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Archive for giugno 2012

Matera, finalmente!

29 giugno 2012 3 commenti

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Ci si vede tra qualche giorno

Liberiamoci dall’ergastolo: ancora, sul viaggio a Santo Stefano

27 giugno 2012 6 commenti

Ancora parole, e troppe ne seguiranno, sul nostro viaggio al carcere di Santo Stefano,
contro l’ergastolo, contro l’idea di ergastolo, contro qualunque cosa preveda un fine pena mai,
quel 99/99/9999 che sancisce l’ergastolo sulle carte processuali.
Parole non mie stavolta, ma di compagni di viaggio che per la prima volta hanno assaggiato con lo sguardo dei blindi, delle sbarre, delle celle ..
il primo carcere, il primo ergastolo, forse il più toccante che esiste sul nostro territorio…
CONTRO L’ERGASTOLO,
CONTRO LA PRIVAZIONE DI LIBERTA’…
grazie carissimi, le vostre parole son proprio belle

Liberiamoci dall’ergastolo

Non è semplice parlare d’esperienze che ti segnano così profondamente.
La pagina bianca è come sempre un campo di possibilità infinite ma in questi casi è chiaro quanto sia impossibile tracciare le emozioni e determinare l’importanza del trovarsi all’interno di queste esperienze.
Il 24 giugno siamo partirti, in circa una trentita, verso l’isola di Santo Stefano per portare un fiore agli ergastolani e a dare finalmente un nome alle loro tombe.

Foto di Mattia Pellegrini

Quest’isola carcere per due secoli ha imprigionato e portato a morte decine e decine di ergastolani. Una piccola isola circondata da un mare stupendo che il Panoptico, perfettamente benthamiano, nascondeva allo sguardo dei reclusi; ho subito pensato a questa torsione sul corpo del detenuto, torsione di “prospettiva” più che visiva.
Ho pensato che magari potevano sentire il suo rumore, le onde che battono sugli scogli, ma una volta sull’isola ti accorgi che anche i canti dei gabbiani possono diventare angoscianti.
Ti senti travolto dalla violenza che si espande dalle pareti delle gabbie appositamente create per separare gli indesiderati, i colpevoli che le società giudica tracciando le proprie categorie (temporali) da punire.
Se vogliamo seriamente pensare alla possibilità del Liberarsi dall’ergastolo è questa, in primis (come lo è stato per la pena di morte), una lotta all’interno delle nostre soggettività. Essere contro l’ergastolo è il tentare di pensarlo non “in particolare” (il crimine commesso) ma “in generale” (la pena disumana).
E’ il pensare che qualsiasi crimine un individuo possa commettere non sarà mai crudele quanto l’essere partecipi passivi di una società che crea un sistema, complesso e condiviso, che porta lentamente alla morte di un altro essere umano.

Questo video vuole essere una traccia di quella giornata, una piccola parte che necessariamente deve interagire con le altre interpretazioni dei nostri nuovi amici, così da comporre uno sguardo collettivo e condiviso.
Consapevoli del fatto che per aprire una discussione sul “fine pena mai” sarà determinante la trasformazione delle nostre soggettività in moltitudine.

Giacomo Pellegrini
Mattia Pellegrini
Letizia Romeo

Anche gli ergastolani ora hanno un nome … piccoli splendidi passi nel carcere dell’isola di Santo Stefano

27 giugno 2012 28 commenti

Foto di Valentina Perniciaro _ridiamo un nome agli ultimi della terra: cimitero degli ergastolani, Isola di Santo Stefano_

Un’emozione che non riesco a descrivere.
Quando lo scorso anno misi piede per la prima volta su quello scoglio meraviglioso le emozioni furono immense,
piene di gioia e di quella addolorata rabbiosa sensazione di prigionia.
Visitare l’isola di Santo Stefano e il suo ergastolo è un’esperienza incredibile, se la si affronta con la libertà nel sangue.

In quattro navigammo quel tratto di mare, quattro persone, una macchinetta fotografica, una super8, pala, piccone, acqua e fiori: non era accettabile che quel cimitero di ergastolani fosse avvolto dall’oblio,

Foto di Valentina Perniciaro _il cimitero degli ergastolani, tutto pulito_

non era accettabile che quei corpi e quelle 47 croci vivessero abbandonate così,
tra i canti dei gabbiani e quel vento di mare che sa di libertà, e la cura di Salvatore, da solo.
Tra quei corpi tanti fratelli, tra quei corpi anche il caro “uccisore di re” Gaetano Bresci,
anche lui abbandonato lì, senza nome, senza ricordo, senza quel minimo di dignità che dovrebbe esser garantita sulla tomba di tutti, figuriamoci la sua.

Ora di quelle 47 croci solo pochissime sono senza nome: ora quei corpi privati della propria libertà, quei corpi seppelliti dai propri stessi compagni di prigionia, hanno un giaciglio che ricorda il loro nome, e la data della loro dipartita.

Foto di Valentina Perniciaro _in cella, nell’ergastolo di Santo Stefano_

E’ stata un’emozione forte, per quello queste mie parole non riescono ad uscire.
Perchè ancora devo metabolizzare l’immagine di quel cimitero tutto pulito, di quelle tombe quasi belle come non erano da chissà quanti decenni, e tutte con  un nome, come non erano praticamente mai state.

E quindi scrivo qui, confusamente, senza riuscire probabilmente a trasmettervi la storia di questo gruppo,
che lo scorso anno era composto da 4 persone, e che invece ha visto aggiungere uno zero a quel numero.
Un gruppo che s’è creato in autonomia approdando su quell’isola da sconosciuti, un gruppo mosso dalla volontà di abolire l’ergastolo, di liberarsene completamente.
Quest’anno eravamo in tanti a navigare quel tratto di mare,
in tanti a girare quella curva in salita, sotto al sole,  in passato dominata  dal cartello “Questo è un luogo di dolore”.
Lo è ancora un luogo di dolore, lo sarà sempre, come qualunque carcere e forse più di molti altri per la portata storica e violenta che ha con sè;

Foto di Valentina Perniciaro _La campagna 10×100 Genova non è finita, approda nel carcere di Santo Stefano: NON LASCIAMO CHE CHIUDANO QUEI LUCCHETTI!

un carcere dove le storie di evasioni son purtroppo poche mentre abbondano i dettagli delle fustigazioni, della segregazione, dell’impazzimento.
Ma è anche  un carcere che ha vissuto anche un periodo diverso, dove i detenuti erano molto liberi, dove si potevano fare colloqui con i propri familiari di 24 ore, in apposite case, cosa che ora a dirla pare un film.
Insomma, queste confuse righe non sono nulla se non un appuntamento a prestissimo, con un po’ di storie di quegli uomini,
con un po’ di racconti di ogni tempo,
con la vicinanza totale che sento, dal primo momento, con tutti coloro che da lì son passati, ultimi della terra, rinchiusi il più lontano possibile dalla società.
A presto con quelle storie,
con il blu di quel mare che urla libertà,
con la ruggine di quei blindi che ancora grida la violenza della prigionia.

A Gaetano Bresci,
a tutti i suoi compagni di prigionia
di ieri, di oggi e di sempre.

Foto di Valentina Perniciaro _Gaetano Bresci, ed un nome sulla tomba_

Del Pride,di Israele,di apartheid e di gente senza vergogna

26 giugno 2012 2 commenti

Paro paro riporto quest’articolo dal blog FreePalestine,
perchè ne ero ignata, impegnata nel viaggio contro l’ergastolo al carcere di Santo Stefano (che tra poco cercherò di raccontarvi, ma che ancora non riesco a metabolizzare).
Ignara della polemica, non dei cartelli,
ignara delle parole scritte a riguardo
non ignara dello schifo di paese dove abito.
Siete veramente una vergogna,
e ringrazio la rete che anima il FreePalestine, per queste righe chiare.
BOICOTTA ISRAELE, LIBERA LA PALESTINA.
DISTRUGGI IL SIONISMO, DISTRUGGI IL MURO DI SEPARAZIONE, DISTRUGGI L’APARTHEID!

Portare 2 cartelli al Pride costa un po’ e non parliamo di denaro.

Prima devi fare la scritta e aspettare che la vernice si asciughi, poi devi fare i contorni scegliendo il colore che rende tutto più leggibile.

Il lavoro non è finito, tocca armarsi di cantinelle, sparapunti e cacciavite (se l’avvitatore è scomparso dal magazzino), devi prendere bene le misure e costruire una struttura che possa essere utile per portarli entrambi e agile da trasportare… alla fine bisogna provare ad alzare il tutto: “Oddio regà, è storto, non entra in macchina e con il vento si spacca e vola via!” Si parte verso il concentramento del Pride con quel “coso” che esce dalla macchina, content* comunque di portarcelo dietro.

“Enjoy Stonewall, Smash the Apartheid Wall” – “Boicotta il turismo in Israele” è un cartello fronte/retro che costa più delle scenografie dei mega Tir del Pride e ancora una volta non parliamo di soldi… è un cartello che ci racconta, conferma la nostra scelta di non finanziare l’economia di Israele con il suo progetto coloniale in Palestina e di combattere la propaganda che cercano di costruire anche con il turismo.
Quel cartello è un piccolo strumento di “verità” che sei dispost* a portare lungo tutto il corteo ma che fortunatamente viene “ospitato” dall’unico carro di compagni e compagne presente al Pride già pieno di contenuti: “La nostra identità non è nazionale” e “Genova 2001 non è finita” a sostegno della campagna 10X100.

Non useremo in maniera strumentale le dichiarazioni di Anastassia Michaeli, membro del Parlamento israeliano, che due giorni fa ha dichiarato che l’aborto rende le donne lesbiche, in Italia abbiamo centinaia di “Anastassie” di questo tipo.
Non faremo neanche facile ironia sulla gamba di Netanyahu rotta durante una partita organizzata per sponsorizzare il turismo in Israele, mentre lo stesso Stato imprigiona da 3 anni un calciatore della nazionale palestinese senza alcuna accusa, senza alcun processo e senza la possibilità di avere una difesa legale.
Non abbiamo mai detto che Tel Aviv è una città dove gay, lesbiche, trans e queer israeliani vengono perseguitat* o assaltati come nelle strade di Roma, vi abbiamo però raccontato cosa c’è dietro quel “velo pink” che decanta diritti basati sul privilegio, cercando di nascondere le brutalità del progetto coloniale e l’apartheid.

