco e perciò visionario a raccontare il mare spalancato, la deriva e il naufragio. Non c’è un Omero e neanche lo straccio di un nocchiero, di un Miseno, nella ciurma di Ulissi senza governo, tra Eolo re dei venti e Posidone signore delle terre emerse.”
Erri De Luca, “Odissea di morte”
LEGGI:
Siamo tutti assassini!
Il mare della morte
La strage di Catania
I corpi sugli scogli
Franco Fortini sul caso 7 aprile
Dieci anni fa gli arresti di Padova. Scrive il Corriere: “se gli arresti del 7 aprile si risolsero in un errore giudiziario e in anni di sofferenze per persone che sarebbero state assolte…”.
A chi spiegare che non si trattò di un errore giudiziario ma di uno sporco atto di violenza compiuto, in solido, da tutta la classe dirigente?
Quel che oggi persino ‘il Manifesto’ dimentica di dire è che da allora l’istruttoria è stata gestita e sostenuta da un giudice, Calogero, considerato ‘vicino’ al Partito Comunista. E che il Partito Comunista ha sempre sostenuto la colpevolezza degli uomini del 7 aprile soprattutto perché avversari della sua politica e perché, dirigendo contro le loro tesi l’ostilità e l’attenzione pubblica, di altrettanto si diminuiva la portata delle radici sociali, politiche e storiche comuniste che avevano dato origine alle Brigate Rosse, dico, non in termini sociologici ma storici. E così per non fare i conti con il proprio passato storico, quando c’era ancora Gorbaciov, il maggior partito d’opposizione trascinò l’opinione pubblica contro gli “intellettuali assassini” con il medesimo entusiasmo con cui per quarant’anni aveva infamato Bucharin o Trotzkij. Così, o anche così, si perdono le cause storiche. E poi si rovescia tutto e si vuol far credere che la conseguenza sia la causa.
Il declino del PCI italiano si distende lungo gli anni Ottanta. Gli organismi politici non fanno autocritiche finché sono forti. Ma diventano deboli per non averle fate. I compagni di Autonomia invecchiano a Parigi.
Ferrari Bravo, tornato in cattedra a Padova dopo cinque anni di prigione, rammenta in un’intervista la battuta di un autore cecoslovacco: chi è passato attraverso le guerre del nostro secolo, e fino alla presente distruzione ecologica, senza essere andato in galera per reato di opinione non può dire di aver sperso bene la sua vita. 
Non sono andato in galera per reato d’opinione. Per caso, credo.
Quel che ho detto in pubblico tra il 1967 e il 1973 e quel che poi ho scritto e stampato sarebbe stato più che sufficiente per una adeguata detenzione. O ero considerato ingombrante perché ‘poeta’? E’ probabile. Nelle valutazioni di certa gente -almeno alle nostre latitudini, perché sotto altre lo scrittore e l’artista sono caccia prelibata per gli squadroni della morte- valgono i canoni che nelle classi dirigenti da costoro servite hanno per secoli privilegiato il santone o infante (anche per meglio poterlo disprezzare) il Musarum sacerdos.
——–FRANCO FORTINI, Per le Prigioni tratto da “Extrema Ratio” ———
Rivolta nel carcere di Trapani
Disordini sono avvenuti ieri sera nel carcere di Trapani dove un gruppo di detenuti tunisini, nella sezione Mediterranea dove si trovano molti extracomunitari, avrebbe aggredito le guardie penitenziarie. Cinque agenti sono rimasti feriti: uno di loro ha riportato la frattura scomposta dell’avambraccio destro mentre gli altri hanno prognosi che vanno dai 5 ai 10 giorni.
Lo dice Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Pa penitenziari. «La situazione – aggiunge – è tornata sotto controllo , ma quanto accaduto deve far riflettere sull’opportunità di interventi immediati atti a deflazionare il grave sovrappopolamento delle carceri italiane o episodi come quello registrato ieri sera saranno cronaca quotidiana.
I detenuti hanno cominciato a battere sulle porte blindate pentole e altre stoviglie e hanno dato vita ad una rumorosissima protesta. I cinque detenuti accusati delle aggressioni sono stati arrestati e isolati. Nella sezione Mediterranea, con gli ultimi venti arrivi, vi sono 316 detenuti a fronte di una capienza di 180 posti. Nell’istituto vi sono 502 persone su una capienza di 282 detenuti. La Uil penitenziari da tempo ha lanciato l’allarme sulla ingestibilità degli istituti di pena. «Dopo quanto accaduto a Trapani – dice Sarno – il ministro Alfano, il Governo e tutto il Parlamento hanno il dovere di aprire immediatamente un confronto parlamentare sulle possibili soluzioni per evitare una catastrofe annunciata. L’emergenza penitenziaria va risolta con interventi immediati e mirati».
Il lavoro è sfruttamento
“Cioè io avevo fatto tutti i lavori nella mia vita. L’operaio edile nelle carovane di facchini il lavapiatti in un ristorante avevo fatto il bracciante e lo studente che è anche quello un lavoro. Avevo lavorato all’Alemagna, alla Magneti Marelli all’Ideal Standard. E adesso ero stato alla Fiat a questa
Fiat che era un mito per tutti i soldi che lì si guadagnavano. E io veramente avevo capito una cosa. Che col lavoro uno può soltanto vivere. Ma vivere male da operaio sfruttato. Gli viene portato via il tempo libero della sua giornata tutta la sua energia. Deve mangiare male. Viene costretto a alzarsi a delle ore impossibili secondo in che reparto sta o che lavoro fa. Avevo capito che il lavoro è sfruttamento e basta.
Adesso finiva anche quel mito della Fiat. Cioè avevo visto che il lavoro Fiat era un lavoro come quello edile come il lavapiatti. E avevo scoperto che non c’era nessuna differenza tra l’edile e il metalmeccanico e il facchino tra il facchino e lo studente. Le regole che usavano i professori in quella scuola professionale e le regole usate dai capi reparto in tutte le fabbriche dove ero stato erano la stessa cosa.
E allora si poneva un grosso problema per me. Cioè pensavo che faccio adesso. Cosa faccio cosa devo fare.
Non avevo mai rubato ancora non avevo mai avuto una pistola. Non avevo mai avuto amicizie con gente così detta della malavita. Che almeno avrei avuto uno sbocco da darmi. Da dare sia alla mia incazzatura alla mia insoddisfazione e sia ai miei bisogni alla mia vita materiale. Non ero né un medico né un avvocato o un professionista. Per cui non è che dicevo mo’ mi metto a fare il rapinatore o il professionista. Insomma veramente non ero niente non potevo fare niente.
Eppure c’avevo sta voglia di vivere di fare qualcosa. Perché ero giovane e sto sangue mi pulsava nelle vene. La pressione era abbastanza alta insomma. Volevo fare qualcosa. Ero disposto a fare qualsiasi cosa. Ma è chiaro che qualsiasi cosa per me significava non fare più l’operaio. Questa parola era ormai abbastanza sputtanata per me. Non significava più niente ormai per me. Significava continuare ancora a fare la vita di merda che avevo fatto finora insomma. “
TRATTO DA “VOGLIAMO TUTTO” di Nanni Balestrini
Feltrinelli 1971
ANCORA STUPRATORI ITALIANI: e il minimo della pena
Sei anni e otto mesi di reclusione ai danni di un 41enne che avrebbe piu’ volte molestato sessualmente la figlia della convivente. I fatti risalgono al 2004, in un comune del bolognese, quando la ragazzina aveva dodici anni. All’uomo venne trovato materiale pedo-pornografico e anche munizioni detenute illecitamente. Secondo l’accusa l’uomo, che di professione fa il militare, avrebbe toccato la ragazzina costringendola anche a rapporti non completi. Poi lei racconto’ quello che aveva subito ad un amichetto, che a sua volta riferi’ ai genitori e cosi’ partirono le indagini.
MERDE! SEI ANNI E OTTO MESI. E SE ERA RUMENO? MERDE MERDE
MERDE VOI E LE VOSTRE INDAGINI FASULLE, MERDE VOI E I MAGISTRATI.
SEMPRE E SOLO SUL CORPO DELLE DONNE, DEGLI OPPRESSI E DEGLI EMARGINATI.
Una ronda non fa primavera
Da Padova a Forlì il mercato delle ronde apre la strada alla privatizzazione e politicizzazione della sicurezza
di Paolo Persichetti, Liberazione 1 marzo 2009
dal blog Insorgenze
Dopo l’entrata in vigore del decreto legge sulle ronde, in alte parti d’Italia si assiste ad un proliferare di «associazioni di volontari per la sicurezza», intenzionati a presidiare il territorio con funzioni ausiliarie delle forze dell’ordine.
A Padova, militanti di An e della Lega sono scesi in alcuni quartieri fino a quando hanno trovato la strada sbarrata dai giovani dei centri sociali. Un po’ di sberle e l’intervento della polizia hanno messo fine ad all’iniziativa.
L’indeterminatezza e la prosa allusiva contenuta nel testo varato dal governo lo scorso 25 febbraio hanno lasciato ampio spazio alle interpretazioni più pericolose e così si è immediatamente scatenata la corsa all’accaparramento del mercato politico-mediatico delle ronde. Il testo approvato, infatti, pur dando priorità alle associazioni composte da personale delle forze dell’ordine in congedo, estende il ricorso alla collaborazione con i comuni ad ogni altro tipo di «associazione tra cittadini non armati», purché compaiano in un’apposita lista depositata in prefettura e non usufruiscano di finanziamenti pubblici. Formulazione che sembra aprire al finanziamento privato della vigilanza, sul modello delle «agenzie private di sicurezza» teorizzato dai partigiani dell’ultracapitalismo selvaggio, come lo studioso americano Robert Noizick.
Ritagliato su misura sulle esperienze di vigilanza locale già sperimentate nelle cittadine governate da amministratori leghisti, l’impresa delle ronde è diventata subito un terreno d’accesa competizione per il controllo del territorio tra schiere di leghisti e squadre di An, Storace, Forza nuova e Fiamma tricolore.
A Verona la giunta comunale ha istituito gli «assistenti civici», ad Udine la Lega ha annunciato la creazione di ronde entro il mese. A Milano come a Napoli agiscono da tempo i City angels e i Blue berets. A Torino e Ferrara giovani di An sono scesi in strada, mentre a Trieste Fiamma tricolore sta organizzando ronde intitolate alla memoria di Ettore Muti. A Bologna ci sono state iniziative episodiche di An, Forza nuova e Lega. A Forlì la Lega ha creato delle «ronde civiche». A Roma invece è molto attiva la Destra di Storace che ha sguinsagliato i propri militanti e annunciato la nascita di «ronde rosa» nel quartiere dell’Eur. Il più delle volte si tratta d’effetti d’annuncio, scimmiottamenti mediatici con pettorine colorate di fronte a tv e fotografi, ma la tendenza a strutturare “squadrette”, camuffando un rinnovato squadrismo sotto le vesti delle milizie cittadine volontarie, è ormai avviata, al punto che anche La Russa, il ministro della Difesa che inizialmente aveva dato voce alle perplessità dell’arma dei carabinieri, ora si è detto favorevole. Anche lui prevede che i civili possano far parte dei cosiddetti «pattuglioni», ovvero una militarizzazione del territorio allargato non solo alla presenza di polizia e carabinieri, ma all’esercito, che già sorveglia i semafori, e alla polizia penitenziaria, guardia di finanza, forestale (e perché no anche ai guardiacaccia e guardiapesca?). Un’Italia, insomma, che assomigli sempre più al piazzale di una caserma con adunate e alzabandiera mattutini.
«Riprendiamoci la città» era uno degli slogan che più echeggiava negli anni 70. Lanciato da Lotta continua venne ripreso durante il movimento del 77, dove risuonò come una slavina durante gli enormi cortei. Dietro questa parola d’ordine agiva il protagonismo di soggetti deboli e misconosciuti, la partecipazione irruenta dei senza parola alla vita pubblica contro ogni forma di sfruttamento, sopraffazione, carovita, per un uso pubblico e sociale della città, dove trovassero soddisfazione i bisogni dei cittadini, reddito, trasporti, verde, cultura, spazi di socialità, musica, feste.
Mai il senso delle parole ha potuto segnare la direzione di un’epoca come in questo caso. Ciò che allora voleva indicare la riconquista condivisa dello spazio pubblico, un allargamento della cooperazione e della socializzazione, l’uscita dai ghetti della fabbrica, dei quartieri dormitorio, del privato, ora indica l’esatto opposto.
Oggi a lanciare questo slogan sono le truppe del Carroccio e le squadre della destra che coagulano gli interessi particolaristici dei bottegai, di cittadini blindati nei loro villini a schiera, di lavoratori atterriti dalla crisi economica.
Ma le ronde non fanno primavera.
STUPRATORI ITALIANI IN LIBERTA’
Questa volta la vittima è romena. Ed è un bimbo di soli 8 anni. 
Stuprato davanti alla sorella poco più grande nel cortile davanti casa, da un italianissimo maiale di 28 anni, ANIELLO GRADITO, a Cicciano, nel napoletano. Pare abbia ripetutamente abusato del bimbo (e forse non solo di lui) mentre veniva lasciato a giocare , affidato ad alcuni vicini, nel cortile mentre i genitori -venditori ambulanti- andavano a lavorare. Una violenza, da quel che dicono gli inquirenti, più che nota nella zona e che si ripeteva da molto tempo.
Ancora italianissimi stupratori a Nola. In tre sono stati arrestati ( Salvatore Mariniello, Aniello Iengo e Mauro Cirullo, tutti di Massa di Somma) ma altri sono indagati per una violenza di gruppo ai danni di una ragazzina di soli 14 anni. Secondo quanto stanno ricostruendo i Carabinieri la ragazza sarebbe stata minacciata e ripresa durante gli stupri con alcuni cellulari. Per costringerla nuovamente a subire uno stupro di gruppo, è stata minacciata con una pistola.
Mentre Davide Buroni, lo stupratore di una ventenne (violenza avvenuta nel dicembre 2007 ) è già in libertà dopo che era stato condannato con rito abbreviato a soli 4 anni e 2 mesi, di cui la buona parte trascorsi agli arresti domiciliari.
SE ERA RUMENO AVEVANO BUTTATO LA CHIAVE, CI AVEVANO MASSACRATO CON LE PRIME PAGINE DI TUTTI I GIORNALI, CON I DECRETI SPECIALI, I LINCIAGGI, LE RONDE.
LO STUPRATORE E’ MASCHIO, LO STUPRATORE HA QUASI SEMPRE LE CHIAVI DI CASA E NON HA PASSAPORTO.
BASTA VIOLENZA SUL CORPO DELLE DONNE, BASTA DEMAGOGIA E RAZZISMO.
L’UNICA RONDA E’ L’AUTODIFESA, E’ LA COLLETTIVITA’, E’ L’AUTODETERMINAZIONE
Grande Peres!
Per la prima volta mi trovo in sintonia con un esponente politico israeliano.
Per la prima volta mi sento di sostenere in toto le sue dichiarazioni.
Per la prima volta spero si avverino le parole di un israeliano. Ci auguriamo che l’invito venga accettato.
“Se non te la senti di vivere nel tuo paese, il mio è un invito. Sei benvenuto in Israele. L’unica cosa che devi sconfiggere è la paura, perché ho visto morire tante persone che vivevano con la paura e sopravvivere altre che non temevano di vivere in condizioni estremamente difficili” ha dichiarato Shimon Peres in un incontro con Roberto Saviano, autore di Gomorra. Poi ha ovviamente proseguito delirando e dichiarando “Anche noi abbiamo la nostra camorra, caro Saviano. Si chiama Hamas. Non ha un obbiettivo razionale. E’ brutale. Ammazza anche le sue donne e i suoi bambini. E’ la nostra mafia incivile. Due settimane fa è morto Huntington, lo scrittore che teorizzava lo scontro di civiltà. Io non sono mai stato d’accordo, ne ho parlato anche con Benedetto XVI: questo è uno scontro, ma fra civiltà e inciviltà. La religione è solo un pretesto per ammazzare, non il contrario. E allora serve essere coraggiosi. E combattere queste mafie”
Vai Saviano, accetta l’invito, tanto hai sempre appoggiato la politica israeliana.
TORNA IL NUCLEARE
“Erano belle giornate”: i voli della morte spiegati da Silvio Berlusconi
DUE VOLI A SETTIMANA, PER CIRCA DUE ANNI, CHE COME UNICA DIREZIONE AVEVANO L’OCEANO.
OCEANO DOVE SONO STATI LANCIATI 30.000 CORPI VIVI, DI PERSONE, DI OPPOSITORI CHE PRIMA DEL VOLO ERANO STATE TORTURATE E SEVIZIATE DALLO STATO ARGENTINO.
ARGENTINA, fino al 1983.
SILVIO BERLUSCONI E’ STATO IN GRADO DI DIRE: “Non farò come quel dittatore argentino che faceva fuori i suoi oppositori portandoli in aereo con un pallone, poi aprivano lo sportello. Erano belle giornate, li facevano scendere dall’aereo . Andate un po’ fuori a giocare. Il che fa ridere, ma è drammatico ”
Oggi era in prima pagina del principale giornale argentino, il quotidiano di Buenos Aires Clarin.
L’articolo, mezza pagina, precisa che »non è chiara la ragione« per la quale Berlusconi avrebbe parlato cosi dei desaparecidos. L’articolo del quotidiano è stato ripreso dall’agenzia locale Telam ed ha subito avuto ampia eco nelle tv e gli on-line a Buenos Aires
Se ve lo volete sentire/ascoltare: “trarre il bene da ogni male”, non ci sono parole.