Dal giorno del Pride di Tel Aviv continua a circolare la frase “Fieri di essere gay, anche in uniforme” che accompagna la celebre foto di due militari israeliani che si stringono la mano camminando. Il “fascino della divisa” è sempre stato un orgoglio nazionale e non si tratta di gusti quando in noi suscita il totale disprezzo.
Ci occupiamo da tempo di documentare tutte le violenze disumane dell’esercito sionista, combattiamo la militarizzazione dei nostri territori e il controllo sulle nostre vite, disprezziamo l’ordine gerarchico di qualsiasi bandiera. Come possiamo parlare di una grande conquista di diritti se, come ormai noto, in Israele il servizio militare è obbligatorio per tutt* e chi non è fiero di quella divisa e rifiuta con dignità di fare il servizio militare per uno Stato assassino viene incarcerat*?

Non amiamo rispondere ad accuse infamanti che si basano su profonda ignoranza (che vorremmo tanto fosse involontaria) ma, se il cartello portato al Pride ha costretto celebri difensori del colonialismo di Israele a prendere parola, vorremmo almeno dare qualche suggerimento per la prossima volta:

– La campagna BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni) non è contro le persone o la popolazione ma contro responsabili e complici del colonialismo sionista e dell’apartheid. Possibile che leggete solo i manuali di propaganda e non vi accorgete che ci sono israeliani che portano avanti la campagna vivendo in Israele?

– La prossima volta che vi troverete a difendere lo Stato di Israele farneticando o sarete costrett* a sponsorizzare il turismo, vi consigliamo un tour molto “friendly” a Gush Etzion (complesso coloniale di Israele) : qui potrete imparare nel vero spirito sionista ad ammazzare la gente in sole 2 ore di corso aperte anche ai più piccini… ovviamente se preferite utilizzare il fosforo bianco e uccidere 1443 persone (di cui 430 bambin*) e ferirne altre 5000 in soli 22 giorni, quando pagherete il corso verrà applicato uno sconto!

Ai pennivendoli che sono andati appositamente a cercare le dichiarazioni infamanti e false resta solo il ruolo di sciacalli. Avete dimenticato di riportare “Enjoy Stonewall” perchè quando vogliamo tutto, noi non chiediamo niente, lottiamo per prendercelo. Le spiegazioni potevate chiederle a noi, abbiamo una lunga lista di motivi per boicottare Israele e un trafiletto al giorno per 10 anni di seguito non basterebbe.

Content* che i 2 cartelli abbiano retto bene fino in fondo…
La nostra identità non è nazionale!
Boicottiamo Israele e rifiutiamo l’Apartheid!
La “linea” del vostro Pride NON E’ IN NOSTRO NOME! NON USATE I NOSTRI CORPI!

Stop occupation, FREE PALESTINE!

Quando una mamma muore tra le sbarre…

25 giugno 2012 10 commenti

Se si apre il sito di Repubblica oggi,
in prima pagina da questa mattina, troviamo la notizia del Carabiniere morto in Afghanistan.
Un esperto, un volontario alla sua quinta missione in quel martoriato paese.
Per trovare la notizia del suicidio avvenuto ieri sera nel carcere di Sollicciano, durante i quarti di finale dei campionati europei di calcio, bisogna aprire la pagina di Firenze,
e scorrere scorrere scorrere,
fino a trovare la notizia.
Si è suicidata una giovane donna, una giovane mamma, tossicodipendente.
Era entrata in carcere a gennaio, per una pena di 12 mesi..
e s’è impiccata alle sbarre della sua finestra.
Perché una mamma di due bambini con un solo anno di condanna era in carcere?
Perché una tossicodipendente arriva a suicidarsi in una cella?
Che schifo è questo?

Ora ci son due bimbi senza la loro mamma,
due bimbi che cresceranno consapevoli che la loro mamma è stata uccisa,
uccisa da uno stato che invece di aiutarla l’ha rinchiusa,
uccisa da uno stato che chiude una madre, 36enne, per una condanna ad un anno.
Non c’è parola alcuna, maledetti assassini.

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Foto di Valentina Perniciaro
_Il cimitero degli ergastolani dell’isola di Santo Stefano_

 

“La biblioteca del brigatista” dal blog Insorgenze

20 giugno 2012 Lascia un commento

La biblioteca del brigatista.

Il link qui sopra è molto interessante: ve ne consiglio la lettura!

Su uno sfratto torinese: all cops are BASTARD, altro che “pecorelle”.

19 giugno 2012 2 commenti

Questa è Torino.
Questo è il nostro paese.
Questo continuerà ad essere il nostro paese se non impariamo a vivere,
a difenderci, a pretendere altro nella nostra vita e strapparglielo via.
Queste due fotografie sono state scattate questa mattina e circolano in rete grazie al CSOA Gabrio, che faceva parte del presidio antisfratto duramente attaccato oggi.

Dalle 7 di mattina Corso Cosenza è stato incaso da diverse camionette e molti agenti della Digos:
il tentativo di sfratto s’è fatto subito violento. Manganellate, spintoni e calci,
per arrivare a sfrattare Hedia, suo marito e i suoi bambini.

LA DIGNITA’ NON SI SFRATTA.
LE NOSTRE VITE NON SI MANGANELLANO.
PAGHERETE CARO.


“Non è un tipo che si fa ingabbiare. E’ un fatto di appartenenza”

19 giugno 2012 8 commenti

Queste righe appaiono come commento in un post sul sito Wuming ( e poi sul sito 10×100.it), dedicato alla campagna GENOVA NON E’ FINITA 10×100 ANNI DI CARCERE,
nata pochi giorni fa in attesa delle sentenze di Cassazione del processo per “devastazione e saccheggio” in cui sono imputati 10 persone, delle centinaia di migliaia che eravamo nelle giornate del G8 di Genova, nel luglio del 2001.
Belle.

Foto di Valentina Perniciaro, Genova 2002

E non posso non girarle in questo blog, che ha come sua unica dea la libertà…
e come peggior nemico il ferro e il cemento delle celle, qualunque cella.

TUTTI LIBERI!
FIRMATE L’APPELLO sul sito 10×100.it

Abbiamo fatto le elementari insieme. Il nostro maestro, che era compagno, rivisto tanti anni dopo mi disse che era contento che almeno io fossi diventato un “marxiano”. Mi ricordo di avergli risposto che anche Luca era “venuto su bene”: era diventato un devastatore-saccheggiatore, in quel momento era agli arresti domiciliari per gli scontri di Genova.

Ci eravamo ritrovati da ragazzini, agli scout (e non c’è niente da ridere). Abbiamo combinato un bel po’ di disastri agli scout; una notte siamo scappati dalle tende per fare i pirla in giro, abbiamo anche comprato del pessimo vino dell’Oltrepo. Sono arrivati dei giovinastri di paese in macchina, sono scesi e ci hanno tirato un pugno in faccia a testa. Senza nessunissimo motivo, solo perché eravamo dei boy-scout quattordicenni ubriachi! Attiravamo guai come calamite.

Uscivamo spesso in due. Lui, figlio di proletari e “col culo per strada”, era un anarchico istintivo, io, secchione atipico e nipote di partigiano, un comunista genetico. Io l’ho portato alle manifestazioni, lui mi ha introdotto nel fantastico mondo dell’illegalità adolescenziale.

Lui era avanti con le ragazze, io decisamente indietro. Quando mi sono messo alla pari, ci siamo persi di vista. Ho smesso di bazzicare la sottocultura hip-hop in cui eravamo entrati insieme, ma in cui lui si era trovato subito a suo agio mentre io ero fuori posto come uno scout ad un rave. I suoi tag li trovi ancora dappertutto a Pavia; io ho visto la prima volta che ha scritto quelle tre lettere su un muro.

Io sono diventato un militante che fa le riunioni e scrive troppo, lui un randagio che va quando si deve, mosso da ragionamenti e obiettivi suoi. E poi, lui odia la polizia, da sempre – “è un fatto di appartenenza”.

A Genova non l’ho visto. Forse oggi non tutti lo sanno o lo ricordano, ma eravamo così tanti che potevi stare giorni nella stessa città e negli stessi cortei senza mai incontrarti. Poi, io sono per resistere o arretrare ordinatamente quando la polizia attacca; lui è per rispondere.

Ha scritto una lunga lettera al giornale locale quando era ai domiciliari. Raccontava che era a piazza Alimonda, che ha visto come è andata, che forse per quello si sono accaniti su di lui: il PM ha chiesto più di un decennio. Ricordo un passaggio della lettera, diceva più o meno così: “Se dopo ore di manganellate e cariche e lacrimogeni, i carabinieri lasciano una jeep indifesa e io le do fuoco, non è una questione politica: è una questione di carattere”. È un fatto di appartenenza.

Sono andato a trovarlo, nell’appartamento della madre, un appartamento da operaia, dove era segregato. Sembrava di essere ad una di quelle feste che facevamo da teenager, chiusi in otto in una stanza di una casa senza adulti, a sciupare i pomeriggi e a bere superalcoolici. Ma avevamo più di vent’anni e sua madre era a casa.

Ora rischia 10 anni. Secondo me non è innocente, in una penisola dove i torturatori sono sottosegretari non so bene come si possa parlare di merito o colpa.

Cosa fa adesso? Lo so ma non ve lo dico. Quel che so e che vi dico è cosa non può, non deve fare per i prossimi dieci anni: stare chiuso in una stanza di prigione. Non è il tipo che si fa ingabbiare. È un fatto di appartenenza.

 

A Carlo Giuliani, al suo assassino stupratore
“Non è un tipo che si fa ingabbiare”
Dieci, Nessuno, Trecentomila
Genova, dieci anni dopo

La vergogna di Strasburgo
Quel passo in più
A Carlo


Luca Abbà esce dall’ospedale: Bentornato Luca!