Fiamme al C.I.E. di Lampedusa
Questa mattina la già tesa situazione del Centro di Identificazione ed Espulsione ( che fino a poche settimane fa era un Centro di Accoglienza ) dell’isola di Lampedusa è esplosa in alcuni momenti di scontri tra i migranti internati e le forze dell’ordine, che hanno immediatamente richiesto rinforzi.
La situazione è molto tesa da ieri pomeriggio, quando 300 persone hanno iniziato lo sciopero della fame per protestare contro il trasferimento di 107 connazionali a Roma, in attesa del rimpatrio coatto.
Risultano all’incirca una decina di feriti tra migranti e forze dell’ordine, che hanno anche usato gas lacrimogeni durante gli scontri. Poco dopo l’inizio delle tensione una fitta nube di fumo si è alzata dalla Contrada Imbriacola dove è situato il lager per migranti. Il capannone principale è stato completamente distrutto dalle fiamme e malgrado lo sforzo dei Vigili del Fuoco, pare che si stia estendendo anche ai due capannoni vicini anche a causa del forte vento che sta battendo l’isola.
Alcuni migranti erano riusciti a darsela a gambe ma poco fa tutti i quasi 900 detenuti presenti (comprese donne e molti bambini) sono stati concentrati in un’unica area dai reparti antisommossa che ancora circondano tutta la struttura, dichiarata comunque inagibile e di cui è stato chiesto un immediato sgombero dal sindaco dell’isola, Dino De Rubeis, che inoltre accusa il governo e chiede la rimozione immediata del Ministro Maroni “responsabile del fallimento totale dell’operazione”: “La colpa è del governo” dice ” che ha trasformato il centro in un lager. I migranti sono esasperati e pronti a tutto, da dicembre sono prigionieri della struttura”.
CI PREOCCUPIAMO DELL’ALIMENTAZIONE FORZATA DI ELUANA, SENZA VOLGERE SGUARDO O BATTITO DI CIGLIA ALLE MIGLIAIA DI MIGRANTI CHE FACCIAMO MORIRE PER MARI, DENTRO LE CARCERI O DENTRO STRUTTURE ILLEGALI COME IL C.I.E. DI LAMPEDUSA. NON CI PREOCCUPIAMO DI INTEGRAZIONE, DI PROGRAMMI SCOLASTICI ADEGUATI,
DI ASSISTENZA, DI ACCOGLIENZA NEL VERO SENSO DELLA PAROLA. L’UNICA COSA CHE PUO’ FERMARE LO SCEMPIO DI QUESTO PAESE, LE ORDE FASCISTE DI PICCHIATORI CHE SI SPACCIANO PER GIUSTIZIERI. SOLO L’INTEGRAZIONE CI SALVA DALLE LOGICHE SECURITARIE, DALL’EMERGENZA STUPRI E LE CONSEGUENTI RONDE E SPEDIZIONI PUNITIVE.
NOI, POPOLO DI MIGRANTI PER ECCELLENZA: NOI POPOLO CHE HA SUBITO LINCIAGGI E ACCUSE GRATUITE DI STUPRI E FURTI NEI PAESI DOVE SIAMO MIGRATI…PROPRIO NOI ITALIANI, QUELLI CHE MENO DI TUTTI SI POSSONO PERMETTERE DI ESSERE RAZZISTI
PER UN MONDO SENZA CONFINI E SENZA STATI. PERCHE’ SIAMO TUTTI CITTADINI DELLO STESSO MONDO.
PERCHE’ I CORPI POSSANO GIRARE LIBERAMENTE, SENZA FRONTIERE, SENZA BANDIERE, SENZA PATRIA, SENZA GALERE
Del carciofo … tradizioni mediterranee, dai sultani a Lungotevere
Il carciofo è la più misteriosa delle verdure. E anche la più femminile, e senza dubbio una cosa spiega l’altra.
Mentre le verdure di sesso maschile, come il cetriolo, l’asparago o il porro, non si peritano di esibire ai quattro venti la loro arrogante virilità, il carciofo, al contrario, per pudore innato, se non per civetteria, fa di tutto per nascondere la propria intimità sotto sottane e merletti, pieghe e panneggi. Per accedervi, i suoi amanti devono per prima cosa togliergli tutti questi fronzoli, a uno a uno, delicatamente, lentamente, prendendosi il tempo necessario.
Allora il carciofo offre loro il suo cuore carnoso , quella parte che i francesi, in epoche meno pudibonde, non chiamavano come adesso ‘fond‘, ma designavano molto appropriatamente, a causa della consistenza setosa e della forma arrotondata, con la parola ‘cul‘.
Non è tuttavia per la sua femminilità, come si può facilmente indovinare, che il carciofo è stato a lungo proibito in Francia alle ragazze di buona famiglia. Il Cynara scolymus, che nel XVI secolo aveva attraversato le Alpi proveniente dall’Italia, era considerato, al pari di altre piante fino ad allora sconosciute, come il pomodoro, potente afrodisiaco.
All’epoca, è un fatto, questo tipo di ghiottonerie era molto di moda, e l’aesempio veniva dall’alto: secondo la comica testimonianza di Brantome, dalla regina madre in persona, Caterina de’ Medici, assai incline alla scappatella. Costei aveva dunque una passione per i cibi creduti a torto o a ragione stimolanti, come i cuori di carciofo e le creste di gallo, tanto che, nel 1575, durante un banchetto di nozze rischiò di scoppiare. Questo non bastò comunque a ostacolare l’esaltante carriera del carciofo. Si racconta per esempio che a Parigi, sotto Enrico IV, i venditori ambulanti di frutta e verdura ne vantavano ancora le incomparabili virtù ‘per il signore e per la signora’. Ma la ‘signora’, che quando mangiava carciofi veniva mostrata a dito, sarebbe stata abbastanza arguta, come prova una poesia popolare della metà del XVIII secolo, da rivolgersi al ‘signore’ in questi termini:
…Mangiali tu, amore mio,
così meglio faranno
che se li mangiassi io.
Questa seducente reputazione ovviamente non poggia su alcunché di solido. Ed è un puro caso che Enrico VIII, colui che fondò davanti all’Eterno la Chiesa anglicana, consumasse mogli e carciofi con eguale appetito. Certo, nel mondo islamico, Rhazes aveva attirato l’attenzione sugli effetti stimolanti del
prezioso ortaggio sin dal X secolo, nel suo Libro dei correttivi sugli alimenti, Ma non ho letto da nessuna parte né ho mai sentito dire che i califfi, sultani o re delle nostre parti, che pur avevano tutti il temibile obbligo morale di soddisfare un intero harem, ne abbiano fatto largo uso. Mi chiedo del resto se kangar di cui parla Rhazes fosse davvero il carciofo. E mi pongo la stessa domanda di fronte a termini come harshaf, kharshaf, kharshuf, qinariya… Quanto al ‘akkub‘, che compare nell’opera del geografo palestinese Muqaddasi, e che il mio amico André Miquel traduce con ‘carciofo’, sono sicuro che si tratta di un cardo spinoso, e per altro delizioso, lo stesso che insanguinava le mani di mia nonna quando si ostinava a prepararcelo.
Veniamo così a un altro mistero del carciofo: quelle delle sue origini. In effetti, attraverso i secoli, nei paesi di lingua araba sono stati dati nomi diversi a una stessa pianta o famiglia di piante, che potevano o meno essere identiche al carciofo, a volte, al contrario, un solo nome a ogni sorta di acanti, cardi e carciofi selvatici o coltivati. Sfido chiunque a raccapezzarsi tra queste piste orribilmente confuse, prima per colpa degli stessi botanici, da Dioscoride a Ibn al-Baytar, quindi dei loro traduttori, e infine della coorte dei commentatori, i quali, inutile dirlo, non hanno affatto contribuito a fare chiarezza. Quel che mi sembra più o meno certo, in questo ginepraio, è che il carciofo è nato nell’Africa del Nord, da un cardo selvatico , e che sono stati i nostri cugini maghrebini ad allevarlo e prendersene cura. Erano interessanti alle costole più che alla testa, somigliante a quella del cardones, altro cardo commestibile.
Gli andalusi, incontestati maestri giardinieri, hanno cercato in seguito di ingrandirne la testa, come lascia intendere, alla fine del XII secolo, l’agronomo sivigliano Ibn al-Awwam. Dalla Spagna, quel che ormai conviene senz’altro chiamare carciofo passò in Sicilia, e quindi a Napoli, donde arrivò a Firenze nel 1466. La parola arava al-harshaf, designante il cardo, diviene alcarchofa in spagnolo, anticcioco in lombardo, artichaut in francese. Nel XIX secolo, riscoprendolo al termine di questa lunga evoluzione, gli arabi del Levante lo chiamarono ardishoki, parola veramente geniale perché chiude il ciclo delle derivazioni arricchendone al tempo stesso il significato, dato che il termine –shoki (come shawk, spina) rinvia per assonanza all’ascendenza spinosa del carciofo.
Non c’è da meravigliarsi, in queste condizioni, se il Maghreb è oggi, con l’Italia, l’area in cui il carciofo è più valorizzato. Questo è anche vero per il cardo, che i francesi, sfortunatamente, hanno troppo trascurato, malgrado l’avveduto consiglio di grimod de la Reynière, che nel suo Almanach des gourmands lo definisce il “nec plus ultra della scienza umana“. Secondo lui, “un cuoco capace di fare un piatto di cardi squisiti può intitolarsi primo artista d’Europa”.
Di cuochi siffatti non ne esistono più, in Europa, o molto pochi, ma ce ne sono in Marocco, dove il tagin ai cardi, quanariya, è tanto raffinato che viene utilizzato per controllare la qualità dell’olio d’oliva nuovo. E che dire del tagin ai cuori di carciofo selvatico, con eventuale aggiunta di fave verdi o piselli, se non che si tratta di uno dei piatti più prelibati che esistano sul pianeta terra?
Per prepararlo, ci vogliono indubbiamente molto coraggio e abnegazione, perché questo tipo di carciofo somiglia a una corona di spine, ma alla fine del calvario c’è il Paradiso. Tuttavia, se non siete disposti a sacrificarvi per i vostri convitati, pure volendo far loro piacere, non esitare a tentare il tagin ai carciofi selvatici, o lo spezzatino tunisino ai carciofi ( ganarriyya) e limone, insaporito col peperoncino rosso, o ancora i cuori di carciofo (qarnun) all’algerina farciti di carne tritata, cipolla e prezzemolo, il tutto amalgamato con un uovo e aromatizzato col pepe nero e la cannella.
Ho visto la mia vicina di Costantina metterli in una pirofila, arricchirli con polpette preparate con lo stesso ripieno, e poi cuocerli in una salsa di pomodori freschi. Una ricetta diversa dalla nostra ma che non ha nulla da invidiarle.
Non andate ora a pensare, vedendomi celebrare le virtù dei carciofi maghrebini, che sottovaluti quelli francesi, Al contrario, non ne conosco di migliori, e neppure di equivalenti salvo forse i pinzimoni italiani, che si lasciano sgranocchiare senza tante moine, crudi con un po’ di sale.
Il carciofo è sempre saporito, divertente, ricco di vitamine, povero di calorie, coleretico, diuretico, e molte altre cose ancora. E se non è veramente afrodisiaco, lo può diventare. Basta crederci.
Polpette di carciofo _Mbattan gannariyya_
Tunisia
Ingredienti per 4 persone:
@ 250 gr di cosciotto d’agnello disossato e tritato
@ 12 cuori di carciodo
@ 1/2 limone
@ 2 cipolle tritate sottilmente
@ 2 uova
@ 100 gr di formaggio grattuggiato
@ 1 mazzo di prezzemolo sfogliato e tritato
@ 4 cucchiai di farina e 1/2 cucchiaino di paprika
@ 2 cucchiai di polpa di pomodoro
@ olio d’oliva, harissa, sale e pepe
• Fate cuocere i carciofi in acqua con un po’ di sale e succo di limone, e riduceteli in purè. Mescolate il purè con la carne, il prezzemolo, la cipolla, il formaggio grattuggiato, il sale e le spezie.
• Formate delle polpette e friggetele dopo averle immerse nelle uova battute e nella farina.
• Diluite il concentrato di pomodoro e la harissa in un bicchier d’acqua, aggiungete un po’ d’olio d’oliva e portate a ebolizione. Controllate il sale e fate restringere la salsa a fuoco lento
• Servite caldo con salsa a parte
e adesso passiamo alle tradizioni di casa:
Il carciofo è un ottimo alimento che, soprattutto nel Lazio, gode di un apprezzamento fuori dal comune. Tra i vari tipi di carciofi, di provenienza oltre la campagna romana, si preferisce quello romanesco o cimarolo, coltivato nella zona compresa, grosso modo, tra Roma e Civitavecchia e particolarmente nella campagna di Cerveteri e Ladispoli. Il segreto, ammesso che si tratti di segreto, per ottenere un carciofo tutto da gustare, grazie soprattutto alla sua tenerezza, sta nel saperlo ‘capare’, ossia nel saperlo liberare completamente delle foglie dure, altrimenti, come si dice a Roma ‘ciancichi e sputi’.
La mani esperta, pignola ma non esagerata, taglia la parte più dura delle foglie, quella superiore per intenderci, con un coltellino a punta, ben affilato, cominciando dal fondo che ha le foglie più tenere, per proseguire fino al centro. Il carciofo acquista allora una forma sferica. E’ bene insistere che in particolare, riguardo alle prime foglie da togliere, la mano si affida alle proprie dita e, foglia dopo foglia, le spezza nel punto dove finisce il tenero che, dall’alto verso il basso, viene liberato di quella pellicola leggera che lo ricopre. A questo punto si pulisce il gambo, togliendogli, senza affondare troppo il coltello, la corteccia e lo si immerge in acqua ben acidulata con succo di limone, affinchè non si faccia nero. Successivamente, aperta bene la bocca del carciofo e battuta più volte sulla tavola, se ne estrae dall’interno l’eventuale fieno, a Roma detto ‘pelo’, poi vi si introduce un pezzetto d’aglio, un pizzico di mentuccia, insieme a sale, pepe e all’olio necessario e abbondante. Una strofinata esterna, leggera, di un po’ di sale e pepe non guasta.
Ogni carciofo così preparato si dispone capovolto in un tegame, preferibilmente di terracotta, con i bordi alti affinché i gambi rimangano dritti e fermi durante la cottura. Nel tegame poi si versa tanto olio vergine di oliva quanto ne occorre per coprire a metà i carciofi e si aggiunge inoltre l’acqua necessaria perchè la copertura sia totale.
Queste ricette e notizie sul carciofo e i cardi sono tratte da “La cucina di Ziryab” di Farouk Mardam-Bey e “La cucina romana e del Lazio” di Livio Jannattoni
La storia di Simone, minorenne incensurato detenuto per due canne a 600 km da casa in una comunità
Di questi tempi si raccontano grandi favole sulle scarcerazioni facili. A sentire certi telegiornali della sera, a leggere alcuni quotidiani che sembrano stampati nei retrobottega delle questure, ad ascoltare i discorsi forcaioli e giustizialisti dei politici della maggioranza, come dell’opposizione che non c’è, l’Italia sarebbe una specie di bengodi del malaffare. Assassini, stupratori, ladri, soprattutto se migranti in situazione amministrativa irregolare, cosiddetti «clandestini», ancora di più se romeni, scorazzerebbero impunemente per il paese protetti da leggi compiacenti, al punto che «cittadini onesti» hanno dovuto organizzarsi in ronde, formare delle «squadrette di vigilanza» per far regnare ordine e tranquillità.
Poi però quando si squarcia il velo dell’informazione costruita, spiattellata bella e pronta dalle agenzie che affogano le redazioni dove un giornalismo sempre più pigro ha ridotto la propria professione al copia e incolla, si precipita nel gorgo del paese reale.
Ci si imbatte così in una giungla di storie che fanno fatica ad emergere e diventare notizia come quella di Simone, un ragazzo romano diciassettenne arrestato lo scorso 8 ottobre all’uscita di una fermata della metropolitana perché trovato in possesso di un pezzetto di hashish, che le successive perizie hanno poi quantificato in 0,368 mg di sostanza attiva. Una percentuale derisoria, nemmeno due spinelli, ammessa anche dalle draconiane norme vigenti (la legge Fini-Giovanardi) come uso personale.
Quella che doveva essere una banale vicenda, una di quelle piccole disavventure che spesso animano le biografie adolescenziali e si chiudono velocemente con un rimbrotto e il perdono giudiziale (Simone è incensurato), si è via via trasformata in una odissea.
Non sarebbe stato così se Simone avesse avuto alla spalle una tranquilla famiglia borghese, se invece di vivere in una di quelle lande sperdute della periferia della capitale, costellata di palazzoni dormitorio, avesse avuto casa in un quartiere residenziale. Ma Simone non ha avuto questa fortuna, alle spalle ha una situazione familiare complicata. Ha perso la mamma da bambino e il padre è in una condizione psicologica critica, per questo era conosciuto dai servizi sociali che in passato si erano dovuti occupare di lui a causa di seri problemi di convivenza con il genitore (al punto da dover sporgere delle denuncie perché veniva picchiato).