18 giugno 2012 5 commenti

Finalmente, dopo 109 giorni di “detenzione” ospedaliera, sono uscito dalla mia camera d’ospedale.
Ma ci vorrà ancora tempo per poter tornare alle mie vecchie abitudini di vita, per diversi mesi proseguirò la fisioterapia in ospedale alcuni giorni a settimana e dovrò curare in prima persona la mia riabilitazione con esercizi quotidiani.

Luca Abbà, il 27 febbraio, pochi attimi prima di cadere dal traliccio, seguito da un agente della polizia di stato

Tutto sommato posso dirmi soddisfatto di come è andata finora, e, nonostante le caratteristiche dell’incidente che mi accaduto, le conseguenze sono state meno gravi dell’immaginabile.

Intendo perciò ringraziare tutto il personale sanitario che mi ha seguito in questo periodo con serietà e professionalità.

Il mio ringraziamento più grande va però a tutti coloro che mi sono stati vicino in questo periodo, non solo familiari e amici, ma anche a chi in tutta Italia, e anche oltre, ha seguito con grande apprensione l’evolversi della mia situazione.
Chiediamo -io e la mia compagna Emanuela- di essere lasciati tranquilli ancora per un po’ di tempo, in modo che  possiamo dedicarci pienamente al mio recupero; sicuramente non mancheranno le occasioni per ritrovarsi durante iniziative pubbliche o in incontri più intimi.

Appena possibile tornerò attivo e presente in prima fila come tutti mi conoscono.
Un saluto ribelle e un abbraccio affettuoso a tutti e tutte

Luca Abbà
giugno 2012

Rivoluzione Egiziana: istruzioni per l’uso

17 giugno 2012 1 commento

ASSOLUTAMENTE DA LEGGERE,
dal blogger Hossam el-Hamalawy, che da anni segue gli sciopero e la lotta di classe di Egitto.

Mentre parecchi in Egitto stanno piangendo la “morte della rivoluzione” ed il conseguente “colpo di stato militare”, è ora di sottolineare, o di ri-sottolineare, alcuni punti:

Foto di Hossam el-Hamalawy

1- Parlare di un colpo di stato militare nel giugno 2012 significa credere che, sin dal rovesciamento di Mubarak, l’Egitto abbia avuto un governo civile, il che è completamente ridicolo. Il colpo di stato è più o meno iniziato l’11 di febbraio 2011, quando i rivoluzionari sono riusciti a scalzare Mubarak, che venne rimpiazzato dai suoi generali.

2- Fin dall’inizio la giunta militare sta utilizzando tutte le sue armi costituzionali, legali e politiche per influenzare il processo [rivoluzionario], e non hanno esitato ad utilizzare i proiettili ogni qual volta che il loro “soft power” non falliva nell’intento.

3- Tra i vari attori politici, la giunta militare è quella che più di tutti vuole il “passaggio del potere” ad un governo civile. Durante la scorsa settimana i veicoli da trasporto truppe ed i camion militari erano in giro per le strade per distribuire comunicati ed per incoraggiare la gente ad andare a votare al secondo turno. Messaggi simili, sia indiretti che espliciti, sono trasmessi in continuazione dalle tv pubbliche. La giunta vuole “mollare” , tornare alle caserme con le garanzie legali, politiche e costituzionali che non verrà toccata la loro posizione, i privilegi, il potere decisionale ed il controllo sull’economia. In breve: sognano il vecchio “modello turco”.

4- Una rivoluzione non si fa in 18 giorni o 18 mesi. Se siamo tutti d’accordo che questa è una guerra con il regime che durerà per diversi anni, allora perché tutti sono improvvisamente preda al panico e stanno dicendo che è finita? Qualcuno credeva che la rivoluzione fosse una curva lineare di vittorie? Sicuramente stiamo attraversando un periodo catastrofico in cui la controrivoluzione è all’attacco, ma non dobbiamo credere che la rivoluzione sia finita. Quante volte nell’ultimo anno e mezzo è stato detto ed è stato scritto “È finita! La rivoluzione è sconfitta”, solo per poi essere sorpresi da una ripresa delle proteste di piazza, delle occupazioni e degli scioperi che hanno costretto la giunta a fare dei passi indietro?

Foto di Hossam el-Hamalawy

5- Questa rivoluzione ancora non ha una leadership semplicemente perchè nessuno dei gruppi politici esistenti ha un radicamento territoriale sufficiente per dirigerla. Per questo qualsiasi accordo politico tra lo SCAF [letteralmente: consiglio supremo delle forze armate, la giunta militare NdT] ed una qualsiasi forza politica con lo scopo di attenuare le proteste e gli scioperi è inutile.

6- Gli scioperi, che incarnano l’unica speranza per rovesciare il regime, non seguono mai in un percorso lineare verso l’alto. Proprio come le proteste di piazza, gli scioperi hanno flussi e riflussi. Eppure, rimane un fatto: l’ondata di scioperi è entrata nel suo sesto anno consecutivo, senza la prospettiva di una loro fine, semplicemente perché le ragioni oggettive e strutturali del suo scoppio sono ancora lì, e nessun candidato presidenziale, né un profeta può risolvere questi problemi finché il regime neoliberista rimane al suo posto.

7- Gli scioperi, anche se non sotto una leadership unificata, hanno visto ripetuti scontri diretti con l’esercito, cori contro la giunta militare, così come degli attriti con i parlamentari della Fratellanza Musulmana o dei salafiti che nelle loro zone hanno cercato di attenuare le mobilitazioni, oppure non si sono preoccupati di intervenire in sostegno dei lavoratori.

8- La stessa opposizione islamista è piena di contraddizioni e spaccature interne. Lo spettacolo penoso dato in parlamento (ora disciolto), la collaborazione con la giunta nell’anno passato, e l’incapacità di ottenere un qualsiasi vantaggio nazionale concreto per il popolo durante la breve e defunta legislatura può solo significare che potrebbe potenzialmente aumentare la disillusione tra i poveri ed i giovani.

9- Ci sono buone ragioni per aspettarsi alcuni mesi difficili davanti a noi. L’apparato del (formalmente) disciolto Partito Nazionale Democratico [il partito di Mubarak, n.d.t.] in queste elezioni aveva fortemente sostenuto Shafiq, e i membri del partito si sono sentiti a loro agio ad uscire allo scoperto dopo essere scomparsi per un anno dagli occhi dell’opinione pubblica. I capi della sicurezza di Mubarak sono stati tutti assolti, e ogni giorno ci sono notizie di agenti di polizia e caporali prosciolti da ogni accusa relativa all’omicidio di manifestanti. Anche se la legge di emergenza è stata revocata ufficialmente due settimane fa, il ministro della Giustizia ha concesso alla polizia militare ed ai funzionari dell’intelligence il potere di arrestare i civili . Senza un parlamento o di una costituzione in vigore, l’elezione di Shafiq come presidente porterà a dei severi provvedimenti contro gli attivisti democratici, i gruppi di opposizione, ed i rivoluzionari, con il pieno appoggio della SCAF.

10- La prossima ondata di repressione non la farà finita con la rivoluzione. Ancora una volta, ci vorranno diversi anni per permettere alla polvere di depositarsi. Il campo rivoluzionario non dispone degli strumenti essenziali per contrattaccare, in altre parole, non dispone di un’organizzazione nazionale dei settori più avanzati dei lavoratori e dei movimenti giovanili e di un fronte coerente e unito che coordini i diversi gruppi rivoluzionari nella capitale e nelle province. E in questi tempi difficili, quando la controrivoluzione va a tutta forza, la necessità di una tale organizzazione diventa sempre più urgente.

* Hossam El-Hamalawy è un giornalista indipendente ed attivista egiziano. Attivo fin dai tempi della dittatura è un membro di spicco dei Socialisti Rivoluzionari. Il suo blog è uno dei più seguiti in patria ed all’estero http://www.arabawy.org/ .

Titolo originale in inglese “The troubled revolutionary path in Egypt. A return to the basic”

Fonte: http://www.jadaliyya.com/pages/index/6012/the-troubled-revolutionary-path-in-egypt_a-return-

Traduzione a cura di Emanuele Calitri
International Tahrir 

Il muro di Mohammed Mahmoud, foto di Hossam el-arabawy

Il muro di Mohammed Mahmoud, foto di Hossam el-Hamalawy

Radiohead a Toronto: l’ennesimo palco che si sbriciola su chi lo monta

17 giugno 2012 2 commenti

Ci risiamo:
un altro show assassino, un altro palcoscenico che si sbriciola su chi lo stava frettolosamente costruendo,
in tempo per garantire lo spettacolo a migliaia di paganti. Appena un’ora prima dell’apertura dei cancelli,
quando quel palco era già circondato da chi attendeva di entrare: surreale, impressionante.
Un morto, tre feriti di cui uno rimasto per ore intrappolato nel groviglio di tubi innocenti, cavi, luci, amplificatori.
Stavolta non è Italia, ma la morte è quella stessa identica di Francesco Pinna e di Matteo Armellini,
operai dello spettacolo, ragni da palcoscenici costretti a ritmi e condizioni di sicurezza impressionanti, spesso letali.
Siamo sotto, letteralmente sotto, il palco dei Radiohead nel Downsview Park di Toronto, e le immagini son identiche a Trieste e Reggio Calabria.
I Radiohead sono in tournée mondiale, il 30 giugno sbarcheranno a Roma,
con il loro palco assassino, l’ennesimo.
E allora vi consiglio di leggere spesso il blog del Collettivo Autorganizzato dei lavoratori dello spettacolo di Roma,  per rimanere aggiornati sulle iniziative che manderanno avanti durante l’estate romana, quella che serra ancora più i ritmi, quella caldissima e ricca di eventi che li costringe a lavorare molto più che in altre stagioni.