A Simone la vita non ha mai sorriso. È diventato grande molto presto, ha dovuto arrangiarsi e trovare famiglia fuori dalla famiglia, nella cerchia di amici e compagni del quartiere che animano un centro sociale, il Laboratorio Tana libera tutti, ed ora lo stanno sostenendo. Forse agli occhi di chi lo ha prima arrestato e poi avviato in detenzione domiciliare nel girone dei centri di accoglienza e in una comunità terapeutica in provincia di Catanzaro a 600 chilometri di distanza dal suo mondo, questo contesto «ambientale» non piaceva.
«In casi del genere, dove sono presenti minori incensurati – spiega l’avvocato Francesco Romeo che segue il ragazzo – la prassi comunemente seguita è quella di chiudere la vicenda senza alcuna conseguenza, facendo ricorso alla formula giuridica della “irrilevanza penale del fatto”». Simone invece viene prima messo ai domiciliari in casa del padre, senza tenere conto della manifesta incompatibilità col genitore e della disponibilità ad ospitarlo che in alternativa avevano offerto altre famiglie del quartiere. Ovviamente quella convivenza forzata non dura e Simone se ne va. I servizi sociali leggono l’episodio come un segno di refrattarietà del giovane. La provenienza sociale e il contesto ambientale si trasformano in segni stigmatizzanti della sua personalità, facendolo apparire come un potenziale deviante in età adulta, se non debitamente corretto. Viene così collocato in un centro di prima accoglienza, lo stesso dove si trova il sedicenne di Nettuno accusato di aver picchiato e bruciato l’indiano di Nettuno. Niente male come ambiente rieducativo per un giovane cresciuto al contrario nel rispetto della tolleranza e dell’accoglienza.
Finisce poi in un Cpim (centro di prima accoglienza per minori) e da qui viene spedito in una comunità terapeutica nei pressi di Catanzaro, dove è sottoposto a terapia farmacologica psichiatrica. Il ragazzo è naturalmente ansioso è nervoso per quello che gli sta accadendo. È solo e lontano dai suoi punti di riferimento, ma chi si occupa di lui lo ritiene instabile, drogato, malato. Simone dovrà resistere e dare fondo a tutte le sue energie se vorrà uscire integro da questa storia. Intanto all’udienza del tribunale dei minori, il pm ha chiesto una condanna a 5 mesi e 10 giorni, di cui 4 già scontat. Non soddisfatto, il presidente ha rinviato ogni decisione disponendo una perizia psichiatrica. Il perito ha chiesto 90 giorni per il deposito. A quel punto Simone avrà di gran lunga superato i 5 mesi di condanna richiesti, sempre che il tribunale non decida di internarlo per ragioni psichiatriche. Quella maggioranza morale che ha avuto tanto a cuore il corpo inerte di Eluana non ha nulla da dire per quello pieno d’energia vitale di Simone?
DI PAOLO PERSICHETTI, LIBERAZIONE 10 FEBBRAIO 2009
La coppia Battisti-Vargas e la guerra di pollaio
Battisti e l’aiuto dei Servizi Gli ex compagni lo accusano
Scalzone e Persichetti: vede trame come nei suoi romanzetti
di GIOVANNI BIANCONI, Corriere della Sera, Domenica 8 febbraio 2009
“Dove vuole arrivare la coppia Battisti-Vargas?”. La domanda viaggia su Internet, nel Blackblog di Oreste Scalzone e nel sito Insorgenze di Paolo Persichetti. Icona storica dei ‘rifugiati’ italiani in Francia il primo, unico estradato da Parigi il secondo, tuttora detenuto in semilibertà.
Sotto quel titolo, un lungo elenco di dubbi, interrogativi inquieti e critiche sull’ergastolano dei “Proletari Armati per il Comunismo” al quale il Brasile ha concesso asilo politico (ma si trova ancora in prigione); le sue ultime mosse non sono piaciute affatto alla ‘comunità’ degli ex militanti della lotta armata che hanno trovato ospitalità oltralpe, com’è stato per Battisti fino al 2004. Cinque anni fa, quando il governo di Parigi stava per rispedirlo nelle patrie galere, scappò in Sud America, e ora rivela che ad aiutarlo furono i servizi segreti francesi. “L’abbiamo letto con turbamento”, commenta Scalzone che nel 204 brindò alla sua fuga. Oggi non rinnega ma scrive: ” Le nostre reazioni oscillano tra incredulità e qualche domanda: perchè mai lo avrebbero ‘esfiltrato’? In cambio di che? E perchè mai, vero o fiction che sia, viene a dirlo come se fosse la cosa più normale del mondo, offrendo sponda alle calunnie “pistaiole”, in particolare stalino-fasciste, che da sempre ci propinano in materia?”
Subito dopo ce n’è per la scrittrice Fred Vargas, collega ‘giallista’ e amica di Battisti. Che ha confermato l’aiuto di Carla Bruni in Brasile, nonostante la pubblica smentita della signora Sarkozy, e fornito particolari sulla ‘persona servizievole’ che avrebbe fornito il passaporto falso al fuggiasco: “non esattamente un agente dei servizi ma una personalità molto vicina ai governi della presidenza Mitterand”, riassume Scalzone.
Tra gli ‘esiliati’ italiani Cesare Battisti, divenuto scrittore di successo in Francia, non ha mai goduto grandi simpatie. Anche perchè lui per primo assunse atteggiamenti distaccati dal resto della ‘compagneria’. Ma la battaglia per la sua libertà aveva rinsaldato la solidarietà. Scalzone intonava in piazza canti rivoluzionari accompagnati dalla fisarmonica, ma oggi accusa: “Manca solo che Battisti e Vargas lancino un altro strale contro qualche figura che si sia particolarmente impegnata verso la France terre d’asile e nella cosiddetta dottrina Mitterand”.
Poco meno che un traditore, insomma.
Paolo Persichetti, che nel 2002 fu riportato in Italia nel giro di una notte, unico risultato dei “patti” tra i governi di destra di Roma e Parigi, non crede al ruolo dei servizi segreti in favore di Battisti e dice: “Niente torna in questa storia. Il rancore dei suoi ex coimputati che lo stigmatizzano solo perchè a loro non è riuscito di fuggire; il fatto che per discolparsi Battisti stesso faccia il loro nome facendo passare per pentiti dei semplici ‘ammittenti’ che non avevano fatto dichiarazioni su terzi; una guerra di pollaio che vede i politici fare le dichiarazioni più astruse e insensate”.
Che ora l’ergastolano dei Pac abbia diritto di tornare libero in Brasile, per Scalzone, Persichetti e gli altri ‘rifugiati’ è un dato scontato. Ma “lo stillicidio di rivelazioni centellinnate e in crescendo sembrano uscite dalla mentalità contorta di chi, a furia d’inventare intrecci polizieschi, finisce per vedere la vita come un vortice di complotti. Battisti sembra vivere nella trama dei suoi romanzetti.”
E se gli amici dello scrittore, dalla Vargas e Bernard-Henry Levy, vengono bollati come “girotondini di Francia, con la loro vulgata sull’Italia ‘mai uscita dal fascismo’ “, l’ex militante dei Pac, “dev’essere affondato in un misto di ‘legittimismo’ e vittimismo: solo così si spiega l’odio riversato prima contro i ‘brigatisti’, poi ‘gli ex compagni’ fino a una sorta di sordo rancore contro Marina Petrella, come di gelosia perchè la battaglia du si lei ha avuto successo…”
Il finale è riservato al ‘terribile sospetto’ che la coppia Battisti-Vargas arrivi a fare “terra bruciata di quel che resta del mitterrandiano ‘asilo di fatto’ “, come fosse “la contropartita richiesta.” In ogni caso, “tutto quel che rende ancor più delirante, non meno, la caccia all’uomo e l’immagine che si vuol dare della rivolta con un intero Paese (l’Italia) contro uno (e di che spessore…)”
Le torture contro i P.A.C. : Italia, febbraio 1979
Non ho profonda stima per Cesare Battisti, ma la verità va detta, sempre.
Proseguirò per molto a scrivere delle torture subite dai militanti dei gruppi armati durante gli anni ’70 e i primi anni ’80 in questo nostro paese.
Questa pagina si concentra soprattutto, dato il momento particolare, sulle dichiarazioni di chi era stato accusato di aver preso parte all’omicidio dell’orefice Torregiani avvenuto il 15 febbraio del 1979 a Milano.
Queste parole chiarificano platealmente come si svolgevano arresti, interrogatori, inchieste e processi durante quegli anni; chiarificano i metodi usati dai nostri apparati di Stato per far rilasciare dichiarazioni dai prigionieri.
Nascondere queste cose è vergognoso. LA TORTURA C’ E’ STATA E C’E’ CHI NON LO DIMENTICA
Seguiranno aggiornamenti su torture subite da militanti di altri gruppi
Sono state precedentemente pubblicate le torture ai danni di Emanuela Frascella e Paola Maturi
e stralci si una sentenza di rinvio a giudizio per 7 agenti di PS con la testimonianza di Ennio di Rocco
LE TORTURE SUBITE DAI MILITANTI DEI PROLETARI ARMATI PER IL COMUNISMO
MILANO 17-18 febbraio 1979
SISINNIO BITTI:
“Era la notte del 16 febbraio 1979, rientrai a casa con Marco verso le due di notte. Appena entrati ci trovammo davanti una squadra di poliziotti in borghese che ci ammanettarono subito. Essendo entrambi attivi nel collettivo autonomo Barona del quartiere, immaginavamo di essere controllati. Il giorno prima nel pomeriggio in Milano venne ucciso l’orefice Torregiani.
Appena arrivati in questura mi portarono su e giù per le scale, dopodiché venni introdotto in un salone ai piani più alti. Lì venni assalito a calci e pugni alla schiena e dietro il collo, venni buttato a terra e picchiato; chiedevo il perché di tutto ciò e loro mi dicevano “lo sai benissimo perché. Ti conviene parlare altrimenti stanotte per te è finita; ti buttiamo giù dalla finestra.”
Venni sollevato da terra e disteso su un tavolaccio, addosso avevo almeno 6 poliziotti in borghese che mi tenevano ben fermo per le mani e i piedi: i calci li alternavano al ventre e al basso ventre. Ricordo vicino al tavolo due lavandini, in uno dei due vi era inserita una canna di plastica; questa canna mi veniva infilata in bocca e veniva aperto il rubinetto con il massimo della pressione costringendomi ad ingoiare acqua fino a riempirmi lo stomaco come un pallone; un poliziotto mi saliva sulla pancia per farmi vomitare l’acqua.
Mi fecero scendere dal tavolo e mi sedettero su una sedia, venni ammanettato e un poliziotto mi schiacciò i piedi per farmi stare fermo. Da notare che allora pesavo 52 Kg per un’altezza di 1.62, mentre i poliziotti erano quasi tutti il doppio di me. Continuarono le torture; volevano sapere dove avevamo lasciato le armi che, secondo loro, avevamo usato per uccidere Torregiani. Ad un certo punto fui costretto a inventare una scusa per sottrarmi alla violenza fisica, così dissi loro che li avrei portati nel luogo dove avrebbero trovato le armi. Li portai così in uno scantinato dove si riunivano i collettivi della zona. Io non avevo minima idea in quel momento dove si trovassero delle armi, tanto meno quelle usate per l’omicidio Torregiani; appena arrivati, in pochi minuti rivoltarono tutto, ma di armi non c’era traccia. A quel punto ebbi veramente paura, infatti due di loro tirarono fuori le pistole minacciando di uccidermi, ma altri due
erano contrari al punto che litigarono tra loro, tanto da non poter capire se stessero facendo sul serio o se fosse una farsa. Ormai albeggiava, tornammo in questura e fui sbattuto in una cella senza niente, bagnato e gonfio. Mi accasciai dietro la porta; un poliziotto mi controllava continuamente. Venni prelevato dalla cella credo nel pomeriggio, mi trascinarono per un po’ su e giù per le scale, e dopo un po’ venni portato dentro una camera. Di quella esperienza ricordo solo un tavolo e tante coperte ammucchiate. Mi fecero spogliare completamente e mi sdraiarono supino sul tavolo; mi misero le manette alle caviglie e alle mani.
Incominci a picchiarmi il poliziotto Rea Eleuterio, mi avvolse la coperta sul torace e con un bastone mi percosse sul torace. Non so quanto stetti in quella stanza. Mi colpirono sulle tempie già gonfie, le fiammelle degli accendini sotto le piante dei piedi e sotto i testicoli, e il tentativo di introduzione del bastone nell’ano. Mi avevano convinto che dovevo andare dal Magistrato e fare i nomi delle persone che avevano ucciso Torregiani.
Mi portarono davanti a due persone in una stanza semi buia, solo in seguito seppi che quei due erano i giudici Deliguori e Spataro. Da dietro i poliziotti continuavano a suggerirmi di dire quello che avevo affermato davanti a loro, che era in parte ciò che loro mi dicevano che avrei dovuto dire ai giudici.
Il pomeriggio che fu ucciso Torregiani mi trovavo in ospedale a lavorare in presenza di medici e infermieri che in seguito testimoniarono a mio favore. I poliziotti in parte avevano creduto e cercarono di convincermi ad accusare Sebastiano, Pietro Mutti e Franco Angelo, persone che loro conoscevano già.
Dopo questo drammatico interrogatorio davanti ai giudici mi venne finalmente offerto un panino dopo ore e ore di digiuno senza mangiare né bere; in seguito venni trasferito al carcere di San Vittore. Accortisi che stavo molto male venni immediatamente sottoposto a visita medica.
Mi riscontrarono varie lesioni, tra cui: otite traumatica, tachicardia, pressione arteriosa alta, tumefazione alle tempie, alle caviglie, tumefazione e lesione allo scroto, e in seguito venni ricoverato al centro clinico.
Dopo qualche giorno mi venne data la possibilità di poter parlare con i giudici Spataro e Deliguori, i quali li vidi dopo qualche giorno, ed in seguito partirono le denunce per i poliziotti.
Venni scarcerato per mancanza di indizi.”
I LINK SULLA TORTURA
breve cronologia ragionata e testimonianza di Ennio di Rocco, B.R.
Testimonianze di Emanuela Frascella e Paola Maturi, B.R.
Testimonianza Di Sisinnio Bitti, P.A.C.
Arresto del giornalista Buffa
Testimonianza di Adriano Roccazzella, P.L.
Le donne dei prigionieri, una storia rimossa
Il pene della Repubblica
Ma chi è il professor “De Tormentis”?
Atto I: le torture del 1978 al tipografo delle BR
De Tormentis: il suo nome è ormai il segreto di Pulcinella
Enrico Triaca, il tipografo, scrive al suo torturatore
Le torture su Alberto Buonoconto
La sentenza esistente
Le torture su Sandro Padula
Intervista a Pier Vittorio Buffa
Enrico Triaca: così mi ha torturato De Tormentis
su Cesare Battisti…
PROSEGUE LA POLEMICA SUL CASO BATTISTI, ANCHE A CAUSA DELLE SUE DICHIARAZIONI.
Tralasciando i commenti su quello che ha dichiarato alla stampa brasiliana, vi lascio il link di un contributo audio preso da Radio Onda D’urto di un’intervista a Paolo Persichetti,ex militante delle Brigate Rosse estradato o meglio, rapito, dalla Francia nell’agosto 2002.
Per ascoltarlo : intervista
INVECE QUI VI METTO UN INTERVENTO MOLTO INTERESSANTE DI ORESTE SCALZONE A RIGUARDA, che uscirà completo domani sul suo blog:
Paris, 30.1.2009
Se mi tengo strettamente al punto di vista dell’interesse particolare dei fuoriusciti dall’Italia del dopo- anni ‘70/’80, rifugiatisi in Francia e altrove, al loro destino, devo dire che questa inedita isteria di Stato e di “scrittori e popolo”, di <società civile> e di plebi aizzate a urlare al linciaggio, lo spettacolo del “Tutti contro uno!” , eppoi di così mediocre consistenza, spessore foss’anche semplicemente simbolico, è andata talmente oltre che – fuori dai confini d’Italia – ha doppiato il capo, il punto di non-ritorno oltre il quale ogni parola in più ottiene l’effetto contrario, si rivela controproducente.
Dunque, potrei dire, “Continuate così, ancora uno sforzo… Se un Berardi o un Borghezio – ma non solo – non esistessero, ci converrebbe inventarli! Ogni bercio o sofisma in più, è per noialtri un’assicurazione sul futuro, contro ogni rischio d’estradizione : una manna…”.
Lo spettacolo di sé che sta dando “l’impresa-Italia”, che stanno dando la <società politica> e in generale i piani alti delle istituzioni e della società ; gli umori che la loro abietta majeusi fa trasudare dal vaso di Pandora del bassoventre della società, lasciano infatti, prima ancora che scandalizzati, allibiti anche persone che “naturalmente” si troverebbero dalla loro parte.
Mi risulta che figure pubbliche brasiliane, che mantenevano una forte perplessità ed incredulità rispetto a giudizî – che gli sembravano eccessivi e propagandistici – sullo stato delle garanzie giuridiche in Italia e sulla natura del suo <ordine giuridico interno>, hanno modificato radicalmente, un giorno dopo l’altro, il loro giudizio, rispetto a ciò che venivano ascoltando e constatando de visu ogni giorno. Insomma, la “parte italiana, richiedente”, si è cacciata da sé nella condizione di quell’orribile condizione che il gergo mafioso definisce “dell’incaprettato” : ormai, più si agita, più aggiunge berci, spinge al proscenio personaggi, argomenta e vocifera, più si condanna al discredito, dunque alla sconfitta. Se invece di fermarsi, tanto più rilancia quanto più è frustrata, la spirale viziosa si serrerà intorno al suo collo.