CHE NESSUNO SI SENTA ASSOLTO DA QUESTE MORTI,
NESSUN CANTANTE, NESSUN ARTISTA, NESSUN ORGANIZZATORE DI EVENTI, NESSUN PADRONCINO…

Per la liberazione di Mahmoud Sarsak, calciatore palestinese, da 83 giorni in sciopero della fame

15 giugno 2012 5 commenti


Eric Cantona chiede la liberazione del calciatore palestinese Mahmoud Sarsak e si pronuncia contro lo svolgimento della coppa europea di calcio under 21 in Israele, nel marzo 2013.
“Siamo scioccati nel vedere che certi politici ed istituzioni sportive che si sono preoccupati per lo svolgimento degli Europei in Ucraina, in ragione delle violazioni dei diritti umani, tacciono quando è Israele ad essere scelto per accogliere la coppa europea di calcio under 21 nel 2013.
Il razzismo, le violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale sono moneta corrente in quel Paese. Il governo israeliano lascia anche che la sua popolazione attacchi gli immigrati africani, che definiscono “infiltrati” e che vogliono imprigionare in campi militari. Nelle prigioni israeliane ci sono più di 4000 prigionieri politici palestinesi, dei quali più di 300 “detenuti amministrativi”, incarcerate senza processo né accuse. Fra questi, il calciatore di Gaza Mahmoud Sarsak, 25 anni, imprigionato da più di tre anni. Disperato, è sceso in sciopero della fame da più di 80 giorni ed ora è in agonia.
Chiediamo di sostenerlo, così come tutte le vittime dei soprusi israeliani.
E’ tempo di mettere termine all’impunità israeliana e di esigere da questo Stato il rispetto delle stesse leggi che gli altri Paesi rispettano”
Eric Cantona, attore ed ex calciatore
Noam Chomsky, Professore del MIT, USA
John Dugard, ex Relatore Speciale dell’ONU per la Palestina, Sud Africa
Trevor Griffiths, scrittore, UK
Paul Laverty, sceneggiatore, UK
Ken Loach, regista, UK
Michael Mansfield, avvocato, UK
Miriam Margolyes, attrice, UK
John Pilger, giornalista e scrittore, Australia
Show Racism the Red Card
Ahdaf Soueif, scrittore, UK

Operai a Basiano: dopo le botte la galera!

15 giugno 2012 Lascia un commento

Tre giorni fa un presidio di operai a Basiano, in provincia di Milano, si è trasformato in una mattanza.
L’attacco di polizia e carabinieri sul presidio che difendeva 90 posti di lavoro è stato di una violenza bieca, che ho raccontato in questa pagina, e che ha portato al coma per qualche ora di uno dei feriti, allo spezzamento di femori e così via.
Avevamo parlato di 20 fermi (ovviamente tutti feriti) da parte delle forze dell’ordine, che avevano tutte le possibilità di trasformarsi in arresti: già si sono svolte 11 udienze per direttissima e stamattina ci saranno le altre 9.
Fino a questo momento è stato confermato il fermo di tutti:  6 persone verranno scarcerate ( 1 privo di misure cautelari, 3 con obbligo di firma, 2 con obbligo di dimora nel comune di residenza).
Poi ci sono 3 richieste di arresti domiciliari e 2 di carcerazione (entrambi delegati del SI.Cobas) ..
così, come se niente fosse.

Questo sabato gli operai scenderanno nuovamente in piazza, per mostrare la loro totale solidarietà con i colleghi colpiti e per mandare avanti una battaglia che hanno tentato di sedare a mano armata, e brandendo manette.

LA LOTTA DI CLASSE NON SI CHIUDE IN CELLA ,
NON VI ILLUDETE.
SOLIDARIETA’ TOTALE AGLI OPERAI COLPITI DA BOTTE E CARCERE.

LEGGI: Le manganellate a Basiano

Solidarietà a Lander Fernandez Arrinda : concessi i domiciliari

15 giugno 2012 1 commento

AGGIORNAMENTO ORE 11.45: CONCESSI i DOMICILIARI A LANDER!
EVVIVA!
annullato il presidio di Sabato pomeriggio a regina coeli!
BENE!!!

Questa mattina alle  ore 9.30 presso la quarta sezione della corte d’appello, città giudiziaria di piazzale clodio ci sarà l’udienza per la convalida dell’arresto di Lander.

Intanto, per rompere il muro dell’isolamento, il solo mezzo è inviare telegrammi:
Lander Fernandez Arrinda
Via della Lungara 29
00165 Roma

LANDER ASKATU!

Segui: Un Caso Basco a Roma

Egitto: ricominciamo da Tahrir?

14 giugno 2012 5 commenti

…tutto da rifare.
Tutto completamente da rifare perché la Corte Costituzionale ha deciso così, le elezioni sono annullate.
Si ricomincia.
Con il Consiglio Supremo delle Forze Armate che tiene stretto il potere nelle mani, con Shafiq lì ad osservare soddisfatto.
Che dire? Come leggevo oggi sulle pagine di alcuni compagni egiziani “parliamo di mesi di rivoluzione, ma dobbiamo farla”.
Eh si, dolcissimo mio Egitto, i cui sogni di rivoluzione ho condiviso sulle tue strade…
ricominciamo dagli scioperi, ricominciamo dai campi di cotone, ricominciamo dalle fabbriche ferme,
dal canale di Suez immobilizzato e deserto.
Ricominciamo da Tahrir, da Suez e le sue fiamme, dalle strade di tutto il paese.
Ricominciamo dal conflitto al potere e all’esercito senza cadere in trappole e in illusioni.
Ricominciamo dall’organizzazione, che non è mai esistita…
dai popolo di Tahrir, siamo con te.
Yalla

Omini di stato,stupratori in divisa…

14 giugno 2012 12 commenti

Assolutamente difficile per me parlare dello stupro avvenuto in una balorda notte innevata a L’Aquila, città che amo profondamente.
Ne avevo scritto un po’, con somma fatica,
a fatti avvenuti da poco,
quando i playmobile del 33° Reggimento Aqui erano tornati in servizio, a pattugliare le strade di una città anch’essa stuprata,
malgrado ben tre di loro fossero coinvolti in uno stupro selvaggio,
che per una carrellata di eventi fortuiti non s’è trasformato in un omicidio.

La merda

Barbaro.
Di un uomo (uno??) che sevizia una donna, una giovanissima donna,
con un oggetto di ferro, fino a lasciarla agonizzante a terra, in una pozza di sangue a sporcar la neve,
fino a quelle tante ore di sala operatoria, a ricucire un utero totalmente sventrato dal caporale Francesco Tuccia,
da ieri agli arresti domiciliari.

Non mi piacciono i discorsi che paragonano le condanne e quindi le decisioni dei tribunali di sorveglianza..
ma sono a meno di un mese dal rigetto dell’affidamento in prova ai servizi sociali del mio compagno, Paolo Persichetti,
condannato per un fatto avvenuto nel lontano 1987,
e che ancora, a meno di tre anni dal fine pena, non ha diritto a dormire una notte con me e con il suo bambino.
Francesco Tuccia invece dorme nel suo letto…ed io, che son contro il carcere, che rabbrividisco per la privazione di libertà di chiccessia…rimango attonita.
Vorrei conoscere, ogni giorno di più, uno ad uno i giudici dei tribunali di sorveglianza di questo paese di merda, dove la galera te la fai (tutta, fino all’ultimo giorno) solo se i tuoi reati son politici, solo se contrasti lo Stato e i suoi apparati.
Qui si legge chiaramente che non è esclusa la possibilità di reiterazione del reato eppure si concedono i domiciliari : perfetto!
Un soldato, un uomo di Stato, un perfetto stupratore (leggete a questo link della conferma dei 12 anni di carcere per Massimo Pigozzi, poliziotto già condannato per le torture di Bolzaneto del G8, per violenza sessuale su quattro donne nelle camere di sicurezza di quella maledetta caserma) …

Vi allego il comunicato comparso sul sito 3e32 scritto dalle varie componenti del movimento aquilano:

La notizia della concessione degli arresti domiciliari al militare Francesco Tuccia, accusato di tentato omicidio e violenza sessuale nei confronti di una studentessa universitaria laziale ci induce a una serie di considerazioni con le quali intendiamo contribuire a mantenere viva  l’attenzione su questa vicenda.

Mentre il presunto colpevole continua a negare la violenza, sostenendo l’inverosimile teoria di un rapporto consenziente, il suo avvocato non ci dispensa neanche stavolta dalle ennesime parole fuorvianti e scorrette come quelle secondo cui dopo tre mesi di detenzione il suo assistito avrebbe “imparato la lezione”, quasi che fossimo di fronte alla marachella di un bambino.

Parole che ci sembrano la spia di un contesto culturale allarmante nel quale ben comprendiamo l’amarezza e i timori con cui la vittima e la sua famiglia hanno accolto la misura dei domiciliari all’ex-caporale.

A tal proposito ci chiediamo: se l’accusato si fosse macchiato dei soli reati di tentato omicidio e lesioni -magari durante un tentativo di rapina – quale sarebbe stata la valutazione del giudice?

Di fronte ai casi di violenza sessuale e stupro – reato gravissimo, anche se solo dal 1996 è considerato tra i reati contro la persona –  i giudici (spesso maschi) sembrano più propensi al garantismo e inclini a un atteggiamento mentale e, quindi, “culturale”, non altrettanto inflessibile e severo, come per esempio nei  reati contro il patrimonio. Come se i beni mobili o immobili valessero più dell’integrità fisica e mentale di una donna.  Quello stesso garantismo che vediamo applicato in questi casi, vorremmo vederlo sempre e comunque, indipendentemente dalla natura del reato e dall’identità e  appartenenza nazionale e  sociale dell’indagato. Perché è difficile non chiedersi cosa sarebbe accaduto sin dall’inizio di  questa vicenda se l’indagato non fosse stato un caporale dell’esercito.

Anche le modalità ed il linguaggio utilizzati dai mass media per parlare di casi di violenza contro le donne riflettono il livello di arretratezza culturale del nostro paese: morbosa curiosità per particolari che ledono sempre la donna ed il suo diritto alla riservatezza, grande affanno per stabilire se la donna violentata o uccisa sia una “brava persona”, perché, in caso contrario, scattano subito le attenuanti per il maschio e via via il disinteresse per una storia che non fa più notizia.

Mentre le donne continuano la lotta per superare le violenze subite, circondate dall’indifferenza complice di chi sceglie sempre di non vedere, perché la violenza degli uomini interroga in profondità le coscienze delle donne e degli uomini e, proprio per sottrarsi a ciò, si sceglie di non nominarla mai.