Spingendo in avanti dei soggetti privati, le parti lese ; facendosene scudo, alibi, esponendole come “teste di turco” ; giocando empiamente sul loro dolore, aizzandole, mettendo a prezzo la loro sofferenza ; non decidendo mai una legge sui risarcimenti materiali, e cooptandone qua e là qualcuno, retribuendolo con candidature ed elezioni al Parlamento e altre cariche politiche ; raccontandogli l’infame dottrina per la quale senza la <retribuzione> consistente nel castigo, nella punizione certa e <infinita> di chi la <verità giudiziaria> ha decretato colpevole ; stravolgendo la norma, la dottrina, la Costituzione e pretendendo di legare la pena al primato della logica detta <retributiva> ; dismettendo le proprie prerogative sovrane – per esempio in materia d’indulto ed amnistia – e facendole coincidere con la logica che presiede all’istituto della grazia; scatenando in modo demenziale e criminale un mercato e una “guerra fra tutti e tutti” gli egotismi identitarî, legittimistici, vittimarî ; spandendo psicosi e <razeionalizzazioni> di passioni tristi, sospetti, risentimenti, rancori…., hanno fatto e continuano a fare gli apprendisti stregoni.
Il guaio è che seminano vento, e tutti raccoglieremo tempesta : a cominciare dal fatto di subire una sorta di conformazione, di coazione mimetica che ci porta a ritorcere specularmene e all’infinito quest’atteggiamento delirante e livido, che prima che distruttivo d’altrui è eticamente suicidario, mortifero.
La pretesa di esportare la stessa operazione altrove ; di chiedere agli altri Stati, loro “pari”, di dimettere anch’essi le loro prerogative e facoltà, per transmutarsi in mandanti e al contempo in esecutori di una mortale caccia all’uomo condotta da una parte privata, parte in causa, che meriterebbe il massimo di rispetto e compassione e invece viene violentata, plagiata e prostituita, fatta oggetto di uso strumentale, demagogico demma sua sofferenza ; la pretesa di sindacare la facoltà di un altro Paese di decidere su estradizioni o asili, accampando le ragioni delle parti civili, prima che un crimine è una perfetta idiozia.
Hanno perso il lume della ragione. Sono arrivati a straparlare di “terrorista comune”, quando – come gli aveva fatto osservare Cossiga – l’applicazione a un Battisti della legge “speciale”, “emergenziale” che porta il suo nome, e prevede l’applicazione di una aggravante che comporta un elevato moltiplicatore di pene, se in sentenza i comportamenti incriminati sono dichiarati compiuti <per fini di terrorismo ed eversione dell’ordine costituzionale>, è una cialtroneria da gente che ha perso la testa. Così come lasciarsi andare, spinti dal livore, a definire il Brasile <Repubblichetta sudamericana>. Così come portare al parossismo più grottesco la banalizzazione <negazionista> del genocidio degli Ebrei, stabilendo comparazioni tra Battisti e… Eichmann (e questo, da parte di gente che – perlatro in modo al solito doppiopesistico – ostenta scandalo e stigmatizza negazionismo, chi quando si osa anche solo parlare anche di Gulag, Laogaï e foibe, chi quando si evocano Hiroshima, o le stragi da colonizzazioni e da tratta…).
Epperò non ci rallegriamo. Primo, se pensiamo a tanti compagne e compagne di destino, in quella stagione, tuttora rinchiusi, a tempo pieno o parziale, dietro quelle mura.
Secondo, se pensiamo a questo incrementarsi vertiginoso di un populismo penale, di una tendenza allo Stato penale, della sua capacità di infettare in modo virale le teste, producendo – ben peggio che acquiescenza – malinteso “giustizierista” che obiettivamente attacca allo stesso bindolo chi crede di combatterlo, e cade nella più vieta corsa mimetica.
Non ci rallegriamo, last but not least, quando vediamo il compiersi di una ‘deriva’ da tempo intrapresa da uno che ha condiviso tratti di nostri percorsi, come Battisti.
Ora viene a dirci, come se fosse la cosa più naturale del mondo, che nella sua fuga dalla Francia, sulla quale aveva spalmato il libro <La mia latitanza>, sarebbe stato aiutato dai servizî segreti francesi.
Tendo a non crederci, ma se devo crederci devo chiedermi (e potremmo chiedergli conto) di quali contropartite abbia dato, quali servigî resi, visto che non risulta che i “servizî” siano associazioni di assistenza ai fuggiaschi, che benevolmente aiutano ad esfiltrarli…
E a chi dovesse accampare stati di necessità assoluta, di indigenza, questioni di vita o morte, verrebbe comunque da chieder conto di questa rivelazione di una macchia, di una miseria privata, senza una ragione foss’anche la più opportunistica. E chiedere come non se ne scusi innanzitutto con uomini e donne che gli sono stati compagni di destino e si sono battuti per lui.
E se poi dovesse essere – come tendo a credere – un parto della spettrale fantasia da inventore di gialli polizieschi, quale sarebbe la ratio?
Viene in mente un’altro inspiegabile gesto, che sembra una piccola ignobiltà gratuita. Noi non sappiamo se la signora Carla Bruni-Sarkozy abbia in qualche modo “intercesso” per lui. Se no, non si vede perché dire in proposito una falsità. Se sì, e se – al centro di attacchi volgari, inauditi, conditi di allusioni pesanti che la mettono in causa “come donna” (a proposito, che dire del silenzio plumbeo dell’intellighentzsjia femminista, ancora una volta?) – questa persona è andata in TV a schermirsi, a negare, che senso ha non rispettare una doverosa discrezione e – con strumentalità da parvenu che vogliono sfruttare fino in fondo una relazione e una persona – andare a smentire la sua smentita, confermando ciò che le attira un vero linciaggio?
Il quadro di un ambiente nel suo complesso malsano, di un Paese malato, più ancora che altri, di una società violentata e sfigurata, viene completato dall’episodio – sintomatico, rivelatore – di una intervista mai data, fittiziamente costruite con spezzoni di frasi dette al telefono per spiegare la propria indisponibilità a farsi intervistare, da una compagna rifugiata in Francia. Si tratta di estorsione volgare, di manipolazione, di truffa, di vero e proprio stupro morale. Questo non è un episodio isolato : è un frutto avvelenato. Il frutto avvelenato di chi pensa di trattarci, non già da <nemici>, o da vinti ; e nemmeno, a ben vedere, da “folli” e/o “criminali” : ma piuttosto da ‘scherzi di natura’, impensabili se non in termini di marionette e di pupari . Mostri, da espellere dall’umano : vale a dire, <sotto-uomini>. Unter-Menschen.
Ecco, questo c’è al fondo. Per noi e per tutti, non éscenderemo nel gorgo, muti”. […segue ]
o.s.
Questa è la ‘base’ per interventi e risposte a domande d’intervista. Essa è come un estratto, un’estrapolazione, da un ragionamento più ampio.
Un primo “allargamento”sarà pubblicato sul BlackBlog domani, 31.1.2009
una giornata di guerra tra tante
12.48: INCIDENTI LAVORO: OPERAIO PRECIPITA DA TETTO A PERUGIA (ANSA) – PERUGIA, 28 GEN – Un operaio è precipitato da un tetto a Ponte Valleceppi ed è stato ricoverato in ospedale con varie ferite. L’ incidente, secondo le prime informazioni, è avvenuto intorno alle dieci in via Barcaccia. Sul tetto di un edificio erano in corso lavori di bonifica dell’ amianto. L’ operaio è caduto dall’ altezza di circa cinque metri. Sul luogo sono intervenuti 118 e pompieri.
15.11: Una parte di montagna è franata a Caltanissetta travolgendo due operai che stavano eseguendo lavori di canalizzazione in via Mario Gori, nel quartiere Redentore. I soccorritori hanno estratto i corpi sepolti dalla terra e dal fango. Il terzo operaio che lavorava con i due compagni si è invece salvato perché si era allontanato poco prima del crollo. Le vittime della frana nel nisseno sono Santo Notarrigo, 37 anni, titolare della ditta che stava svolgendo i lavori, di Caltanissetta, e Felice Baldi, 19 anni, originario di un centro della provincia. Il corpo di Notarrigo è stato estratto subito dal fango, mentre quello di Baldi è stato individuato dai soccorritori dopo quasi un’ora di scavi.
17.52: BERGAMO, 28 GEN – Un ingegnere di 28 anni è rimasto ferito oggi pomeriggio in un incidente sul lavoro all’azienda Tenaris di Dalmine (Bergamo). L’uomo si trovava nei pressi di una gru in movimento, quando una traversa si è staccata dal macchinario ed Š precipitata, colpendo la vittima alle gambe. È successo poco prima delle 16 nel reparto Fas, lo stesso in cui a dicembre morì sul lavoro un operaio di 20 anni. L’ingegnere Š stato soccorso dai colleghi, poi dai sanitari del 118, che lo hanno portato in ospedale, con gli arti inferiori fratturati. Sul posto sono intervenuti anche i carabinieri e i tecnici dell’Asl che dovranno ora accertare l’esatta dinamica dell’incidente e verificare eventuali responsaibilità

Foto di Valentina Perniciaro _Totem contro le morti sul lavoro_
18.09: PERUGIA, 28 GEN – È rimasto ferito alle gambe, ma le sue condizioni non sono gravi, l’operaio precipitato dal tetto di uno stabile, a Ponte Valleceppi, dove erano in corso lavori di bonifica dell’ amianto. Si tratta di un marocchino di 27 anni in regola con il permesso di soggiorno. Sull’incidente sono in corso accertamenti dei carabinieri. L’ operaio è caduto dall’ altezza di circa cinque metri. Sul luogo sono intervenuti 118 e vigili del fuoco.
23.10: Un operaio di 34 anni, Salvatore Vittorioso, è morto al Petrolchimico di Gela per l’esplosione di un’apparecchiatura sotto pressione. L’uomo lavorava per la Ecorigen, azienda che opera nel settore della rigenerazione dei catalizzatori e degli olii esausti. L’incidente è avvenuto poco dopo le 21.30, per cause non ancora accertate. La porta di un forno si sarebbe staccata dall’apparecchiatura, investendo l’operaio, che in quel momento si trovava nell’area, raggiunto anche dalle fiamme fuoruscite dalla stessa macchina. Sul posto sono intervenuti i carabinieri e i vigili del fuoco che operano per conto dell’Eni. Le indagini sono coordinate dal pm di Gela, Monia Di Marco, che ha sequestrato l’intero impianto della Ecorigen, che si trova nell’Isola 13 del Petrolchimico.
verso lo sciopero: BASTA CREPARE DI LAVORO!
6 DICEMBRE , 1° ANNIVERSARIO DELLA STRAGE ALLA TYSSEN-KRUPP
B A S T A , CREPARE DI LAVORO !
Il 6 dicembre 2007 un incendio sviluppatosi alle acciaierie Tyssen-Krupp di Torino uccideva 7 operai : 7 vite spezzate ed altrettante famiglie distrutte !
Dopo la rabbia, la commozione generale, le tante parole al vento spese dalle massime istituzioni , quei martiri del lavoro sono usciti di scena .
La sporca politica ha ripreso il sopravvento inscenando “ l’emergenza securitaria”, scatenando la caccia al rom e all’immigrato , militarizzando il paese e la sceneggiata dell’esercito nelle strade.
Eppure si continua a morire di lavoro peggio che in Iraq ed Afganistan!
La strage alla Tyssen-Krupp non è stata la prima , purtroppo non sarà l’ultima : i 4 morti al giorno per causa del lavoro e delle malattie professionali , sono lì a testimoniarlo!
Solo l’operato del giudice Guariniello e del GUP di Torino, che hanno fatto rinviare a giudizio l’Ammistratore Delegato della Tyssen per “ omicidio volontario”, nonché aver disposto l’ammissione degli operai e delle loro associazioni come parti civili, ci rende meno amara questa tragedia e ci sprona a non lasciare niente di intentato ovunque !
Nel frattempo, la sporca politica rende sempre più inefficaci i provvedimenti di contrasto e sanzione nei confronti delle aziende , vedi :
ulteriore limitazione dei poteri di intervento di RLS ed Ispettori del lavoro ( testo unico L.81/08 e Direttiva Ministero Lavoro/sett.08);
deregolamentazione mercato del lavoro ( L. 133/08) ;
detassazione degli straordinari ( L. 126/08) ;
sterilizzazione dell’azione legale e dei processi, intesa a frenare l’attività sanzionatoria dei giudici del lavoro e penali ( DDL 1441-quater,in discussione alla Camera).
Il segnale è evidente e tremendo. I padroni sono sollecitati ad utilizzare la crisi per stravolgerla a loro esclusivo favore, attivando : licenziamenti, cassa integrazione, precarietà, ritmi-orari massacranti, meno spese e controlli sulla salute e sicurezza dei lavoratori .
BASTA CON LA SPORCA POLITICA E LA CRIMINALITA’ DATORIALE .
BASTA CON LE STRAGI DEL LAVORO, CON IL PREVENTIVATO GENOCIDIO.
NON FACCIAMO MORIRE UNA SECONDA VOLTA CHI SI E’ GIA’ IMMOLATO PER IL LAVORO SALARIATO !!
PRENDIAMO IMPEGNO A NON SMETTERE DI LOTTARE FIN QUANDO NON SIA CESSATO LO STILLICIDIO DEI MORTI DEL LAVORO, FIN QUANDO NON SIA STATO CONQUISTATO IL LAVORO STABILE E SICURO .
NELLA SETTIMANA CHE PRECEDE LO SCIOPERO GENERALE DEL 12 DICEMBRE – in cui cade
il 1° anniversario della strage alla TyssenKrupp – E NELLE MANIFESTAZIONI CHE
SI TERRANNO IN TUTTA ITALIA , FACCIAMO SENTIRE OVUNQUE LA VOCE DELLA PROTESTA CONTRO IL LAVORO CHE UCCIDE .
Roma 4 dicembre
2008 CONFEDERAZIONE COBAS






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Mamone sapeva benissimo dell’arrivo dei detenuti: eppure si è riusciti a far dormire qualcuno in letti improvvisati. Chissà che per l’arrivo degli altri trenta attesi per questi giorni tutto sia a posto. Tra l’altro, è prevedibile che a Mamone arrivino reclusi da Macomer, dove si segnala il prossimo trasferimento, perché nella casa di lavoro all’aperto possono stare solo i detenuti che devono scontare un massimo di tre anni o chi ha un residuo pena minimo. Gli altri andranno altrove, innescando però il meccanismo a catena che si tradurrà in una sorta di girandola carceraria. E anche sul fronte degli agenti si annunciano trasferimento: quelli in servizio a Mamone ma da tempo distaccati a Nuoro stanno per essere richiamati indietro Bologna: Provincia interviene su situazione di Ipm del Pratello Ansa, 19 febbraio 2009 Sulle condizioni dell’istituto minorile di via del Pratello è stato approvato dal Consiglio provinciale di Bologna un ordine del giorno dei consiglieri Grandi (Rc), Zanotti (Sd), Torchi (Pd), Vigarani (Verdi) e Venturi (PdCi). L’odg ha ricevuto 21 voti favorevoli (Pd, Sd, Rc, PdCi, Verdi) e nove voti contrari (An-Pdl, Fi-Pdl). Il documento fa seguito all’udienza conoscitiva, del 14 gennaio, della V Commissione consiliare con la direttrice dell’Istituto penale minorile “Siciliani”, Paola Ziccone, che ha denunciato lo stato di grave abbandono in cui si trova la struttura per i fortissimi rallentamenti nel compimento dei lavori di ristrutturazione iniziati nel 2000, dovuti al ritardo dei finanziamenti. A ciò, tra l’altro, si aggiunge la segnalazione del Procuratore della Repubblica al tribunale dei minorenni dell’Emilia-Romagna sulla carenza del 60% del personale rispetto all’organico previsto. L’odg invita il Governo “a ripristinare lo stanziamento dei fondi per l’Istituto penale assegnati nel 2008; a implementare il fondo sanitario regionale al fine di garantire la necessaria copertura finanziaria alle competenze in materia di sanità penitenziaria e quindi la conseguente copertura del personale infermieristico e medico e la consulenza psichiatrica e psicologica; ad integrare il personale di sorveglianza attualmente gravemente sotto organico; a garantire che il Dipartimento di giustizia minorile assegni le risorse necessarie per affrontare immediatamente le gravi emergenze individuali e fornisca informazioni concrete e verosimili sui tempi previsti per l’ultimazione delle ristrutturazioni in corso”. Il documento invita poi l’Azienda Usl “a monitorare periodicamente la struttura; a garantire che l’imminente fase di passaggio delle competenze sanitarie dall’amministrazione penitenziaria alla Regione avvenga nel modo più efficace e rapido possibile”, e i parlamentari eletti in Emilia-Romagna ‘a farsi parte attiva presso il Parlamento e il Governo affinché si possa risolvere in tempi rapidi una situazione così preoccupante; ad adoperarsi per ottenere tutte le informazioni relative alla realizzazione dei lavori di ristrutturazione, ai loro costi e alla tempistica”. Alle istituzioni locali, infine, si chiede di “garantire la prosecuzione delle attività tuttora presenti all’interno dell’Istituto che hanno l’obiettivo di integrare l’Istituto con la Città e di dare attuazione alle finalità precipue di un istituto penale, soprattutto minorile, ovvero il recupero della persona e il suo reinserimento sociale”.






































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