Rinnoviamo la nostra solidarietà alla ragazza ed alla sua famiglia e continuiamo a rivendicare il diritto per tutte e tutti di vivere libere/i dalla violenza maschile, che solo in Italia e solo dall’inizio dell’anno ha ucciso 58 donne.

Auspichiamo che l’informazione e i media vogliano  tenere desta l’attenzione dell’opinione pubblica sulla violenza di genere, i cui dati allarmanti ci sembrano gravemente sottovalutati.

Collettivo Fuorigenere, Comitato 3e32 , Centro Antiviolenza per le Donne, Associazione Biblioteca delle Donne “Melusine”


Il buongiorno degli incappucciati: LANDER LIBERO!

13 giugno 2012 3 commenti

 Solamente ieri ho avuto nelle mani questo volantino,
e pensare che nemmeno venti ore dopo la persona che me l’ha dato è stato preso dal suo letto da uomini incappucciati scesi da cinque macchine del ministero dell’interno italiano mi lascia sgomenta.
Pistola alla mano e passamontagna calato, la Digos si è presentata così alle prime ore del mattino, a prelevare Lander ( attivista basco da un anno residente a Roma) dal letto della stanza, nell’occupazione di Garbatella dove abita.
La conferenza stampa, davanti alla questura di Roma in via Genova si sta svolgendo in questi minuti,
anche in diretta dai microfoni di Radio Onda Rossa, che proprio due giorni fa aveva raccontato la storia di Lander in una trasmissione.
Diversi i compagni immediatamente accorsi per cercar di capire la situazione.
A questo indirizzo diverso materiale sul suo caso,
Un Caso Basco A Roma
A breve aggiornamenti.
LANDER ASKATU!

QUI MOLTE INFORMAZIONI: LEGGI

APPELLO PER LA LIBERAZIONE DI LANDER FERNANDEZ

Ci appelliamo alle forze politiche e sociali democratiche italiane per richiedere l’immediata scarcerazione di Lander Fernandez, attivista basco arrestato questa mattina a Roma, dopo un anno di domicilio pubblico continuato nella Capitale.

 Segue descrizione dell’accaduto e il riferimento al blog in costante aggiornamento.

Mercoledì 13 giugno, verso le 8:30 di mattina, Lander Fernandez è stato arrestato con una spropositata operazione di polizia: circa 20 agenti della digos romana, coperti da passamontagna e armati di pistola, lo hanno prelevato dalla sua abitazione, portato in Questura e in seguito tradotto nel carcere di Regina Coeli. Su di lui pesa un mandato di cattura internazionale spiccato dal governo spagnolo.

E’ evidente che si tratta dell’ennesima operazione politica, volta a colpire coloro che si battono per i diritti sociali e politici del popolo basco; l’arresto di Lander si verifica in una fase di grande avanzamento del processo di pace sostenuto da personalità e organizzazioni internazionali. Rigettiamo con forza tutte le accuse mosse nei confronti di Lander, poichè viveva a Roma da circa un anno alla luce del sole e senza nascondersi.

Denunciamo inoltre la persecuzione a cui è sottoposto già da qualche anno, da parte delle forze di polizia basche e spagnole. Lander infatti è stato oggetto di un sequestro nella sua città natale e di pedinamenti sia in Italia che nello stato spagnolo.

Chiediamo che:
– sia immediatamente scarcerato e che cada la folle accusa di appartenenza a ETA;
– che i media italiani non si appiattiscano sul processo mediatico che è già iniziato in Spagna, e che informino in modo serio e corretto;
– che lo Stato italiano non sia subalterno alla legislazione speciale spagnola, che è in contrapposizione con le nostre norme costituzionali;
– che le forze che nel nostro Paese si battono per il rispetto dei diritti umani promuovano e si facciano carico del processo di pace nei Paesi Baschi come richiesto, tra l’altro, da Kofi Annan, Gerry Adams e altri mediatori internazionali con la Dichiarazione di Aiete.

http://uncasobascoaroma.noblogs.org/

Basiano (MI): manganellate, femori rotti e fermi sui lavoratori in lotta

11 giugno 2012 5 commenti

Qualcuno inizia ad alzare la testa,
a non accettare di tornare a casa, di farsi licenziare senza alzare la voce, senza ribellarsi, senza fargliela almeno sudare un po’ questa sopraffazione costante, continuata, indegna.
Siamo nel milanese, a Basiano, davanti ai cancelli dei capannoni della Gartico Scarl…
e le immagini parlano chiaro, malgrado le parole delle agenzie stampa riportino come sempre quel che vogliono, con il loro lessico non più sopportabile,
con quel distacco colpevole e accusatore.

E’ diverso tempo che un centinaio di lavoratori sta lottando per difendere il proprio posto di lavoro, con un presidio permanente in opposizione alla decisione dell’azienda di cambiare cooperativa per il servizio di facchinaggio:
a cercare qua e là un po’ di notizie sull’Alma Group di Peschiera Borromeo sembra palese che questo cambiamento e quindi la decisione successiva di 89 licenziamenti sia dovuta proprio alle proteste che i lavoratori portavano avanti contro delle condizioni di lavoro insostenibile.
E quindi tutti a casa.
E se ti ribelli a questo, con un presidio permanente davanti ai cancelli del posto di lavoro che t’ha sbattuto la porta in faccia la risposta successiva, arrivata puntuale questa mattina,
sarà l’arrivo dello Stato, dei suoi plotoni, di lacrimogeni e manganelli.

26, ventisei feriti
18, diciotto lavoratori fermati.
10 ambulanze,
4 auto mediche
2 gambe spezzate, dai lacrimogeni sparati a brevissima distanza.
Anche qualche carabiniere tra i feriti e un blindato danneggiato dal lancio d’oggetti: la sola notizia consolante,
che ci lascia aperta la speranza (aaaah che brutta parola) che ci sia ancora la forza, la possibilità e magari anche la capacità di difendere il proprio diritto alla vita e al futuro,
il diritto di non esser sfruttati,
il diritto di non dover sempre chinar la testa,
il diritto di alzarla ogni tanto,
alla faccia dei manganelli, dei padroni, dei plotoni.

SOLIDARIETA’ AI LAVORATORI FERITI.
RILASCIO IMMEDIATO DI TUTTI I LAVORATORI FERMATI.
LE LOTTE NON SI ARRESTANO.

Ad Aqil Srour, morto per difendere la sua terra e il diritto ad esistere

11 giugno 2012 2 commenti

GRAZIE AL SITO FREEPALESTINE.NOBLOGS.ORG

Dal sito del villaggio di Ni’lin

In memoria di un eroe: 5.06.2012 il terzo anniversario dall’assassinio di Aqil Srour

Aqil Srour, un eroe uguale a migliaia di altri, nasce il 24 aprile 1972 e cresce in West Bank nel villaggio di Ni’lin. Sua madre muore quando lui ha solo un anno e sia lui che i suoi 3 fratelli e le sue 2 sorelle crescono con il padre. Durante la prima Intifada, nel 1994, Aqil viene arrestato e condotto in una prigione militare sionista. Il padre morì senza poterlo mai più rincontrare.

Aqil, l’eroe, ha dedicato l’intera vita alla lotta per liberare la Palestina dall’occupazione israeliana, alla sua gente, venendo arrestato in 5 occasioni dalle forze d’occupazione israeliane. La prima volta viene arrestato durante la Prima Intifada e questo arresto l’ha costretto a passare 4 anni in una prigione militare israeliana.  Il suo ultimo arresto è stato durante la lotta contro la costruzione della barriera di segregazione a Ni’lin, iniziata nel 2008, e questa volta ha passato 4 mesi e mezzo in prigione ed stato costretto a pagare una sanzione di 2000 $, una somma enorme per qualsiasi palestinese. Nella sua vita ha trascorso più di 6 anni in prigioni militari come Majeddo, Jalbou, Negeve e Ofer dove è stato soggetto di molteplici brutalità durante gli interrogatori. E’ stato inoltre internato in cella d’isolamento sotto terra nella prigione di Almasqubya, vicino Gerusalemme.

Dopo la Seconda Intifada si è sposato e ha avuto 4 bambin*, la più piccola di loro ha 3 anni e si chiama Ramees.

Mentre il muro di segregazione era in costruzione sulle terre del suo villaggio, la casa di Aqil ha subito diverse brutali incursioni da parte delle forze d’occupazione israeliane.  Suo fratello maggiore con problemi mentali è stato colpito nell’occhio sinistro con un proiettile rivestito di gomma sa non più di 15 metri di distanza il 30 ottobre 2008, mentre i soldati israeliani invadevano il villaggio di Ni’lin. Il comandante dell’esercito israeliano ha ordinato di sparare al fratello di Aqil a distanza ravvicinata mentre lui stava gridando ai soldati chiedendo le motivazioni dell’arresto di Aqil.

Aqil Srour è stato costantemente preso di mira dalle forze occupanti dal primo momento in cui è iniziata la lotta contro la costruzione della barriera a Ni’lin. Gli hanno più volte sparato addosso durante le manifestazioni pacifiche. Solo due settimane prima di essere assassinato aveva riportato ferite dopo essere stato colpito in faccia da un candelotto di lacrimogeno.

Il 5 giugno 2009, Aqil è stato colpito al cuore con un proiettile calibro 0.22, un tipo di munizione considerata illegale dal diritto internazionale, mentre stava soccorrendo un ragazzo di 16 anni di nome Muhammed Mousa. Muhammed era stato colpito nello stomaco dallo stesso tipo di munizione e quando Aqil ha raggiunto il ragazzo è stato colpito da un cecchino della polizia di frontiera israeliana (Israeli border police). Aqil è morto prima di raggiungere l’ospedale, poco più di due mesi dopo il suo rilascio dalla prigione militare di Ofer. La sua figlia più piccola, Ramees, doveva ancora venire alla luce e lui non l’ha mai potuta conoscere.

Il martire Aqil Srour non ha mai accettato l’umiliazione di vivere sotto la costante occupazione, non è il futuro che voleva per i suoi figli. Uccidendo Aqil le forze di occupazione israeliane hanno anche lasciato crescere dei bambini senza l’amore del padre.

Aqil è sempre stato amato dalla popolazione di Ni’lin ed è sempre stato disposto ad aiutare chi ne aveva bisogno. Vive nella mente e nel cuore dei suoi amici e nella memoria collettiva dell’intero villaggio di Ni’lin. Aqil non verrà mai dimenticato e la sua memoria vivrà a lungo dopo la caduta dell’occupazione.

L’occupazione israeliana pagherà per l’uccisione di innocenti e pacifici manifestanti come Ahmad Mousa, Yousef Amireh, Muhammed Khawaja e Arafat Kawaja che sono stati brutalmente uccisi durante manifestazioni pacifiche a Ni’lin in poco più di un anno. Questi omicidi rafforzeranno la determinazione della popolazione di Ni’lin. La lotta continuerà finchè il muro di segregazione non cadrà e l’occupazione non terminerà.

GENOVA NON E’ FINITA: Conferenza Stampa a Palazzo di Giustizia

11 giugno 2012 2 commenti

CONFERENZA STAMPA
di presentazione della campagna

GENOVA 2001 NON È FINITA.
10X100 ANNI DI CARCERE

Martedì 12 giugno – ore 14
Roma, Palazzo di Giustizia – Piazza Cavour

In occasione dell’udienza della Corte di Cassazione per il processo relativo alle violenze perpetrate nella Scuola Diaz a danno dei manifestanti durante il G8 di Genova 2001,

si terrà una conferenza stampa di presentazione della campagna

“Genova 2001 non è finita 10×100 anni di carcere”.

La Campagna chiede l’annullamento della condanna

per devastazione e saccheggio per tutti gli attivisti e le attiviste
imputati che hanno preso parte a quelle giornate.

Interverrano

Laura Tartarini e Francesco Romeo

Avvocati del Legal Team Europe

Due attivisti della campagna

Sarà presente
Carlo Bachschmidt, regista del film documentario Black block,

in competizione nella sezione Controcampo italiano alla
68esima Mostra del Cinema di Venezia e al Festival del Cinema di Berlino.

Sito della Campagna
www.10×100.it

Per informazioni alla Stampa
Cell. 338 80 25 313
Cell. 340 80 71 544

FIRMA L’APPELLO : QUI!

Ore 21.00
nella piazza del mercato di San Lorenzo

proiezione di: LA PROVVISTA  di Carlo A. Bachschmidt
sul blitz alla scuola Diaz, interviene il regista

GENOVA NON E’ FINITA: 10 – NESSUNO – 300.000

10 giugno 2012 6 commenti

Nel luglio del 2001 ci recammo a Genova in 300 mila per gridare ai potenti del G8 “un altro mondo è possibile”.
Un mondo dove le scelte politiche non fossero dettate dalle banche e dagli speculatori e dove la voce dei molti non fosse azzittita dall’arroganza dei pochi. Arrivammo in una Genova blindata, sbarrata dalle inferriate, dove neppure gli abitanti potevano circolare senza permesso. In 300 mila invademmo le strade con i nostri bisogni e desideri. E con le idee ben chiare che quel modello di sviluppo capitalistico non ci andava bene; ci trovammo di fronte un potere armato che aveva preparato una gestione di piazza sanguinaria, culminata con l’omicidio di Carlo Giuliani. Lo stesso potere che costruiva le false prove per l’irruzione alla scuola Diaz e allestiva la camera di tortura di Bolzaneto.

Oggi dopo 11 anni, c’è chi vorrebbe che di quelle giornate rimanessero solo delle sentenze dei tribunali: l’assoluzione per lo Stato e i suoi apparati e la condanna di 10 persone accusate di devastazione e saccheggio. 10 persone a cui vorrebbero far pagare il conto, con 100 anni di carcere, per aver disturbato i piani dei potenti della terra. Un reato che prevede condanne dagli otto ai quindici anni e che risale al Codice Rocco, emanato durante il regime fascista ed usato contro chi si opponeva alla dittatura. E’ così che oggi la magistratura lo applica con lo stesso intento.
Ma chi sono i veri devastatori e saccheggiatori?
A 11 anni di distanza possiamo dire che allora avevamo ragione. Quel potere che si riuniva per decidere le sorti del mondo ha mostrato in questi anni quali fossero i suoi reali progetti: la globalizzazione secondo i dettami del neoliberismo, la devastazione e messa a profitto dei territori e l’accaparramento delle risorse (acqua, petrolio, sementi), il saccheggio delle nostre vite, le politiche di austerity che ci impoveriscono sempre di più, le truppe di occupazione nel nostro paese e in giro nel mondo. Mentre a pagare è sempre chi lotta dalle parte delle classi più deboli, gli organizzatori e gli esecutori dei massacri di Genova non solo non sono riconosciuti come responsabili ma vengono addirittura premiati. Ce lo dimostra anche la recente nomina a sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio, con delega ai servizi segreti, di Gianni De Gennaro capo della polizia all’epoca del G8 di Genova .

Rimandiamo indietro ai veri devastatori e saccheggiatori le condanne che vogliono infliggerci.

Lanciamo questo appello a tutti e tutte, alle e ai 300 mila che erano in piazza a Genova in quel luglio del 2001 e a quelle migliaia che non hanno smesso di lottare (sognare), per aprire da qui al prossimo 13 luglio, giorno dell’udienza in Cassazione per i compagni condannati per devastazione e saccheggio, una campagna che ponga l’accento su quanto sia politica la scelta discrezionale della magistratura di ricorrere al reato di devastazione e saccheggio. Una campagna che non permetta che siano dieci capri espiatori a pagare per lotte che appartengono a tutti e tutte e che sappia costruire momenti di solidarietà e vicinanza. Una campagna comunicativa che utilizzi diversi strumenti e che sappia coinvolgere tutta la società in una battaglia di libertà.
Invitiamo il movimento tutto, le compagne e i compagni che da tutto il mondo animarono quelle giornate di Genova ad aderire alla campagna e muoversi muoversi su questi temi da qui alla data del 13 luglio.
La campagna verrà lanciata il 12 giugno
con una conferenza stampa presso la Cassazione
a Piazza Cavour ore 14

FIRMA L’APPELLO: QUI

A questo LINK il redazionale di Radio Onda Rossa con l’avvocato Francesco Romeo sulle cassazioni e sul reato di “devastazione e saccheggio”

A Christa Eckes, ora libera

9 giugno 2012 Lascia un commento

Vengo a sapere oggi della morte di Christa Eckes, avvenuta  il 23 maggio a Karlsruhe,
e di un flauto che ha accompagnato un lungo funerale in cui è stata salutata da tanti compagni.
Christa era una ex-militante delle RAF, che dopo molti anni di carcerazione si è trovata pochi mesi fa ad affrontare il Beugehaft, carcerazione coercitiva prevista dal codice tedesco per costringere un testimone a rivelare quanto di sua conoscenza. Tutto ciò mentre la leucemia le rosicchiava la vita e la forza che l’ha sempre contraddistinta.

CIAO CHRISTA,
CHE LA TERRA TI SIA LIEVE.
A PUGNO CHIUSO.

Un paio di link:
No all’incarcerazione di Christa Eckes
Christa Eckes, riflessioni di una femminista

Inizia il processo ai NOTAV: hanno inserito il turbo

9 giugno 2012 5 commenti

Caselli atto primo:
a due giorni dalla riconferma a capo del palagiustizia di Torino nonostante lo sformanento di età ecco la prima sorpresa (poi neanche troppo sorpresa) del programmino punitivo del noto magistrato.
46 rinvii a giudizio su 46,
questa la allarmante verità che emerge dagli atti presentati questa mattina ai legali del movimento no tav.
Le accuse sono tutte confermate e così i no tav indagati si dovranno presentare, dalle loro dimore di restrizione e per quattro ancora dal carcere in aula ad inizio luglio per l’udienza preliminare. Ma le sorprese non finiscono qui ed ecco allora spuntare il calendario delle udienze vere e proprie, palagiustizia blindato e prenotato per tutte le settimane centrali del mese di luglio escluse le domeniche e i sabati.
Si chiama procedura d’urgenza ed è stata adottata in pochi casi di estrema importanza, ultimo quello del processo minotauro per le infiltrazioni mafiose nel nord Italia (ovviamente dopo aver messo al sicuro e fuori inchiesta i politici istituzionali piemontesi che spuntavano nei primi incartamenti). Ma di quale urgenza stiamo parlando in questo caso?
Urgenza movimento no tav, sì perchè il 26 luglio scadono i termini per la custodia cautelare, passati i sei mesi finalmente gli imputati in attesa di giudizio sarebbero tornati liberi. E invece no, pur di mantenere vivo un procedimento che cadeva da solo facendo acqua da tutte le parti nelle motivazioni di carcerazione e nelle prove si procede con urgenza. I commenti in questo caso li lasciamo tutti per i lettori, per il movimento questo processo diventa inevitabilmente come nel caso di nina e marianna e nel caso degli altri processi no tav un momento di lotta contro una giustizia di parte, pericolosa e inaffidabile.

Altro materiale NOTAV: QUI
Il sito NOTAV.INFO: QUI

Ora è il turno di Grillo: ANONYMOUS VI AMO, TANTO!

8 giugno 2012 19 commenti

Un sacco di polemiche per questo post, mamma mia!
Allora, incollo qui sotto i due testi: quello dell’azione sul sito di Beppe Grillo e poi quello che è comparso poco dopo sullo stesso sito, Anonymous, che spiegava meglio cosa è accaduto.
Poi che pubblicare un comunicato ( che non è che sia proprio eccellente,  ma insomma……relax!!)  creasse tanto scalpore, proprio su Grillo, mi sconcerta un po’, ma pazienza.

AGGIORNAMENTO 9 GIUGNO:
AnonOps
è una rete completamente autogestita il suo fine è mettere a disposizione di ognuno gli strumenti di protesta informatica, nessun utente può garantire del comportamento dell’altro, ognuno ha diritto a sviluppare liberamente il propio dissenso, purchè non sia manifestamente discriminatorio verso religione, etnie, orientamenti sessuali etc… etc…
Riguardo al recente attacco al blog di Beppe Grillo questo non crea discriminazione alcuna verso minoranze o altro quindi è un’azione che può essere rivendicata dà anonymous e come tutte le azioni di anonymous è sostenuta da alcuni ma non da tutti. Aken

8 giugno:

Salve Beppe Grillo,
Anonymous oggi ha deciso di regalarti un po della sua attenzione.
Il semplice fatto che l’accesso alle tue liste sia proibito agli stranieri, che tu sia un populista che cerca di raccogliere consensi senza arte né parte e che per più volte (come da foto) ha magistralmente eseguito il saluto romano al tuo seguito e ai media, sostenendo la politica di repressione fascista, basterebbe per giustificare il perché di tanto accanimento.

Sfortunatamente altri motivi ci spingono a schierarci contro di te (e sia chiaro, non contro i poveri ignari che credono a tutto ciò che dici prendendolo per oro colato, ergo il tuo movimento).
Il fatto che sostieni la medicina alternativa, chiamata “nuova medicina” dai presunti medici che la praticano, e approvi iniezioni di bicarbonato di sodio in perfusione endovenosa per liberare il corpo dai “funghi che provocano il cancro” ha creato taciti consensi che han causato persino morti.

Tralasciamo inoltre la devastazione della barriera corallina indotta dalla miseria che è la tua barca e i tuoi inutili tentativi di riparare al danno proponendone la ricostruzione (come se l’equilibrio ambientale fosse rimpiazzabile).

Ci chiediamo, in verità, perché non liberi il movimento dal tuo nome.
Il caso più deplorevole riteniamo che tu lo abbia raggiunto con la scomparsa del microscopio elettronico (per cui hai contribuito nella raccolta fondi ai tuoi comizi) che serviva ai ricercatori per dimostrare che il plasma utilizzato negli inceneritori di ultima generazione è peggiore ai metodi precedenti, poiché in grado di produrre nanoparticelle che, per via aerobica quanto per contatto penetrando dall’epidermide, ricerche da prima che hai sostenuto quali veritiere, ma che poi hai tacciato non solo di esser state copiate, ma persino di essere sbagliate, sottraendo il microscopio che (preventivamente) avevi fatto intestare ad una ONLUS ai ricercatori, impedendo così il loro lavoro.

Ti ringraziamo per aver fatto tremare la politica italiana (seppur blandamente), ma da bravo cittadino, con la massima deferenza, dovresti dare le chiavi del tuo movimento a chi porta avanti la causa, cioè al cittadino stesso, evitando di speculare e lucrare ancora sui tuoi spettacoli che di candido non hanno nulla ma sono sordidi di ipocrisia e menzogne.

Le nostre più sentite scuse agli amministratori del tuo sito e al provider per l’attacco.

We are Anonymous.
We are Legion.
We do not Forgive.
We do not Forget.
Expect us.

Una panoramica su Tienanmen

7 giugno 2012 9 commenti

20120607-092422.jpg

天安门事故

Vista così fa un altro effetto.
Vista così lascia ancora più senza fiato.
Spero che non lasci sconvolti quelli che appoggiano Assad,
Perché sarebbe surreale, fastidioso, ridicolo.
Che si vergognino, i sostenitori di qualunque carro armato che muove i suoi cingoli e punta i suoi cannoni contro chi chiede libertà.

L’accanimento giudiziario contro Paolo Persichetti, da Radio Black Out

6 giugno 2012 3 commenti

Un’intervista di Paolo Persichetti a Radio Black Out sul rigetto della sua richiesta di affidamento ai servizi sociali a meno di tre anni dal suo fine pena e a 25 dai fatti per cui è stato condannato.

Odio questa fotografia

Difficile parlare con distacco, su un blog, di un qualcosa che attanaglia la mia vita, il mio cuore e anche la crescita del nostro bimbo, che speravamo di tener lontano almeno ora da quelle mura con garitta, ma che invece sarà costretto a comprenderle, per i prossimi anni.
Difficile ma necessario, quindi non scrivo altro, vi lascio un po’ di link e ringrazio la redazione di Radio Black Out, infinitamente, ancora una volta.

Su questo blog molto, ovviamente, a riguardo:
Saviano e il brigatista
Solidarietà a Paolo Persichetti
Dovrò spiegare il carcere a mio figlio. Il rigetto dell’affidamento a Paolo Persichetti
Paolo Granzotto e il funzionario di Rebibbia

Da RadioBlackout:
Una vicenda inquietante che getta una luce ancor più sinistra sui criteri di valutazione con cui operatori e magistrati di sorveglianza valutano l’accesso dei detenuti ai benefici previsti dalla legge. Si giudicano “immorali” le opinioni del detenuto, gli si dice chiaramente che il “giusto” atteggiamento è il cieco adempimento di qualunque richiesta provenga dalla direzione carceraria.
Ascoltate la diretta con Paolo Persichetti, attore dell’ultima fase della storia delle Brigate Rosse nella metà degli anni ’80, estradato dallo stato francese e ad oggi unica vittima della sospensione della dottrina Mitterand.

QUI L’AUDIO: ASCOLTA

Quando portai un fiore in Spiotta…a Mara Cagol

5 giugno 2012 4 commenti

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Foto di Valentina Perniciaro – le rose della Spiotta-

L’ho scavalcato un giorno quel muro…
Qualche centinaio di km per arrivare a trovare Arzello, piccolo paese perso nelle campagne delle preAlpi…
Ma erano tanti anni che volevo portarti un fiore, tanti anni che volevo veder quella Cascina, quella curva sterrata dove avevo visto le foto della macchina, della fuga, di quel colpo a freddo che t’ha attraversato l’ascella e poi quel cuore grande che avevi.

Avevo paura di esser vista, avevo paura che quello scavalcare una proprietà privata potesse crearmi problemi… La cascina era viva, si sentivano voci, c’erano delle macchine parcheggiate…
Ma non m’ha notato nessuno e vivo comunque con la sensazione che se anche fosse successo mi sarebbe stato permesso di legare quelle rose rosse all’albero che mi sembrava più bello.

Ancora porto dentro di me la bella sensazione di averti lasciato quella poesia e quei fiori,
Quel drappo rosso a ricordare che dentro di me, di noi, ci sarai sempre!

QUI IL RICORDO A MARA: LEGGI

Torniamo a portare un fiore al cimitero degli ergastolani: VENITE?

4 giugno 2012 4 commenti

Per me quello è stato un viaggio lunghissimo, anche se è durato poche ore.
L’isola di Santo Stefano e il suo carcere lasciano un solco profondo, arrugginito come le sbarre di quel carcere borbonico, profumato come quella vegetazione che selvaggia s’è riappropriata di quasi tutto, rosicchiando strade e pezzi di storia priva di libertà.

Foto di Valentina Perniciaro _L’ergastolo di Santo Stefano_

In quel piccolo pezzetto di terra è racchiusa tantissima storia, e la senti con una violenza dirompente, da quella porta d’accesso sul mare, che col sole  e il mare calmo sembra il paradiso, a quella salita, verso l’ergastolo.
Così si chiamava, quello è il nome che porta e che sventra il panorama e la storia di quell’arcipelago…e in pochi posti al mondo si riesce a respirarne il significato come in quell’isoletta meravigliosa e triste.
Il FINE PENA MAI dell’ergastolo prende corpo tra i canti dei gabbiani che ti accompagnano in ogni passo,
perché dal carcere la strada porta al cimitero, al cimitero di quei 47 corpi senza nome  (c’è anche Gaetano Bresci tra loro) che lì riposano,
nell’oblio della storia che l’ha voluti buttati così, senza diritto alla memoria.
E allora, fiori in spalla, andiamo a portare un po’ di colore tra quell’erba alta, andiamo a dar un nome a quelle tombe, andiamo a riappropriarci della storia di quel posto, del suo dolore, della sua lunghissima lotta per la libertà.

Qui il mio racconto del viaggio: LEGGI
Il resoconto di Nicola Valentino: LEGGI

PORTA UN FIORE per l’abolizione dell’ergastolo 

23 giugno 2012

Viaggio al cimitero degli ergastolani nell’isola di S. Stefano (Ventotene)

Foto di Valentina Perniciaro _le celle dell’ergastolo di Santo Stefano_

Il 23 giugno 2012 ritorneremo al cimitero degli ergastolani dell’isola di Santo Stefano (Ventotene). Lo faremo nuovamente in occasione della  giornata mondiale indetta dall’ONU contro la tortura, con lo stesso spirito con il quale abbiamo fatto il primo viaggio nel giugno 2011. Il cimitero degli ergastolani di S. Stefano, attiguo al vecchio carcere (1795- 1965), costituisce un luogo simbolico da vedere e far vedere  perché racconta in modo emblematico, con le sue 47 tombe senza nome, non solo la spietatezza dell’esclusione degli ergastolani dal consorzio umano anche post-mortem, ma soprattutto ciò che oggi è l’ergastolo. In particolare la tortura dell’ergastolo senza speranza, quello cosiddetto ostativo, in base al quale due terzi delle persone attualmente condannate alla pena eterna, sono sostanzialmente escluse da quei benefici che permetterebbero la concessione, almeno teorica, dell’uscita dal carcere dopo 26 anni di pena scontata. Per questi reclusi l’ergastolo costituisce un  “fine pena mai” effettivo, che prevede oltre alla morte sociale e civile, la loro effettiva morte in carcere.

Il primo viaggio del 24 giugno 2011 è stato sostenuto oltre che da molti reclusi ergastolani, anche da alcune delle aree sociali che in quei giorni si sono mobilitate contro la tortura nelle carceri e contro la pena dell’ergastolo. L’iniziativa è stata inoltre  bene accolta da realtà associative, culturali ed istituzionali dell’isola che ne hanno apprezzato lo spirito  invitandoci a tornare. In chi ha vissuto l’esperienza, il luogo  ha consegnato l’energia della commozione e alle persone credenti anche lo slancio spirituale  per alzare lo sguardo verso un orizzonte  libero dall’ergastolo. Alcuni di noi sono tornati al cimitero di Santo Stefano in compagnia di altre persone. L’artista Rossella Biscotti nel mese di settembre si è rimessa in viaggio dall’Olanda con un gruppo, per effettuare, con l’aiuto di persone del posto, un intervento artistico, nelle celle e nei passeggi del vecchio carcere.

Il prossimo viaggio lo stiamo immaginando sia per portare nuovamente dei fiori sulle tombe ma anche per ridare il nome alle persone sepolte. Faremo questo tentativo aiutati da uno scritto di Luigi Veronelli[1], che qualche tempo dopo la chiusura del carcere, fece un viaggio sull’isola addentrandosi fin nel cimitero alla ricerca della tomba di Gaetano Bresci, ricostruendo anche la mappa nominale di gran parte delle 47 tombe. Intervenire ridando i nomi alle persone sepolte, vuol essere un modo per riportare nel consorzio umano e nella memoria sociale esseri umani cancellati per sempre.

Questo momento di presenza alla condizione di vita e di morte delle persone condannate all’ergastolo sarà accompagnato da un omaggio del chitarrista jazz Angelo Romano e dalla lettura di frammenti epistolari, poesie, pensieri che chi vorrà potrà comunicare ai presenti. Chi vorrà potrà riprendere l’evento per darne la più ampia comunicazione. Anche quest’anno martedì 26 giugno nelle carceri e fuori dalle galere ci sarà una giornata di digiuno per ribadire l’opposizione alla tortura che viene praticata nelle carceri italiane attraverso l’ergastolo, le sezioni del 41 bis, il sovraffollamento in molte sezioni penali e giudiziarie (ma anche a.s.), il permanere degli ospedali psichiatrici giudiziari e le case di lavoro (sottoposte alla “pericolosità sociale” che può essere reiterata a vita), la presenza ancora di bambini e bambine con le loro madri in sezioni carcerarie, le numerose morti …E il nostro viaggio al cimitero degli ergastolani è strettamente legato a questa giornata di lotta nonviolenta e ad altre manifestazioni che si terranno in questo stesso periodo.

Stiamo cercando di organizzare anche un incontro per il 23 sera nell’isola di Ventotene per illustrare pubblicamente l’esperienza ed il progetto porta un fiore che auspichiamo riesca ad affermarsi con una sua ritualità, come momento simbolico e partecipato di un processo di liberazione dall’ergastolo.

Istruzioni per arrivare a Ventotene si trovano in internet ma si parte da Formia e il traghetto delle 9:15 arriva a Ventotene alle 11:15…ecc…

L’appuntamento ripetiamo è fissato per sabato 23 giugno. La mattina alle 11,30/12 da Ventotene andremo all’ergastolo di Santo Stefano con il nostro amico Salvatore dell’Associazione Terra Maris che ci farà da guida. Ritorneremo a Ventotene verso le 17 . Alle 17,30 è previsto il dibattito in un altro luogo simbolico: sopra la cisterna dei carcerati. Questa iniziativa è organizzata da le associazioni Liberarsi e Terra Maris, dalla Cooperativa Sensibili alle foglie e dalla Libreria L’ultima spiaggia (libreria e casa editrice che è un’ altra realtà importante dell’isola di Ventotene).   Abbiamo chiesto anche il patrocinio alla Riserva naturale  e al Comune dell’isola che ci dovrebbero aiutare stampando una locandina, volantino e procurando un certo numero di sedie per il dibattito.

Poi cercheremo un luogo dove mangiare qualcosa insieme. E’ ovvio che bisogna aver prenotato il pernottamento che per chi viene da Roma o da Napoli può essere solo di una notte (quella del 23), per chi viene da lontano è necessario prenotare anche la notte del 22 e essere già nell’isola il 23.

Per chi volesse prenotare il pernottamento può utilizzare l’agenzia Bentilem 0771 85365.

Per comunicare la propria adesione e per informazioni scrivere a: assliberarsi@tiscali.it

Per info sugli sviluppi dell’iniziativa:
baruda.net
sensibiliallefoglie.it
informacarcere.it
assliberarsi@tiscali.it
coop.saf@tiscali.it
rossellabiscotti@gmail.com


[1] Luigi Veronelli muore a Bergamo nel 2004, è stato enologo, gastronomo, anarchico e scrittore.

The show must go off: un manifesto dal Collettivo Autorganizzato Operai dello Spettacolo di Roma

1 giugno 2012 2 commenti

Inizia giugno, inizia l’estate,
Inizia la carrellata di grandi eventi, concerti, festival e quant’altro : malgrado i tagli, malgrado sia diventato difficile anche pagarsi una corsa in metropolitana vista la situazione economica e gli aumenti che stiamo affrontando in queste settimane,
l’industria siliconata dello spettacolo sta per aprire la sua stagione più fortunata.
La stagione che vede triplicare lo sfruttamento di tutti coloro che, con il loro lavoro, rendono possibile la realizzazione degli eventi: facchini, montatori, giovani ragni da palcoscenico che girano l’Italia a ritmi vertiginosi per rendere possibili le nottate del divertimento, del costosissimo divertimento.

Dopo la morte di Matteo Armellini (morto schiacciato dal crollo del palco di Laura Pausini a Reggio Calabria) , successiva a quella di Francesco Pinna (che costruiva il palco di Jovanotti a Trieste),
il Collettivo Autorganizzato dei Lavoratori dello Spettacolo di Roma è stato protagonista di diverse mobilitazioni comunicative e anche di alcuni, ovviamente inascoltati, appelli ai musicisti e agli artisti.
Queste righe per condividere con voi il manifesto che da qualche ora stanno facendo circolare attraverso il loro blog, e che andrà a riempire i muri delle città di questo paese dove si muore quotidianamente sul lavoro, dove ci si reca a lavorare in luoghi non sicuri, non controllati, anche a pochi giorni da un pesante terremoto, come è successo con i capannoni di Mirandola tre giorni fa.

E come giustamente urla questo manifesto,
CHE NESSUNO SI SENTA ASSOLTO.
SIETE TUTTI COINVOLTI nella strage quotidiana che avviene.

Asturie: la rabbia dei minatori sbarca a Madrid

1 giugno 2012 2 commenti

La rivolta dei minatori asturiani, che da giorni sta bloccando la regione mineraria autonoma nel nord del territorio spagnolo, è sbarcata ieri per le strade di Madrid, andando incontro ad una feroce repressione della Polizia Nazionale, che tra arresti ed uso spietato di pallottole di gomma, non s’è proprio risparmiata.
Ormai al quinto giorno di sciopero, la rabbia dei minatori che lottano contro i tagli previsti dal governo sulle attività d’estrazione di carbone  e per il cambiamento industriale delle regioni che vivono d’estrazione, ha assunto quante più forme e pratiche possibili, da quelle dimostrative alle più radicali,  come s’è visto negli incredibili blocchi autostradali e nella costruzione di quelle barricate, difese da centinaia di braccia, contro le pallottole di gomma della polizia madrilena.
Otto di loro invece si sono barricate lì sotto, a tremila metri sotto il suolo, minacciando che se non si arriverà all’annullamento del progetto di smantellamento dell’attività mineraria, usciranno da quel buco nella terra solo da morti, con i piedi davanti. E son lì già da dieci giorni.
Guerra senza sconti, perché di alternative non ne hanno,  perché stanno difendendo il loro salario, la possibilità di sopravvivere.

E la radicalità del conflitto sale vertiginosamente, al contrario di quel che accade dalle nostre parti.
Pensate che la Camusso ha dato anche la benedizione alla parata militare, allo scempio che domani mattina vedremo marci(a)re per le strade di Roma.
Noi, il paese della concertazione, il paese dove la classe operaia si lascia calpestare felice,
il paese dove, davanti a decine di capannoni sbriciolati sulla testa degli operai durante il terremoto, non ha visto una sigla sindacale chiamare allo sciopero, alle braccia incrociate fino alla completa messa in sicurezza dei posti di lavoro, tutti, ora.

Gli scontri ieri a Madrid sono andati avanti per ore,
il corteo era grande: 8000 tra minatori delle diverse zone della spagna e compagni hanno marciato fino al Ministero dell’Industria, circondato da plotoni di polizia antisommossa.
La lotta prosegue e si intensificherà nei prossimi giorni se il governo non farà un passo indietro.
Loro no, non sembrano volerne fare nemmeno mezzo.

NON UN PASSO INDIETRO.
SOLIDARIETA’ AI MINATORI COMBATTENTI DELLE ASTURIE
«No al cierre de la mineria del carbon. Por el cambio economico e industrial de las comarcas mineras»

A SARA’ DURA!

Aumenti? Crisi? SABOTAGGIO! ( oggi a Roma accade )

1 giugno 2012 2 commenti

Ma allora è un vizio!
Questa mattina verso le sette, memori dei trambusti dello scorso venerdì, abbiamo deciso di andare a lavoro prendendo la Metro da un’altra zona di Roma. Ci siamo così recati alla fermata di Rebibbia, sulla linea B, un vero e proprio snodo da cui passano quotidianamente migliaia di pendolari, quando… sorpresa sorpresa… neanche ci fossimo dati appuntamento abbiamo reincontrato lo stesso gruppo di militanti della scorsa settimana.
Anche oggi parlavano del fatto che il biglietto dell’Atac dovrebbe essere gratuito per i lavoratori, i pensionati, gli studenti, i precari.
E questo perchè, sempre a loro dire, i trasporti pubblici fanno parte del salario indiretto e non possono essere considerati alla stregua di una qualsiasi merce. Lottare contro l’aumento significa dunque lottare contro il caro vita, contro chi cerca di scaricarci a dosso la crisi del capitale e per il salario.
Ovviamente, proprio come avevano fatto la settimana scorsa, non si sono limitati a parlare ma hanno messo in pratica i loro propositi riempiendo di poliuretano le obliteratrici. Inutile dire che tutti quelli che stavano in fila hanno apprezzato molto la sortita e si sono infilati gratuitamente in metro, e noi con loro. 10 100 1000 sabotaggi… daje!

Da Militant

 Qui altro materiale delle mobilitazioni contro gli aumenti dell’ATAC. 12
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